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8-9-2010

 

È possibile fare una conferenza con questo titolo “I giochi della fantasia” partendo unicamente da Wittgenstein. Sapete che i giochi linguistici li ha introdotti Wittgenstein in un suo scritto che si chiama Ricerche Filosofiche pubblicato postumo nel 1953. Nel Tractatus Wittgenstein ha cercato di intendere come funziona il linguaggio, naturalmente intendendo il linguaggio come l’immagine sensibile dei fatti, cioè del mondo, il mondo come totalità dei fatti. Si trovò di fronte a un problema e cioè quello dell’immagine, mentre dopo, nelle Ricerche Filosofiche, incomincia a parlare di giochi linguistici, di regole e di come si apprendono le regole del linguaggio, un passaggio fondamentale tant’è che Diego Marconi in un articolo pubblicato qualche tempo fa diceva che le Ricerche Filosofiche sono il testo per lui più importante, quello che ha studiato di più e quello che è più vicino al suo modo di pensare, tienine conto Eleonora. È un testo complesso ma di grande interesse, buona parte di ciò che abbiamo tratto recentemente, intendo in questi ultimi vent’anni, procede in parte da lì. Dunque i giochi della fantasia, comunemente la fantasia è intesa un pensare interiore, generalmente, un pensare tra sé e sé e si considera anzi che la fantasia non abbia a che fare con il linguaggio ma sia qualcosa che è al di fuori del linguaggio, proprio nelle Ricerche Filosofiche da qualche parte Wittgenstein annota tra le varie cose che non esiste il linguaggio interiore, tutto ciò che è pensabile, nel Tractatus diceva, che è anche dicibile, ma nelle Ricerche Filosofiche aggiunge che tutto ciò che è pensabile procede dal fatto che il linguaggio è pubblico, che si costruisce in base a qualcosa che si impara da altri, che si apprende e che è comune agli altri, un processo di verifica non è solo per la persona ma il processo di verifica potremmo dire tra virgolette che è “universale” e non c’è pertanto qualche cosa che appartiene alla persona, al suo pensiero e che non è dicibile, cosa che invece interviene spesso nel luogo comune, attribuisce questo al mistico, per lui è il mistico che immagina che le cose siano in assenza di linguaggio. Mi sono annotato alcune proposizioni tratte dal Tractatus, innanzi tutto per Wittgenstein e qui la questione ci interessa molto, lo scopo della filosofia, ma diremmo non soltanto, è prendersi cura del linguaggio, mentre per Kant, per esempio, lo scopo della filosofia è una critica del modo della conoscenza. Per Wittgenstein la filosofia deve occuparsi del modo in cui funziona il linguaggio, il modo in cui è possibile dire le cose, come avviene che le cose si dicano in un certo modo? Tant’è che dice sempre parlando nel Tractatus:

 

Tutto il senso del libro si potrebbe riassumere nelle parole: Quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.

Il libro vuole dunque tracciare al pensiero un limite, o piuttosto – non al pensiero, ma allespressione dei pensieri [...].

Il limite potrà dunque esser tracciato solo nel linguaggio, e ciò che è oltre il limite non sarà che nonsenso.1

L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi Paperbacks, Torino, 1968, pag. 3

 

Naturalmente questa è stata letta in infiniti modi, però tenendo conto di ciò che dirà nelle Ricerche Filosofiche possiamo dire che e non ha tutti i torti. “Ciò di cui non si può parlare”, ciò di cui non si può parlare è ciò di cui non si può affermare con assoluta certezza la necessità, non se ne può parlare in questo senso, ciò che vi è di sensato, come dice lui, è unicamente ciò che è necessario dire, il resto è insensato, che cos’è insensato? L’arbitrario, tutto ciò che gli umani dicono, fanno, pensano continuamente, è insensato naturalmente rispetto a un criterio particolare, è insensato tutto ciò che ritiene di sé di non essere un gioco linguistico, perché ciascuna cosa trae il senso dal fatto di essere un gioco linguistico. L’intendimento nel Tractatus è di tracciare al pensiero un limite o piuttosto, non al pensiero, ma all’espressione del pensiero, come se non ci fosse pensiero senza espressione del pensiero cioè un pensiero che non sia espresso: il pensiero è l’espressione del pensiero, per dirla in termini spicci, come dire non c’è un pensiero che non si dica, qualunque pensiero per essere pensiero si sta dicendo. Tracciare un limite al pensiero, beh è quello che ha detto prima “ciò di cui non si può parlare si deve tacere” nel senso che ciò di cui non è possibile stabilire la necessità si deve “tacere” tra virgolette, nel senso che essendo arbitrario non lo si può affermare con certezza, lo si dice certo, ma lo si dice come qualunque cosa che di sé non può garantire la necessità.

Il limite potrà dunque essere tracciato, questo è Wittgenstein che parla, solo dal linguaggio e ciò che è oltre il limite, non sarà che non senso, ma qual è il limite? È il linguaggio, e ciò che è immaginato fuori dal linguaggio è non senso, qui è abbastanza chiaro, ciò che è fuori dal limite, cioè fuori dal linguaggio è ciò di cui non si può parlare. In realtà non si può parlare di ciò che è fuori dal linguaggio, quindi se qualcosa è immaginata fuori dal linguaggio in questo senso non se ne può parlare, o ci si accorge e si riconduce al linguaggio e allora se ne può parlare se no di ciò che è fuori dal linguaggio non si può dire niente.

 

3.1 Nella proposizione il pensiero si esprime sensibilmente.

 

È un altro modo per dire che il pensiero di fatto è linguaggio e la proposizione è il pensiero che si esprime sensibilmente. Pare ancora vincolato ai sensi in qualche modo, però di fatto potremmo dire che nella proposizione il pensiero è fatto di linguaggio.

 

2.1 Noi ci facciamo immagini dei fatti.

 

Che cos’è un fatto per Wittgenstein? È l’evento, ciò che accade, e il mondo è la totalità delle cose che accadono, il contingente, questo è il fatto per Wittgenstein, però dice di questi eventi noi ci facciamo delle immagini, curioso ho notato leggendo questa cosa è che poco dopo scrive

 

2.141 L’immagine è un fatto.

 

Dunque dice che noi ci facciamo immagine dei fatti, ma l’immagine è un fatto quindi ci facciamo fatti dei fatti, forse non se ne era accorto. Però qui incontra un problema, un problema antico e cioè la necessità che si ponga un tertium comparationis fra il soggetto e ciò di cui l’immagine è immagine, cioè il soggetto che si fa l’immagine e la cosa di cui l’immagine è tale, e qui introduce un elemento che poi sarà sviluppato nelle Ricerche Filosofiche:

 

2.16 Il fatto, per essere immagine, deve avere qualcosa in comune con il raffigurato.

2.161 In immagine e raffigurato qualcosa deve essere identico, affinché quella possa essere un’immagine di questo.

 

Dunque per essere immagine deve avere qualcosa in comune con il raffigurato, qualcosa deve essere identico affinché quella possa essere un immagine di qualcosa, cioè fra questo oggetto e l’immagine che ho ci deve essere qualcosa che è identico perché io possa per esempio riconoscere questo aggeggio, se non ci fosse nulla non ci sarebbero immagini di questa cosa, se non ci fosse un mezzo, un tertium fra i due, questo è quello che pensava la filosofia antica. La soluzione che trova è questa:

 

3.344: definizioni sono regole della traduzione di un linguaggio in un altro, ogni linguaggio segnico corretto deve potersi tradurre in ogni altro secondo tali regole. Questo è ciò che essi tutti hanno in comune.

 

Che cos’è che hanno in comune? Una possibilità logica, in realtà si tratta di questo, l’immagine per Wittgenstein è logica perché è una proposizione, un fatto linguistico, e come tale è una proposizione e quindi è logica, quindi regole di traduzione di un linguaggio in un altro, e qui introduce un elemento che riprenderà poi nelle Ricerche Filosofiche in modo più preciso e circostanziato, quelle regole sono quelle che fanno funzionare il linguaggio, quelle attraverso cui si impara il linguaggio. Queste regole di traduzione sono regole che consentono di trasferire un discorso da una cosa a un'altra, il fatto che io veda è un discorso, quell’oggetto che vedo è un discorso, sono due discorsi, per essere questi due discorsi connessi fra loro occorrono delle regole che consentano di stabilire che questi due discorsi sono connessi fra di loro. Dicendo queste cose Wittgenstein incomincia ad accorgersi che tutto si svolge all’interno del linguaggio in assenza di soggetto, non c’è un soggetto che pensa, tant’è che scrive

 

5.631 Il soggetto che pensa, immagina, non vè.

 

 Il soggetto che pensa o immagina non c’è, non c’è un soggetto che pensa, è il linguaggio che attraverso regole di traduzione passa da un elemento a un altro. Com’è che invece risolveva il problema la filosofia prima di lui, adesso qui cito soltanto Kant nella Critica della ragion pura:

 

Ora è chiaro, che deve sussistere un terzo elemento, il quale occorre che sia omogeneo, da un lato rispetto alla categoria, e daltro lato rispetto allapparenza, in modo da rendere possibile l’applicazione della categoria allapparenza. Questa rappresentazione mediatrice deve essere pura (priva di tutto ciò che è empirico), e tuttavia dev’essere da un lato intellettuale, daltro lato sensibile. Tale rappresentazione è lo schema trascendentale.

I. Kant, Critica della ragione pura, Bompiani, Milano, 1976, pag. 218.

 

Deve sussistere un terzo elemento fra il soggetto e il percepito, il quale occorre che sia omogeneo da un lato rispetto alla categoria con cui si situa l’oggetto, e dall’altro rispetto all’apparenza cioè l’immagine in modo di rendere possibile l’applicazione della categoria all’apparenza e dell’oggetto all’immagine. Questa rappresentazione mediatrice deve essere pura, priva di tutto ciò che è empirico, ché non deve essere frutto dell’esperienza, e tuttavia deve essere da un lato intellettuale e dall’altro sensibile, tale rappresentazione è lo schema trascendentale. Con questa escamotage Kant risolve il problema ma in realtà non lo risolve rimane un dualismo irrisolvibile. Aggiunge ancora Wittgenstein sempre nel Tractatus che la proposizione non può rappresentare la forma, cioè non c’è un tertium comparationis

 

4.121 La proposizione non può rappresentare la forma; questa si specchia in quella. […] La proposizione mostra la forma logica della realtà. Lesibisce.

 

Infatti per Wittgenstein non si può parlare del linguaggio, il linguaggio è colui che parla, il linguaggio può parlare di sé ma non si può parlare del linguaggio, che per un certo aspetto è anche corretto, cioè non c’è un qualche cosa che dal di fuori del linguaggio possa parlare del linguaggio e qui c’è una notazione di Bouveresse, un filosofo francese:

 

La critica del punto di vista angelico è innanzitutto la critica dellidea che si possa avere simultaneamente un piede fuori e un piede dentro il linguaggio, che si possa parlare - per deplorarlo o semplicemente per constatarlo - di possibilità di descrizione di cui il linguaggio sarebbe per natura privo.

J. Bouveresse, Wittgenstein, Scienza, Etica, Estetica, Laterza, Roma 1982, op. cit., pag. 48.

 

In Wittgenstein, già nel Tractatus, ci sono elementi che poi nelle Ricerche Filosofiche diventeranno espliciti riguardo al fatto che non c’è uscita dal linguaggio, la possibilità che qualcosa esiste fuori dal linguaggio  è il mistico, infatti scrive:

 

6.44: Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è.

 

Per il mistico il mondo è, è e basta, in assenza di linguaggio e continua, sempre nel Tractatus:

 

4.002: Luomo possiede la capacità di costruire linguaggi, con i quali ogni senso può esprimersi, senza sospettare come e che cosa ogni parola significhi.- Così come si parla senza sapere come i singoli suoni siano emessi.

 

E qui è molto interessante “parlare senza sospettare come e che cosa ogni parola significhi”, eppure si parla ma non si sa che cosa si sta facendo, e questa è la tragedia. Ora qui naturalmente l’avvio alla teoria dei giochi è aperta, si tratta di giochi linguistici, vale a dire di regole di formazione di proposizioni. Tutta la ricerca logica è un modo per mostrare come funzionano queste regole e come siano queste regole a fare funzionare il linguaggio, quindi parlare di giochi della fantasia attenendoci a Wittgenstein significa innanzi tutto mostrare che la fantasia non è un discorso interiore e non è fuori dal linguaggio, non c’è un soggetto che pensa la fantasia, non c’è un soggetto della fantasia. Già nel Tractatus come abbiamo visto prima, tutto ciò che è può dirsi, se non può dirsi allora è fuori dal linguaggio e quindi non c’è. Si poneva qui, una questione, un problema che già Parmenide si era posto intorno al vero e al falso, di ciò che è e ciò che non è. Nel problema in Parmenide si poneva una questione poi svolta da Platone nel Sofista, e cioè che il vero è ciò che è, ma lui si chiedeva: tutto ciò che è, è necessariamente o può darsi anche qualcosa che non sia? Perché se l’essere è allora il non essere non è, ma se il discorso sul vero dice ciò che è allora il discorso sul falso dice ciò che non è, ma se ciò che non è non esiste allora non è possibile costruire un discorso falso. La questione ripresa da Platone nel Sofista doveva dimostrare che i Sofisti possono costruire discorsi falsi per ingannare le folle, ma come può esistere un discorso falso se parla di ciò che non è? Ciò che non è non c’è. Platone la risolve a modo suo dicendo che è vero ma in modo diverso. Tenendo conto dei giochi linguistici la questione viene risolta molto facilmente perché non si tratta di ciò che è e di ciò che non è, si tratta di ciò che è nel linguaggio o fuori dal linguaggio, oltre al fatto che all’interno del linguaggio si tratta di giochi linguistici quindi è possibile affermare che qualcosa è vero e affermare che qualcosa è falso, cioè è possibile affermare il vero e il falso all’interno di giochi linguistici, e qui non c’entra più nulla l’è, come l’essere assoluto, cosa che per altro a Wittgenstein non interessava, a lui non interessava stabilire la verità assoluta ma la possibilità di poterne parlare. Per tornare alla questione della fantasia, dicevamo che non esiste se non nel linguaggio, come Wittgenstein mostra in modo inequivocabile già nel Tractatus, e in modo ancora più dettagliato, specifico, circostanziato e argomentato nelle Ricerche Filosofiche. Cosa comporta il fatto che la fantasia non sia un discorso come direbbero gli antichi in interiore homine? Nel luogo comune la fantasia sorge senza la responsabilità della persona proprio così come i sogni, uno sogna una certa cosa e poi si rasserena dicendo di non esserne responsabile. Ma non è propriamente così, nella fantasia c’è una responsabilità ovviamente perché la fantasia è fatta di linguaggio. Si tratta in una conferenza con questo titolo “Giochi della fantasia” di mostrare che invece la fantasia essendo fatta di linguaggio appartiene alla persona o al discorso che produce questa fantasia, con tutto ciò che questo comporta e cioè il fatto che una fantasia può essere intesa, può essere elaborata, può essere svolta, può chiedersi da dove viene e perché c’è e che cosa soprattutto sta a dire questa fantasia. Accostare la fantasia al gioco è un altro modo per sottolineare che la fantasia è un gioco linguistico, non solo appartiene al linguaggio ma è un gioco linguistico con le sue regole, quindi non sorge dal nulla ma in base a dei processi, dei procedimenti. Naturalmente essendo le fantasie una delle attività principali degli umani interessa la psicanalisi, anche perché una persona che chiacchiera parla generalmente delle sue fantasie. La questione per un analista che ascolta è che anche quando parla di cose che la persona non ritiene essere fantasie, di fatto sta parlando di fantasie e cioè di qualche cosa che ritiene essere fuori dal linguaggio, ma se come lo stesso Wittgenstein più volte afferma che la fantasia appartiene necessariamente al linguaggio, è un fatto linguistico né più né meno, checché gli umani ne dicano, ne hanno la responsabilità e questo è un enorme passo da compiere lungo un percorso analitico, e cioè accogliere la responsabilità dei propri pensieri quindi delle proprie fantasie: accorgersi che non c’è nulla che non sia un gioco linguistico, che qualunque cosa accada nei pensieri è un gioco linguistico. Un corollario: affermare che qualcosa è fuori dal linguaggio è una posizione mistica, religiosa, e che soltanto la religiosità di una persona può indurla a pensare che qualcosa è fuori dal linguaggio. Dunque già solo muovendo dal Tractatus abbiamo inteso che i giochi della fantasia sono giochi linguistici e che della fantasia ciascuno è responsabile, se ciascuno è responsabile della propria fantasia è lui che la produce, se la produce c’è un motivo, si tratta di intendere quale, non solo ma se è responsabile dei propri pensieri, dei pensieri belli, piacevoli, gradevoli e ameni ma anche di quelli brutti pensieri tragedie, timori, affanni, malanni, acciacchi di ogni forma, ansie, depressioni, paura di abbandono eccetera, tutte queste cose sono situabili come fantasie e delle quali fantasie la persona è totalmente responsabile e questo è fondamentale, direi il passo prioritario in un’analisi, giungere ad accogliere la responsabilità dei propri pensieri quindi delle proprie fantasie, e per accoglierne la responsabilità è necessario intendere che fanno parte del discorso in cui la persona si trova, appartengono a questo discorso. Si potrebbe anche giungere a considerare che l’analisi è l’analisi della struttura religiosa, insistendo sulla questione del mistico, riprendendo Wittgenstein, che è uno dei filosofi più conosciuti.

Direi che abbiamo tratteggiato un possibile intervento sui giochi della fantasia muovendo dal Tractatus, da quello che è comunemente noto come il primo Wittgenstein, il primo Wittgenstein è quello del Tractatus tutto il resto della sua immensa produzione appartiene al secondo Wittgenstein che muove dalle Ricerche Filosofiche, cioè dal testo in cui inizia a parlare di giochi linguistici, termine che è assente nel Tractatus, nel Tractatus cercava di mostrare che il mondo, cioè la totalità dei fatti è rappresentabile dal linguaggio e tutto ciò che è fuori dal linguaggio non è mondo, non è niente, intuendo in qualche modo che tutto ciò che è fuori dal linguaggio è niente, non c’è e quindi neanche la fantasia se non fosse nel linguaggio non ci sarebbe e questo è importante da sottolineare in una conferenza. Il luogo comune suppone che anche in assenza di linguaggio comunque ci sarebbero delle fantasie, immagini, mentre l’immagine non c’è fuori dal linguaggio, questo molti lo equivocano pensando che l’immagine sia qualcosa che non ha a che fare con il linguaggio mentre per Wittgenstein la questione è assolutamente inequivocabile, l’immagine è un fatto linguistico, un fatto linguistico che è possibile attraverso regole di traduzione, lui dice che la rappresentazione non rappresenta la forma ma è la forma che si specchia nella proposizione e la proposizione mostra la forma logica della realtà, la esibisce, la mostra ma non può dirla perché la sta dicendo nell’atto stesso in cui la esibisce, è come l’occhio che vede, non si può vedere l’occhio che vede. Wittgenstein cerca di trovare una soluzione che non trova nel Tractatus ma troverà nelle Ricerche Filosofiche. Noi abbiamo posta la questione in termini radicali, cioè applicando ciò che Wittgenstein ha tratto dalla sua teoria nelle Ricerche Filosofiche alla teoria stessa delle Ricerche Filosofiche, questo è ciò che ha consentito di costruire ciò che abbiamo costruito. Ecco la questione dello psicanalista: ascoltare la teoria, cioè intendere che cosa la supporta, da che cosa muove, che cosa la sorregge, su quali fantasie è costruita.

Questo è un brevissimo accenno, la questione sarà poi esposta in ben altro modo da Eleonora, tu cosa aggiungeresti? L’aspetto più clinico forse, mostrare che le persone muovono dalle loro fantasie scambiando le fantasie per qualcosa che è fuori dal linguaggio, cioè immaginando che siano la realtà costruiscono su questo una serie di elementi, di considerazioni, di implicazioni che ritengono assolutamente vere e conformi alla realtà e si muovono di conseguenza con tutti gli annessi e connessi e fanno danni, l’entità dei danni dipende dal potere della persona …

Intervento: la fantasia è la realtà …

Sì, siamo giunti a questo certo, la realtà è una fantasia al pari di qualunque altra, abbiamo indicato con fantasia tutto ciò che per Wittgenstein è il mistico, o più propriamente ciò che è pensato avere un supporto fuori dal linguaggio a propria garanzia …

Intervento: lui come la vede la realtà?

Come la totalità dei fatti. Nel Tractatus c’è ancora un po’ l’equivoco della realtà che esiste comunque e che il linguaggio dovrebbe rappresentare, però sfuma sempre più e poi scomparirà nelle Ricerche Filosofiche, ma nel Tractatus c’è ancora il tentativo di definire, di rappresentare la realtà cioè porre il linguaggio come l’unico modo di rappresentare la totalità dei fatti, degli eventi, ciò che accade, per lui il mondo è ciò che accade e già questo comunque lo pone in una posizione differente da quella tradizionale che vede il mondo come uno stato di cose …

Intervento: e quindi il mondo diventa ciò che si può dire …

Sì, e tutto ciò che può dirsi rappresenta il mondo, la totalità dei fatti. Ho posta la questione più su Wittgenstein che sull’aspetto clinico che è solo accennata riguardo all’importanza di intendere che la fantasia è fatta di linguaggio, che attiene al mio discorso, che sono io che l’ho costruita e quindi se l’ho costruita avrò avuto dei buoni motivi, e in un’analisi può accadere di interrogare quali. Occorrerebbe integrare, dopo averla snellita, la prima parte sul Tractatus, con le Ricerche Filosofiche e poi passare alla questione clinica. Porre quasi come esergo ciò che diceva Wittgenstein, che la filosofia deve occuparsi e prendersi cura del linguaggio, la psicanalisi si prende cura del discorso più propriamente, se ne prende cura nel senso che lo interroga, lo esplora, lo articola, considera di che cosa è fatto e perché dice quello che dice, in fondo un discorso intorno ai giochi della fantasia non è altro che chiedersi perché gli umani pensano quello che pensano, che è il compito principale di una psicanalisi …

Intervento: per poter parlare del gioco linguistico della realtà che è quello che si contrappone nei discorsi comuni a quello della fantasia bisogna effettivamente approcciare la questione dei valori non c’è modo, i grandi valori che sono consigliati e veicolati appunto dai discorsi, grandi valori sacri come il valore della madre e quindi degli affetti oppure dei che ne so? Dei grandi valori che per adesso non possono essere messi in discussione dal pubblico … per un pubblico parlare di fantasie, per esempio la fantasia di abbandono per il pubblico è una fantasia, per parlare della fantasia della realtà occorre continuare a giocare …

Ci sono tanti modi per approcciare la questione, questa sera ho tenuto conto unicamente del primo Wittgenstein, muovendo di lì ci sono già degli elementi per potere fare alcune affermazioni di qualche interesse, poi è chiaro che si può approcciare da tantissime altre parti …

Intervento: io consideravo la questione della sofferenza e quindi del valore e dell’importanza del subire …

La sofferenza nel luogo comune è considerata fuori dal linguaggio, condurre la sofferenza alla fantasia e la fantasia al linguaggio è ciò che occorre fare in una conferenza del genere …

Intervento: più realtà della sofferenza nel luogo comune … esiste la sofferenza …

Intervento: bisogna riportare comunque alla responsabilità …

La responsabilità non è altro che accogliere la priorità del linguaggio …

Intervento: la questione delle regole … le regole di un gioco linguistico che attengono al funzionamento del linguaggio e le regole di qualcosa che si deve conformare alla realtà … queste regole sembrano provenire dal nulla …

Questa prima sequenza che interviene, interviene come se fosse qualche cosa che piomba dal nulla, magicamente, non si pone neanche la questione del credere qualcosa ma si impone, ponendosi si impone e senza potere essere considerata un’istruzione ovviamente, con tutte le implicazioni di una cosa del genere, potere considerare questo come un’istruzione ovviamente sovverte tutto …

Intervento: …

La responsabilità è del discorso certo, il discorso risponde di qualunque cosa, le istruzioni di cui è fatto il linguaggio sono qualcosa di cui la persona in quanto tale non è responsabile, non è responsabile del fatto di parlare, nel senso che non è stato lui a chiedere di imparare il linguaggio, di imparare a usarlo, ma tutto ciò che il linguaggio costruisce, cioè il suo discorso, di questo è assolutamente responsabile.