8-7-1999
La
scrittura di un testo sui giochi linguistici
Costruire
la premessa che non sia negabile
La
premessa non negabile è fatta di regole che escludono che il gioco non possa
non essere un gioco linguistico
Premessa: le regole che costruiscono il gioco non possono non essere che regole linguistiche, regole che non sono altro che istruzioni, dicono in quale direzione andare e in quale no, una regola non è altro che una istruzione di esclusione cioè dice che cosa è escluso, che cosa quindi non è utilizzabile per quel gioco.
Mostrare
che il linguaggio può costruire tutti i giochi solo un gioco che lo escluda non
può costruire o meglio può affermare che è costruibile ma questa affermazione è
negabile, cioè è formulabile, infatti lo stiamo dicendo ma non è praticabile
perché questo gioco non è giocabile, è autocontraddittorio.
Un
gioco è una combinazione di elementi messa in piedi da regole di esclusione
Ciò
che impedisce di poter accorgersi che è un gioco è non avere gli strumenti per
potere reperire le regole
Considerare
soprattutto questo gioco linguistico, questo gioco teorico e che le conclusioni
a cui giunge non occorre crederle ma attenercisi per poter continuare a giocare
questo gioco
Il
gioco è fine a sé stesso, questa è la sua finalità
Il
fatto che sia fine a sé stesso comporta l’obiettivo, l’obiettivo è la sua
soddisfazione, la soddisfazione è ciò che soddisfa il linguaggio, ciò che
soddisfa il linguaggio è la sua prosecuzione per cui la sua insoddisfazione è
strutturalmente impedita
L’insoddisfazione
interviene laddove sia cercata la soddisfazione in qualcosa fuori dal
linguaggio, perché l’oggetto non risponde alle aspettative del linguaggio che è
quella di riprodurre sé stesso
Siamo
al punto in cui occorre scrivere un testo intorno ai giochi linguistici, dal
momento che la Seconda Sofistica si occupa propriamente degli atti linguistici,
dell’atto linguistico in sé. Dei giochi linguistici avevo cominciato a scrivere
in quello scritto che avevo chiamato procedure, che è tutto da rivedere, da
riconsiderare, uno scritto sui giochi linguistici, tenendo conto che ciò che
c’è in circolazione è abbastanza ridicolo. Come si comincia a scrivere un testo
così fatto? Da dove si comincia? Da una definizione intanto. Abbiamo detto
tante volte che quando si legge un testo questo testo muove da una
considerazione e poi da lì procede. Però questa considerazione il più delle
volte risulta assolutamente risibile e non sostenibile, quindi si tratta di
muovere da una considerazione che risulti invece non negabile, più che una
definizione direi una considerazione. Se io affermo che un gioco linguistico
non è altro che la messa in atto delle regole di cui è fatto, dico qualcosa di
arbitrario o di necessario? È una questione che merita di essere discussa nella
Seconda Sofistica muovo da una considerazione necessaria, e cioè che qualunque
cosa faccia questo è un atto linguistico, faccia o non faccia. Questa
definizione di gioco linguistico è altrettanto necessaria? Oppure no? Questa è
una questione molto importante, dal momento che è da questa che poi muoveremo
per l’elaborazione di un testo sul gioco. Naturalmente dicendo che è la messa
in atto di regole di cui è fatto, dobbiamo fornire una nozione rispetto a ciò
che intendiamo con regola. Come ci si muove in questi casi, intanto direi,
porre l’accento sul fatto che il gioco è necessariamente linguistico, come
abbiamo fatto l’altra volta o la precedente, mostrando che un gioco è
necessariamente un gioco linguistico e quindi perché sia un gioco occorre che
ci siano delle regole, necessariamente, queste regole al pari non possono che
essere regole linguistiche, regole quindi che non sono altro che delle
istruzioni, dicono in quale direzione andare e in quale no, una regola non è
altro che una istruzione di esclusione cioè dice che cosa è escluso, che cosa
quindi non è utilizzabile per quel gioco. A questo punto abbiamo costruito una
“premessa” tra virgolette, sufficientemente robusta e difficilmente negabile,
da cui cominciare a muovere per l’elaborazione intorno al gioco linguistico.
Dovremo inizialmente e sicuramente muovere da questioni teoriche cioè mostrare
quali giochi il linguaggio può costruire e quali no, mostrando come il
linguaggio possa costruire qualunque gioco, tranne un gioco che lo escluda,
cioè che escluda il linguaggio, qualunque gioco può farsi tranne quello. Questo
direi che è la regola fondamentale del gioco linguistico che appunto può fare
qualunque costruzione ma un gioco che prevede l’esclusione del linguaggio non è
giocabile, come dire che può formularsi certo, lo stiamo dicendo, ma non è
praticabile non è giocabile, è autocontraddittorio. Quando noi dicevamo del
paradosso, il paradosso è una proposizione che non è giocabile all’interno di
quel gioco, viene esclusa, non è praticabile e quindi non può farsi quel gioco
semplicemente, può enunciarsi ma non farsi perché una volta enunciato si
arresta, è autobloccante, quindi una discussione intorno alla struttura del
gioco linguistico, è chiaro che è un modo per approcciare molte cose affermate
nella Seconda Sofistica in modo più soft pure inserendo delle questioni
teoriche chiaramente, a questo punto fornito un impianto teorico solido, si può
passare a considerare la struttura dei vari giochi che il linguaggio può
costruire e come di fatto qualunque cosa il linguaggio costruisca e tutto ciò
che è costruito necessariamente dal linguaggio sia un gioco, sia un gioco, vale
a dire una combinazione di elementi messa in piedi da regole di esclusione. Qui
si affronta un aspetto più retorico, perché potremmo fare degli esempi, anche i
giochi che sono ritenuti più reali, più lontano dal gioco, di fatto sono dei
giochi che hanno delle regole, ciò che impedisce di accorgersi che sono dei
giochi è non avere gli strumenti per potere reperirne le regole. L’altra volta
dicevo della propria sussistenza, che ciascuno badi alla propria sussistenza è
un luogo comune è assolutamente condiviso, è uno dei luoghi comuni più
accreditato tuttavia la sussistenza di ciascuno non è necessaria, la vita
potremmo dire non è necessaria, è assolutamente arbitraria, il fatto di
considerarla necessaria è tale all’interno di un certo gioco che ha delle
regole, quali regole? Una di queste è quella che stabilisce che la vita è
sacra, ad esempio, in particolare la propria, è cioè il bene supremo, per potere
stabilire una cosa del genere occorre che all’interno di questo gioco ci siano
delle regole che stabiliscono una scala di valori. Una volta stabilite queste
regole si gioca questo gioco. Qualcuno potrebbe domandare chi ha inventato
questi giochi? Parrebbe nessuno. Quindi il fatto di chiamarli giochi sposta
soltanto la questione ma di fatto tutto rimane immutato? non esattamente, non
si tratta di stabilire chi è ha inventato questi giochi, ma di considerare che
non possono essere altro che giochi, è questa la questione centrale, se
abbandoniamo questo ci troviamo esposti a ogni obiezione, questo aspetto deve
essere più consolidato se mai fosse possibile, in ogni caso sempre ribadito,
non è possibile che sia altrimenti, cioè qualunque atto è necessariamente un
atto linguistico e insistere sul fatto che non è possibile provare il
contrario, in nessun modo. Incominciare a porre la questione come un gioco, può
essere di qualche utilità dicevamo l’altra volta, forse muovendo dal
considerare in prima istanza che anche questo è un gioco, quello che stiamo
facendo, questo gioco teorico, mostrando per esempio che ciò cui giunge, cioè
le conclusioni cui giunge non costituiscono qualcosa a cui occorra credere ma
semplicemente qualcosa cui occorre attenersi per poter continuare a fare questo
gioco, per poterlo praticare, forse facendo questo esempio e mostrando come è
costruito questo gioco e come quindi di fatto ciò cui giunge non è né credibile
né non credibile ma è semplicemente ciò che consente di proseguire il gioco, forse
è possibile avvicinare le persone a pensare che oltre a questo forse anche
altri giochi hanno la stessa struttura. Altra questione cui occorre tenere
conto nello scritto sui giochi è la sua finalità, il gioco è fine a sé stesso.
L’abbiamo detto in varie occasioni, né possiamo dire altrimenti, il fatto che
sia fine a se stesso però comporta che ci sia un obiettivo, e l’obiettivo è la
soddisfazione, la soddisfazione non è altro che ciò che soddisfa il linguaggio,
e ciò che soddisfa il linguaggio è il suo proseguimento. Per cui dicevamo che
ponendo la questione in questi termini la sua insoddisfazione è strutturalmente
impedita. Perché ci sia insoddisfazione è necessario che la soddisfazione sia
cercata in qualche cosa fuori dal linguaggio, solo a questa condizione è
possibile incontrare insoddisfazione, solo a questa condizione ci si accorge
che l'oggetto non risponde alle aspettative, cioè a quelle del linguaggio cioè
a quelle di produrre sé stesso, se l’oggetto è immaginato fuori dal linguaggio
non può continuare a produrre se stesso, perché è prodotto così “sub specie et
æternitate”, perché esiste in natura, non può produrre nient’altro che se
stesso, quindi ecco che la condizione del linguaggio non è soddisfatta, da qui
l’insoddisfazione inesorabile in questi frangenti. Come si diceva le ricerche
ininterrotte che diano soddisfazione risulta vana perché ciascun oggetto è
chiamato a rispondere cioè dare soddisfazione, ma cessa di darla al momento in
cui si chiede effettivamente di produrre della soddisfazione e cioè di produrre
altro linguaggio, se considerato identico a sé e fuori dal linguaggio non lo
può fare, perché solo il linguaggio può produrre altro linguaggio, e quindi una
persona che persegue questo obiettivo è inesorabilmente insoddisfatta, forse
una considerazione del genere potrebbe aprire a delle riflessioni intorno alla
depressione, all’isteria. Il problema che così come è strutturato il discorso
del luogo comune, chiamiamolo così, per distinguerlo da quello che stiamo
facendo, che invece è molto incomune non nel senso che è diffuso ma non comune,
il discorso comune è vincolato alla necessità di pensare che il linguaggio sia
soltanto uno strumento e quindi la realtà sia fuori dal linguaggio, una volta
stabilito questo principio la insoddisfazione è inesorabile assolutamente
inesorabile cioè, è solo questione di tempo ma prima o poi accade…questa può
essere adesso detta così in termini molto ampi molto sommari, ma può avere
qualche effetto sul pubblico, mostrare che la condizione dell’insoddisfazione è
la struttura del pensiero comune quello che immagina che qualcosa sia fuori dal
linguaggio. Pensare questo si è condannati all’insoddisfazione, quindi fare
degli esempi di giochi linguistici cominciando da quelli che sono ritenuti dei
giochi, come quello che stiamo facendo, mostrando che è un gioco e mostrando
che mano a mano che altri giochi che invece non sono ritenuti tali hanno la
stessa struttura, pertanto sono giochi linguistici con tutto ciò che comporta e
dovremo specificare che cosa comporta. In prima istanza comporta
l’impossibilità di credere che un elemento sia fuori dal linguaggio, ad
esempio, e che in definitiva qualunque cosa io faccia oppure non faccia è
strutturato esattamente come un gioco poiché è un gioco ed essendo un gioco ha
delle regole, ha un obiettivo e nient’altro. Ecco questo è la traccia di uno
scritto intorno ai giochi linguistici che noi scriveremo qui, come la Seconda
Sofistica, forse più accessibile, per taluni la Seconda Sofistica diventa un
po’ ardua, per taluni… (…) passo dopo passo dobbiamo condurre l’uditore a
dovere constatare che qualunque cosa si trovi a fare ha la stessa struttura e
che quindi è un gioco linguistico, elementi da aggiungere? Ho appena costruita
la trama adesso bisogna costruire l’ordito. Rileggere alcune cose intorno ai
giochi linguistici, prendere un testo e discutere per vedere se abbiamo
lasciato qualcosa in disparte che invece era importante….sempre più vado
considerando che la questione è importante (il difficile è non credere di avere
scoperto l’unica verità e quindi la struttura religiosa permane perché è
un’attesa della soddisfazione di un elemento che non è dato nella parola) sì
parlando di giochi è chiaro che si parla anche di utilizzo, in un gioco sono
utilizzabili quegli elementi stabiliti dalle regole, per esempio molte persone
non capiscono nulla di ciò che andiamo dicendo, perché le proposizioni che
andiamo dicendo non sono utilizzabili, non sono utilizzabili perché non hanno
nessun rinvio o più propriamente rinviano a qualcosa che è bloccato, se la
realtà è una certa cosa allora questo esclude, esclude le proposizioni che noi
andiamo dicendo, e quindi l’accesso è negato, ecco perché una teoria dei giochi
può forse sbloccare una cosa del genere, inserendo delle nozioni precise sul gioco
(per non rimanere sommersi dalla ricchezza della parola) sì potremmo
organizzare in questi incontri… leggere testi e parlarne…..leggere questi testi
e traendo tutto ciò che può essere tratto intorno al gioco linguistico, fare
una ricerca specifica leggendoli quindi in quel modo, non è semplicissimo
nemmeno l’approccio dalla via del gioco, c’è un forte impatto rispetto ad un
gioco all’idea che le cose siano un gioco linguistico, per esempio l’idea per
una donna che l’amore materno sia un gioco linguistico, costituisce un impatto
non indifferente al quale si ribella fortemente (…) sì per questo occorre
fornire degli strumenti se no, non hanno accesso (…) vada a dire a una madre
che la sua maternità è una costruzione linguistica (…) di fronte sì di fronte all’argomentazione
intorno al linguaggio, agli atti linguistici, nessuno ha nulla da obiettare
però quando si tratta di mettere in atto una cosa del genere c’è il blocco
totale (è la questione della realtà, stavo pensando intorno al racconto che fa
che si fa per esempio in una analisi) può farsi anche questo muovere da un
autore classico e poi utilizzando i suoi termini piegarli ad avviare il
discorso che stiamo facendo, sì retoricamente è un’operazione che ha un qualche
vantaggio utilizzerebbe l’auctoritas, noi surrettiziamente introduciamo facendo
passare per affermazioni (delle varie auctoritates) affermazioni che invece
appartengono al nostro discorso, però apparentemente sono affermazioni dette da
un’autorità (è un passaggio non obbligato ma agevola) (la ricerca di un senso
si pone in maniera differente quando questo senso lo si pone come già esistente
laddove si incomincia ad interrogarsi sull’obiettivo, il senso che cos’è? Ciò
che si sposta verso l’obiettivo) (…) gli obiettivi della psicanalisi dovrebbe essere
il titolo generale di una serie di incontri, scrivendo storie, volgendo storie
tipo quelle che raccontava Freud, raccontandole come faceva Greimas, Bremond,
Todorov, cioè come la struttura di un racconto con il protagonista, gli
attanti, l’antagonista ecc… (…) sì non perché ci interessino particolarmente
queste storie ma (i casi clinici di Freud) ma perché sono ormai di dominio
pubblico e quindi possono essere utilizzati come esca, metterla come una favola
ma descritta in modo preciso quale ne è la struttura, un esca per poi poter
affrontare altri discorsi, inventare una storia di anoressia, o di depressione,
(giungere al paradosso di vincere il padre a condizione di essere incapace) non
si danno interpretazioni psicanalitiche ma una costruzione retorica di
racconto. Bene, ci vediamo giovedì prossimo.