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8-6-2016

 

Quali sono le implicazioni che seguono alla considerazione della logica come un fatto metafisico? Cosa cambia pensare la logica come una metafisica oppure no? Si potrebbe pensare che non cambi nulla. Se per esempio uno pensasse all’aritmetica come un fatto metafisico, 2 + 2 farà sempre 4, sia che la consideri una metafisica sia che la consideri una qualunque altra cosa, ed è vero, in un certo senso, perché è vero? Perché non ha bisogno di chiedersi se è vero oppure no, perché la matematica è una tecnica, così come la logica o la psicologia, infatti qui Heidegger pone la psicologia (anche la psicanalisi?) come psicotecnica. Cioè una tecnica applicata a quella cosa che si chiamiamo ψυχή. Il fatto di pensare tutte queste cose come una tecnica, quindi la logica, la matematica, la psicologia e buona parte della psicanalisi questo ha degli effetti. L’effetto prioritario è che ciascuna di queste discipline, qualsiasi cosa se ne pensi, ha un unico obiettivo: il proprio inalienabile superpotenziamento e, occorrerebbe aggiungere, non ha altri obiettivi che questo, e questo, sì, cambia le cose. Il superpotenziamento e cioè la produzione di proposizioni, di asserti, di considerazioni. Che cosa vuole dire che super potenziano? Che continuano incessantemente a confermare ciò che si sa già, a confermare che le cose sono proprio così come si è stabilito che siano, e mantenere e proteggere questa convinzione da tutti i nemici esterni e interni, come si diceva nel famoso film di Eisenstein La congiura dei boiardi. Questo è l’obiettivo del superpotenziamento, della volontà di potenza, mantenersi e proseguirsi all’infinito, che è ciò che fa la tecnica, per questo ha e ha sempre avuto un grande successo. Pag. 186: Il termine Λόγος interpretato in senso logico metafisico, cioè l’attuale contemporaneo, significa enunciato, asserzione, giudizio o anche concetto se si intende il concetto come succo di un concepire, vale a dire, di un giudicare. (la logica intesa modernamente è questo, è un giudizio, un giudizio sulla verità o falsità di un asserto, stabilendo quali sono le condizioni per poterlo giudicare correttamente) Al posto di asserzioni o di giudizi intese come forme fondamentali del pensiero considerato logicamente, si dice anche semplicemente pensiero, con Λόγος si intendono allora i pensieri intesi non tanto come attività pensante dell’anima, ma come ciò che in questa attività viene pensato (cioè pensiero inteso come un’attività il pensare ma come contenuti del pensiero). Il pensiero risultato dal pensare (cioè non il pensiero in quanto tale ma ciò che il pensiero produce sui fatti del pensiero, gli oggetti del pensiero) il Λόγος assunto come asserzione, come giudicare e come concepire equivale così a concetto e a quel che è concepito, vale a dire equivale al senso (Sinn), ora che abbiamo acquisito questa concezione di metafisica del Λόγος possiamo avvicinarci con facilità al detto di Eraclito e trarne una spiegazione che risulti illuminante soprattutto per l’uomo moderno, se Λόγος equivale a concetto, Eraclito nel suo detto vuol dire il concetto dell’anima è così profondo che tutte le ricerche nel campo della psiche, ossia la psicologia, non riescono ad esplorarla adeguatamente (ricordate qual era il detto di Eraclito? Frammento 45: Per quanto tu percorra fino in fondo ogni via, non potresti mai trovare sulla tua via i confini stremi dell’anima, tanto vasta è la sua raccolta, raccolta quindi λγον) esse non arrivano mai a cogliere i confini dell’anima, non arrivano mai a ciò che la delimita e la definisce e perciò devono naufragare, il detto di Eraclito vien così chiamato in causa come la più antica testimonianza delle difficoltà della psicologia e di ogni auto osservazione come “psicologica”. C’è un’opera di psicologia generale che sul frontespizio reca come motto questo detto di Eraclito, inteso nel senso ora delineato, l’autore di questa psicologia, ai suoi tempi era considerato anche un eccellente conoscitore della filosofia greca (Natorp), ma in questo detto Eraclito non vuol dir nulla dei limiti e delle difficoltà della ricerca psicologica, una cosa simile è impossibile già solo perché qualcosa come la psicologia era totalmente estranea non soltanto ai primi pensatori greci ma al mondo greco in generale, questa non è una svalutazione della psicologia ma solo l’indicazione implicita che il fatto che la psicologia in quanto essenzialmente è scaturita dal pensiero cristiano, ha la stessa origine metafisica della storiografia e della tecnica moderna, solo oggi infatti essa si avvia a sviluppare la sua destinazione storica e comincia a diventare quel che in fondo è, vale a dire psicotecnica. Ma se nel detto di Eraclito che abbiamo citato, la prima parola a risuonare è ψυχή e se noi traducendo questa parola con “anima” pensiamo alla grecità, vale a dire se non interpretiamo metafisicamente la parola Λόγος che compare nel detto come senso e concetto, allora rimaniamo lontani da ogni “psicologia” e ci disponiamo a pensare questo (la frase) detto in accordo con il frammento 50 precedentemente chiarito /…/ έν πάντα εναι cioè tutto è uno, con questo έν πάντα εναι si mostra il Λόγος si mostra appunto in quanto Λόγος infatti l’έν πάντα εναι implica che l’uno che unifica tutto costituisca l’essere del tutto, l’essere della totalità dell’ente, il Λόγος stesso è l’uno che unifica tutto ed è questo che qui diventa percepibile perché, secondo il detto di Eraclito, agli uomini occorre veramente sapere, è proprio questo che qui, al di sopra di tutto il resto, in tutto il resto, e al di là di tutto il resto, deve essere pensato (dice che il Λόγος è έν πάντα εναι, è uno il Λόγος, il Λόγος che raccoglie, nel momento in cui il Λόγος ha raccolto ciò che ha raccolto cioè l’ente, il significante, ha raccolto qualcosa che appare come significante, questo significante è uno, tutto, nel senso che è significante in quanto significato cioè in quanto è segno, è il segno che è un tutto, cioè contiene in sé tutto ciò che ha da contenere: l’ente, e ciò che fornisce all’ente la sua enticità cioè l’essere, ciò che si dà al significante il suo essere significante appunto, e cioè il significato, però ci dice qualche cosa in più in questo “uno tutto” e vale a dire che in questo uno, che possiamo intendere come il segno, dicendo che è tutto ci sta dicendo che è ciò di cui occorre prendersi cura, ciò che occorre considerare per quello che è, ciò che occorre ascoltare per quello che è, infatti dice subito dopo): La prima delle vie da noi intraprese ci porta a riconoscere che il Λόγος è l’uno che si enuncia da sé e che tutto unifica (si enuncia da sé, in quanto è ciò che si mostra ma al tempo stesso tutto unifica, qui “tutto” è da intendere però e si può intendere utilizzando De Saussure, in che senso il significante unifica il tutto, tutto unificato? Tenendo conto di ciò che dice De Saussure riguardo al significante che è quello che è in relazione differenziale a tutti gli altri significanti, cioè in quel significante che dico ci sono tutti i significanti, per potere dire quel significante occorre siano presenti tutti i significanti. Heidegger dice che qualcosa si enuncia da sé e tutto unifica il Λόγος, “si enuncia da sé” nel senso che quando si dice qualche cosa, questo qualche cosa si dice da sé, nel senso che si impone come qualcosa che è presente qui e adesso, però dice “tutto unifica”, quale tutto? Ecco che qui ci serve De Saussure per intendere meglio la questione, il quale dice che il significante è un significante in una relazione differenziale con tutti gli altri significanti, quindi dicendo quel significante ci sono tutti gli altri significanti presenti in un certo senso, in quanto questo significante è definito dall’essere differente da tutti gli altri, quindi è necessaria questa differenza per poterlo definire, quindi perché il significante sia quello che è. Il significante si dice da sé in quanto si mostra per quello che è, ma mostrandosi mostra anche un tutto, un tutto di tutti gli altri significanti per cui quel significante differisce, quando si dice, è questo che a noi interessa, quando l’essere appare) Ma questo significato di Λόγος nel senso dell’uno unificante, è radicalmente diverso dal significato del Λόγος pensato dalla logica che intende come asserzione, come dire, come discorso, come parola, come giudizio e come ragione (ricordatevi Λόγος con Λ maiuscolo, che distingue appunto come λόγος con λ minuscolo che è l’asserzione, il dire, la parola eccetera. Λόγος è ciò che unifica in sé ciò che l’essere mostra, l’essere mostra qualche cosa, ma lo mostra riunito in un qualche cosa, e questo qualche cosa è il significante che si dice o l’ente che appare, questo vivificare ciò che l’essere mostra, consente di mostrare, questo è il Λόγος) Ma proprio questo fatto, cioè il fatto che secondo il detto di Eraclito il Λόγος dischiude se stesso ed è l’unico unificante, si accorda con l’essenza del λγειν annunciata sempre dal Λόγος stesso che corrisponde quindi originariamente, ed esattamente a quel che il verbo λγειν significa propriamente cioè legare, mettere insieme, riunire, (il Λόγος unifica e unificando consente al significante di dirsi e di essere quel significante lì, che distinguo da tutti gli altri, se dico “penna” questo “penna” perché lo distinguo, lo intendo e lo delimito, lo definisco perché “penna” non è “accendino” è una parola diversa, c’è una differenza e questa mi consente di dire penna, accendino eccetera) mostrare e chiarire questo originario significato rappresenta quindi la seconda via che si interseca con la prima nel medesimo punto, Λόγος e λγειν significano raccogliere, riunire, vale a dire significano unire e unificare (questo è il lavoro che fa il Λόγος, riunisce, unifica degli elementi che il significato propone, li unifica e fa apparire l’ente, il significante, che non potrebbe apparire se questo significante non provenisse dal riunire, mettere insieme un qualche cosa che il significato mostra, perché il significato è è universale, il significante no, il significante è un particolare, ma perché possa darsi questo significante dall’universale occorre riunire, occorre il λγειν, qualcosa che mette insieme, che fa apparire il significante per quello che è, in quanto significante. Pagina 191: (c’è una precisazione) O Λόγος è la riunificazione originaria, che conferisce origine e mantiene nell’origine in quanto è l’essenza dell’essere stesso (sta dicendo che il Λόγος è quella riunificazione che è originaria, nel senso che viene dall’essere, viene dal significato, solo il significato, cioè l’essere, è in grado di dire qualche cosa, questo riunire per potere individuare qualche cosa Heidegger lo chiama Λόγος, e dice che questo riunificare è l’essenza dell’essere stesso, anche perché non potrebbe darsi il significato senza il significante. Un problema irrisolvibile oltre che irrisolto del segno, dalla metafisica ma anche dalla semiotica, a partire da De Saussure non può darsi il significante senza il significato, non può darsi un significante che non significa niente perché non è significante, non può darsi un significato senza una sua espressione tangibile, concreta, immanente. Tutto questo sempre per intendere meglio la questione della logica contemporanea, qual è la portata della logica, qual è la sua funzione, abbiamo già intravisto qual è la sua funzione è quella di superpotenziamento e lui, Heidegger, ce l’ha detto più volte già nel Parmenide quando parlava dell’λήθεια e della veritas, la verità, intesa come la intendiamo oggi, non è forse ciò che la logica mira a stabilire? Cioè la veritas imperiale, quella che consente di comandare) Pag. 195: Pensare la ψυχή in modo greco significa pensare la sua essenza a partire dalla sua coappartenenza alla ζο (vita) e alla φύσις (natura), alla vita e alla natura, ma neppure la riconduzione della ψυχή alla ζο alla φύσις ci porterebbe a cogliere l’essenziale, se nello stesso tempo non pensassimo grecamente la ζο che la φύσις. Se per noi è di estrema importanza pensare in modo greco ciò che alcune parole greche fondamentali nominano, l’intento non è quello di riprodurre storiograficamente ed esattamente un mondo passato, nel sottolineare continuamente quel che è “greco” noi cerchiamo unicamente l’essenziale che è rimasto nascosto ma che sorregge e decide la nostra storia e la storia a venire (cioè ciò che continua a interrogare, perché è ancora occasione di domanda, cioè ciò che è sottratto alla tecnica: perché qualcosa continui a domandare occorre sottrarlo alla tecnica, se è inserito nella tecnica non ha più niente da domandare, deve solo funzionare) Il tratto fondamentale della φύσις, della ζο è il sorgere che si dischiude da sé stesso e che nello stesso tempo è un ritornare in sé che si chiude in sé stesso (è il significante che non può darsi senza il significato e il significato che non può darsi senza significante, sta dicendo questo. Ecco però dicevo sottrarre qualcosa alla tecnica è l’unico modo perché questo qualcosa possa continuare a domandare, a essere problematizzato, però se il linguaggio è tecnica cosa stiamo dicendo? Che occorre toglierlo fuori dal linguaggio? Certo che no, possiamo dirla così almeno provvisoriamente: sottrarre qualcosa alla tecnica potrebbe intendersi come dare a un termine, a un concetto, a un qualche cosa l’occasione di essere qualche cosa di più della tecnica, un qualche cosa che va oltre la tecnica: il domandare. La domanda è qualcosa che va oltre la tecnica, la tecnica non si occupa di domandare ma teme la domanda, la tecnica teme il libero pensare, il libero pensare è un intoppo alla tecnica perché si pone delle domande intorno al perché mai si sta facendo quello che si sta facendo, questo costituisce un arresto perché deve fermarsi a pensare, e qualunque arresto, ci diceva già Nietzsche, qualunque arresto del superpotenziamento è immediatamente un depotenziamento, per questo motivo il libero pensiero è un ostacolo alla tecnica. Con libero pensiero intendo appunto il pensiero che domanda, che continua a domandare, che domanda anche circa la risposta che viene fornita alle domande, cioè che non si accontenta di nessuna risposta ma che continua a domandare, cioè prende qualunque cosa e la interroga, questo è il pensiero libero, quindi il pensiero libero costituisce, costituisce sì, l’uscita qui “uscita” mettetela tra virgolette perché non è propriamente un’uscita dalla tecnica, se con tecnica intendiamo la metafisica e con metafisica intendiamo il funzionamento stesso del linguaggio. È chiaro che non è possibile uscirne però se, come già dicevamo, se c’è la possibilità di tenere conto di questo, ecco che questo è già un passo in più, cioè mostra qualche cosa di più rispetto al trovarsi presi continuamente senza sapere nulla, presi nel funzionamento del linguaggio, ma incomincia a domandare del funzionamento del linguaggio, per quale motivo funziona nel modo in cui funziona, che cosa è in grado di produrre e cosa no e soprattutto mostra che tutto ciò che il linguaggio fa è produrre se stesso all’infinito, cioè un suo superpotenziamento. Citavo prima Nietzsche: “qualunque arresto del superpotenziamento è immediatamente un de potenziamento e quindi deve essere eliminato”. Come vedete incomincia a configurarsi un po’ meglio anche il funzionamento del linguaggio stesso …

Intervento: questa cosa del superpotenziamento del linguaggio, il suo domandare cioè questo inserire all’interno di una struttura …

Il domandare non è propriamente il superpotenziamento a meno che non sia il domandare della tecnica ma il domandare così come lo pone Heidegger, come lo stiamo ponendo noi è ciò che ostacola la tecnica.

Intervento: io sto parlando del domandare “del” e “sul” linguaggio, il superpotenziamento del linguaggio, questa cosa mi ricordava tanto quello che Heidegger scrive in Oltre la linea in risposta a Jünger, Heidegger insiste su questo domandare e pone il linguaggio come “soggetto” di tutto ciò e questo io avevo inteso o per lo meno tendevo a intendere una cosa di questo genere, perché è vero che noi diciamo che quando interroghiamo, interroghiamo con il metodo metafisico per cui non usciamo dalla metafisica e questo occorre saperlo, ma questo tenere conto di questo sapere che noi abbiamo dopo anni e anni di lavoro proprio su queste questioni, dovrebbe “instaurare” se mai si può dire anche questo una domanda automatica sul linguaggio e quindi implementare, come dicevo prima, un sistema, una struttura che è quella del pensiero, del linguaggio mi pareva che anche Heidegger parlasse proprio di questo, di questo giungere ad essere interessati al linguaggio che produce qualsiasi cosa essere compreso …

In Heidegger questo passa attraverso la sua idea che ha svolta soprattutto in Essere e tempo, e cioè dell’Esserci, vale a dire dell’essere all’interno di un progetto, di essere gettati, più che di essere all’interno di un progetto, di essere continuamente gettati in un progetto. Questo che cosa significa? Per Heidegger il progetto è sempre storico, cioè non può essere un progetto che elimina tutto ciò che è stato prima ma tiene conto di tutto ciò che l’ha preceduto e ciò che l’ha preceduto ha fatto sì che adesso in questo momento io abbia questo progetto, il che significa che sono preso in una rete di connessioni, in questo progetto dove ciascun elemento del progetto, ciascun segno di cui questo progetto è fatto è tale all’interno di questa combinazione di segni, per cui il progetto gettato è ciò che si mostra, si manifesta in quanto preso in una rete di combinazioni, in una rete storicizzata, è questo che lui intende con Dasein, non più l’essere in quanto ente appunto, come tutta la filosofia ha sempre pensato secondo Heidegger, ma è l’essere qui e adesso di fronte al mio progetto: cosa voglio fare, cosa intendo fare? Ma il che cosa voglio fare, cosa intendo fare non viene da niente, viene da tutto ciò che sono, sono stato, dal mio “mondo” e questo mondo è una rete di relazioni. È questo ciò cui alludeva Sini in quell’articolo su Husserl e Peirce, alla fine lancia questa idea, questo progetto: reinterrogare Heidegger e Peirce rispetto alla questione del segno, perché il “mondo” di Heidegger è il segno di Peirce. Ora a pag. 196): Ciò che è secondo il modo di essere della φύσις “il naturale” non ha quindi mai la modalità dell’oggetto che agisce come causa prima che produce effetti oggettivi che si ripercuote su altri oggetti (questo è quello che pensa la fisica, la scienza, e cioè che la natura è fatta di oggetti, si tratta di avere la conoscenza di questi oggetti, per avere la conoscenza devo appunto oggettivarli cioè ritagliarli rispetto alla φύσις, questo “tutto” che si produce incessantemente: devo fare in modo che un certo elemento linguistico sia delimitato rispetto agli altri. Questo è l’unico modo per poterlo prendere in considerazione, cioè devo fare come se non fosse in continua e mutevole relazione con tutti gli altri, come se dovessi sospendere questa combinatoria in cui è inserito e che lo fa esistere, quindi sospendendolo compio un’operazione che è necessaria rispetto a ciò che voglio fare, ma che tuttavia esclude ciò che fa esistere quella cosa nel modo in cui esiste. È un artificio, e anche una sorta di inganno, però non è possibile fare altrimenti, la conoscenza, manipolazione, e elaborazione dell’ente è possibile a condizione di oggettivarlo, renderlo oggetto, per renderlo oggetto io devo fare come se questo oggetto fosse fuori da una combinatoria, cioè fosse fuori dal linguaggio, solo a questa condizione è un oggetto e io sono un soggetto, altrimenti si dissolve tutto quanto) La φύσις non è neppure la natura nel senso di quell’insieme di leggi che regolano ciò che si manifesta e che unifica ciò che appare nella sua oggettività. Per pensare adeguatamente anche solo da lontano la φύσις dobbiamo piuttosto sforzarci di esperire ogni cosa dal punto di vista di ciò che si apre, si distende e si chiude in modo che tutto ciò che è dominato dalla φύσις si muove e dispiega la propria essenza all’interno di tali rapporti (qui la connessione con Peirce è immediata e palese, vi rileggo la frase “in modo che tutto ciò che è dominato dalla φύσις – ricordate che la φύσις è ciò che non cessa di sorgere, ciò che non cessa di dirsi – si muove e dispiega la propria essenza all’interno di tali rapporti” cioè rapporti fra vari elementi, quindi per intendere la φύσις in modo greco, dice Heidegger, occorre intenderla come un qualche cosa che si mostra all’interno di una serie di rapporti, di combinatorie, di un gioco linguistico …

Intervento: non è il sistema di relazioni stesso?

Per Heidegger non propriamente, per Peirce lo sarà, però dice Heidegger che “si muove e dispiega la propria essenza all’interno di tali rapporti” quindi si muove, si dispiega, non è proprio che esista per questi rapporti però quasi, perché si muove e si dispiega, dispiega la propria essenza ciò che propriamente è e all’interno di questi rapporti vuole dire che al di fuori di questi rapporti non c’è, poi Peirce dirà che il mondo è fatto di segni e quindi di relazioni, possiamo dire che è più esplicita la cosa, ma c’è già qui) Rientrano nello stesso ambito perché nella loro essenza nascosta sono in realtà un’unica cosa, sono un'unica e medesima cosa insieme a vita e φύσις, (anima e respirare) in questo senso, l’anima il principio vitale è l’essenza del vivente in quanto è attività animata, questo vuol dire che per mezzo dell’anima un ente raggiunge l’essere ed in esso riposa, quell’essere che si dispiega in quanto sorge nell’aperto che dispiegandosi accoglie in sé, l’aperto è ciò che incontra nell’aperto (qui parla di anima ma ne parla come della ψυχή, e non dimentichiamoci che lui ha accostato la ψυχή alla φύσις e al Λόγος, cioè a ciò che non cessa di dirsi e a ciò che riunifica questo dirsi in un dire specifico, questo va tenuto in conto. Pag. 199): Prima di definire espressamente la connessione essenziale tra ψυχή e Λόγος facciamo attenzione a quello che il detto di Eraclito dice ancora della ψυχή e al modo in cui lo dice. Nell’espressione ψυχή πειρατ il termine πρας significa “la fine” “il limite” esso indica quel punto dove una cosa finisce e termina e dove inizia qualche cos’altro. Il confine e il terminare si definiscono di volta in volta nel loro modo di essere in base a ciò di cui costituiscono la fine, un pezzo di legno, una pietra terminano in modo diverso e hanno limiti diversi da un acquazzone (anche l’acquazzone è finito, ma è diverso da dire “qui finisce il tavolo”) diverso è il modo di arrivare ai limiti di un albero, altro ancora quello per arrivare ai limiti di un animale, nessun essere vivente termina ai limiti della sua superficie corporea, esso non è il limite estremo dell’essere vivente, ora però, che cosa è in sé quel dispiegarsi che è anche un accogliere, un sorgere da sé se non l’anima i cui confini devono certamente estendersi nell’aperto? (tenete conto che quando Heidegger parla di anima parla di ψυχή in accezione greca,) i πειρατ sono i confini estremi che indicano un limite da cui si può uscire che può essere oltrepassato, la parola πρας compare però al plurale ciò significa che la ψυχή ha molti e numerosi confini e vale a dire ha molte vie che le permettono di uscire da se stessa e sono tutte sottointese. Ogni percepire è un tendere a, un andare verso e significa essere in cammino lungo una via (ci sta dicendo che la ψυχή, così come lui la intende, non è qualcosa di delimitato e definito ma è un cammino, un andare lungo una via per un cammino cioè verso qualche cosa, l’anima di cui parla ovviamente non è l’anima dei cristiani è un’altra cosa, ma potremmo dire che la ψυχή è “l’incamminarsi verso”) Ma ogni incamminarsi può essere quello che è solo all’interno e sulla base di un soffermarsi in un luogo che si mantiene nascosto, sulla base di un soffermarsi che l’uomo non avverte e non stabilisce. Dappertutto nell’anima e in ogni suo fare e non fare, in ogni suo produrre ed operare in ogni suo sentire, aspirare, in ogni suo cadere e sollevarsi accade un ampliamento dei propri confini. (ogni volta che si fa qualcosa, cioè si parla, qualcosa si aggiunge sempre, è la φύσις che non cessa mai di dirsi, di prodursi) Ma Eraclito rivolto all’uomo che possiede l’anima di cui si parla ossia l’elemento essenziale della vita, dice che l’uomo non potrà trovare l’estremo confine di questo oltrepassare, di questo estendersi neppure se percorrerà fino in fondo ogni via (non c’è l’ultima parola, per dirla in modo spiccio) Il fatto che qui si parli ancora di vie conferma solo quanto abbiamo detto tempo fa, vale a dire che noi non possiamo concepire i confini come termini fissi e come limiti in oltrepassabili come se fossero muri e pareti, piuttosto dobbiamo fare attenzione al fatto che ogni cosa che si definisce “spirituale” si presenta come una via o come un sentiero. Ma neppure questo è sufficiente occorre infatti pensare in modo greco ciò che caratterizza la via e il sentiero, vale a dire occorre pensarlo come un’uscita nell’aperto (questo per Heidegger è il percorrere una via uscire nell’aperto cioè allontanarsi dal chiuso, se uno esce nell’aperto vuol dire che arriva da un luogo chiuso, uscire nell’aperto è il domandare, che altro se no?). Come il venir dato dell’aperto mentre avviene l’attraversamento, in modo che questo venir dato dell’aperto raggiunga quel che incontra e che si fa presente e lo riunisca (uscire nell’aperto è il domandare, quindi andare verso l’essere, però andando verso l’essere si incontra ciò che si fa presente, cioè ciò che riunisce, si incontra il Λόγος, nell’essere si incontra il Λόγος, il Λόγος è uno dei modi in cui l’essere si manifesta) Le vie sono i sentieri sui quali transitano il sorgere che disvela e il ritornare in sé che nasconde (qui sembra che parli del segno, di ciò che mostrandosi si nasconde, perché è questo che fa il segno, si mostra in quanto segno e si nasconde in quanto è segno per un’altra cosa) Ma perché l’uomo non potrà mai trovare l’estremo confine del suo essere, perché? (perché non trova l’ultima parola?) Perché il Λόγος dell’anima umana è profondo, dice Eraclito (Eraclito sta dicendo che non si trova il fondo “se tu incominci a cercare il fondo ti trovi perso in un abisso da cui non vieni più fuori” perché ciò che caratterizza l’essere, la φύσις è il produrre incessantemente, la φύσις non cessa di produrre. È stata un’invenzione della fisica moderna pensare che la φύσις sia oggettivabile, e l’ha dovuto pensare per poterla analizzare, scomporre, fare a pezzi, ed è per questo motivo per cui non può interrogare se stessa, significherebbe sospendere questa attività di oggettivazione delle cose, quindi arrestare la volontà di potenza, perché oggettivare significa potere conoscere, potere sapere che cos’è una certa cosa, però tutto questo arresta il percorso di superpotenziamento, che è la tecnica stessa. Poco dopo si chiede:) Come è possibile dire nel frammento 45 dipende proprio da questo Λόγος dell’anima umana se l’uomo non trova gli estremi confini del suo essere per quanto percorra tutte le sue vie? (È per via del Λόγος che non è possibile trovare la fine, trovare gli estremi confini, che sarebbe l’ultima parola, quella che chiude tutto? Non è possibile perché c’è il Λόγος, che non è la logica, non è neanche il dire, lo è diventato oggi, è diventato la ratio, la razionalità, la ragione, qui in questa frase lo mette (λόγος) con la λ minuscola, quindi non allude al Λόγος in quanto ciò che raccoglie l’essere) Nell’μολογεν, nel raccogliere riunificante del Λόγος, nel riunirsi in esso, che il Λόγος è, ossia è presente. È quindi nell’μολογεν che si trova veramente proprio ciò a partire da cui sorge la natura umana, in modo tale che tutti i suoi confini finiscono propriamente qui e si riuniscono nel Λόγος in quanto riunificazione originaria (l’μολογεν, lo avevamo visto tempo fa, è un modo in cui il Λόγος riunisce le cose, è ciò che, diceva Heidegger, il Λόγος riunisce ma che fa sì che ciò che riunisce sia lo stesso, cioè ciò che mostra la stessità della cosa) Pag. 202: Distinguiamo il Λόγος per eccellenza, ossia il Λόγος puro e semplice e il λόγος umano, il Λόγος è la riunificazione originaria l’essere dell’ente, la sua totalità, il λόγος umano è invece l’unirsi alla riunificazione originaria e riunirsi nella riunificazione originaria (quindi il Λόγος, così come lo intende lui, rispetto al pensiero greco antico è la riunificazione originaria di ciò che è presente nell’essere, che riunendosi mostra qualche cosa, fa apparire il significante. Il λόγος umano (λ minuscola) invece è l’unirsi alla riunificazione originaria, lui non lo dice ma potremmo aggiungercelo noi, allo scopo di controllarla, di gestirla, cioè potremmo dirla così: il λόγος, cioè il discorso, è un modo di controllare il Λόγος, cioè la riunificazione originaria di ciò che appare nell’essere e consente all’essere di mostrarsi per quello che è, ma se si mostra per quello che è, e cioè come un qualche cosa che si riunifica a partire dal significato, mettiamola sotto il profilo semiotico che è più semplice, abbiamo il significato dal quale si staglia un significante, ecco che c’è stata una riunificazione di qualche cosa nel senso che il significante si è identificato rispetto a un tutto e l’μολογεν ciò che fa del significante quello che è, lo identifica per quello che è. Questo comporta che il significante non può mai essere sganciato dal significato, l’ente non può mai essere sganciato dall’essere, e l’essere è la φύσις, il sorgere continuo, il significato è una produzione ininterrotta di relazioni, di connessioni, da cui si staglia un significante, un ente. Semioticamente non c’è la possibilità di prendere questo significante senza il significato, cioè senza l’essere, senza la φύσις, senza che nel prendere questo significante non ci sia una produzione infinita di significati. Quindi non posso isolare un significante, anche se appare isolato, ma non è propriamente isolato, non lo è mai, semplicemente appare a un certo punto, un qualche cosa si distacca dalla “nebulosa” della Langue, si distacca la parola, cioè l’esecuzione di qualcosa di specifico, di immanente, di contingente. Λόγος è ciò che rende impossibile ogni scienza, così come è intesa oggi. Invece λόγος, il λόγος umano è quello che vuole avere il controllo sul Λόγος come ciò che riunifica ciò che appare, ciò che si manifesta, ciò che lo rende quindi quello che è. Che non può essere mai staccato dalla φύσις, non può mai essere staccato da qualcosa che produce continuamente significati e quindi impedisce di manipolarlo, in altri termini ancora il λόγος cerca di rendere il Λόγος gestibile, manipolabile, di renderlo un oggetto. Ciò che non può mai fare invece è di renderlo oggetto e Heidegger su questo è preciso “renderlo oggetto” significa rendere oggetto il Λόγος, che è essere, è uno dei modi dell’essere quindi sarebbe trasformare l’essere in ente, se trasformo il Λόγος in λόγος trasformo l’essere in ente, trasformo il significato in significante, cioè tolgo al significante la potenzialità infinita di significati dandogliene soltanto uno, che è quello che fa la metafisica da sempre “questo significa questo”. La metafisica pensa di potersi arrestare sul “questo significa questo”, poi è arrivata la semiotica che ha detto “questo significa questo a condizione che questo significhi quest’altro” e “questo significa quest’altro a condizione che significhi quest’altro ancora” e così via all’infinito, la semiosi infinita è questo.