8-3-2002
Ci
sono questioni sulle ultime cose che abbiamo dette…
Intervento:…
la questione era questa “perché se affermo se A allora B e se B allora C, sono costretto a concludere se A allora C, e non posso concludere altrimenti?”. Perché non lo posso fare? cioè posso farlo nel senso che posso dirlo, però ciò che dirò sarà ritenuto falso, necessariamente, perché se in seguito a questa sequenza io concludo se A allora non C, allora inesorabilmente ciò che ho affermato sarà considerato falso. Perché?
esatto,
quindi non posso concludere altrimenti perché facendolo violo la struttura
stessa del linguaggio…
Intervento: praticamente non è più linguaggio a questo punto
e
questo non lo posso fare, violare la struttura del linguaggio, perché anche per
volerlo fare, e cioè per costruire questa intenzione, devo attenermi a una
serie di considerazione, le quali considerazioni devono condurmi ad affermare
una proposizione vera, perché checché ne dica, solo quella posso utilizzare, e
per costruire una proposizione vera all’interno del linguaggio sono costretto
ad utilizzare la struttura del linguaggio e una cosa del genere come questo
sillogismo “se A allora B e se B allora C e quindi se A allora C”, che non è
altro che una struttura del linguaggio, qualcosa che consente al linguaggio di
funzionare…
Intervento: mancherebbe la premessa se A non C
non
è che manca la premessa, è la conclusione che non è sostenibile, ché non è una
questione logica cioè è anche una questione logica ma mostra il funzionamento
del linguaggio, che cosa non è possibile non fare per continuare a parlare, un
esempio: “devo andare in piazza Benefica, se vado dritto ci metto di meno che
se passo da Toronto” è una stupidaggine, però è costrittiva, non è possibile
sostenere il contrario a meno di inserire una quantità di altre cose “se a
Toronto ci vado con un missile, e invece di là ci vado a piedi trascinandomi
sulla lingua… magari…”, che è un altro modo per dire che il linguaggio funziona
solo a certe condizioni, e che non possono essere violate. Questo è importante
perché noi in effetti non abbiamo fatto nient’altro che costruire una teoria
utilizzando unicamente queste cose che non possono essere violate, da qui la
forza e l’inattaccabilità, dicevamo tempo fa che il linguaggio per funzionare
deve produrre delle proposizioni che possano essere accolte come vere da quelle
che le precedono e dicevamo che vengono accolte come vere da quelle
proposizioni che le precedono in base alle regole che stabiliscono quel gioco
particolare, ciascuna volta e di volta in volta sarà vera una cosa oppure
un’altra…
Intervento: nell’esempio che lei aveva fatto prima quello di
Toronto…dipende dalle regole del gioco, in questo caso se A allora C, inserendo
delle nuove regole nel gioco io riesco a rendere inefficiente e perciò
confutabile questa implicazione, non è più una implicazione logica è un po’
come quell’esempio che faceva Aristotele nel Dell’Interpretazione, terzo
escluso, “domani ci sarà una battaglia navale o domani non ci sarà una
battaglia navale” è chiaro che si pone in termini retorici si possono trovare
anche delle nuove regole ai giochi come quella del missile per cui posso
rendere una implicazione libera, e cambiando le regole è possibile trovare uno
svincolo all’implicazione, alla costrizione logica, quello di cui parliamo noi
mi pare che vada oltre queste implicazioni e le regole di un gioco per cui è
possibile aggiungendo elementi cambiare gioco…resta comunque che una costrizione
logica non è per il momento possibile revocarla in quanto procedura, il
linguaggio funziona così se andiamo a toccare delle procedure…
ciò
che lei ha concluso lo ritiene vero oppure no, lo ritiene falso?
Intervento: per il momento lo ritengo vero…
o
possibile? Bisogna sempre valutare mano a mano che si parla ciò che sta
funzionando mentre si parla. Per esempio dicendo questo, è ovvio che io vi
trasmetto l’eventualità che quello che sto dicendo sia vero, che non sia la
peggiore stupidaggine che sia mai stata costruita al mondo, perché se no non
l’avrei detta, è solo in questo modo che si riesce a intendere che cosa
effettivamente è necessario perché tutto il sistema funzioni, anche in questo
caso si tratta di un’affermazione e anche quest’ultima è un’altra affermazione
e così via all’infinito, quindi come dicevamo l’altra volta, l’obiettivo del
linguaggio, l’unico di cui possiamo dire con una certa ragionevolezza, l’unica
cosa che possiamo dire è che il linguaggio funzioni in questo modo e cioè che
per proseguire deve costruire proposizioni vere, che dicevamo vere in quanto
sono riconosciute come tali dalle proposizioni che le precedono e quindi dalle
regole del gioco, quale gioco? Come diceva Beatrice, di volta in volta diverso,
certo, ma ciò non di meno qualunque sia il gioco che io sto facendo è
necessario che ci sia una regola che mi fornisce un criterio di verità, e che
ci sia un metodo per la sua verifica, qualunque sia il gioco non ha nessuna
importanza, che sia fisica nucleare o tressette, non ha importanza, ora se
tutto questo effettivamente è necessario, come appare che sia, allora già
questo è un elemento su cui è possibile fermarci a riflettere, la necessità che
il discorso possa costruire proposizioni vere e quindi possa riconoscerle come
tali ovviamente, il linguaggio è questo: è ciò che impone che questi elementi
esistano, che ci siano, poi come ciascuno li vuol giocare questi sono affari
suoi. È necessario dunque, torno a ripetere, che il linguaggio, che il discorso
in questo caso cioè il linguaggio in atto possa costruire proposizioni vere e
possa riconoscerle come tali, questo è quello che fa il linguaggio. Ora
possiamo considerare se esistono anche in questo caso degli elementi come
quello che dicevo prima di un’implicazione “se A allora B e se B allora C
allora se A allora C” se una cosa del genere è costrittiva oppure no, direi di
sì in una prima approssimazione, in quanto mostra una sequenza che è necessaria
per potere concludere in modo vero, perché rende conto che per il linguaggio è
fondamentale potere compiere questa operazione, cioè giungere a una
proposizione della quale possa dire che è vera o falsa, perché se no non va
avanti, e se non può andare avanti dice che è falsa, bell’è fatto, poi
qualunque cosa ci si metta ovviamente al posto delle altre vie questo non ha
nessun interesse…
Intervento: se non può andare avanti dice che è falsa
sì,
la chiama falsa, a meno che non la utilizzi per altre cose, ma questo è un
discorso differente perché si svolge a questo punto in ambito retorico; può dire
che è falsa quando esiste un criterio per poterlo affermare, se no non succede
niente, e questo criterio ovviamente mi indica che cosa parrebbe o potrebbe
essere vero, in ogni caso vi dice che quello non lo è, cioè le proposizioni che
le precedono non le riconoscono come vere ma semplicemente perché non segue,
non si adegua alle regole del gioco stabilite. Quindi al punto in cui siamo
cosa stiamo affermando? Due cose principalmente, la prima è che si dà una
struttura che è fatta grosso modo dalle regole che abbiamo indicate, procedure,
le abbiamo chiamate così e cioè le regole di costruzione, esclusione e
inferenziale, abbiamo anche detto che poi potrebbero anche essere identificate
unicamente da un sistema inferenziale, perché il sistema inferenziale per
funzionare necessita comunque di regole di esclusione e regole di formazione, e
poi abbiamo detto anche questo, che il linguaggio non è altro che questo
sistema in atto il quale, per potere girare, deve costruire proposizioni vere,
una volta che ha costruito una proposizione che riconosce come vera può
costruirne un’altra, e quest’altra costruirà, attraverso il sistema
inferenziale, un’altra proposizione ancora che riconoscerà come vera e quindi
può proseguire, se invece la riconosce come falsa allora da lì non può andare e
si rivolgerà da un’altra parte, semplicemente, e abbiamo anche detto che il
linguaggio, pertanto gli umani, non è nient’altro che questo. Però c’è una
implicazione della quale dobbiamo tenere conto per valutare eventuali effetti,
cioè io giungo a considerare una proposizione che il linguaggio riconosce come
vera quindi posso proseguire, ma di fatto tutte le magagne, i malanni di cui si
lamentano gli umani in generale, seguono proprio a questa struttura. Una certa
proposizione viene riconosciuta come vera e quindi, essendo vera, comporta che
quella è la direzione da seguire e seguendo quella direzione succedono
disastri, come avviene questo fenomeno? A meno che noi cancelliamo l’idea del
disastro e consideriamo semplicemente una sequenza, qualunque essa sia, in modo
molto semplice, in modo molto lineare; vi sto dicendo questo: che una persona
stia affermando che questo è un posacenere oppure che sta malissimo oppure che
ci sono buone probabilità che domani sorgerà il sole o che “se A allora B, e se
B allora C, allora se A allora C” siano semplicemente delle proposizioni che
seguono delle altre seguendo una certo sistema di regole e nient’altro che
questo, cioè sono affermazioni, una persona quindi afferma che sta male o che
sta bene, e sotto questo profilo è assolutamente indifferente, semplicemente
sta affermando una proposizione alla quale attribuisce questa prerogativa, di
essere vera. Se io stabilisco per esempio che una certa cosa è vera, allora ne
seguiranno altre ovviamente, perché una proposizione vera è tale unicamente per
via delle altre, questa è la sua funzione, e quindi ne costruirà delle altre,
fra queste altre alcune saranno riconosciute come vere e quindi continuerà in
una certa direzione, come dire che questo discorso avrà un senso, ora prendiamo
un caso clinico qualunque, una persona che immagina di essere rifiutata dal
mondo intero, ora per lui ovviamente questa affermazione è vera, se no non
l’affermerebbe, e pertanto segue ad altre proposizioni che sono state
considerate vere e fin qui non ci sarebbe nessun problema, il problema sorge, o
per lo meno questa persona ce la dice in questo modo, che il fatto di essere
rifiutata dal mondo intero non gli garba, perché se gli garbasse non lo
considererebbe un problema, altra questione curiosa, cioè se gli piace non è un
problema se no, sì, e viene a raccontarci che non vuole che succeda una cosa
del genere, qui come abbiamo detto in varie circostanze, la questione per lo
più è che si sottrae alla responsabilità di ciò che lui stesso ha costruito,
cioè che è qualche cosa che di fatto gli garba per qualche motivo che solo lui
conosce, però abbiamo detto un sacco di volte che per potere continuare a
usufruire di questo pensiero è necessario che non lo riconosca come suo, cioè
si sottragga a tale responsabilità…
Intervento: in qualche modo la chiama falsa questa
proposizione
non
quella che afferma che tutto il mondo ce l’ha con lui…
Intervento: no, no quella che dice che il mondo esiste e che
non è una sua costruzione questa è falsa
non
è falsa neanche quella; sapere le cose che sappiamo, in un caso del genere ci
consente di sapere qualcosa di più oppure no? Bisogna valutare, certo è
possibile che non riconoscere la sua responsabilità gli permetta di continuare
a pensare questa cosa, e va bene, e allora? Voglio dire, è soltanto per potere
affermare una cosa vera oppure è quella in particolare? Parrebbe la seconda
ipotesi, non è una qualunque, è una particolare, cioè quella che afferma che
tutti gli uomini ce l’hanno con lui, perché questa è diventata quella vera?
Quindi perché questa affermazione, assolutamente squinternata, viene pensata
vera al di sopra di tutte le altre come se fosse una verità assoluta, e perché
deve mantenerla? Uno può anche pensarci per un istante e dice “è una fesseria”
e invece no, la mantiene come tale. La psicanalisi generalmente ci ha
addestrati a pensare che dà lì ne tragga un piacere, cioè che cosa
praticamente? Una cosa che cerca, sì, ma stando a ciò che abbiamo detto ciò che
può cercare è soltanto qualcosa di vero, non lui in quanto persona, ma il
discorso di cui è fatto, il linguaggio di cui è fatto. Spesso il lavoro
analitico si trova a considerare una cosa del genere e cioè a fare una sorta di
percorso all’indietro, almeno parzialmente, dal momento che qualunque
affermazione ritenuta vera è costruita da altre ritenute altrettanto vere, come
dire che se pensa che il mondo intero ce l’ha con lui ha dei buoni motivi per
farlo, degli ottimo motivi, se sono vere le proposizioni che precedono allora
sarà vera anche quella; certo non è sempre facile recuperare quello da cui è
partito un discorso del genere, né per altro talvolta è utile farlo, perché non
serve a niente, però il suo discorso ha funzionato, ha funzionato
perfettamente, cioè è giunto a una conclusione perché in base alle regole del
suo gioco è assolutamente vera, e per il discorso questo è più che sufficiente,
non ha bisogno di altro, ma dove sta il problema in tutto questo? Se ammettesse
che è una sua costruzione perderebbe tutti gli effetti vantaggiosi di questa
affermazione “tutto il mondo ce l’ha con me” perché? Perché a questo punto non
è più il mondo ma è lui che costruisce, è una sua costruzione, e a questo punto
qualcosa interviene per cui è costretto ad ammettere che se lo ha costruito lui
allora non è il mondo esterno, perché è costretto a fare questo?
Intervento: perché non è responsabile…
No,
a questo punto abbiamo detto che ha ammesso la sua responsabilità, e ammettendo
la sua responsabilità non può più considerare ciò che considerava prima e cioè
che è il mondo e non lui…
Intervento: …
Sì,
non può più pensare quello che pensava prima, qualcosa glielo impedisce, che è
la stessa cosa, la stessa struttura che ha consentito di costruire questa sua
conclusione “se questo, questo, questo, allora…
Intervento: arrivato al fatto che non può ammettere che è una
sua costruzione…può prendere una delle qualità che fanno parte di quella
conclusione “che il mondo ce l’ha con lui, prendere uno degli elementi di
questo insieme, di questo universale e ribaltarlo nella sua costruzione per
esempio il mondo mi ha abbandonato perché sono incapace, riporto tutto nel
discorso, sono incapace sono io che costruisco tutto questo e continuo per
questo elemento che credo proprio dell’universale e lo riporto nel mio particolare
No,
a questo punto la conclusione a cui dovrebbe giungere, quella da considerare è
che è lui che ha costruito l’idea di essere incapace e che poi ha attribuito ad
altri…
Intervento:…
in
molti casi sì, non sempre ma in molti casi sì, perché si perde un vantaggio che
è quello di potere continuare a pensare di essere abbandonati dal mondo intero,
cosa che produce un certo moto giubilatorio, parrà strano ma non lo è, perché
se tutto il mondo mi ha abbandonato allora tutto il mondo si è occupato di me,
e a tutt’oggi continua ad occuparsene “devo essere importante” perché tutto il
mondo…
Intervento:…
come
dire che il mondo ruota intorno a lui, mai chiesto perché uno dica “tutti
quanti ce l’hanno con me”? di lui non importa niente a nessuno, ma è proprio la
cosa che più teme in quel caso, che come ho detto non importa niente a nessuno
ma se invece tutti ce l’hanno con lui allora è importante, cioè è considerato,
perché gli umani vogliono essere considerati? Chi sa rispondere a questa
domanda, perché mica gliel’ha ordinato il medico, amati, considerati, tutta
questa serie di cose…
Intervento: essere riconosciuti è sempre la questione, essere
riconosciuti è comprensivo…non c’è la necessità neanche di questo fino ad
arrivare alle nevrosi e alle psicosi
Perché? Perché molti hanno bisogno proprio di questo al
punto che se non c’è fanno di tutto perché ci sia, è il linguaggio che li
costringe a farlo…
qualcosa
del genere, mancano dei passaggi però qualcosa del genere sì…
Intervento: infatti io pensavo all’ossessivo che nega
continuamente la questione
potrebbe
essere di qualche interesse vedere se una cosa del genere è il linguaggio che
costringe a farla, cioè a cercare la stima, l’approvazione, la considerazione
oppure quello che gli pare, che passa attraverso una serie di figure, potremmo
parlare di riconoscimento in modo molto più semplice, essere riconosciuti in un
modo o nell’altro non ha importanz,a però essere riconosciuti, ed è qualcosa di
simile…
Intervento: questo aspetto è fondamento di tutto il discorso
occidentale che deve passare attraverso…
Sì,
sappiamo che funziona così, ci stiamo domandando se una cosa del genere è la
struttura stessa del linguaggio che costringe a farla oppure no, oppure segue
se e soltanto se non c’è accesso al sistema operativo…
Intervento: …
Intervento: anche che il proprio discorso abbia questa valenza
di verità, non può prendere altre direzioni perché deve avere ragione cioè deve
essere riconosciuto…il suo discorso ascoltato dall’altro prende senso, il suo
discorso non c’è il vero lo prende dal discorso dell’altro
Intervento: Hegel e il discorso del servo e il padrone…come se
trovando l’altro che gli fornisce il riferimento…
lei
si sta domandando perché gliene cale qualcosa dell’altro?
Intervento: il discorso della psicanalisi tutto sommato
sì,
qui ci sono tutte quelle figure come l’idea che l’uomo è un animale sociale
ecc… valgono ad affermare che tragga solo da dio la sua parola, no, all’altro
in quanto tale gliene cale qualcosa ad una certa condizione, probabilmente è
questa: che non abbiano accesso al sistema operativo e allora ecco che immagina
che il linguaggio debba appartenere a qualcun altro, sia di qualcun altro in
vario modo in varia misura non ha importanza, ma comunque lo riceve dall’altro,
figura che risponde, questo altro, generalmente a dio, potremmo azzardare
l’inconscio fra gli altri, invece forse la questione è più semplice…
Intervento: posta in questi termini direi comincia ad essere
semplice
non
lo è ancora abbastanza, e soprattutto bisogna lavorarci su, però la direzione è
buona. La questione è che ciascuno tragga dall’altro la verità del proprio
discorso a condizione che non abbia accesso al sistema operativo, e cioè che
immagini che esista un padrone…
Intervento: …
cioè
l’altro come un altro significante, se c’è accesso al sistema operativo che ci
sia un altro significante è inevitabile, non soltanto, ma che questi
significanti si sistemino e si assemblino in modo tale da costruire una
proposizione.
Intervento:…
è
da verificare se l’altro di cui stiamo parlando, in qualunque accezione si
consideri, è una figura retorica o un elemento strutturale del linguaggio…
Intervento: …
però
lui utilizza qui altro come un elemento grammaticale…
Intervento: che mi permette di proseguire
sì,
condivido soltanto il fatto che a un significante ne segua un altro…
Intervento: come dire che l’enunciato scientifico ha bisogno
della solitudine altrimenti in quanto si dissolve in quanto enunciato
scientifico
certo,
infatti è così, l’altro in quanto tale cessa di dire per quanto riguarda il
proseguimento del discorso, non è vincolato a quell’altro così come accade
invece generalmente, stavamo considerando a quali condizioni è possibile
pensare che il proprio discorso prosegue se c’è l’altro, e di più ancora se
l’altro lo conferma, perché c’è questa necessità?