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8-1-2014

 

Supponiamo che il significato sia l’uso, questo comporta che un qualche cosa sia connessa con una qualche altra cosa, questo ci ha indotti a pensare che il significato sia un rinvio da un qualche cosa a un’altra cosa. Ora siccome ci occupiamo di linguaggio quindi di parole abbiamo considerato che perché un suono, un qualunque suono sia una parola occorre che questo suono, questa cosa rinvii a qualche cos’altro. Questo è importante perché è la condizione perché un qualche cosa sia una parola, ed è una parola quando è utilizzabile all’interno di un sistema che consente di connettere questa parola con altre parole, quindi costruire sequenze, in un certo modo ovviamente, secondo certe regole di composizione. Il fatto che ciò che definisce una parola sia di essere utilizzabile all’interno di un sistema per costruire delle sequenze, ci dice che questa cosa, per essere una parola deve significare necessariamente e abbiamo anche precisato che più che avere un significato occorre che sia un significato, perché se non lo fosse questa cosa rimarrebbe un suono senza significato. Per esempio un bip è un suono ovviamente ma è anche un significato, noi sappiamo che cosa significa e cioè un segnale acustico che indica qualche cosa. Questo ci ha indotti ancora a pensare che una parola dovendo necessariamente, per essere una parola, essere un significato, cioè significare qualcosa, ci ha indotti a pensare che il significato, in questo caso, abbia un assetto referenziale, vuole dire che se una parola deve essere un significato deve significare qualcosa necessariamente per essere una parola, se no sarebbe niente, un significato referenziale e cioè una parola denota altre parole che costituiscono il significato, cioè quella parola è quelle altre cose che denota, perché non può esistere senza queste altre cose che denota, non sarebbe una parola perché non avrebbe nessun rinvio. Questo è ciò che consente a una parola di essere tale e pertanto di essere utilizzabile in un sistema linguistico: la sua utilizzabilità è il significato di questa parola, cioè questo denotare altre parole, che poi abbiano altri significati adesso non ci interessa. Il fatto che sia utilizzabile comporta che venga utilizzata, utilizzata connettendo la parola cioè un significato con altre parole cioè con altri significati in modo da costruire delle sequenze con altri significati ancora, costruire altre sequenze, frasi, proposizioni, discorsi, storie, racconti. Questo significato di cui sto parlando adesso cioè del significato che si produce combinando significati cioè parole fra loro, è un significato che ha un assetto inferenziale e cioè si produce per inferenze, quindi per connessioni ed è il significato appunto delle proposizioni, che non è quindi referenziale ma inferenziale, poi che sia composizionale questo è un accidente, può esserlo oppure no. Questo ci ha condotti a considerare una cosa importante: si tratta di intendere come queste parole cioè questi significati possano essere trasmessi, quindi acquisiti da qualcuno, e possono essere acquisiti da qualcuno per via di trasmissione, esattamente così come vengono trasmessi nelle macchine cioè vengono trasmesse delle informazioni, dei dati e delle istruzioni per processare questi dati. Questo ci ha consentito di intendere molto più precisamente come funziona la trasmissione di informazioni e di istruzioni e di conseguenza di intendere come si produce il linguaggio, come si avvia, quali sono gli elementi che consentono al linguaggio di funzionare, e sono gli stessi appunto che consentono a una macchina di funzionare. Un altro aspetto importante è che se, come ho detto prima, il significato referenziale è tale perché una parola denota altre parole, cioè altri significati, questo ci induce, di nuovo, a pensare che ciò che ha considerato la filosofia analitica, la filosofia del linguaggio intorno alla realtà, alla cosa, forse è da rivedere. Il problema con la realtà è che si riferisce a un qualche cosa senza sapere né essere mai riusciti a sapere esattamente a che cosa ci si riferisca, e cioè che cos’è la cosa in sé, non c’è nessuna possibilità di saperlo, ma ciò che emerge da ciò che andiamo dicendo è che questa cosa, questa realtà è fatta di significati, perché tutto ciò che possiamo dire della cosa, di qualunque cosa, sono dei significati, sono delle cose che significano per noi qualche cos’altro visto che non c’è l’accesso immediato alla cosa, ciò con cui abbiamo a che fare sono significati. Sto dicendo che la realtà, quella cosa che chiamiamo comunemente “realtà” è fatta di significati. Questo potrebbe portare a una riflessione ontologica perché ci porta a pensare che ciò che c’è, è fatto di significati, parole, e l’Essere che la filosofia ha cercato da quando praticamente esiste, non è altro che la ricerca del significato ultimo, parafrasando Peirce, quello che costituirebbe l’ultimo elemento della catena. Questo modo di porre le cose ha la prerogativa di aprire delle interrogazioni, delle questioni, delle domande, la prima fra tutte è che cosa facciamo esattamente quando parliamo, questione che può apparire banale ma che banale non è affatto e qui di nuovo intervengono le macchine a consentirci di procedere. Le macchine, processando dati e costruendo altri dati, cioè altre informazioni, utilizzano unicamente il sistema operativo che è stato immesso, come dire che tutto si svolge all’interno di un sistema, non c’è nessun riferimento al di fuori del sistema e cioè una macchina al di fuori del sistema operativo e dei vari programmi che sono stati installati non ha nessun altro strumento. Negli umani la questione è più complessa perché invece appare che abbiano la necessità di trarre, questa sarà un’altra interrogazione, trarre la verità, la correttezza delle proprie affermazioni da un elemento esterno. L’altra interrogazione riguarda come sia possibile stabilire la correttezza di una affermazione, come sia possibile stabilire se una certa sequenza è vera oppure no. Il meccanismo è sempre lo stesso anche nelle macchine, ma negli umani la correttezza di una certa sequenza è rivolta a qualcosa che è esterno al sistema, al discorso, dicevo che è lo stesso anche nelle macchine perché si configura comunque come un’attesa di un sì o un no, di una indicazione che dice che si può proseguire oppure che dice che occorre arrestarsi, quindi in questo senso sono assolutamente simili, ma mentre la macchina trae queste indicazioni dal suo sistema operativo gli umani la cercano all’esterno del sistema operativo, cioè del discorso, perché è stato inserito un elemento che costringe il discorso, cioè il sistema operativo, a cercare al di fuori di esso una conferma di validità o di correttezza di una qualunque sequenza, ma dove si cerca? In qualcuno tendenzialmente, sorge immediatamente un altro problema: e questo qualcuno da dove la trae? Da qualcun altro, e questo qualcun altro da dove la trae? È ovvio che procedendo lungo questa direttrice, di fatto non c’è una possibilità di arrestarsi da qualche parte, quindi stabilire qual è l’ultimo elemento, che legittimamente sancisce ciò che è vero e ciò che è falso. Per ottenere questo si inserisce una informazione nel sistema operativo che dice che il metodo di verifica per la correttezza delle sequenze deve farsi procedere da ciò che le porte di ingresso recepiscono, cioè dai sensi, da ciò che si percepisce, da ciò che si vede, quindi dalla realtà. La questione, che non è certo nuova ma permane, è che ontologicamente questo qualcosa, come dicevo prima, la cosa in sé o l’Essere di fatto non è raggiungibile, cioè non possiamo stabilire con certezza che cosa vediamo, che cosa sentiamo, che cosa tocchiamo, non sappiamo che cos’è ciò che vediamo, ciò che sentiamo, non possiamo saperlo. Utilizzare i sensi per stabilire la realtà dice soltanto qual è il criterio che utilizzo per definire una certa cosa, ma non dice nulla su quella cosa, è a questo punto che la questione si fa interessante perché se non possiamo sapere nulla della cosa non ci rimangono che significati, significati che abbiamo imparati e che abbiamo imparato a utilizzare, ma che a questo punto sappiamo non avere altro referente se non altri significati. Ecco perché la questione che pone Wittgenstein relativamente a quelle cose che lui chiama “giochi linguistici” può essere portata oltre a quanto lui stesso aveva immaginato, vale a dire che a questo punto i giochi linguistici non sono nient’altro che dei giochi tra significati: il linguaggio è una combinatoria di significati, cioè di parole che rinviano ad altre parole secondo i modi e i termini di ciascuna lingua. Dire che il linguaggio è fatto di significati è un’affermazione importante che svincola il linguaggio dalla denotazione della cosa, che abbiamo visto non è conoscibile, potremmo anche dire perché non è conoscibile, perché c’è un impiccio del quale nessuno si è mai accorto che impedisce strutturalmente di sapere che cos’è la cosa: perché immaginano che questa cosa debba ovviamente essere fuori dal linguaggio, cioè non una costruzione linguistica, ma se è fuori dal linguaggio questo comporta un problema: perché questa cosa fuori dal linguaggio sia un qualche cosa deve rinviare a qualche cos’altro, deve costituire un rinvio, deve significare perché qualcuno possa dire che esiste, ma se tutto questo non c’è e cioè non ha nessuna relazione, nessuna connessione, nessun significato, nessun rinvio, nulla di tutto ciò, come faccio a sapere cos’è? Ma la cosa che a noi interessa è che ponendo il linguaggio come una combinatoria di significati, ci stiamo domandando se sia possibile che possa essere un’altra cosa, oltre a questa e cioè oltre a essere una combinatoria di significati, di rinvii, di cose che rinviano continuamente ad altre cose, e queste cose per potere rinviare occorre che siano capaci di farlo, per essere capaci di farlo devono essere significati, solo a questa condizione rinviano, perché il significato è un rinvio. L’aspetto importante in tutto questo è verificare se il linguaggio possa essere qualche cos’altro, perché se non può essere altro che questo allora si fa interessante la questione, perché qualunque cosa a questo punto, qualunque cosa sia pensabile, dicibile, quindi abbia un qualunque tipo di esistenza, è all’interno di questo sistema, cioè del linguaggio, quella cosa che chiamiamo linguaggio che torno a dirvi non è nient’altro che una combinatoria di significati vincolati a delle regole di composizione. L’alternativa è che il linguaggio sia una strumento per definire, per dire cose che linguaggio non sono, ma se il linguaggio fosse questo e cioè uno strumento per definire cose che linguaggio non sono, torniamo al problema precedente, cioè alla possibilità che si dia un qualche cosa che dovremmo conoscere per sapere che cos’è, per poterlo utilizzare, perché se non è un significato, se non ha nessuna relazione, nessuna connessione, nessuna implicazione, allora non è utilizzabile. Immaginare che ci sia un qualche cosa che tuttavia non è un qualche cosa, perché se è un qualche cosa è perché ha un significato cioè rinvia a qualche cos’altro, cioè posso dire di questo qualche cosa che è un qualche cosa. La questione della realtà si manifesta, quando la si pone in termini ontologici, si manifesta con questo impiccio: posso affermarla, posso dire che c’è, posso anche dire che cos’è ma sempre utilizzando altre cose, quindi di fatto non dicendo mai la cosa, come se fossimo immersi in un oceano di significati. Adesso non ci resta che fare l’ultima considerazione, e cioè che gli umani, i parlanti, sono come immersi in giochi linguistici, infiniti giochi linguistici, senza nessuna possibilità di uscirne, ma questi giochi linguistici sono costruiti da un sistema, e non c’è uscita da questo sistema, proprio come nelle macchine, e il fatto che gli umani cerchino una garanzia al di fuori del sistema non fa che riportarli sempre al sistema operativo perché se io cerco la verifica in qualcun altro, questo qualcun altro dove l’ha trovata? Da qualcun altro e così via, ma tutti questi “qualcun altro” non sono altro che dei significati che di volta in volta forniscono un qualche cosa che dovrebbe funzionare da garanzia, questo qualche cosa che deve funzionare da garanzia è necessariamente un altro significato, per cui immaginando che qualche cosa fuori dal sistema possa garantire della correttezza di una sequenza mi trovo preso in quel circolo che è noto come paradosso. Fatto questo ultimo passo siamo arrivati al punto in cui qualunque tentativo di uscire dal sistema operativo ci riporta al sistema operativo necessariamente, è questo che diciamo quando diciamo che non c’è uscita. Questo comporta che la rete di significati produce altri significati all’interno di questa rete e all’interno di questa rete trae i suoi valori di verità, cercandoli all’esterno ci imbattiamo nel tropo del diallele, e allora a questo punto forse possiamo rispondere alla domanda che ci siamo posti all’inizio e cioè cosa fanno esattamente gli umani quando parlano? E la risposta è che costruiscono sequenze all’interno di un sistema operativo che ha in sé in criteri di verifica di tutte le sequenze che produce. Se applichiamo le conclusioni cui siamo giunti in questa breve conversazione alla conversazione stessa, allora possiamo a questo punto costruire un’ontologia, e cioè sappiamo esattamente che cosa c’è, e che cos’è ciò che c’è. Sappiamo che cosa c’è, perché l’unica cosa che verifichiamo è la cosa stessa che ci consente di fare questa verifica, e cioè quella rete di connessioni, di significati, e sappiamo che cos’è ciò che c’è: sono significati. Questa è l’unica ontologia che abbia un senso, e, applicando come dicevo prima, le conclusioni di questa argomentazione che ci ha condotti a questo punto all’argomentazione stessa abbiamo che cosa Eleonora? Abbiamo la clinica psicanalitica. Abbiamo un’apertura sulla questione del linguaggio degli umani, che sono fatti di linguaggio e che comporta un grossissimo problema filosofico, problema che abbiamo indirizzato in un certo modo che ci pare possa portare a delle soluzioni al problema; il problema filosofico è che gli umani sono all’interno del linguaggio e non possono costruire altro che sequenze linguistiche, e che loro stessi non sono altro che sequenze linguistiche, senza nessun aggancio, perché non possono averlo, a nient’altro che ad altre sequenze linguistiche e altri significati, e tutto ciò che abbiamo detto, argomentato in questa serata rispecchia tutto questo perché non è altro che la costruzione di un gioco linguistico. Certo chiunque può metterci di fronte ad altri giochi linguistici che a questo punto varranno quanto altri giochi linguistici, la cui verità, la cui validità, la cui correttezza è rintracciabile unicamente all’interno di quel gioco linguistico e cioè potremmo sempre dirgli che non ha fatto nient’altro che costruire un altro gioco linguistico. E così via all’infinito.