8 gennaio 1998
Che cosa intendiamo dire quando parliamo di logica. L’altro giorno quando dissi a Roberto che avremmo parlato di logica, lui mi fece una domanda, quale logica? Domanda legittima, in effetti ce ne sono molte, così come ci sono molte estetiche, molte religioni, molte psicanalisi... E come mai avviene questo fenomeno? Se consideriamo il fatto che tutto ciò che risulta essere il frutto dell’opinione è sempre comunque per definizione opinabile, allora anche tutto ciò che è stato detto della logica grosso modo risulta altrettanto opinabile, e in effetti è così. Con logica generalmente si intende un insieme di proposizioni che dovrebbero rendere conto di come si ragiona, quando si ragiona ovviamente e cioè quali sono i processi e quali sono corretti e quali no, individuare in definitiva un metodo il più preciso possibile che possa consentire muovendo da una certa premessa di giungere a una conclusione che sia vera, più o meno necessariamente. Ora, la logica contemporanea non si occupa tanto di stabilire la verità ma di trovare dei sistemi che siano il più possibile potenti cioè che giungano a una conclusione il più possibile vera rispetto alle premesse da cui parte e alle regole che utilizza. In effetti, la logica non è altro che questo sistema che dovrebbe insegnare o comunque fornire gli strumenti per ragionare correttamente, e ragionare correttamente non è altro che concludere da alcuni principi in modo indubitabile, sicuro, così come fa un sillogismo per esempio, quello di Aristotele famoso: Tutti gli animali sono mortali, l’uomo è un animale ergo l’uomo dovrebbe essere mortale...
Il problema che la logica ha sempre incontrato da Aristotele in poi ha riguardato in molti casi non tanto il sistema da utilizzare per procedere, quando nel trovare il punto di partenza che fosse sufficientemente affidabile, perché se il punto di partenza non è affidabile è chiaro che qualunque cosa ne seguirà sarà opinabile e allora la logica dice “di questo se ne occupa la retorica, con i suoi entimemi”, che sono appunto i sillogismi non necessari. Eppure questo problema sussiste a tutt’oggi dopo migliaia di anni; come sapete per molti il principio certo da cui muovere per costruire delle proposizioni logiche si appoggia all’esperienza, per altri alla percezione. Una volta non era così, soltanto la deduzione era, almeno apparentemente, l’unico criterio; per Aristotele non è affatto l’esperienza, l’empirìa a questa i greci attribuivano pochissima stima ma ciò che è creduto dai più è vero e quindi, in definitiva, a fondamento di tutto il discorso logico molto rigoroso, molto preciso c’è una credenza più o meno popolare. Tutto l’impianto logico si regge su una credenza popolare, ha questo come suo fondamento poi è chiaro che partire da lì, i metodi per le inferenze, cioè per procedere alle conclusioni, sono i più svariati, alcuni anche molto sofisticati fino alle ultime logiche quella paraconsistenti. Quindi, in definitiva, questo è l’intoppo che si è rilevato riflettendo sulla logica perché la domanda circa quali sono gli elementi da cui muove per argomentare hanno condotto alla considerazione che tutti questi sistemi non avevano alla base altro che una credenza popolare oppure, altra credenza popolare, cioè che per esempio l’esperienza o la percezione siano affidabili, così assolutamente certi da costituire un buon punto di partenza. D’altra parte si sono sempre chiesti tutti quanti da dove muovere per compiere la deduzione, occorre pure muovere da qualche cosa anziché da nulla, e lì sono sorti i problemi ovviamente. Ora, comporta il considerare che tutto l’impianto logico da Aristotele ad oggi è fondato su una credenza popolare, che è la struttura di quella che dice che “se è il gatto nero attraversa la strada allora succederà un malanno”, la struttura è la stessa, oppure d’altra parte “tutti pensano questo quindi questo è vero ”, che è un’altra forma di credenza, di superstizione. Cosa implica dunque tutto questo? Implica che tutto il sistema logico costruito da duemila anni a questa parte è tutto totalmente falso? Potremmo anche dire questo se volessimo, ma non ci interessa dire una cosa del genere anche perché siamo ancora al di qua dallo stabilire questi criteri, come il vero e il falso, anche perché per poterlo fare necessitiamo di una struttura logica che ancora ci manca. Parlare di vero o falso è un non senso, potremmo dire che non è affidabile, vale a dire l’unico obiettivo che un buon ragionamento logico corretto raggiunge è quello di potere dire di avere utilizzato bene le procedure che ha stabilito di usare, solo questo. Anche Wittgenstein giunge a una considerazione molto simile, cioè in altri termini ho giocato bene quel gioco secondo delle regole stabilite e mi sono mosso in modo preciso, non ho commesso errori, diciamola così e quindi sono giunto a che cosa? A nulla, salvo come fanno alcuni attribuire alla comunicabilità di un ragionamento logico la sua utilizzabilità in ambito pratico ma forse non è esattamente questo il motivo che la logica occorre che si ponga, forse ha gli strumenti e ci sono le condizioni perché possa fare qualche cosa di più. Ora, a questo punto si è posta una questione di notevole portata e cioè cosa farsene della logica e se è possibile utilizzarla in qualche modo? E poi, cosa vuol dire utilizzare una struttura come questa? Dicevo prima che è ciò che consente di ragionare, così dicono almeno, ma tenendo conto delle cose dette poc’anzi la questione che si pone è perché una conclusione dovrebbe essere più legittimata a porsi di una qualunque altra, salvo ovviamente il gioco in cui è inserita, tenendo conto che il discorso che si cerca di fare è il più possibile ampio e quindi il meno possibile vincolato a elementi contingenti o gli accidenti, una cosa di questo genere impedisce di proseguire o di concludere alcunché in modo sicuro. In altri termini ancora, tutto ciò che è stato indicato come logica, posto in questi termini, diventa retorica nient’altro che retorica in cui da una premessa qualunque, quella che si ritiene più opportuno accogliere, si conclude in un modo che più aggrada; vale a dire, è sufficiente utilizzare giochi differenti per giungere a conclusioni differenti. Allo stesso modo una figura retorica può essere utilizzata in modi diversi, non per questo uno si chiede se è più vera l’una o più vera l’altra, sono entrambe accoglibili, cioè entrambe producono del senso, si dice che funzionano, ma dalla logica ci si aspetta dell’altro, che sia qualcosa di più o comunque di diverso dalla retorica, tant’è che sono due termini diversi e quindi saranno pure due cose diverse, e pertanto dalla logica ci si aspetta che faccia quelle operazioni che la retorica non fa e cioè di stabilire in modo almeno apparentemente definitivo la verità di una proposizione, in modo che questa proposizione non sia inevitabilmente e inesorabilmente arbitraria, e cioè si possa concludere sempre e inesorabilmente che è vero. Ora, posta in questi termini, la questione diventa molto difficile, come dire che volgere tutto ciò che è stato fatto dalla logica comporta il rilancio della domanda iniziale e cioè da dove partire? E’ possibile partire da qualche cosa o è tutto assolutamente arbitrario? Anche perché se lo fosse tutto sommato non sarebbe neanche nessun male, ma ... perché cercare un punto da cui partire? A che scopo? Per avere qualcosa di saldo su cui appoggiarsi, in definitiva. Posta in questi termini non è altro che la ricerca di dio, possiamo chiamarla così, l’itinerario dell’anima a dio, come voleva il buon Buonaventura, e cioè una ricerca dell’assoluto: su questo posso appoggiarmi e quindi tutto ciò che procederà da qui sarà necessario. Lo stesso Kant poi, inventando il giudizio analitico, ha avviato un procedimento del genere con tutte le obiezioni che poi gli sono state mosse. In effetti, una delle prerogative principali del giudizio analitico è che non dice assolutamente niente e se il soggetto è implicito in ciò che si predica è sempre lì e da lì non usciamo, occorre il giudizio sintetico ma il giudizio sintetico aggiunge un elemento che non è fondabile. Eppure, questo giudizio analitico di Kant ha un certo fascino perché è l’unico in effetti essendo una tautologia che, per dirla così in termini un po’ rozzi, non sgarra, “A = A”, ed allora i più dicono: “cosa ce ne facciamo?” Domanda legittima anche questa, eppure la tautologia è utilizzabile, contrariamente a ciò che si pensa (la tautologia è un’affermazione che in definitiva afferma sé stessa). Intorno a questo ha sempre ruotato il problema della logica: o è assolutamente rigorosa, e allora non dice niente, oppure dice qualcosa ma a questo punto non è più fondabile. Anche il problema che ha incontrato Gödel rispetto alla fondabilità dell’aritmetica verteva sulla stessa questione, è una variante della stessa questione: o l’aritmetica è incompleta, in quanto togliamo un elemento, oppure è autocontraddittoria. In effetti, la richiesta che viene fatta sempre a ciascun elemento è quella di fondare se stesso, un elemento interrogato “dicci da dove vieni, chi sei, chi ti sostiene”. E’ chiaro che di fronte a una domanda del genere qualunque elemento deve rinviare ad altro, perché rinviando a se stesso non risponde alla domanda. E’ una domanda fondamentale ma rispondere a questa domanda esige che cosa? Che esclude l’eventualità che sia altro a rispondere di un elemento, cioè un altro elemento che risponde di quest’altro, perché l’elemento è come se dovesse uscire fuori di sé per potersi rispondere.
La logica così come è posta è inutilizzabile, non serve a niente, cioè è posta come la retorica, assolutamente arbitraria, ma fallisce il suo obiettivo. La stessa logica della scoperta scientifica di Popper risulta assolutamente risibile e facilmente confutabile. Il problema è che qualunque asserzione della logica risulta confutabile e questo è un problema per una proposizione logica. Non lo è per una proposizione retorica alla quale importa assolutamente nulla di essere confutata ma per la proposizione logica invece sì, è forse questa l’unica differenza. Una proposizione se è logica si secca moltissimo di essere confutata, se è retorica non gliene importa assolutamente nulla ma entrambe sono confutabili. Questo è un problema notevole perché se una proposizione si pone come necessariamente vera e che risulta invece confutabile, poiché lo statuto di questa proposizione, la sua dignità, consiste e risiede nell’essere vera, se noi le togliamo questo sostegno diventa nulla, assolutamente nulla.
Ma che gioco ha giocato la logica fino ad oggi? Si è accorta del gioco che sta facendo oppure no? E ancora si è accorta che sta facendo un gioco? O pensa di descrivere qualche cosa che è fuori dal gioco e quindi poter raggiungere prima o poi una verità come quella sub specie et aeternitate, definitiva, l’ultima, il famoso interpretante logico finale di cui parla Peirce. Se è questo che va cercando è una contraddizione in termini, una follia, non lo troverà mai, ma questo direi per definizione, cioè per una questione prettamente grammaticale. Infatti, il linguaggio è fatto in un modo tale per cui può sempre costruire a fianco di una proposizione un’altra proposizione, ciascun elemento essendo necessariamente un elemento linguistico è connesso ad altri elementi linguistici, questo fa sì che qualunque proposizione voglia stabilirsi come ultima incontrerà sempre un rinvio, un rilancio ad un’altra e quest’altra proposizione ancora. Faccio un esempio: uno stabilisce una proposizione asserendo che questa è vera, voi chiedete perché e lui ve lo dice, voi continuate a chiedere perché, potete andare avanti all’infinito, nessuno potrà arrestarvi lungo questo domandare. E’ una cosa molto banale se portata alle estreme conseguenze. E allora ecco che la logica si è limitata a dire semplicemente, arrogandosene di volta in volta il diritto, a quale punto occorre fermarsi, a quale punto si deve fermarsi. È chiaro che è una decisione di autorità che è poi riconducibile a ciò che dicevo prima e cioè questa proposizione è vera perché ho stabilito così. Dunque, sembra che non ci sia scampo da una cosa del genere che ha portato poi alla costruzione di pensieri filosofici piuttosto noti, che partono dallo scetticismo fino al nichilismo, se nulla è vero o se nulla è muoia Sansone con tutti i filistei, e allora, come diceva il nostro amico “se dio è morto tutto è permesso”, solo che perché sia morto occorre che prima sia stato vivo, grammaticalmente suole dirsi così, e questo ha avuto qualche implicazione, anche in questa proposizione. Dunque, dicevo che il punto in cui ci si trova è quello che già gli scettici antichi trovavano e dal quale non c’è uscita, non ha di fatto nessuna possibile confutazione. Riguardo agli scettici, gli uni non possono provare le cose che dicono mentre gli altri se applicano al loro discorso le stesse cose, le stesse critiche che applicano a tutti gli altri discorsi, cadono nel famoso tropo del diallele, noto alla retorica come circolo vizioso, come dire che nulla è fondabile, nulla è certo, quindi anche questa proposizione che lo afferma non è certa, varietà note da un paio di migliaia di anni e dunque anche questa via non ci porta da nessuna parte, e allora? Abbandonare il pensiero a se stesso? E dedicarsi alla cultura dei fiori? Perché no? Oppure considerare che tutti questi modi di pensare sono dei giochi. In questo Ludwig Wittgenstein ha dato un contributo, quanto meno ha aperto la strada, lui dopo molti altri ovviamente, però lui ha formalizzato in termini forse più precisi e consapevoli. Quindi, considerare, come dicevo, che si tratta di giochi, come il tre sette o il poker, con delle regole, per giocare quel gioco occorrono quelle regole, cioè occorre attenersi a quelle regole se no non si gioca, se io non mi attengo alle regole del poker non giocherò mai a poker, non c’è verso, posso provare ad applicare le regole degli scacchi giocando a poker, non riesce. Il considerare tutto questo come gioco linguistico, cioè alla stregua di un gioco qualunque, toglie tutto questo manto di serietà e di gravità di cui la logica spesso si è coperta e cioè quella dottrina che si occupa proprio di stabilire in modo certo, inequivocabile, che cosa è vero e che cosa no. E’ di questo che dovrebbe occuparsi, che poi ci riesca è un’altra questione, e quindi a questo punto di nuovo la logica, essendo un gioco fra gli altri possibili e perdendo quindi la prerogativa principale, si riduce a che cosa? A niente, a un gioco di carte assolutamente inutilizzabile. Certo, uno lo può giocare come gioca qualsiasi altro gioco ma sapendo che è un gioco, che quindi non porta a nulla, nulla di ciò che la logica intende. Questa fantasia metafisica non ci ha abbandonati del tutto, la metafisica è una delle cose più interessanti che gli umani hanno costruito perché si è trattato di uno sforzo di proporzioni bibliche per dare una dignità logica, una verità assoluta a qualcosa che in nessun modo poteva averlo. Per millenni non ha fatto altro che arrampicarsi sui vetri ma con questa operazione ha prodotto delle cose notevoli. Quanto dicevamo l’altro giorno prendendo dal nostro amico stagirita, Aristotele, che ciò che lui diceva del motore immoto in effetti può applicarsi perfettamente a ciò che andiamo dicendo, la dicevamo grossa, tuttavia è questo ciò a cui stiamo giungendo. Siamo giunti alle stesse conclusioni anche se chiaramente duemilacinquecento anni ci hanno consentito un passettino in più, non molto, però... Dunque, pensate al motore in moto e cioè qualche cosa che muove senza essere mosso da altri che non sia se stesso, è stato dio ovviamente la prima pensata, ma siccome non siamo sufficientemente credenti abbiamo considerato che ciò che muove senza essere mosso da altro all’infuori di sé forse è esattamente ciò che si andava cercando. Cercavamo il motore immoto, abbiamo trovato dio? No, dio è una figura retorica, neanche delle migliori, ce ne sono di più interessanti, abbiamo trovato di più e cioè un gioco il quale ha una struttura particolarissima, indica quale necessariamente è la struttura di qualunque gioco possibile. Allora, ecco, non tanto la domanda se qualcosa sia fondabile ma da dove viene questa domanda, e prima ancora che cosa la rende possibile. Io mi sto domandando delle cose, per esempio se un elemento un qualunque elemento risulti fondabile, oppure se l’essere è necessariamente oppure necessariamente non è, oppure se ho lasciato le sigarette in macchina, posso chiedermi qualunque cosa, ma il fatto che mi chieda una qualunque cosa è sorprendente e allora ecco ancora la domanda “che cosa mi consente di chiedermi” e, come ciascuno di voi sa, la struttura individuata che risponde a questa domanda è il linguaggio. Abbiamo definita questa struttura nel modo più ampio possibile, cioè esattamente appunto come ciò che mi consente di chiedermi per esempio che cos’è il linguaggio o qualunque altra cosa, vale a dire come ciò che mi consente di pormi una qualunque domanda. E allora la domanda non è più la ricerca di qualcosa che sia fondabile e nemmeno di qualcosa che sia dimostrabile o confutabile - non c’è cosa che non sia provabile o confutabile a piacere - ma è la ricerca di qualcosa che non si possa negare, solo questo, non si possa negare per una struttura particolarissima, il linguaggio, il quale vieta di affermare e negare simultaneamente la stessa cosa, il principio del terzo escluso, dunque non posso negare qualcosa negando il quale io negherei la possibilità stessa di negare alcunché. Allora, a questo punto la logica assume un altro aspetto, sbarazzata di tutto ciò che abbiamo attribuito alla retorica e cioè tutte le fantasie circa i sistemi più o meno arzigogolati per raggiungere la verità; si tratta di intendere invece con logica unicamente quelle strutture senza le quali il linguaggio cessa di esistere, poi questi elementi che possiamo indicare con questo termine procedure, a me è piaciuto chiamarle così, potevamo anche chiamarle Peppino, solo che poi si creavano degli equivoci e diventava più difficile dopo comunicare, procedure nel senso che sono elementi che consentono ad altro di procedere. Sono procedure linguistiche, per esempio, i tre principi aristotelici, assolutamente innegabili, perché io non posso affermare A e non A simultaneamente, perché non lo posso fare? Perché per negare A devo già dare come acquisito che ci sia A, e già devo affermarla, quindi prima la affermo e poi la nego. Ora, questo procedimento mi costringe per negare qualcosa ad affermarla, certo posso negare la stessa cosa che affermo ma attraverso una variante e cioè una figura retorica, la figura retorica lo fa continuamente. Se affermo “e non dico quanto sono bravo” chiunque sia presente capisce che intendo esattamente questo, eppure l’ho negato, perché qualcosa vari. Una figura retorica è una variante e perché qualcosa vari occorre che qualcosa non vari. Allora, diciamo che la logica è definita unicamente da ciò che nel linguaggio non varia, cioè non può variare, salvo come dicevo prima la dissoluzione del linguaggio, non può variare …
CAMBIO CASSETTA
… dunque procedure che non possono essere eliminate, non possono essere tolte. Se l’elemento è identico a sé io posso dire che è differente da sé, ma se non ci fosse un qualche cosa che io affermo come identico a sé, se ciascun elemento fosse necessariamente altro da sé, come affermano alcune filosofie francesi - i francesi amano i paradossi. Prendete Lacan per esempio che afferma che ciascun elemento è altro da sé, come lo sa? Come fa ad affermare che qualcosa è altro da sé se non ci fosse un sé di assolutamente identico, per stabilire che è altro, allora la sua affermazione è un non senso, cioè non dice assolutamente niente, ha un senso se e soltanto se quell’elemento è identico a sé, allora posso affermare che è altro da sé. Ma allora una logica fatta a questa maniera cosa ci consente di fare? Intanto ci consente di considerare come è fatto il linguaggio e intanto quali sono gli elementi che non possono togliersi, che cioè intervengono come invarianti o potremmo dire che non sono negabili è la stessa cosa, ci costringe a una riflessione intorno al linguaggio ma non soltanto questo, perché porre la logica in questi termini, torniamo al punto da cui siamo partiti, costringe per così dire a considerare ciascun’altra logica come una variante rispetto a questi e quindi come una figura retorica. L’unico che almeno fino ad un certo punto ha cercato di rimanere entro ambito prettamente linguistico come è noto è stato Aristotele, fino ad un certo punto, e in effetti gli Analitici primi e in parte anche gli Analitici secondi sono un’analisi o una descrizione delle procedure linguistiche ma in buona parte risultano non utilizzabili, perché la logica posta in questi termini risulta non utilizzabile, ciò che si intende con ragionamento generalmente è retorica, non è logica, la logica così come la stiamo definendo, non posso ragionare in questi termini, cioè attenendomi alla logica così come la stiamo definendo, perché le procedure linguistiche cioè tutti gli elementi che intervengono come invarianti, tutto ciò che non è possibile negare, non porta da nessuna parte, semplicemente si afferma. Ecco perché Kant non aveva tutti i torti, o meglio più che Kant i suoi obiettori, l’affermare che un giudizio analitico non conduce da nessuna parte, cioè si afferma e bell’e fatto, ma il fatto di affermarsi in questo caso, non nel caso del giudizio kantiano, ha invece delle implicazioni, perché se io affermo che per esempio “nulla è fuori dalla parola”, già con questo compio un’affermazione retorica ma ciò che dico risulta non negabile, cioè risulta non eliminabile. In altri termini ancora, è un pensiero questo che mano a mano si va formulando che ha questa prerogativa, quella di non essere eliminabile, stazionano sulla memoria, si piazzano lì, puoi resettare tutto il sistema e quelli non si muovono, puoi buttare via tutto o quasi, perché non è eliminabile, cioè qualunque discorso possa farsi queste considerazioni rimangono. Ora, è chiaro che l’obiezione che è stata rivolta anche in questo caso è la non utilizzabilità di un sistema del genere, che cioè sia innegabile, ma detto questo non si va da nessuna parte. Non è così, perché si va e anche molto veloci, però questo riguarderà l’aspetto retorico mentre rimaniamo ancora in ambito logico, questo ci occuperà ancora un certo numero di incontri. A questo punto parrebbe che la logica effettivamente avesse esaurito la sua missione, stabilire il limite, il limite del pensabile, ciò che Aristotele chiamava motore immoto, il linguaggio come l’unico, posto in questi termini, come l’unico elemento che muove ciascuna cosa ed è mosso unicamente da sé, potremmo dire che Aristotele non aveva torto anche se, come si diceva prima, lui pensava in modi un po’ differenti, però la questione l’ha posta. Dunque, avremmo trovato in altri termini ancora ciò che gli umani da duemilacinquecento anni cercano inutilmente, quell’elemento che generalmente è stato inteso con dio, con l’assoluto, tutto ciò a cui si è attribuita la prerogativa di essere, come dire?, la battuta di arresto, le colonne d’Ercole, oltre il quale non è possibile andare, e in effetti, pare che queste proposizioni stabilite in questo modo costituiscano il limite, il limite del pensabile, il limite in quanto dal linguaggio non è possibile uscirne. Queste proposizioni non fanno altro che descrivere la funzione del linguaggio, e quindi si pongono come le ultime possibili, che sembra quasi una condanna posta così, una condanna in quanto non c’è uscita dal linguaggio ma ciò che risulta non necessario è che questo sia posto come una condanna. Allora, la logica, posta in questi termini, non fornisce un corretto modo di ragionare, che invece fornisce la retorica, neanche nel caso dell’ autocontraddizione, questa struttura che andiamo man mano elaborando consente in effetti qualunque cosa, qualunque cosa e il suo contrario, è come se fosse l’hardware, ciò che consente a vari sistemi, a vari programmi di funzionare ma di per sé non fa assolutamente niente: se levi tutto il software al tuo computer, a qualunque comando non saprà certamente rispondere; se tu ti attenessi a questa struttura di pensiero, di fronte a una qualunque affermazione o proposizione, frase ecc, rimarresti esattamente lì come il computer, e allora? Morirai fra dieci minuti, stessa reazione e allora? Perché manca il software, cioè manca tutto ciò che consente a questo aggeggio di funzionare. Tuttavia, è essenziale porre questa distinzione che abbiamo posta tra logica e retorica in termini così un po’ rozzi, l’hardware e il software, perché tutto ciò che viene generalmente attribuito o spacciato in molti casi come sistema per il corretto ragionare risulta assolutamente folle, una follia, pensare che un modo di ragionare sia più corretto di un altro in assoluto o che un sistema possa essere meglio di un altro, sono proposizioni che non hanno nessun senso, e quindi comincia intanto da sbarazzare dalla necessità di cercare per esempio la verità, prima, ultima o mezzana che sia. Che cos’è la verità? Ciò che io voglio che sia ovviamente, non può essere altrimenti. In ogni caso ha un suo uso grammaticale ovviamente, perché se io parlo di verità ciascuno a modo suo intende qualche cosa e comunque molto distante da un bue muschiato o da un piatto di spaghetti. Perché intende una certa cosa? Ma perché generalmente con verità si intende ciò che è necessariamente, ciò che non può non essere, ciò che è necessario, ma se noi intendiamo in questo modo verità allora l’unica proposizione che possiamo dire che è necessariamente vera è che non c’è uscita dal linguaggio, ad esempio, allora questa risulta necessaria, perché la sua contraria non può essere formulata, salvo affermare esattamente ciò che sta negando. Però, non sappiamo se ci interessa utilizzare in questo modo questo significante verità, è più interessante utilizzarlo come shifter, come operatore deittico, un indicatore indica ciò che in ciascun momento nel mio discorso assume una priorità rispetto ad altro, per esempio, ma non soltanto. E’ chiaro che la nozione di verità posta in questi termini differisce notevolmente da ciò che è comunemente inteso e, comunque la si voglia pensare, generalmente è posta in questi termini, come ciò che necessariamente è. Il linguaggio è quella struttura che ci consente di affermare che è vero oppure che è falso, dire che una cosa è vera oppure che è falsa. Ciò che andiamo dicendo intorno alla logica è ciò che ci consente di giungere a questa considerazione, di tenere conto che queste affermazioni avvengono all’interno in un gioco e che sono supportate da alcune regole precise, esattamente come quando dico che avendo quattro assi vinco a poker Roberto che invece ha due jack, questa proposizione è vera e dicendo che è vera affermo un qualcosa ...
In ciò che facciamo abbiamo ripreso un po’, ecco perché la Seconda Sofistica, il gesto dei Sofisti, cioè di sbarazzare almeno in parte da ciò che viene ritenuto essere necessario e cioè, per esempio, che qualcosa di vero, che è assolutamente vero da qualche parte ci sia, lo stesso Popper continua a pensarlo, il discorso scientifico e anche quello logico. Voi prendete un qualunque testo, non un manuale, i manuali non servono a niente, prendete un testo di Frege, di Russell o dello stesso Wittgenstein, ad un certo punto se voi leggete distrattamente vi accorgete che si fermano, si fermano di fronte alla necessità, che prima o poi incontrano, di fondare da qualche parte ciò che stanno dicendo. Curiosamente nessuno di loro potrebbe mai ammettere che tutto ciò che sta dicendo è assolutamente arbitrario, è niente, come se raccontasse la favola di Cappuccetto Rosso, nessuno di loro sarebbe disposto ad ammettere una cosa del genere. Questo è ciò che distingue il logico da uno che racconta le fiabe, uno che racconta le fiabe non si preoccupa, invece il logico sì, tant’è che cerca disperatamente di fondare ciò che afferma e questo a noi interessa, a me interessa in particolare, perché è ciò con cui ho a che fare quotidianamente nel lavoro, e cioè con certezze, con sicurezze che non sono strutturate in modo differente dalla certezza logica, anzi in molti casi sono anche più salde. Ma da dove viene questa necessità di certezza, di avere un riferimento ultimo finale, che può essere dio, può essere la morte, può essere la verità o altre cose, da dove viene? Che senso ha una ricerca di questo tipo? La logica in buona parte è responsabile di tutta una serie di superstizioni, ponendosi come un metodo, tra l’altro fra i più accreditati, per la ricerca della verità, ha già dato come implicito e acquisito che questa sia, che necessariamente sia e possa reperirsi. Voi leggete un testo di logica, torno a sottolineare non un manuale, quello non serve a nulla, vi accorgete sin dalle prime battute, sono sempre importanti le prime righe di un libro, lì trovate generalmente ciò che viene dato per acquisito, ciò su cui si fonda tutto e che in linea di massima dopo la prima riga non viene più citato né trattato anche perché, se venisse fatto, creerebbe qualche problema, come dire diamo per acquisito che è così quindi... è da lì parte e va avanti per 750 pagine ma da lì, da dove parte voi trovate in molti casi affermazioni di una ingenuità sconcertante, anche in testi di logica considerati autorevoli, affermazioni di fronte alle quali viene da domandare “ma come lo sai? chi ha detto una cosa del genere?” E invece è data per acquisita, è un modo di procedere che non è insolito ed è esattamente quello che ciascuno utilizza nel proprio ragionamento. Ecco perché siamo partiti proprio dalla logica, quella corrente, perché effettivamente nella sua definizione ci ha indicato la via da cui muovere, cioè la logica indica il modo di ragionare corretto quando si ragiona correttamente, e in effetti mostra che cosa? Ciò che i più credono che sia corretto, ciò che i più credono che sia necessario e questo è fondamentale saperlo, tutto il discorso occidentale è fondato su questo, su quelle ingenuità da cui muovono i testi di logica, dico di logica perché generalmente sono i più seri, proprio nell’accezione positiva del termine, cioè compiono un’analisi molto attenta, molto rigorosa, però, però muovono da premesse, per usare un eufemismo, discutibili. Come d’altra parte fa ciascuno e non se ne accorge, esattamente come chi ha scritto il testo di logica, non se ne accorge perché porsi di fronte a una cosa del genere è arduo e generalmente senza via di uscita, noi l’abbiamo trovata attraverso una sorta di … come dire? di eliminazione, ché inizialmente sono andato avanti per eliminazione di tutto ciò che risultava assolutamente arbitrario, continuando a domandarmi, un po’ per gioco e un po’ no, se mai potesse stabilirsi qualcosa di totalmente arbitrario, se sì allora va beh allora possiamo partire da qualunque cosa e il suo contrario, non c’è problema, partiamo dall’esperienza, partiamo dalla sensazione, dalla percezione, partiamo da dio, perché no? Che differenza fa? E’ come se a questo punto ci trovassimo davanti a una cosa nuova, dove non c’è più nessun soccorso da parte né degli antichi né dei moderni, cosa che per un verso è favorevole per l’altro no. E’ favorevole indubbiamente perché comporta il rendersi conto di muoversi in un ambito sconosciuto e quindi fare qualche cosa che con buona probabilità non è stato fatto prima, sfavorevole perché mancano i riferimenti, cioè non c’è più nessun riferimento cioè a chi? Dove mi oriento? Gli unici riferimenti sono gli elementi che sono stabiliti e cioè le regole del gioco che si è stabilito di fare, nient’altro che questo, ma a chi ci appelliamo? A Frege? A Russell? A Wittgenstein? Grice...Davidson...sono logici
Intervento: Magari c’è da qualche parte qualcuno che pensa delle cose simili …
Dalle cose che sono reperibili no... Diciamo che i riferimenti di cui disponiamo per esempio nel campo dell’editoria o oggi anche di Internet no, non c’è nessuno che si avvicini a una cosa del genere e questo come vi dicevo crea anche qualche problema, perché l’appello alle auctoritates, sempre “ipse dixit” qui “ipse dixit” niente, eppure come dicevo ci si trova di fronte a qualcosa di assolutamente nuovo e che offre una possibilità di indagine di ricerca sterminata. Io in genere ho la sensazione di essere a un millesimo del lavoro che occorre fare in questo senso, forse dicendo millesimo mi sono allargato, perché le implicazioni, le connessioni che possono trarsi sono sterminate, anche se il primo impatto è quello dell’arresto, come dire?, oltre a questo non è possibile andare e quindi ci fermiamo ma non è così. Questo impatto che si ha procede, come mi sono reso conto in molti casi, dal sovrapporre il sistema di pensiero occidentale a questo modo di pensare, allora c’è l’impatto, allora c’è il blocco totale, in effetti... E’ una questione bizzarra di cui poi parleremo, che ha coinvolto anche molti che si sono allontanati proprio per via di questo impatto, in alcuni casi molto violento, con successivo smarrimento e tutta una serie di operazioni.