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7-12-2005

 

Quali questioni state considerando?

Intervento: le accennavo prima alla questione della coerenza, visto che abbiamo detto che una delle prerogative per cui il linguaggio possa funzionare è che posta una premessa il prosieguo sia coerente con questa premessa se non fosse così non ci sarebbe linguaggio perché non essendo coerente non si produrrebbero delle proposizioni, questo in ambito logico non retorico perché come abbiamo visto il discorso in cui ci troviamo se non nota la contraddizione è come se questa contraddizione non esistesse… chiedevo qualcosa in più sulla questione della coerenza e cioè quando possiamo affermare che un elemento è coerente con un altro elemento

Sì possiamo, anche se ne abbiamo già parlato a lungo, lei dice che il linguaggio è costretto ad essere coerente, anzi funziona proprio perché è coerente…

Intervento: sì, l’unica prerogativa è che non sia autocontraddittorio con la premessa ché se no non ci sarebbe linguaggio… però visto che sono strutture retoriche e la contraddizione è la forma…

Occorre chiarire questo concetto di coerenza, abbiamo detto molte volte che cosa intendiamo con coerenza: la non contraddittorietà tra un elemento e quello che ne è la condizione, in altri termini significa soltanto che un elemento, intendiamo un elemento linguistico, non può negare l’elemento che è condizione della sua esistenza, nient’altro che questo, sappiamo che il linguaggio funziona così e che quando arriva a stabilire che qualcosa è vero stabilisce questo in base a una sola chiamiamola “considerazione” tra virgolette, e cioè che ciò che afferma non contraddica ciò da cui è partito, a questo punto può proseguire, cioè soddisfa una delle regole del linguaggio e quindi prosegue lungo quella via, e se il discorso può proseguire in una direzione o più propriamente se prosegue allora chiama quella direzione vera, se non prosegue la chiama falsa. Ora è ovvio che questo riguarda il funzionamento del linguaggio, però può dire anche qualche cosa di più, Beatrice dice che retoricamente è possibile contraddire, certo, anzi molte figure retoriche puntano proprio su questo per esempio l’antinomia, l’ossimoro “la neve nera”, però perché questo sia un ossimoro cioè produca l’effetto che deve produrre occorre che ciascuno sappia che la neve non è nera, se no non produrrebbe nessun effetto, cioè contraddica qualche cosa, quindi per potere contraddire la retorica è necessario che ciascun elemento sia identico a sé, se no non può contraddirlo…

Intervento: non mi è mai stata chiara questa questione della contraddittorietà perché nel parlare comune, la contraddittorietà cioè le persone non potendo tenere conto di quello che vanno dicendo moltissime volte si contraddicono… difatti noi diciamo che qualsiasi cosa è un elemento linguistico e quello che segue da questa proposizione che noi affermiamo… abbiamo visto quali sono gli effetti nessuno tiene conto di una cosa di questo genere

In effetti non è che la coerenza sia un ghiribizzo estetico, è qualche cosa che è necessario perché tutto il sistema funzioni…

Intervento: è questa la questione! Ché se all’interno del linguaggio ad un certo momento non ci fossero due elementi coerenti tra loro, quindi A è uguale ad A, in prima istanza il linguaggio non funzionerebbe

Sì, affermare che A è uguale ad A, significa anche affermare che A non può negare la condizione della sua esistenza e cioè di essere A, è ovvio, per dirla in modo ancora più preciso ciascun elemento non può negare di se stesso di essere un elemento linguistico, e perché non lo può fare? Perché si contraddirebbe, perché per potersi affermare occorre che sia un elemento linguistico e cioè che sia all’interno di un sistema che consente di compiere questa operazione, se lo nega ecco che costruisce un paradosso, cioè afferma di sé di non essere una certa cosa a condizione di esserlo. Ma c’è ancora un altra cosa da aggiungere rispetto alla coerenza, che pone una questione più complicata e che riprende ciò che dicevamo l’ultima volta e cioè la domanda: perché si parla, perché ciascuno dice le cose che dice e afferma le cose che afferma, perché pensa le cose che pensa, perché sogna le cose che sogna, c’è un motivo? Intanto vorremmo sapere che cos’è un motivo prima di rispondere a una domanda del genere, letteralmente è qualcosa che muove e ciò che muove è il linguaggio che di per sé non può fare nient’altro che questo: proseguire a costruire altre proposizioni, aggiungere delle cose, non può fermarsi in nessun modo e per nessun motivo, quindi la risposta a questa domanda potrebbe essere semplicemente che il linguaggio funziona così, però io non ho chiesto perché le persone parlano ma perché affermano le cose che affermano anziché altre, perché pensano le cose che pensano. Immaginiamo il linguaggio come un sistema operativo, nient’altro che una sequenza di istruzioni per costruire proposizioni, nient’altro che questo, sono istruzioni: questo si può fare, questo no, questo sì, questo no, come tutti i giochi sono regolati ovviamente appunto da regole, e una regola è un’istruzione che consente una mossa e ne impedisce un’altra, la sequenza che viene costruita e che è una sequenza di proposizioni, quindi il discorso, viene costruita tendendo conto unicamente delle procedure che conosciamo e cioè la non contraddittorietà e l’identità a sé di ciascun elemento, identità a sé che può essere intesa come la possibilità di distinguere ciascun elemento da ciascun altro, se questo non si desse il linguaggio cesserebbe di funzionare, poiché se con una parola potessi dirle tutte simultaneamente diventerebbe complicato. Come dire che ciascuno, mano a mano che procede, dopo che ha trovato che da una certa parte può proseguire e quindi chiama quella direzione vera, utilizza ciò che ha reperito per costruire altre cose e così via all’infinito, tutta la sua esistenza passa in questo modo, dunque perché afferma le cose che afferma? Perché all’interno del suo discorso, cioè del gioco che sta facendo risultano vere, cioè gli consentono di proseguire, come dire che ciascuno dice le cose che dice e pensa le cose che pensa soltanto perché il suo discorso glielo consente, gli consente di andare in quella direzione, quindi se non dice altre cose è perché il suo discorso glielo impedisce. Dunque è soltanto il fatto che qualche cosa sia stato accolto all’interno di questo sistema operativo come funzionante, e cioè capace di proseguire in una direzione, a offrire il destro per proseguire a parlare, solo questo, non c’è nient’altro. Pensate a una conversazione qualunque, di qualunque tipo, fatta per qualunque motivo, che cosa accade? Generalmente una persona incomincia con l’affermare certe cose, cioè cosa fa esattamente? Dice qualcosa che sa o che ritiene di sapere, cioè afferma, proprio letteralmente lo ferma, lo stabilisce, e una volta che è stabilito da lì può proseguire ad aggiungere altro, sempre che il suo discorso non contraddica ciò che ha stabilito. Questo linguaggio, questo sistema operativo ha questa funzione, e quindi prosegue all’infinito esattamente in questo modo, generalmente si suppone che ci sia un’intenzione, la famosa intenzione del parlante, però questa intenzione di che cosa è fatta? Sì, del volere dire qualcosa, del volere fare qualcosa, del volere pensare qualcosa certo, e perché vuole fare questo? A che scopo? Sappiamo che lo fa, e lo fa per tutta la vita ininterrottamente, ventiquattro ore su ventiquattro ma, dicevamo, perché lo fa? Intanto qui c’è una sorta di sovrapposizione che può risultare equivoca, quando parliamo di qualcuno in realtà stiamo parlando del discorso, di questa struttura, di questo sistema operativo, ma questa intenzione dunque? Che intenzione ha un discorso? Lasciamo stare il qualcuno, poniamo la cosa in termini radicali, che intenzione può avere un discorso? Stabilire qualcosa, cioè affermarlo in modo tale che risulti vero e in modo tale, dicevo prima, che possa proseguire, questa è l’intenzione, poi uno può anche domandarsi perché una persona fa una certa cosa ma si trova preso in un rinvio: da questo per quest’altro, da quest’altro per quest’altro, da quest’altro per quest’altro ancora fino alla domanda finale che non può essere che questa: perché continua a vivere? Perché vuole vivere? Non che debba volere non farlo, però in fondo tutte queste questioni portano alla questione essenziale, qualunque cosa una persona voglia, se si incomincia a chiedere perché vuole questo? Per ottenere questo, per ottenere quest’altro, e se proseguite arrivate a fine corsa, con la risposta: per vivere. Perché vuole farlo? Ecco che a questo punto arrivati a fine corsa, torniamo là da dove siamo partiti, e cioè al fatto che ciò di cui è fatto, cioè il linguaggio, non può fermarsi, ecco perché vuole vivere, non c’è nessun altro motivo. Tecnicamente la cosa potrebbe essere assolutamente irrilevante, vivere oppure no, se non fosse che il linguaggio di cui è fatto lo costringe a proseguire cioè costruire altre proposizioni è questo che sia Gadamer che molti altri non hanno inteso e se non si intende questo si arriva a ipotesi fantasiose, fumose bizzarre nella migliore delle ipotesi, la natura vuole questo, è sempre stato così oppure “deus vult” che è sempre una gran bella risposta, ma se non ci si accontenta di una cosa del genere occorre cercare qualche cos’altro, e nessuno ha fornito una risposta esauriente e soddisfacente a questa domanda, tranne me, e in effetti era l’uovo di colombo, perché ciò di cui ciascuno è fatto e cioè il linguaggio, il suo discorso, non può fermarsi, semplicemente lo costringe a costruire altre cose e quindi a rinviare ancora e quindi a costruire tutte quelle cose che si chiamano futuro, progetti etc. La volta scorsa parlavamo della sequenza, la sequenza di elementi linguistici che viene costruita praticamente senza sapere nulla del funzionamento del linguaggio, e dicevamo che non per questo il linguaggio non funziona, funziona benissimo, funziona benissimo anche se non se ne sa assolutamente niente del linguaggio e di come funzioni, tant’è che chiunque continua parlare ininterrottamente, e si faceva l’esempio della bimbetta che utilizza all’interno di una sequenza una certa parola di cui ignora il significato, ciononostante sa usare quella parola all’interno di una sequenza in modo corretto e si considerava che imparare a parlare non è nient’altro che imparare a usare un certo termine, ma non come diceva Wittgenstein imparandone l’uso e quindi il senso, ma semplicemente imparando qual è la posizione di quell’elemento all’interno di una combinatoria, nient’altro che questo, una volta che sa fare questo ha imparato a parlare cioè ha imparato a costruire delle proposizioni che all’interno di un sistema vengono riconosciute come tali, come proposizioni, discorsi etc. provviste di significato, ma qui con “provviste di significato” che cosa intendiamo? Semplicemente che sono riconosciute all’interno del sistema come proposizioni, nient’altro che questo, che poi se chiedete a qualcuno che cos’è il significato esatto di ciò che ha detto in moltissimi casi non vi viene fornita nessuna risposta, o comunque non un risposta soddisfacente, così come alla bimbetta che parla di esistenza o di educazione, se chiedete che cosa intende esattamente con questi termini non saprà rispondervi, cionondimeno li ha usati correttamente. È singolare questa questione, ed è anche singolare che una persona che sa molto bene il significato delle parole, se gli si chiede il significato di ciò che ha detto deve costruirlo come se non fosse già lì in ciò che ha detto, come se dovesse costruirlo in quel momento, cioè che cosa deve fare? in realtà costruirà altre proposizioni situando gli elementi nel posto giusto…

Intervento:…

Tenga conto che se prosegue, se può proseguire, allora ha soddisfatto il criterio fondamentale: prosegue quindi va tutto bene, è soltanto quando c’è qualche problema, cioè non prosegue allora chiama quella direzione falsa, e allora se ne cerca un’altra…

Intervento:…

Anche certo, è sufficiente che il mio discorso prosegua, non è richiesto nient’altro, se va avanti, per il solo fatto che prosegua già testimonia che ha soddisfatto il requisito principale, e cioè che non mi sto contraddicendo o almeno che non me ne accorgo, se non me ne accorgo è come se…

Intervento: non fosse contraddittorio

Esattamente, perché al momento in cui me ne accorgo allora da quel momento in poi non posso più andare in quella direzione, non lo posso più fare perché il linguaggio me lo vieta, la sua struttura e quindi il suo funzionamento: non posso credere vero ciò che so essere falso, non lo posso fare, e chi me lo impedisce è la struttura del linguaggio, cioè non posso non concludere che se in questa brevissima, banale sequenza “se A allora B, se B allora C” non posso non concludere che “se A allora C”, non lo posso fare perché se non fosse così allora tutto il sistema che mi consente di pensare a una cosa del genere crollerebbe e non funzionerebbe più, e quindi da quel momento in poi non si porrebbe più nessun problema. Dunque gli umani vivono solo di questo Daniela? Non sono nient’altro che un sistema operativo che funziona e che per altro non può neppure interrogare se stesso oltre un certo punto?

Intervento: c’è una deresponsabilizzazione non si pensa a quello che si sta facendo

No, questo sicuramente no, non solo ma non può neppure interrogarlo oltre a un certo limite, il linguaggio non lo può fare, come per esempio: da dove viene il linguaggio, oppure che cosa c’è fuori dal linguaggio? Non è consentito per un motivo molto semplice: qualunque cosa risponderà a queste domande in ogni caso non potrà mai essere verificata e non potrà esserlo perché al di fuori del linguaggio non può verificare nulla, perché il linguaggio è lo strumento che le consente di verificare qualunque cosa, in assenza di linguaggio non può verificare niente, non può neanche porsi la domanda se ci sia qualcosa da verificare. Questo è il problema che ha travagliato gli umani negli ultimi tremila anni e che noi abbiamo risolto, e cioè per trovare qualcosa che sia fondabile occorre un criterio che lo sia almeno altrettanto, ma quale criterio? Quale criterio non risulterà arbitrario? Qualunque criterio lei utilizzerà questo criterio comunque dovrà mostrare la sua necessità, non dovrà mostrarsi arbitrario, se no potrei prenderne un altro e quindi giungere a conclusioni radicalmente opposte e a questo punto non ce ne facciamo nulla, quindi Daniela come si risolve il problema? Uullateràumani negli ultimi tre tilizzando come criterio la stessa cosa che consente di creare qualunque criterio, e cioè il linguaggio, il funzionamento del linguaggio, e porre le regole che regolano il funzionamento del linguaggio come il criterio per la verità. A questo punto ha trovato l’unico criterio che non è confutabile in nessun modo perché per confutarlo ha bisogno del linguaggio e quindi costruirebbe una sequenza di proposizioni incoerenti, autocontraddittorie e pertanto non utilizzabili, non utilizzabili almeno in ambito teorico ovviamente, perché poi fuori di lì succede l’ira di dio, come ciascuno sa, ma se ci atteniamo alla teoresi più schietta ecco che siamo costretti nelle rigide regole del pensare teoretico, quello che deve dimostrare e provare ciò che afferma. Ma qui ci si trova di fronte a quella sorta di “paradosso” mettiamolo tra virgolette perché non è propriamente un paradosso, quello del discorso occidentale che esige, per esempio la scienza, esige che qualunque affermazione sia provabile, deve poterlo fare ma non fornisce nessun criterio che risulti necessario, nemmeno la scienza lo può fare perché al di fuori del linguaggio e cioè di queste uniche proposizioni che risultano necessarie, tutte le altre sono arbitrarie e questo significa che se una persona è sufficientemente abile e ha tempo ha disposizione può confutare qualunque cosa, anche la legge di gravità se vuole farlo, perché non è fondata su qualcosa di necessario. Per esempio l’osservazione è un criterio, ma non è necessario, perché se ne possono porre anche altri, mentre se utilizzate il linguaggio non potete porne un altro perché quello è la condizione di qualunque altro, anche l’osservazione come sappiamo bene per potere esistere ha bisogno di essere inserita all’interno di un sistema che la organizzi, al di fuori di questo non è niente e il sistema che la organizza si chiama linguaggio, fuori dal linguaggio dunque non c’è nessuna osservazione. Ecco perché la priorità assoluta del linguaggio su qualunque cosa Daniela, è la condizione perché esista qualunque cosa ma non soltanto, è la condizione perché esista il concetto stesso di esistenza…

Intervento: nel mio lavoro l’osservazione è il criterio più debole che si possa fare…

Per i greci l’osservazione, l’empiria era una sciocchezza, cionondimeno invece nel luogo comune ha un forte potere “questo esiste perché lo vedo, perché posso osservarlo, se lascio cadere qualcosa io lo vedo”, è il criterio della scientificità, se questo aggeggio cade e lo vedo io, lo vede una persona ad Atlanta, in qualunque situazione, che faccia bello o che faccia brutto, che io sia sano o sia malato se succede sempre la stessa cosa, se è osservabile da tutti in tutte le circostanze allora è scientificamente provato. In genere funziona così, però in realtà se ha una validità empirica, logicamente non significa niente l’osservazione, perché sono io che attribuisco a dei fenomeni un certo valore, sono io che stabilisco che quel fenomeno si verifica sempre allo stesso modo, al di fuori di questa decisione, cioè di questo criterio che io ho stabilito, non significa assolutamente niente, così come affermare che domani mattina sorgerà il sole non è affatto una certezza ma è un’induzione, si è sempre verificato fino a oggi, si spera che si verificherà anche domani. Tenere conto del funzionamento del linguaggio comporta l’accorgersi che qualunque cosa è letteralmente costruita da un sistema operativo che fa esistere anche me, perché senza tale sistema operativo io non mi sarei mai accorto di esistere e potremmo dire a fortiori che non sarei mai esistito. Se non fosse esistito il linguaggio gli umani non sarebbero mai esistiti, né gli umani né qualunque altra cosa, e questo perché è coerente…

Intervento: porre il linguaggio come criterio…

Sì, questo è stato il colpo di genio: porre il linguaggio come criterio di verità, visto che la verità è un prodotto del linguaggio, si darebbe la verità se non ci esistesse il linguaggio?

Intervento: questo è essenziale, dal punto di vista logico è chiaramente inconfutabile però nel momento stesso in cui ci si trova a voler rivendicare qualcosa utilizza dei criteri che ha imparato l’osservazione…

Un altro criterio è la volontà di dio, per esempio, per molti lo è

Intervento: penso che l’ostacolo maggiore sia quello di non potere utilizzare un criterio come l’osservazione… e portare avanti appunto questa proposta del linguaggio come criterio fondamentale… semplificare questo concetto in modo da poterlo imporre non solo come deduzione logica ma anche nell’accorgersi che i propri pensieri, le cose che si fanno, che si pensano è comunque determinata da questo criterio che poi non lo si accolga è un altro discorso cioè che è sempre il linguaggio che sta funzionando, è il linguaggio che impone il suo criterio, mi sembra che si l’ostacolo maggiore quello di far intendere perché diventa un’evidenza logica perché a questa cosa non ci si può opporre, non si può obiettare se non cadendo in paradossi o cose fantasiose… dall’altra è qualche cosa che disarma nel senso “cosa me ne faccio di questa cosa?”

Sì certo, è per questo che stiamo costruendo un virus che entri all’interno del sistema e lo modifichi, non è semplice fare in modo che una persona modifichi immediatamente il suo modo di pensare, con poche mosse, diciamola così, è straordinariamente arduo, però è la scommessa…

Intervento: stavo pensando a quello che diceva Sandro che il linguaggio sia inconfutabile è una di quelle cose che da parte dell’uditorio verrebbe rifiutata a priori… cioè uno riesce a capire però è inaccettabile

In molti casi nelle conferenze molte persone hanno posto obiezioni di questo genere: “ va bene però domani devo pagare la bolletta della luce, ho perso il lavoro…”

Intervento: è la realtà delle cose… a meno che questo non intervenga come… presentarlo per esempio come lo utilizza l’analista, l’analista non può utilizzare altri criteri che quello posto dal linguaggio quindi il linguaggio stesso per cui una cosa di questo genere può essere in qualche modo intesa nel suo funzionamento solo in una analisi

Lei ha presente Daniela il discorso religioso? Una persona crede che sia vera una certa cosa ma non sa e non può in nessun modo provarla, ora pensi al discorso comune, ma anche al discorso scientifico, che afferma tutta una serie di cose che di fatto non può in nessun modo provare né sa farlo, cionondimeno continua ad affermare continuamente cose come se fossero la verità assoluta, quindi come se si trattasse sempre in ogni caso di un discorso religioso, ora lei sa quanto è difficile smuovere un religioso dalla sua fede, prenda un fondamentalista islamico e incominci a dirgli che tutta la storia di Allah è una panzana, primo le taglia la gola, secondo cercherà di spiegarle che invece Allah è grande… non è facile. Eppure se ci pensa bene il discorso comune funziona esattamente così, è una religione nel senso che crede qualcosa ma non sa perché esista, né perché, né assolutamente sa provare la verità di ciò che dice, cionondimeno ci crede fortemente…

Intervento: io lo sento quindi esiste…

Sì, il luogo comune modifica leggermente il detto di Cartesio, non è più “penso quindi sono” ma “sento quindi sono”, se lo sento allora è vero, perché il corpo ha una prerogativa particolarissima all’interno del linguaggio che ancora dobbiamo svolgere…

Intervento: non posso provare che dio esiste ma lo sento

Sì, lo sento per esempio perché mi parla…

Intervento: alla fin fine quando riduci la questione vedi che vai a finire sul corpo… è sempre il corpo che sente percepisce…

Il corpo è una delle questioni più importanti perché è uno dei baluardi che si oppongono contro il funzionamento del linguaggio, “il corpo è fuori dal linguaggio”, si dice, dovremo riprendere la questione del corpo perché è importante, è sicuramente uno strumento del linguaggio ma forse lo strumento preferenziale, o forse no, in ogni caso la domanda che può porsi è questa: “in assenza di linguaggio io potrei avere un corpo?” è una bella domanda, ma ha una risposta? No, non c’è nessuna risposta…

Intervento: è fondamentale perché si lavora molto sulla questione mente corpo…

Il modo più rapido per affrontare la questione è questo: “in assenza di linguaggio questa domanda non ha nessun senso, nessuna risposta, quindi qualunque risposta, perché non posso uscire dal linguaggio e poi, da fuori del linguaggio, vedere se ho il corpo oppure no” ché è questo che dovrei fare, in assenza di linguaggio, trovare un altro criterio che dimostri che il corpo esiste, che lo provi. E questo non può darsi in nessun modo, quindi questa domanda non ha nessuna risposta logica, non può essere provata da nessuna risposta e allora a questo punto appare un non senso perché una domanda che non può avere nessuna risposta, non perché si è incapaci o per qualche maledizione, ma perché strutturalmente il linguaggio non lo consente, non ha nessun senso, è come la domanda che ci si poneva prima, cioè se esista qualcosa fuori dal linguaggio…

Intervento: o come ha cominciato a funzionare il linguaggio

Certo, è la stessa cosa, posso dire qualunque cosa e il suo contrario senza nessun problema, però teoricamente ciascuna di queste risposte non ha nessun utilizzo, assolutamente nessuno perché un ipotesi che non può essere verificata mai, in nessun modo, è niente, assolutamente niente, come avviene…

Intervento: è una questione che affligge…

Il fatto che affligga potrebbe in ambito logico non essere così rilevante. In termini teorici una cosa che non può in nessun modo avere risposta, perché non puoi uscire dal linguaggio per esempio

Intervento: personalmente mi infastidisce

Questo è un altro discorso…

Intervento: lei parlava del corpo proseguendola si arriva alla questione della materia, qual è il percorso per cui ad un certo momento si immagina che qualcosa non è materia in contrapposizione a qualcosa che invece sia materia… mente e corpo, anima e corpo… il concreto astratto, qual è il percorso per giungere a questa dicotomia? Il percorso anche logico che ha prodotto questo?

Come si è formata questa superstizione?

Intervento: ragione e fede, anche la ragione si appella all’evidenza del pensiero che risulta qualcosa di materiale… si aggancia a un’idea astratta la ragione è invece qualche cosa che si sofferma su un percorso logico ben definito che… in quel senso dicevo che si avvicina più al materiale qualche cosa che comunque è fermato o presunto provato

In genere, però non si pensa così, ciò che è materiale è ciò che cade sotto i sensi, ciò che è immateriale è ciò che non cade sotto i sensi ma viene percepito dal pensiero…

Intervento: nella creazione della dicotomia… materiale spirituale etc.

In fondo è sempre lo stesso sistema con cui si costruiscono le superstizioni, o i proverbi, si prende un sillogismo, si toglie la premessa maggiore e si prendono solo il medio e la conclusione, l’entimema in termini tecnici, a questo punto il gioco è fatto, basta non interrogare mai la premessa maggiore che è la condizione di ciò che si conclude. Ora siccome la materia non risponde a tutte le domande ecco che si suppone che ci sia qualche altra cosa che materia non è e che assolva a questo compito. Ecco che si è inventato dio, per esempio, assolve questa funzione, la materia non risponde di sé, non dice da dove viene e perché esiste, è la famosa domanda fondamentale di Heidegger: “perché esiste qualcosa anziché nulla?”. La materia non sa rispondere di sé, occorre inventare qualche altra cosa perché gli umani cercano le risposte, e perché cercano le risposte?

Intervento: Platone ha l’idea, Aristotele è più concreto…

Sì, entro certi limiti, però forse è un’altra questione, certo ha costruita lui la logica, l’ha inventata, ma per tentare di dare una risposta alla domanda fondamentale che gli umani si pongono, quella intorno all’esistenza generalmente: “perché qualcosa esiste anziché no?” senza fornire nessuna risposta, ma ciò che invece consente di dare una risposta a questo è: perché gli umani vogliono una risposta e a quali condizioni accolgono una risposta, e perché continuano a chiedersi perché? A che scopo, e perché non qualunque risposta va bene?

Intervento: è il linguaggio che li spinge a fare questo

Esattamente, e una volta risposto a questa domanda si è anche risposto a quella precedente. Semplicemente.