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7 novembre 2018

 

La struttura originaria di E. Severino

 

Siamo a pag. 236. § 3, Esclusione di un immediato eccedente la totalità del F-immediato. Vi ricordate che Severino vuole trovare il modo per impedire che il fenomeno immediato possa essere autocontraddittorio. Nel capitolo successivo, poi, ci dirà per quale motivo ha questa esigenza. Dice, dunque, Proprio perché la posizione concreta… La posizione concreta è ciò che appare. Severino aveva fatto un esempio, la proposizione che dice “questa lampada che è sul tavolo”. Il concreto che appare è questa lampada che è sul tavolo, non una lampada a caso ma questa lampada che è sul tavolo. Questo per lui è il concreto, è l’F-immediato, ciò che appare, il fenomeno che appare immediatamente. Proprio perché la posizione concreta del F-immediato (ndr. F sta per fenomeno) è sintesi di posizione formale e materiale, si dovrà dire inoltre che la totalità del F-immediato è posta come tale solo in quanto è posta l’esclusione che una eccedenza ad essa, comunque determinabile, sia immediatamente presente. Perché questa cosa che mi appare sia un tutto che mi appare nell’immediato, occorre che questa totalità, che mi appare nel momento in cui mi appare, sia un che di concreto; quindi, devo togliere l’eventualità che questa totalità non sia una totalità ma ci sia qualche cosa che eccede, che va oltre. Se tale esclusione non è posta, anche ammettendo che nonostante questa steresi (ndr. privazione, toglimento) posizionale permanga un orizzonte posizionale, questo orizzonte non può essere posto come la totalità del F-immediato. L’implicazione tra posizione della totalità e posizione dell’esclusione è analitica, e cioè il concetto di totalità include L-immediatamente il concetto dell’esclusione. Questo vuol dire che lo toglie nel senso che, per via del principio di non contraddizione, se io affermo una cosa non posso affermare il contrario di questa cosa. Porre un F-immediato che non sia momento della totalità del F-immediato… Cioè, che non appartenga, che non sia lui. …è dunque intrinsecamente contraddittorio: da un lato, perché quel F-immediato, in quanto eccedente la totalità del F-immediato, non sarebbe un F-immediato;… Perché lo eccede, va oltre, e, quindi, non è più ciò che mi appare ma è ciò che mi appare più una serie di cose. …dall’altro, perché tale totalità, in quanto così ecceduta, non sarebbe la totalità dell’F-immediato. Andiamo a pag. 246, § 17. Giudizio originario e esposizione del giudizio originario. Il giudizio originario, per Severino è quello che si produce nell’immediato: nel momento in cui giudico, questo pensiero giudicante esiste, ed è quello che è e non il suo contrario. La valenza fenomenologica del giudizio originario si realizza, si è detto, allorché l’orizzonte ontico è occupato dalla stessa totalità del F-immediato. Come dire che il giudizio originario si realizza quando questo giudizio coincide con ciò che mi appare: per esempio, giudico che questa cosa qui è sul tavolo. Questo sarebbe il giudizio originario nel senso che constato semplicemente l’esistenza di questa cosa. Si avverta ora che ogni possibile riflessione sul giudizio originario e sul suo comprendersi – e quindi anche e in primo luogo la riflessione o esposizione he andiamo attualmente conducendo – è sempre, qualora sia posta come immediatezza, il realizzarsi del giudizio originario. Se io parlo del giudizio originario, lo espongo, lo articolo, lo elaboro, tutto questo fa parte del giudizio originario, non è un’altra cosa. L’esposizione di questo è cioè lo stesso giudizio originario, in quanto esso assume, come totalità del contenuto immediatamente presente, sé medesimo, o il suo comprendersi, ecc. Per cui, se io parlo del giudizio originario, sono nel giudizio originario, sono lì, mi sto occupando di questo. L’esposizione è infatti la presenza immediata del contenuto esposto… Se io espongo un pensiero quello che sto esponendo è con la presenza immediata del contenuto del mio pensiero. Andiamo a pag. 261, Capitolo VI, L’analisi del significato originario: semplicità e complessità semantiche. La questione del significato è una questione importante. Il problema che Severino incontra è, in effetti, il problema che da sempre la linguistica, la semiotica, anche la filosofia, hanno incontrato, e cioè il significato di qualche cosa è quello, però questo significato è fatto di moltissime cose, e quindi il problema del significato è che è uno ma anche molti. Occorre, pertanto, ridurre questo significato a qualcosa di unitario. Stante che la posizione della totalità dell’immediato è posizione di una concretezza o complessità semantica… La concretezza, cioè, di qualche cosa che mi appare per quello che è. O complessità semantica, in quanto questa cosa è fatta di una serie di cose che significano altre cose. …tale concretezza si costituisce come relazione dei momenti astratti del concreto, ossia come toglimento del concetto astratto dei significati che valgono appunto come momenti del significato originario. Quello che sta dicendo qui è ciò che continua a dire dalla prima pagina in poi, e cioè che questa concretezza si costituisce come la relazione tra i momenti astratti. Torniamo alla proposizione che dice “questa lampada che è sul tavolo”. Questa proposizione, che dice questo, è la concretezza, è ciò che mi appare, la F-immediatezza. Ora, però, da questa cosa, da questa totalità, posso chiaramente astrarre gli elementi, posso parlare della lampada, del tavolo, ecc., però, il concreto ha sempre a che fare con il toglimento dell’astratto, cioè, con il non considerare gli elementi come separati, a sé stanti. Il concreto è la relazione tra queste cose, e questa relazione è ciò che definisce, determina concretamente, questa cosa che mi appare, e cioè non una lampada qualunque, non una lampada astratta, ma questa lampada che è sul tavolo.

Intervento: Quindi, non è il singolo oggetto che appare ma la relazione…

Esatto. È questo che dice: quando ho di fronte a me un fenomeno, quando mi appare un qualche cosa, questo qualche cosa mi appare così com’è, in relazione con altre cose, ma mi appare in quel modo lì, cioè in relazione con queste altre cose, non isolatamente. Isolatamente sarebbe un’altra cosa. Deve essere la lampada che è sul tavolo, non una qualunque lampada. Poi, chiaramente, ciascuno astrae e può considerare la lampada in quanto lampada. Però, il concreto, ciò che appare immediatamente, è la relazione tra queste cose, e questa relazione, fra i vari elementi che fanno di questi elementi quella proposizione che dice “questa lampada che è sul tavolo”, tutto questo lui lo chiama il concreto. Il considerare solo la lampada, invece, è l’astrazione, quindi, l’astratto. L’analisi del significato originario manifesta pertanto una pluralità di significati che valgono a loro volta come significati complessi (quali, ad esempio, i significati costituiti dalla serie esponenziale o dall’orizzonte ontico); tali cioè che la loro analisi manifesta daccapo una pluralità di insiemi di significati. Il concreto, il tutto, chiaramente, posso scomporlo in vari elementi e ciascuno di questi ha un suo significato: la lampada ha un suo significato, il tavolo ha un suo significato. Chiaramente, hanno un significato diverso da quello che si pone quando io dico “questa lampada che è sul tavolo”; questa lampada che è sul tavolo non ha un significato qualunque. La cosa che a lui interessa è mostrare che nel caso del concreto non c’è contraddizione. Questa sorge nel momento in cui io astraggo gli elementi dal concreto, perché se dico “questa lampada che è sul tavolo” tutto questo è un tutto, non è scomponibile. È solo quando li scompongo, cioè astraggo, allora posso dire questa lampada è questa lampada sul tavolo, ma astraendo, e chiaro che questa lampada non è, per esempio, il tavolo, sono cose diverse, e quindi affermo di quella cosa ciò che non è. Ma nel concreto la contraddizione scompare, perché non ci sono più due elementi ma c’è un tutto. Ma poiché sembra che ogni significato sia analizzabile, sembra anche si debba concludere che la posizione del significato originario dà luogo a un progressus ad indefinitum (ossia che la posizione della concretezza semantica originaria implica che il toglimento del concetto astratto dell’astratto si realizzi come un progressus ad indefinitum). Se voglio stabilire un significato originario e tenere fermo questo significato, è come se dovessi escludere la possibilità di analisi di questo significato, perché se io lo analizzo incontro altri significati, ovviamente. Quindi, incontro un significato che è una serie di altre cose e che, essendo altre cose, non è più se stesso, è altro da sé, perché è una serie di altri significati. Facevamo un tempo l’esempio della parola del dizionario “casa”: sostantivo femminile singolare, costruzione adibita a dimora ecc.; tutte queste cose non sono la parola casa, per cui la parola casa è qualche cosa che non è la parola casa, perché la definizione di casa non è la parola casa. È come dire che la parola casa è qualche cosa che, di fatto, non è, perché dicendo la parola casa dico altre cose, per dire che cos’è la casa dico altre cose che non sono la casa. Questo vale per qualunque cosa, ovviamente. § 2, Esclusione formale dell’analisi infinita del significato originario. Questo è il suo intendimento: trovare qualcosa che tolga la possibilità di una analisi infinita del significato, perché sennò il significato non può fermarsi. Teoricamente, se fosse così, non si potrebbe parlare, il linguaggio crollerebbe, perché se ogni significato fosse preso nella sua analisi infinita allora non avrei nulla di fermo da cui muovere per fare il passo successivo, ogni cosa si dissolverebbe in una infinità di altre cose e, quindi, il linguaggio scomparirebbe, e tutti questi problemi cesserebbero all’improvviso. Una prima risposta di carattere formale è la seguente. La totalità dell’immediato è un insieme finito di significati… La totalità dell’immediato, cioè, l’F-immediatezza, dove immediatezza è il fenomeno. È un insieme finito di significati… Detta così sembra una presa di posizione: stabilisco che è così, però, vediamo come la articola. …ossia il numero delle determinazioni che sono immediatamente presenti è finito (anche se continuamente variante). Il numero delle determinazioni di questo significato è finito, così come l’esempio che facevamo prima della parola sul dizionario: il numero delle determinazioni della parola “casa” deve finito per potere utilizzare la parola “casa”. Che i significati immediati siano in numero finito è per sé noto. Qui va inteso perché che cosa vuol dire che è per sé noto? Ciò che lui intende con essere per sé noto è ciò che appare immediatamente, ciò che non può non cogliersi. Perché il fatto che sia un numero finito è per sé noto? Perché in caso contrario non potrei dirlo. Se, rispetto alla parola casa, trovassi un numero infinito di determinazioni non saprei mai che cos’è questa parola casa. Quindi, so che il numero è finito, è necessariamente finito per potere dire che cos’è una casa; in questo senso è per sé noto. Ciò posto, se la posizione del significato originario (ossia della totalità dell’immediato) è posizione dei momenti che lo costituiscono… Quando lui parla di posizione intende sempre l’apparire. …qualora la posizione dei momenti dell’originario sia intesa come risultato di un processo infinito, si verrà ad affermare un ambito semantico che non è immediatamente presente. Questa è già una questione: ciò che mi si presenta immediatamente, il fenomeno, non può essere costituito da un insieme infinito di significati perché questa totalità deve essere immediatamente presente, mentre una serie infinita di significati, ovviamente, non è presente. Infatti, l’analisi infinita del significato originario dà luogo a un insieme infinito di significati, e pertanto non è immediatamente presente. Si è detto che questo primo tipo di risposta alla domanda formulata nel paragrafo precedente ha un valore formale, perché se da un lato è valida come esclusione dell’analisi infinita… Abbiamo detto che dobbiamo escludere che l’analisi sia infinita; se vogliamo parlare di significato dobbiamo escludere necessariamente che questo significato abbia una deriva infinita. …dall’altro non determina il contenuto concreto del limite dell’analisi. È vero che non possiamo avere un significato che abbia una deriva infinita; però, questo non ci dice dove dobbiamo fermarci, a quante determinazioni dobbiamo fermarci: due? Cinque? Dieci? Un miliardo? Basta che non sia infinito, però l’esclusione della infinità dei significati non ci dice dove dobbiamo fermarci; ci dice solo che dobbiamo fermarci ma dove non si sa. Ma propriamente, si ha anche una certa determinazione del limite, la quale consiste nel porre la contraddittorietà dell’attualità o presenza immediata dell’analisi infinita. Dice che però c’è una sorta di limite. Quale? Il fatto che l’attualità, cioè la presenza immediata, e l’analisi infinita sono due cose contraddittorie e, quindi, una delle due deve essere eliminata. Questo, dice, è per il momento l’unico limite che possiamo mettere. Questa contraddittorietà può essere lasciata qui valere come l’essere in contraddizione con la presenza immediata… Se io dico che una cosa mi è immediatamente presente non posso dire che questa significa simultaneamente un’infinità di altre cose. Come fa, in questo caso, a essermi presente? Tutti questi altri significati, di cui questa cosa è fatta, non sono affatto presenti, e, quindi, ecco la contraddizione. Può essere cioè qui tralasciata la questione se questo essere in contraddizione con la presenza immediata sia anche un’autocontraddizione. Dal punto di vista dell’immediato bisogna dire infatti che escludere la presenza immediata dell’analisi infinita non significa escludere l’analizzabilità infinita del significato originario, per la quale divenga immediatamente presente un insieme semantico infinito; ossia il progetto di un tale sviluppo infinito dell’analisi del significato originario non si mostra immediatamente come autocontraddittorio. Questa infinità di significati la pongo come potenziale. Sì, in potenza posso analizzare questo significato all’infinito; chiunque può farlo: che cosa vuol dire casa? Vuol dire dimora. Cosa vuol dire dimora? Vuol dire luogo in cui si abita… Cosa vuol dire luogo? Vuol dire posizione, posto. Cosa vuol dire posto? E così via all’infinito. Quindi, tutto quello che abbiamo detto non significa che abbiamo tolto la possibilità che sia analizzabile. Questo rimane come possibilità, che teniamo da parte. È chiaro che lo sviluppo infinito di quest’ultimo progetto è “infinito” in senso “sincategorematico”; mentre lo sviluppo infinito del progetto precedente è “infinito” in senso “categorematico”, ossia lo sviluppo è il sopraggiungere della presenza immediata dell’infinito semantico). Lo sviluppo infinito di quest’ultimo progetto sarebbe uno sviluppo infinito dell’analisi, che non pervenga mai all’apertura di un piano semantico infinito. Infinito in senso sincategorematico: se io considero la possibilità dell’analisi del significato, allora pongo questo infinito in senso sincategorematico. In linguistica, categorematico e sincategorematico hanno un significato preciso. Gli elementi categorematici sono quelli che hanno un significato per conto loro: penna, libro, tavolo, Nadia; sono cose che significano per sé. Sincategorematico, invece, vuol dire che non significa per sé ma ha bisogno di un altro elemento: gli avverbi, le preposizioni. Quindi, lo sviluppo dell’analisi del significato può essere sincategorematico se questo sviluppo è potenziale; categorematico, questo infinito è attuale. Attuale vuol dire che… qui viene bene quello che diceva Jakobson rispetto ai due assi del linguaggio, l’asse sintagmatico e l’asse paradigmatico. L’asse paradigmatico, quello delle ordinate, l’asse verticale, è quello che rappresenta un infinito attuale, perché è tutto lì, cioè, io posso definire una cosa infinitamente, aggiungendo sempre elementi, ma che vogliono sempre dire la stessa cosa. Questo sarebbe l’infinito attuale, che è anche indicato in termini logici come il tratto che va dal punto A al punto B. Quanti punti posso costruire nel tratto da A a B? Un numero infinito, che però è limitato da A e da B. Ora, questo numero infinito lo si chiama infinito attuale, cioè, è presente tutto entro questi due limiti, perché tra due punti posso metterci tutti i punti che voglio, infiniti. L’infinito potenziale, invece, è quello che si svolge lungo l’asse sintagmatico, quello che aggiunge sempre ma fuori di sé. In questo senso è potenziale, non è attuale, non è già lì, devo aggiungercelo io; mentre, tra l’uno e il due tutti i numeri che ci sono in mezzo ci sono già, non li devo aggiungere io. Se io voglio aggiungere al due un altro numero allora devo uscire fuori da questo limite e spostarmi lungo l’asse sintagmatico. Questo per chiarire i due tipi di sviluppo infinito di cui parla Severino a proposito del significato: o l’infinito categorematico, cioè tutti i significati che rientrano in quell’elemento; oppure l’infinito potenziale, sincategorematico, cioè tutti i significati che posso aggiungere a fianco a quell’elemento. § 3, Passaggio dall’esclusione formale all’esclusione concreta dell’analisi infinita del significato originario. Prima abbiamo parlato dell’esclusione formale, cioè il fatto che è necessario che, se voglio stabilire un significato, io escluda l’analisi infinita del significato, sennò non saprò mai che cos’è quel significato. Dire che quella prima risposta formale (par. 2) determina il limite dell’analisi del significato originario, come lo stesso orizzonte attuale, significa che l’analisi si arresta a un insieme di significati immediatamente presenti non ulteriormente analizzati. Badate bene, non dice “non analizzabili” ma “non analizzati”. È precisamente quell’insieme che costituisce il limite dell’analisi. Ma questo limite è formale: ognuno dei termini di quell’insieme non è ulteriormente analizzato – ed è pertanto presente come significato semplice – non perché sia immediatamente autocontraddittoria una tale analisi, ma perché una tale analisi non è, di fatto, immediatamente presente. Il limite formale ci dice, in un certo senso, che io ho stabilito di fermare questo numero di significati, perché sennò questo significato non è più un significato se va avanti all’infinito, e quindi è autocontraddittorio. Dice che questo significato non è ulteriormente analizzato, e questo significa che tutto l’insieme infinito di significati attribuibili a questo significato non è presente perché io non ce li metto. Ciò che dunque resta indeterminato, sino a questo punto, è se i termini, cui si è attualmente fermata l’analisi del significato originario, sia o no tali da escludere la possibilità di una analisi ulteriore del loro contenuto. Nel primo caso l’analisi infinita è esclusa anche in quanto appartenente all’orizzonte progettato – ed è esclusa anche una qualsiasi analisi infinita dei termini ultimi ottenuti dall’analisi attuale;… Dice che nel primo caso l’analisi infinita è esclusa anche in quanto appartenente all’orizzonte progettato: se la mia idea è di stabilire un significato, è chiaro che devo escludere la possibilità di analizzare all’infinito questo significato, sennò non troverò mai il significato. Questo nel primo caso. …nel secondo caso resta aperta la possibilità di un prolungamento, finito o indefinito, dell’analisi. In questo caso, il toglimento infinito, escluso come “categorematico”, possibile come “sincategorematico”. Abbiamo escluso nel primo caso, dice, il categorematico, perché ho deciso di fermarmi; però, questa fermata non esclude che questo significato possa potenzialmente comportare un’analisi infinita a livello sincategorematico, cioè lungo uno spostamento. Potremmo dire che categorematico comporta la condensazione, il sincategorematico lo spostamento; per Freud, rimozione e resistenza. Ciò che allora a questo punto si tratta di stabilire è se il concetto di un prolungamento dell’analisi dei significati effettualmente semplici sia autocontraddittorio (e quindi non sia semplicemente in contraddizione con la presenza immediata); oppure se autocontraddittoria sia la negazione stessa della possibilità di un tale prolungamento. È chiaro che il significato non è che vincoli di per sé la possibilità di una sua analisi, non la impedisce; e, quindi, se il significato di per sé non vieta questa analisi infinita del significato stesso, è chiaro che si pone a un certo punto come autocontraddittorio, e cioè questo significato è quello che è a condizione di non essere quello che è, perché se va avanti all’infinito è chiaro che non è più quello che è ma è un’altra cosa. § 4 Il problema del cominciamento.  Questa questione a noi interessa perché il problema del significato lo abbiamo già affrontato, anche se non in questo modo ovviamente, però, se non possiamo stabilire che questo significato è quello che è – per stabilire quello che è dobbiamo eliminare la sua analisi infinita – allora come potremmo utilizzare questo significato se non possiamo togliere la sua analisi infinita? Come lo maneggiamo? È il problema del cominciamento, cioè, quando inizio, inizio pur da qualche cosa, almeno sembrerebbe. La questione è controversa perché, per esempio, per Peirce non c’è propriamente un inizio, non c’è il primo segno, la prima parola. La prima parola c’è se ci sono altre parole, se sono già nel linguaggio. Per Peirce è la stessa cosa: non c’è il primo segno, perché se dico primo segno dico anche segno, ma se dico segno dico già un rinvio a un’altra cosa; e, quindi, se questo primo segno è un segno è perché c’è già un altro segno per cui è segno. Dunque, il problema del cominciamento. È nota l’importanza che esso (il cominciamento) riveste nella filosofia dello Hegel; ed è noto altresì il progressivo diminuire di tale importanza nelle filosofie posthegeliane e nello stesso neohegelismo italiano. Croce e Gentile. L’obiezione fondamentale che si muove contro il cominciamento hegeliano consiste nell’osservazione che quell’assolutamente vuoto, che è il puro essere, è una negatività che acquista significato solo nel suo contrapporsi all’orizzonte negato; … La dialettica, cioè un qualche cosa che è in quanto si pone a fianco di qualcosa che lo nega, alla sua antitesi; è questo che dà senso alla tesi. …sì che l’immediato è questa contrapposizione stessa, ma non in quanto tale, ma in quanto essa è l’intero logico originario, che può essere considerato (analizzato) a partire indifferentemente da una qualsiasi delle sue determinazioni. Questa determinazione indifferente è sì il cominciamento, ma come una variabile o un che di accidentale. Quindi, questo cominciamento, nel caso di Hegel, sarebbe il fatto che una qualunque cosa è quella che è in quanto è contrapposta a ciò che non è; ma il fatto di essere questi due elementi in contrapposizione non li pone come due elementi che io posso distinguere, perché sono, come nel discorso di prima, in relazione, che è una posizione nuova rispetto ai due elementi; non sono questi due elementi ma la relazione tra questi due elementi. Infatti, dice, questa contrapposizione stessa, ma non in quanto tale, ma in quanto essa è l’intero logico originario, la sintesi come l’intero logico originario. Passiamo al § 5, Esclusione concreta dell’analisi infinita del significato originario. Bisogna pure escludere l’analisi infinita dal significato originario. Qual è per Severino il significato originario? È un significato semplice, ovviamente, è quel significato a cui si giunge man a mano che si tolgono delle determinazioni a un qualche cosa e si giunge all’unica cosa che rimane di un qualche cosa, e cioè che sia. Quando io tolgo a una qualunque cosa tutte le sue determinazioni possibili e immaginabili, l’unica cosa che non posso togliere e che rimane è che è. L’attenzione qui è puntata proprio sull’essere come significato originario, cioè quel significato cui si giunge quando si toglie tutto. Se voi ci pensate un momento, se di una qualunque cosa cominciate a togliere tutte le sue determinazioni, alla fine che cos’è che non potete togliere? Il fatto che è, qualunque cosa sia, ma è.

Intervento: La cosa primordiale…

È un po’ più complessa, nel senso che la cosa primordiale qui sembra quasi posta come fuori dal linguaggio. Se è fuori dal linguaggio non può essere un significato, non può essere nemmeno originario perché non c’è il concetto di originario, non c’è nulla di tutto ciò. Perché sia originario occorre che questa cosa sia già presa in un sistema linguistico che la fa essere originaria rispetto a qualche cosa che, per esempio, originaria non è. Quindi, c’è già un’idea di posizione e contrapposizione: se parlo di originario è perché immagino che qualche cosa non sia originaria ma sia, per esempio, derivata, mediata. Quindi, è come andare a cercare un qualche cosa che sia prima del linguaggio e che determini poi il linguaggio. Siamo dunque al § 5. L’essere formale… Andiamo a rileggere come Severino definisce l’essere formale al Cap. II, par. 2. Il modo di formulazione del giudizio originario rende esplicito che l’immediatezza dell’immediato resta inclusa nell’immediato nell’atto stesso in cui l’essere posto come l’immediato. Cioè, la totalità dell’immediatamente presente è l’immediato. L’essere formale è questo, in effetti; l’essere formale non è altro che l’essere immediato di ciò che è immediatamente presente. Torniamo a pag. 264. L’essere formale è quel significato, appartenente all’insieme dei significati effettualmente semplici, relativamente al quale è anche immediatamente autocontraddittorio progettare un prolungamento dell’analisi del suo contenuto semantico. Cioè, dei significati che sono stabiliti e dei quali non possiamo analizzare infinitamente il loro contenuto semantico, perché sennò questi significati si dissolvono come neve al sole. Esso, infatti, nel suo esser distinto dalle determinazioni che costituiscono la posizione materiale dell’essere, è quell’assolutamente semplice di cui parla lo Hegel. L’essere è l’assolutamente semplice, quello che rimane dopo che ho tolto tutto e che non posso più togliere, perché se lo tolgo mi trovo preso in una autocontraddizione, cioè dico di qualche cosa che è che non è. A pag. 265 riprende la questione in termini hegeliani. Si afferma allora che, per questo lato, è intrinsecamente contraddittorio che il concreto non incominci il toglimento dei concetti astratti dell’astratto col toglimento dell’astrattezza dell’essere formale;… Cioè, il concreto deve incominciare - altrimenti dice che è contraddittorio – con il togliere i concetti astratti. Cosa vuol dire questo? Prendiamo il famoso esempio della proposizione “questa lampada che è sul tavolo”. Questo è il concreto. Dice lui: bisogna cominciare con il togliere la possibilità di poter astrarre questi elementi dal concreto. Se io astraggo questi elementi dal concreto, il concreto svanisce. È chiaro che il cominciamento non precede logicamente il processo totale del toglimento dell’astratto, ma, pur essendogli cooriginario, ne costituisce, appunto, il limite, oltre il quale si annulla ogni apertura semantico-proposizionale. Questo toglimento non è che comincia prima o dopo. Qui introduce un concetto, quello di cooriginario, che a lui serve per indicare, potremmo dir così, la simultaneità. Dice che il concreto non incominci il toglimento dei concetti astratti dell’astratto col toglimento dell’astrattezza dell’essere formale. Dice lui che devo incominciare a togliere l’essere formale. Cosa vuol dire? È complessa la questione perché l’essere formale sarebbe quell’essere nel suo significato semplice. Pone la cosa in modo problematico. Dice è intrinsecamente contraddittorio che il concreto non incominci il toglimento dei concetti astratti dell’astratto col toglimento dell’astrattezza dell’essere formale; o, che è il medesimo, che il concreto arrivi all’essere formale come a un termine medio della serie dei termini tolti. Qui lo pone come un problema. È come se dicesse: io potrei, astraendo dal concreto, giungere all’essere formale. Come dicevamo prima, tolgo tutte le determinazioni dal concreto, dalla proposizione “questa lampada che è sul tavolo”, comincio ad astrarre tutti gli elementi, poi tolgo tutte le determinazioni, e dovrei arrivare all’essere formale. Però, dice, il cominciamento non precede logicamente il processo totale del toglimento dell’astratto, ma, pur essendogli cooriginario, ne costituisce, appunto, il limite, oltre il quale si annulla ogni apertura semantico-proposizionale. In altri termini… Ecco, adesso chiarisce. …il significato originario è oltrepassamento originario di una pluralità di orizzonti posizionali che valgono pertanto come momenti astratti dell’originario. Il significato originario non è che sia un qualche cosa cui si giunge dopo un certo percorso. Questo essere formale comporta un oltrepassamento originario. Si dice dunque che è intrinsecamente contraddittorio che tale oltrepassamento non incominci come oltrepassamento di quell’orizzonte posizionale in cui non è posto altro che il significato “essere”; sì che questo orizzonte, oltre ad essere oltrepassato cooriginariamente ad ogni altro orizzonte astratto che vale come momento dell’originario, è insieme inizialmente oltrepassato, nel senso che esso non vale in alcun modo come risultato di un precedente oltrepassamento. Questo oltrepassamento, che fa l’essere formale… Perché dice oltrepassamento? Quando io pongo l’essere formale, dice, non è che ci arrivo attraverso un percorso di toglimento di cose e poi alla fine trovo questo; non è propriamente così, perché, in effetti, ciò che trovo, questo essere formale, è cooriginario a tutta questa operazione, non la precede né la segue. Per l’intendimento di Severino, questo significa soprattutto che questo essere formale, e cioè il significato semplice, potremmo dire il significato originario, è un qualche cosa che è sempre presente, che non è quindi il prodotto o il risultato di un qualche cosa, ma è costantemente presente in ciò che chiamiamo il concreto.