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7-10-2009

 

Ci sono questioni?

Intervento: il discorso dell’analista come linguaggio che sta funzionando, è difficile retoricamente esporlo a un pubblico …

Certo, un conto è quello che si dice qui e altro è quello che si dice a un pubblico …

Intervento: mi interessava riprenderla …

Quale aspetto in particolare?

Intervento: il terzo momento è quello che ci distingue …

Ci distingue anche la premessa da cui partiamo, ma ha qualche questione, qualcosa da aggiungere a questo riguardo? Mi sembrava che volesse precisare. Riformuli in modo più acconcio la questione anzi, aspetti che c’è anche Elisa, la stavamo aspettando, allora Sandro riformuli la questione …

Intervento: ancor meglio che precisare sarebbe ancor meglio aggiungere altre cose rispetto al discorso dell’analista, per esempio dire che l’analista occupa la posizione del linguaggio, utilizzando il vocabolario in termini italiani in quali termini diciamo la cosa può essere espressa in sede di conferenze come può essere intesa che a un certo punto ci si accorge di … mi chiedevo se c’era un modo un po’ accattivante immagino che chi ci ascolta rimanga così un po’ stordito se non ha seguito …

Certo, richiede qualche precisazione che magari in questo ambito non è necessaria, ma in una conferenza sì …

Intervento: questo aspetto è importante perché è quello che ci distingue che ci sia un racconto, l’analisi di questo racconto le fantasie che pilotano questo racconto però non è solo questo perché subentra l’aspetto della responsabilità, subentra la non necessità di questo racconto, per esempio … è solo il pretesto il racconto per poter …

È una delle forme che il discorso prende …

Intervento: la conclusione, l’obiettivo necessita retoricamente di …

È chiaro che per porre una questione del genere occorre avere fatte delle premesse, avere già mostrato qual è l’andamento di un percorso analitico, per esempio utilizzando la questione delle cosiddette nevrosi, il fatto per esempio che in assenza di linguaggio non ci sia nessuna possibilità di essere nevrotici, cioè occorre mostrare in prima istanza la priorità di questa struttura in qualunque caso, non soltanto in disturbo psichico, come possiamo anche dire non c’è nessuna possibilità di essere depressi se non c’è il linguaggio, la depressione non è altro che una conseguenza, una serie di conclusioni a cui la persona si attiene e una volta stabilito che il linguaggio è la condizione di qualunque racconto, di qualunque tipo di nevrosi allora occorre mostrare che così come il proprio discorso ha costruite per esempio delle nevrosi allo stesso modo può demolirle, può renderle inutili, meglio ancora renderle inutilizzabili. Il compito dell’analista è rendere la nevrosi inutilizzabile, inservibile, non ha più nessuno scopo perché non ha più il tornaconto di cui parlava Freud, quando la persona dopo avere raccontate tutte le sue storie e accortasi della responsabilità che ha nel raccontare queste storie non rimane che porre la condizione di queste storie e vale a dire fare mettere la persona nelle condizioni di accorgersi che queste storie, questi racconti sono costruiti da ciò stesso che la fa esistere, cioè dal linguaggio in definitiva e di cui è fatta, a questo punto se la persona si trova nella condizione di non potere più non tenere conto di che cosa è fatta in ciascun atto linguistico, in ciascun istante e sottolineo “non può non tenerne conto” allora effettivamente in che posizione si trova? Nella posizione di chi non può non sapere che tutto ciò che pensa, che fa, che non fa o che non pensa o qualunque cosa sia in ogni caso di fatto non è nient’altro che sequenze, stringhe di proposizioni e che non è nient’altro che questo, e che tutte le affermazioni che fa, tutte le storie che racconta, che vive, che esperisce, che ricorda, che sogna etc. al pari sono stringhe di proposizioni il cui unico obiettivo è costruirsi. È chiaro che in base al gioco linguistico in cui sono inserite queste proposizioni, queste proposizioni, produrranno degli effetti cioè produrranno altre stringhe di proposizioni, le quali stringhe di proposizioni se credute vere comporteranno anche un agire di conseguenza. Quindi ecco che la persona che si trova a fare, a compiere cose, misfatti oppure altre cose, non necessariamente misfatti, comunque sia si trova dicevo a muoversi dicevo tenendo conto in ogni istante di che cosa è fatta, come se in effetti il suo pensare non fosse nient’altro che l’agire del linguaggio e cioè costruire proposizioni sapendo che queste proposizioni sono costruite per niente e sapendo e torno a dirlo ché è importante: “non potendo non sapere” che queste proposizioni conducono a delle conclusioni arbitrarie, non necessarie. Questa è la condizione che rende la persona totalmente libera, inesorabilmente libera, perché se tutto ciò che pensa conduce ad affermazioni arbitrarie allora non ci si deve attenere né è tenuto a crederci, dunque è libero ma libero di fare che a questo punto? È ovvio che a quel punto il suo interesse e cioè l’interesse del suo discorso, del discorso di cui è fatto a che cosa si rivolgerà? A giochi linguistici? Sì certo ma quali giochi linguistici? Quelli che prevedono la necessità di credere in qualche cosa? Sia per potersi compiere sia per i suoi obiettivi? Certo che no, perché non può non sapere che queste conclusioni sono arbitrarie e quindi sì, compie dei giochi linguistici, certo, ma questi giochi linguistici non portano a nulla, nulla che sia creduto vero, nulla che sia necessario, rimangono dei giochi, potremmo dire dei giochi, anche a fine ludico, ma la cosa fondamentale è che effettivamente si trova a pensare, adesso la dico così in modo un po’ rozzo come “pensa il linguaggio” ammesso che il linguaggio pensi, e cioè il discorso costruisce delle sequenze al solo scopo di costruire sequenze, e questo lo sa perfettamente, non si aspetta nulla se non altre sequenze naturalmente e pensando come pensa il linguaggio di fatto non ha nessun obiettivo se non quello di mettere continuamente alla prova queste proposizioni, queste sequenze. Cosa vuole dire mettere alla prova? Verificare se sono necessarie oppure gratuite o arbitrarie, è chiaro che a questo punto quelle che muovono l’interesse sono tutte quelle proposizioni che risultano necessarie, è come se fosse l’unico gioco che è rimasto che abbia ancora qualche interesse, tutti gli altri non ne hanno più anche se possono essere utili per qualche cosa. Allora dicevo che la persona si trova a pensare inesorabilmente così come “pensa” il linguaggio, pensa lo mettiamo tra virgolette perché il linguaggio non è che pensi, in effetti il linguaggio è la condizione del pensiero, però diciamo si trova a muoversi esattamente come si muove il linguaggio: non ha più nessun riferimento se non se stesso, le parole si riferiscono solo a se stesse e i discorsi si riferiscono solo ad altri discorsi, non ha nessun referente al di fuori di se stesso e questo è un altro aspetto della libertà di cui si parlava, e così come il linguaggio non ha nessuno scopo se non produrre proposizioni la persona non ha nessun altro scopo a questo punto se non costruire proposizioni, interrogare queste proposizioni, interrogare naturalmente per intendere, laddove si ha l’occasione, se queste proposizioni sono necessarie oppure arbitrarie, se sono necessarie allora può costruire altre proposizioni necessarie, costruire altre costruzioni, altri discorsi che discendendo da premesse necessarie occorre che risultino necessarie, perché questo? Sa anche questo naturalmente, cioè perché non può non farlo, anziché giocare a tre sette gioca con il linguaggio aspettandosi sì una vincita, in un certo senso la vincita non è altro che la costruzione di proposizioni necessarie. In effetti la persona a questo punto si trova inesorabile in un percorso teoretico, l’unico che risulti praticabile, l’unico che risulti di qualche interesse, come abbiamo detto tante volte smette di giocare sia con le bamboline che con i soldatini perché non interessano più. L’unico gioco dicevo che ha ancora qualche interesse è quello che è fatto di linguaggio, il suo agire puro e semplice, non c’è più nient’altro. A questo punto una persona così fatta, in questo modo così singolare se si trova nella condizione, nella posizione di analista cioè se qualcuno si è rivolto a lui per intraprendere un percorso analitico allora che cosa fa? Continua a fare quello che non può non fare e cioè occupare questa posizione: come inserisce questa posizione nel discorso della persona che sta ascoltando? In realtà è molto semplice, si tratta di mettere la persona che ascolta nelle condizioni di trovarsi anch’essa in questa posizione, comporta che la persona intanto si accorga che sta parlando, quindi deve incominciare a parlare ovviamente, se non parla non andiamo da nessuna parte, accorgersi che sta parlando dopodiché, quando si è accorta che sta parlando, accorgersi che sta esponendo mano a mano le cose che i suoi pensieri costruiscono, e qui si inserisce la responsabilità. Dunque il linguaggio come si comporta nei confronti di ciò che ascolta? Il linguaggio cioè lo psicanalista, fa quello che non può non fare e cioè nota e fa notare che la persona sta parlando in prima istanza, dicevamo che la prima cosa che deve fare è parlare e accorgersi che sta parlando, ma non è così automatico che se ne accorga, se nessuno glielo fa notare continua a parlare all’infinito e non va da nessuna parte, dopodiché fa in modo che si accorga che qualche cosa di ciò che dice ritorni, ci sia quindi un’interrogazione in ciò che le cose si dicono e qui la persona incomincia ad accorgersi o meglio il discorso incomincia a tenere conto del fatto che le cose che dice le sta anche producendo man mano che le dice. Fatto questo resta appunto l’ultimo passo, il terzo momento dicevamo prima: se una persona si è accorta che sta parlando e si è accorta che le cose che dice sono prodotte dal suo pensiero allora non gli resta che intendere come funziona il pensiero e di conseguenza intendere come funziona il linguaggio che costruisce il pensiero, potrebbe fare altro a questo punto? No, a quel punto non può non porsi una domanda circa il funzionamento del suo pensiero: se io mi costruisco queste fantasie, perché lo faccio? Come avviene che si costruiscono? Come funziona tutto questo meccanismo? Ecco che a questo punto questa questione trova risposta nella struttura del linguaggio cioè nel suo funzionamento, una volta che questo funzionamento è talmente chiaro, talmente evidente da non potere più non essere presente in ciascun istante ecco che si trova nella posizione di analista …

Intervento: ieri sera nella conferenza diceva automatismo …

Sì, automatismo certo, non può non tenere conto che le cose che dice sono prodotte dal suo discorso, sono prodotte al solo scopo di potersi affermare come fa ciascuno, solo che non se ne accorge, l’analista sì, è questa la differenza fondamentale, si accorge di quello che sta facendo, di quello che sta pensando e perché lo sta pensando, in ciascun istante continuamente. Automatismo certo, non può non farlo e sa che sta comunque sempre affermando delle verità; non è che l’analista affermi sempre necessariamente delle cose necessarie perché si trova anche a fare infiniti giochi che sono richiesti dal vivere comune, diciamo che analista è colui che può, è in condizioni di interrogare qualunque cosa in qualunque momento, indipendentemente dal fatto che lo faccia oppure no, ma può farlo in qualunque momento senza nessun problema, questo è ciò che caratterizza lo psicanalista: non c’è una sola cosa che non possa interrogare in qualunque momento, se ce ne è anche una sola che per qualunque motivo non può essere interrogata allora non c’è analista, e se c’è anche un solo caso in cui non lo è allora è un problema, tipo una paura, una fobia, un fastidio, il più delle volte sono semplici fastidi, e se rimane infastidito da quello che ascolta allora è meglio che cambi mestiere.