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7/10/1999

 

È una questione etica che abbiamo considerato tempo fa, però ci sono degli aspetti che interrogavano Cesare, in particolare, il quale poneva una questione, questa: se accade ad un certo punto di questo percorso che stiamo facendo di interrogare qualunque cosa intervenga o che accada, che non può non avvenire, qualunque cosa uno pensi da sé avviene una sorta di considerazione intorno a questa cosa, però diceva giustamente se mi piace la cioccolata, posso sapere perché mi piace la cioccolata ma la mangio lo stesso; supponiamo che mi piaccia uccidere, posso sapere perché mi piace uccidere però non uccido. Perché? Elaborando una questione posso sapere cos'è che la sostiene ma non per questo ho cessato di mangiare la cioccolata, pur sapendo perché; così posso aver in animo di ammazzare qualcuno, posso sapere perché ma non ucciderlo.

Allora dobbiamo considerare la questione, attentamente. Com'è noto alla vita è attribuito un valore superiore della cioccolata, tuttavia sappiamo anche che questa attribuzione è arbitraria. Se il mangiare cioccolato fosse considerato un crimine punibile con la morte non mangerei cioccolato, semplicemente. Uccidere che generalmente è considerata una cosa malvagia non lo è sempre, in alcuni casi no. Dunque è soltanto una convenzione che sicuramente ha qualche fondamento, perché è nata come convenzione. Se uno deve continuamente occuparsi di salvare la pelle non può occuparsi di altro, come accade per gli animali la cui esistenza passa tra il mangiare e l'evitare di essere mangiati. Per cui è stato considerato, ad un certo punto, un bene supremo, poi di fatto rimane comunque arbitrario. Dicevo questa sorta di convenzione è diventata un luogo comune, anzi, forse uno dei più accreditati che consente poi a ciascuno di poter vivere senza guardarsi le spalle continuamente. Però, in effetti, sia la vita che la cioccolata hanno valori differenti ma ciascuno dei due è assolutamente arbitrario. Il motivo per cui uno non uccide è che viene accolto questo luogo comune molto robusto, è quello che consente a ciascuno di potere occuparsi di varie cose senza doversi preoccupare di guardarsi le spalle, ma non possiamo aggiungere nulla più di questo. Se io elaboro la questione del mangiare la cioccolata so perché la mangio ma continuo a mangiarla, invece se elaboro la voglia di uccidere qualcuno, posso sapere perché ma non lo ucciderò. È il luogo comune che impedisce di operare così come altri, questo è uno dei più robusti, certo, ma altri impediscono di fare altre cose. Lei, Cesare, non andrebbe mai in giro con una caffettiera in testa, magari può venirle in mente una cosa del genere, ma la svolge, la elabora, intende perché, ma continua a non andare in giro con una caffettiera in testa.

Intervento: Dove si ponga la questione di ciò che mi piace intervenga un'interrogazione su dei desideri così antitetici, no?

Sì, perché ho preso due cose apparentemente lontanissime, hanno valori, per lo meno quelli attribuiti, assolutamente differenti.

Intervento; Sì, perché come struttura logicamente è uguale.

Intervento: Sono due cose che gli piacciono.

Sì, io le elaboro entrambe ma una la faccio, l'altra no.

Intervento: Perché ho dei motivi per non farlo.

Ha un valore ma è arbitrario.

Intervento: Sì, arbitrario ma è anche un discorso pragmatico, se uccido vado in galera.

Infatti quando questo pragma cambia direzione lei uccide, anzi più ne uccide e più viene decorato.

Intervento:…

Uno può pensare: voglio uccidere il papà e la mamma, mi piace uccidere il papà, mi piace uccidere la mamma. Elabora la questione, non uccide la mamma né il papà, oppure mi piace la cioccolata e il gelato di fragole e li mangio tutti e due.

Sono entrambe arbitrarie.

Intervento: Certamente, ma i valori sono completamente differenti, però come avviene che uno si trovi ad elaborare una questione di questo genere quasi come se avesse l'autorizzazione di portare avanti l'elaborazione.

Ne parlavamo tempo fa a proposito dell'etica, cioè di ciò che muove il desiderio e cioè che il discorso prosegua, questo è l'unico elemento che è assolutamente irrinunciabile. Martedì ho fatto un accenno alla questione dell'elaborazione teorica come l'unico gioco che mantiene un interesse irrinunciabile, qualunque altro e rinunciabile. Non offre un gran che. E poi c'è questo aspetto che occorre valutare che è quello della convenzione.

Intervento:…

No, infatti questa convenzione a volte lo proibisce altre volte obbliga a farlo Se lei in guerra si rifiuta di uccidere viene incolpato di alto tradimento o di diserzione.

Intervento: Sì, però pensavo appunto che logicamente sono perfetti, hanno tutti e due la stessa costruzione.

C’è qualche questione a proposito di martedì scorso, oppure no?

Intervento: Un po' la risposta alla domanda di Sandro quando parlava della comunicabilità e della trasmissibilità di questo percorso, come si può rendere partecipi gli altri di un percorso come il nostro. Mi sono trovata a riflettere su questa questione e cercare di porla in termini un tantino più semplici. Laddove ci si scontra con la comunicazione e si parla di passaggio con un interlocutore a dire cose che sono sempre così contraddittorie, mi pare che per il momento non ci sia possibilità di passaggio per lo meno retorico. Mi è venuto in mente Freud il quale non credeva assolutamente che gli umani potessero superare le passioni e quindi, cominciare a parlare, a ragionare.

Ma questa fruibilità di che cosa è fatta?

Intervento: Come quando uno impara a parlare.

La questione è che ci si trova davanti al come, come fare una cosa del genere. Una proposizione come quella che afferma che nulla è fuori dalla parola possa ascriversi e funzionare all'interno di un discorso, anziché scivolare via.

È da tempo che ci occupiamo di questo aspetto, ad ogni modo perché qualcosa s'inserisca all'interno di un discorso di una persona che ascolta.

Intervento: e allora l'altra strada non può essere che quella di fare il percorso che ha fatto Freud, questa questione etica, morale. Sono proposizioni che interrogano.

Talvolta riflettendo intorno a queste questioni, come è successo in molte circostanze, il fatto che molte persone o poche persone seguano il discorso non è un obbiettivo primario, quello primario è proseguire l'elaborazione.

Intervento: la questione era come interviene un'elaborazione di questo tipo con la pratica. naturalmente.

Analogie fra una conferenza e una seduta d'analisi si possono fare fino ad un certo punto poi ci sono delle differenze sostanziali, per cui se in una seduta d'analisi si provoca talvolta il fastidio c'è una conversazione diretta con la persona, questo fastidio può essere interrogato, in una conferenza è molto difficile. Se una persona è infastidita, apparentemente e lì mica lo so che è infastidita. Se interviene la persona allora c'è l'eventualità di potere fare qualcosa, se non interviene se ne va infastidito e chiuso. Mentre in una conversazione c'è un riscontro continuo di ciascuna cosa che si dice. Nella conferenza magari uno ti guarda tranquillo e invece sta pensando non torno più.

Certo in analisi la questione fondamentale è porre delle questioni connesse con la struttura del discorso dell'analizzante, non è tanto il contenuto di ciò che dice quanto intendere che cosa crea l'intoppo.

Non a caso ho preso la questione che poneva Cesare all'inizio, cioè la questione etica anche. In molti casi il discorso che stiamo facendo ha condotto delle persone ad immaginare che essendo qualunque affermazione arbitraria allora qualunque cosa mi piaccia va bene. La questione è che non va né bene né male, qualsiasi questione si ponga occorre che sia elaborata, tenendo conto almeno di due aspetti: il primo è l'esperienza, cioè l'estrema facilità con cui si è portati verso la struttura religiosa, vista la millenaria esperienza e quindi tagliare corto, come si dice talvolta, rispetto al proprio discorso, l'altro è invece che l'obbiettivo, e che qualunque questione non può non essere considerata. Ora questa considerazione nell'elaborazione può avvenire anche a grande velocità e accorgersi ad esempio che non comporta necessariamente un risvolto religioso, a proposito della cioccolata, mi piace la cioccolata posso anche intendere perché mi piace la cioccolata ma non comporta questo nessun risvolto religioso né il ripiegare di un discorso verso una struttura religiosa.

Cosa comporta invece quest'altra affermazione che è intervenuta ed alcune persone hanno abbandonato, cioè che qualunque cosa mi piaccia a questo punto va bene? Come dire a questo punto non nient'altro che quello che mi piace come criterio di valutazione generale.

Ecco allora lì sì, il piacere nell'accezione banale del termine è ciò che non deve, non può essere messo in gioco, il piacere viene messo al posto del giudizio supremo, diventa effettivamente la verità ultima delle cose. La verità ultima delle cose è ciò che mi fa piacere, come se questo fosse un punto di arrivo. Tutto ciò che rimane no? È un mito qualunque fra infiniti altri che occorre che sia considerato nel risvolto elaborato ciascuna volta che interviene. Accorgersi di ciò che lo supporta, non soltanto per non cadere continuamente nella struttura del discorso religioso, ma anche e soprattutto perché consente di incontrare una quantità notevole di elementi. Affermare che qualunque cosa va bene non significa assolutamente nulla, non va né bene né male. Se mi piace fare una certa cosa allora la faccio, c'è qualcosa qui che impone soddisfacimento, per esempio, del desiderio come una sorta di religione, se una cosa mi piace allora la devo fare, perché? Da dove viene questa necessità? Ecco perché di nuovo la questione teorica come obbiettivo, perché qualunque cosa effettivamente occorre che sia considerata, non dico farne un problema, ma interrogarla e ascoltarne i risvolti, le pieghe, tutto ciò che ha da dire insomma. Quante volte anche le persone che vengono qui: se mi piace perché non devo farlo? La questione non è perché non devo farlo ma perché devo, è questo che può consentire di reperire degli elementi.

Intervento:…

È questa una delle questioni più importante che occorre che elaboriamo per raggiungere, aumentare quella semplicità che si diceva che poi è quella che consente alle persone come dicevo di potere usufruire del discorso.

Intervento:…

Sì, in effetti funziona allo stesso modo in cui diceva Nietzsche: "se Dio è morto allora tutto è permesso", se tutto è un gioco linguistico allora posso fare quello che voglio, ma la struttura è la stessa, comporta la stessa religiosità, come dire che qualunque ghiribizzo mi passi per la testa diventasse un dovere, devo assolutamente soddisfare questo ghiribizzo.

Intervento: Cioè a quel punto il gioco linguistico diventa la causa delle emozioni che non ci sono perché il gioco linguistico sono solo parole di qui si apre la strada per...

Sì, in effetti se si considera che tutto è un gioco linguistico e allora non ci sono più le emozioni ecco che considerando che tutto è un gioco linguistico allora posso fare quello che mi pare, che non ha nessun interesse, non abbiamo mai posto la questione in questi termini. È una sorta di euforia che prende molti, non c'è la verità assoluta quindi, la questione di Dio allora se non c'è Dio.

Intervento: la struttura permane, tale e quale. Ed è in effetti la questione più difficile quella. Rinunciare all'oggetto, in qualche modo, alla verità. Anche all'elemento linguistico, come si diceva nel discorso schizofrenico le parole sono le colle e ovviamente quella è la verità, è un gioco linguistico, è un gioco di cui ci si accorge tantissimo però a quel punto è quella la verità, cioè si cerca di isolare e all'interno del gioco linguistico l'elemento che funga da referente, da quello che dice.

Sì, affermare che una certa cosa è un luogo linguistico significa affermare questo che è retto da regole arbitrarie certo, ma che occorre che conosca. E se io voglio una certa cosa questo volere una certa cosa è un gioco linguistico mosso da regola che occorre che io conosca, conoscendo queste regole anzitutto perdo il carattere di costrittività, se mi piace fare questa cosa allora la faccio, questa costrittività non conosce le regole che muovono questo gioco e può sì continuare a mangiare la cioccolata ma non gliene frega niente. non gliene importa nulla.

Intervento:…

Vede, qualunque regola nel gioco linguistico è arbitraria, che ci sia la regola o no ma quale regola? Quindi arbitraria è quella che vieta di uccidere quanto quella che dice di mangiare la cioccolata. Sono regola arbitrarie, non è arbitrario il fatto che ci siano, questo è necessario.

Occorre lavorare molto per rendere più semplici le questione che andiamo affrontando di volta in volta affinché siano usufruibili, come dice Beatrice, anche per gli altri. Eliminando questi due elementi, uno quello religioso, il fatto che se non c'è più la verità allora tutto è permesso, l'altro che se tutto è un gioco linguistico allora non ci sono più emozioni.

Però la prima parte è forse la più considerevole.

Intervento:…

Sì, retoricamente non è difficile la dimostrazione perché sia uccidere che mangiare la cioccolata è la stessa cosa, pochi sarebbero disposti a dire di sì, preferirebbero che io mi metta lì a mangiare la cioccolata anziché sparargli in testa. Perché? Perché ci tengono alla vita? Retoricamente ci sono certo forti argomentazioni per stroncare una cosa del genere, ci sono armi molto potenti. Non è una questione facile.

Intervento:…

Qualunque gioco mi piaccia o possa fare , lo faccio. Perché no? Ecco, teoricamente noi dobbiamo rispondere a questa domanda, a questo perché.

Intervento:…

Sì, Roberto è un ragazzo intelligente, in gamba però è caduto in questa sorta di onnipotenza, è una fantasia certo.

Intervento:…

In che senso Cesare, se voglio fare una cosa la faccio? Quando credo fermamente in ciò che penso, ecco dove sta un po' l'aspetto religioso, è proprio così, è come se questo fosse fuori dalla parola.

Intervento: Perché io ci credo?

Perché ciò mi si pone come desiderio , questo è fuori dalla parola e quindi io ci credo, è così. E questa è la direzione da seguire, è questa la religiosità. La questione non è tutto è permesso o tutto è proibito, è il fatto di trovarsi a credere in ciò che si pensa. Deve cessare la necessità di credere.

Intervento:…

Sì, su questa via possiamo cominciare a lavorare. Se non ho la necessità di credere non ho neanche la necessità di credere in quello che dico, che è la questione del vero e del falso.

Intervento:…

Ciò che fa possibile il discorso è il discorso stesso che non può arrestarsi.

Intervento:…

No, sono elementi linguistici, sono rinvii, spostamenti, non sono verità. Possono essere presi come tali, però non è necessario. È soltanto uno spostamento, un elemento che si aggiunge. Se io affermo che qualunque gioco va bene quindi faccio quello che mi piace a questo punto quello che mi piace, questa mia sensazione diventa verità.

Va bene, ci vediamo giovedì prossimo.