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7-9-2004

 

Intervento: si è detto che una proposizione è felice quando conclude coerentemente con la premessa

Occorre anche che siano soddisfatte le regole di quel gioco perché sia felice, si ricorda l’esempio in cui varava la nave?

Intervento: diciamo se è coerente con la premessa dovrebbe anche rispettare le regole o no?

È un gioco linguistico certo, occorre che sia coerente con la premessa, però occorre che siano soddisfatte anche certe regole particolari…

Intervento: allora io costruisco una proposizione la quale proposizione prevede una catastrofe e qui c’è il mio tornaconto, c’è il mio piacere… però questa catastrofe non si verifica, ossia succede qualche cos’altro che mi dà ulteriormente piacere, io ho trovato piacere sia nella prima proposizione perché ovviamente ero attratto da questa proposizione ecco in questo non verificarsi comunque io ho trovato del piacere perché…

Se questa catastrofe che era attesa non si verifica allora la proposizione è infelice…

Intervento: sì ma il mio piacere sia nella prima proposizione che non è felice

E quindi è dispiaciuto…

Intervento: esatto però il piacere che io ne traggo sia dalla prima proposizione anche se non conclude felicemente

Non può trarre piacere dalla prima proposizione, ché lei si attende la catastrofe e la catastrofe non si verifica allora questa attesa è delusa, se io mi attendo x e x non accade…

Intervento: sì però è importante questa attesa perché dà piacere

L’attesa? Dipende, l’attesa di una catastrofe spesso è accompagnata da una certa eccitazione, però poi la catastrofe non si verifica e quindi c’è la delusione, d’altra parte il fatto che non si verifichi la catastrofe può soddisfare un altro gioco che è fondamentale, che è quello che è fatto della necessità di non accogliere la responsabilità del proprio desiderio che si manifesti la catastrofe, quindi non verificandosi la catastrofe, che l’aspetti oppure no, c’è una certa soddisfazione nel fatto che posso sottolineare il fatto che non la desidero, che è importante, e quindi viene soddisfatta quest’altra esigenza per cui sono comunque contento…

Intervento: c’è un altro aspetto importante per il diniego della responsabilità… se l’attesa viene delusa c’è anche una sorta di soddisfazione che il gioco si possa riproporre se d’altra parte si verifica è come se fosse la fine del gioco

Sì, viene mantenuta l’eccitazione dell’attesa, certo…

Intervento: la possibilità di riproporre il gioco, del fare questo gioco l’attendere la catastrofe mantiene una sorta di eccitazione e quindi l’eccitazione introduce tantissime fantasie, pensieri, proposizioni etc.

Sì certo, al punto che qualche cosa deve risultare impossibile proprio per questo motivo, per mantenere l’eccitazione all’infinito…

Intervento: come dire che il fatto che non si verifichi la catastrofe ha come tornaconto il fatto che questo gioco lo posso riproporre. Il fatto che desideri la catastrofe è comunque una mancanza di responsabilità, cosa indichiamo con mancanza di responsabilità? Indichiamo che non possiamo accogliere che qualsiasi cosa è un gioco linguistico, che io sono un gioco linguistico, perché al momento in cui io tenga conto di questa questione già interviene l’interrogazione del perché aspetto la catastrofe, la catastrofe ha un uso ben specifico e determinato nel luogo comune, non è che io me lo inventi o che significhi qualsiasi cosa e il suo contrario, no è lì che deve intervenire l’interrogazione anche se non è semplicissimo è difficile compiere questa interrogazione perché significa confrontarsi con ciò che si dice e quindi con il linguaggio che sta funzionando e che produce la catastrofe che sia attesa e quindi spostata ma è nel discorso, nel proprio discorso

È la questione che abbiamo posta martedì scorso, è importante anche se piuttosto complicata, occorre tenere conto di un certo numero di passi, il primo è quello che afferma che qualsiasi cosa questa è necessariamente un elemento linguistico, e sapere provare questo in modo inattaccabile dopodiché, se qualunque cosa è necessariamente un elemento linguistico allora lo scopo del linguaggio, il suo agire, non può essere altro se non qualcosa all’interno del linguaggio stesso, visto che non c’è nulla che sia fuori dal linguaggio, poi il terzo passo: se l’obiettivo del linguaggio non è nient’altro che proseguire se stesso, cioè costruire altri elementi linguistici allora, necessariamente stando alle regole, alle procedure che lo fanno funzionare, deve costruire delle proposizioni che risultino vere all’interno del gioco che sta costruendo perché non può auto contraddirsi, e quindi ciò che ciascuna persona, quindi il linguaggio che è esattamente al stessa cosa, fa e non può non fare ed è l’unica cosa che fa, è costruire delle proposizioni e attendersi la verifica di queste proposizioni, è questo che desidera, non desidera né può desiderare nient’altro. L’evento di cui parla, del quale magnifica l’eventuale accadere, in realtà è un discorso, un racconto ed è di questo racconto che attende la verifica, non l’evento, l’evento non è fuori dal linguaggio e non è nient’altro che una sequenza di proposizioni e queste devono venire verificate, quando sono verificate allora è soddisfatto il requisito del linguaggio di costruire una sequenza di proposizioni che concludano con una proposizione vera e quindi da lì può proseguire, che è esattamente quello che fa. Dicevamo la volta scorsa che si tratta di verificare se le cose stanno esattamente in questi termini, cioè se non possono essere altrimenti. Avete riflettuto su questa questione in questi giorni o avete fatto altro? Come ciascuno di voi sa, una qualunque verifica che si rispetti è una sequenza di inferenze, qualunque tipo di verifica, anche la dimostrazione ostensiva è una sequenza di inferenze poiché solo le inferenze mi consentono di concludere una certa cosa, per esempio, data una certa premessa, di concludere una certa altra cosa, per esempio se Beatrice mi chiedesse: Cesare in questo momento sta fumando? Io guarderei Cesare e risponderei: Sì. Apparentemente non ho fatto nient’altro che vedere, ho visto Cesare con la sigaretta in bocca, da qui abilmente ho dedotto che sta fumando. Però per potere rispondere questa brevissima risposta occorre che io sappia tutta una serie di cose e che sia in condizioni di disporre queste cose in una catena inferenziale, perché ho distinto la sigaretta da una matita, se avesse avuto una matita in mano avrei risposto no, quindi devo sapere distinguere, devo compiere dunque tutta una serie di operazioni complesse, però ormai inserite in una sorta di automatismo, ma il fatto che siano inserite in una sorta di automatismo non toglie nulla al fatto che comunque dipendano da inferenze. Ora dunque qualunque dimostrazione non è altro che una sequenza di inferenze e le inferenze sono ciò di cui è fatto il linguaggio, cioè non ho nient’altro per potere dimostrare qualcosa se non la deduzione, poi anche altre forme di inferenza, l’induzione, l’abduzione se preferisce, se no va bene la deduzione, e quindi per potere concludere qualunque cosa, cioè dimostrare qualunque cosa o il suo contrario, sono costretto a utilizzare quella struttura che chiamiamo linguaggio, e pertanto anche per dimostrare questo, e cioè che ciascuno non fa nient’altro che costruire delle proposizioni vere, per dimostrare questo, utilizzerò sempre il linguaggio, anche per dimostrare che qualsiasi cosa questa è un elemento linguistico. Il fatto di non avere nessun altro strumento per poterlo fare non è privo di conseguenze, prima fra tutte il fatto che qualunque cosa avrò fatta non avrò fatto nient’altro che costruire una sequenza di proposizioni e cioè di essermi attenuto a delle regole linguistiche, e le regole le chiamiamo inferenze, questione cui si era già avvicinato Wittgenstein dicendo che al termine di una dimostrazione, di una qualunque dimostrazione non potremmo affermare nient’altro se non l’esserci attenuti scrupolosamente alle regole per compiere quella dimostrazione, non c’è altro che questo, e quindi al pari, noi non dovremmo concludere nient’altro che questo quando abbiamo fatto una dimostrazione, e cioè che ci siamo attenuti alle regole del linguaggio, lui si limitava alle regole della dimostrazione, ma le regole della dimostrazione per quanto varie e svariate o avariate in alcuni casi possano essere, rimangono comunque vincolate alle procedure linguistiche dalle quali non si possono svincolare, valga per tutte quella fondamentale quella stringa che dice che “se A allora B e se B allora C, allora se A allora C”, se si nega questo allora si nega la possibilità stessa di pensare e quindi di negare alcunché, e questa stringa così semplice e banale non è altro che, potremmo dire, l’emblema del funzionamento del linguaggio, la sua struttura più semplice. Fatte queste semplicissime considerazioni, a questo punto se qualunque criterio sarà stato utilizzato per provare ciò che abbiamo in animo di provare, questo non sarà stato nient’altro che linguaggio, allora dobbiamo verificare se ciò che abbiamo detto si attiene unicamente alle regole del linguaggio, ma parrebbe di sì, poiché il linguaggio non può avere altro fine se non qualcosa che è linguaggio, ché se avesse altro fine allora sarebbe qualcosa che non è linguaggio ma abbiamo appena detto, oltre che provato, che qualunque cosa è necessariamente un elemento linguistico e, pertanto, anche l’obiettivo sarà un elemento linguistico e quindi l’obiettivo del linguaggio è un elemento linguistico. Ma sappiamo anche che per proseguire, il linguaggio necessita di qualcosa che può riscontrare o meglio verificare, solo dopo che ha verificato cioè letteralmente ha fatto vero qualche cosa allora può utilizzarlo per proseguire, in caso contrario no, e quindi affermare che l’obiettivo del linguaggio è proseguire se stesso e per proseguire se stesso deve costruire proposizioni che risultino vere all’interno del gioco che sta facendo, questo risulta necessario. È chiaro fino a qui? Alcuni tra voi hanno sollevata una questione che riguarda l’aspetto clinico più propriamente, e cioè l’utilizzo di una considerazione del genere in ambito clinico cioè all’interno della pratica analitica vera e propria, l’altra volta dicevamo che la posizione dell’analista è quella del linguaggio che pensa se stesso e che costringe il discorso che va ascoltando a fare altrettanto e quindi in prima istanza considerare che la premessa da cui si muove, che il più delle volte è posta come un quantificatore universale, fare notare che invece si tratta di un quantificatore particolare. Il quantificatore universale è quello che dice che per tutte le x c’è questa proprietà, cioè per esempio “tutti gli umani sono mortali” questo è un quantificatore universale, quello particolare dice che vi è almeno un umano che è mortale. Quindi la premessa di un discorso cosiddetto nevrotico, cioè un discorso religioso, che muove da una premessa che è supposta universale, volgerla in una premessa particolare, perché può anche essere vero che all’interno di quel gioco le cose funzionino a quella maniera, ma solo all’interno di quel gioco, mentre la persona tende a porla come un universale e cioè in tutti i giochi o, come direbbero i logici, in tutti i mondi possibili varrà quella funzione. Perché in molti casi la premessa da cui muove il nevrotico in effetti è coerente con altri elementi, ma noi spesso abbiamo detto che è arbitraria, certo, perché è arbitrario quel gioco ma all’interno di quel gioco è funzionale ma è all’interno di quel gioco quindi è una situazione assolutamente particolare che invece la persona ritiene universale…

Intervento: cioè è estesa a tutti i giochi che va facendo

Esattamente, e anche a tutti quelli possibili, e anche quelli che fanno gli altri. La formula del quantificatore universale è “per tutte le x φ(x)” come dire per tutte le x, e cioè per qualunque cosa si attribuisca questa caratteristica, questa particolarità, una φ qualunque, può essere qualunque cosa, come dicevo prima “tutti gli umani sono mortali “ per tutte le x, se x è umano allora x è mortale, questa è una formulazione di un quantificatore universale e nel discorso religioso funziona così…

Intervento: anche dire che tutti gli umani sono mortali è una affermazione di un discorso religioso

Beh, se spacciata come necessaria sì, perché in realtà è un’induzione, e logicamente non è sostenibile così come dicevamo la volta scorsa: affermare che domani mattina sorgerà il sole siccome è sempre sorto da che mondo è mondo, allora anche domani sorgerà…

Intervento: quindi il passaggio potrebbe essere anche solo questo la considerazione che la premessa universale è frutto di un’induzione

Intervento: e quindi è un’ipotesi qualcosa che deve sempre essere verificata

Intervento: mentre nella nevrosi la premessa universale è data di per sé

Tutte le affermazioni che fanno gli umani hanno questa struttura, la ritrovate in qualunque affermazione che ascoltate da chiunque in generale. Potremmo anche fare degli esempi atteniamoci ai fatti ultimi e cioè le gesta dei cosiddetti terroristi islamici, siano essi ceceni, afgani, iracheni, turchi, supponiamo che una persona muova da questo assunto “chiunque toglie la vita ad un altro senza che la sua direttamente in pericolo è un assassino e come tale deve essere fermato a qualunque costo” è un principio generale, ora un’infinità di persone sarebbero disposte a sottoscrivere un principio generale di tale fatta, ora un principio generale come questo muove dalla considerazione che la premessa generale che ho appena enunciata abbia valore universale e non particolare, se ha valore universale allora può venire utilizzata in tutti i casi e quindi una persona che uccide un’altra persona senza che la sua vita sia direttamente minacciata è un assassino e quindi deve essere fermato a qualunque costo e in qualunque modo; poi, altro esempio, supponiamo invece un’altra premessa, un principio altrettanto generale e cioè che “qualunque popolo che venga sottomesso al volere di un altro popolo con la forza ha il diritto di ribellarsi e di cacciare l’oppressore”, anche questo è un criterio assolutamente generale che chiunque sarebbe disposto a sottoscrivere…

Intervento: assolutamente democratico

Esattamente, e quindi viene immediatamente posto come principio generale, ma se lo ponessimo invece anziché all’interno di un quantificatore universale all’interno di un quantificatore particolare, come dire che dipende dalla situazione, dal caso, o più propriamente un’affermazione del genere, cioè una premessa del genere che perlopiù viene posta in modo universale di per sé non significa assolutamente niente, né questa né il suo contrario, ma sono particolari cioè funzionano all’interno di un certo gioco quindi dipende da quale gioco io intendo fare, allora varrà questa premessa, in caso contrario no. Tutto ciò che i cosiddetti nevrotici raccontano sono storie che hanno questa forma, muovono da una premessa che è assolutamente particolare che viene invece posta come un’universale e quindi valida sempre, una verità come dicevano gli antichi “sub specie æternitate”, cioè che varrà sempre, fino alla fine dei tempi, ma una verità che ha questa caratteristica e cioè che valga sempre fino alla fine dei tempi non è nessuna di quelle che ho appena menzionate, ma quest’altra che afferma che “se A allora B e se B allora C allora se A allora C” questa verità è sub specie æternitate nel senso che sarà sempre vera finché esisterà il linguaggio, e non potrà mai essere né negata né confutata in alcun modo perché è il fondamento stesso della possibilità di dimostrare e confutare qualunque cosa. Invece le premesse di prima, che se una persona uccide etc. è una premessa che non è affatto universale ma è assolutamente particolare, e cioè è funzionale a un certo gioco che per me ha valore estetico, cioè mi piace così, cioè mi piace perché mi conduce a una conclusione che per me ha valore universale essendo la premessa universale. Per esempio, la prima che ho detto e cioè se uno uccide una persona allora se fa questo non per salvare la propria pelle è un assassino che deve essere eliminato, allora se questo ha valore universale sono legittimato a operare qualunque massacro, in nome di dio e del popolo…

Intervento: quello che dice lei ripercorre la differenza fra morale e diritto, perché la morale in un certo qual modo pone l’istanza in termini universali, il diritto invece assolutamente no, lo pone come principio ma assolutamente da applicare in termini particolari

Qualcosa del genere, solo che questi giochi che rendono tale premessa universale sono assolutamente arbitrari, cioè non significano niente, in termini assoluti non significano assolutamente niente. Quale popolo non può dire di sé di essere stato almeno una volta oppresso in vita sua da qualcuno? Che sia stato schiacciato e quindi legittimato anche lui a compiere qualunque massacro in nome di dio e del popolo? Tutto questo per sottolineare quanto può essere utile oltreché importante in una analisi trasformare una premessa che si ritiene assolutamente necessaria, in una particolare, come la via regia per condurre alla responsabilità di ciò che si sta affermando, non affermo che chiunque uccida deve essere eliminato perché è così ma perché a me piace così, che è diverso…

Intervento: il fatto che la cultura non si fondi su premesse necessarie l’abbiamo già appurato che però il fatto che uno possa pensare che ciascuno è legittimato a vendicare il proprio figlio straziato ecc. è un fatto culturale, non pare tanto una questione estetica, cioè la questione estetica pone in modo immediato la questione della responsabilità… la questione culturale lascia spazio, potrebbe lasciare pensare che io non sia responsabile perché così mi hanno insegnato

Tutta la dottrina dei valori, delle tradizioni ha questa funzione, le nostre tradizioni ci impongono questo, i nostri antenati hanno voluto questo per noi, possiamo noi andare contro i nostri antenati e offendere la loro memoria, è questo che vogliamo?

Intervento: però la questione della cultura se lascia così questo varco comunque alla irresponsabilità, la questione della cultura si aggancia in modo molto più ferreo che non, secondo me, alla questione del linguaggio… la cultura che cos’è? La cultura è racconto non è altro

Sì anche se in alcuni casi può renderci le cose più complicate anziché più semplici…

Intervento: sto dicendo anzi che è più pericoloso perché lascia il varco ad appellarsi ad una sorta di irresponsabilità anche se non direi che se uno fa una certa cosa è perché gli piace ma c’è una struttura culturale che comunque è linguaggio che lo conduce a fare in una certa maniera o a pensare certe cose piuttosto che altre

Non tutte le cose che vengono dal suo retroterra culturale vengono accolte, solo alcune, perché? Ecco la questione della responsabilità, la questione estetica

Intervento: …la norma giuridica deve applicarsi al particolare per trovare un senso… è vero che certi insegnamenti posso accoglierli oppure no ma dipende dalla mia esperienza vale a dire dipende dal particolare… non è che sto facendo delle obiezioni ma sto cercando modi) (è una questione estetica un utilizzo del linguaggio puro e semplice

Intervento: la cultura è cultura perché man mano ci sono state delle decisioni di carattere estetico però esiste la cultura, perché esiste una trasmissione del sapere, esistono i valori… la cornice, il campo di gioco, il campo entro il quale si gioca, dove ognuno fa il suo gioco anche… mi sembra di intrecciare la questione culturale con la questione del linguaggio dove il linguaggio fa cultura nel senso che… è come se fosse una sorta di metagioco, non prima del linguaggio

Intervento: la cultura è una creazione del linguaggio non il contrario così come la religione, se mai si possono distinguere… di più perché implica anche il collettivo…

A chi interessa pensare Beatrice?

Intervento: al linguaggio a “colui” che può dirsi linguaggio, l’altro linguaggio quello che non lo sa può raccontare di pensare ma sta utilizzando delle proposizioni che il linguaggio ha costruito e costruisce in continuazione…

In effetti ha risposto alla domanda che pone la sua conferenza, potremmo dire: a chi interessa parlare? Al linguaggio, a nessun altro l’unico che ha l’interesse irrinunciabile a parlare, gli umani essendo fatti di linguaggio continuano a parlare… (certo, questo gli umani lo hanno sempre fatto, hanno sempre parlato però non si sono mai potuti interrogare sulla loro condizione, al momento in cui possono compiere questa operazione allora necessariamente direi si instaura un automatismo per cui non può più utilizzare qualcosa che sa essere falso, non gli serve più per parlare perché non si diverte più, non gioca più e quindi deve rilanciare continuamente il gioco e quindi deve agirlo questo linguaggio quindi costruire, immettere nella struttura ciò che gli procura parola, costruire di sana pianta questa struttura. Questo per che cosa? Per continuare a parlare

Qui occorrerebbe dire che a chi interessa pensare è l’analista, analista in questa accezione di cui dicevamo prima e cioè colui che è nella posizione del linguaggio che pensa se stesso…

Intervento: riflettevo sulla questione della cultura e quindi di come certe questioni possono essere accolte e altre scartate immediatamente per questioni culturali… l’altra volta lei diceva del sole che sorge al mattino e come questa sia un’ipotesi tutto sommato, una costruzione del linguaggio che ha il suo utilizzo, pensavo che tutto sommato questo sarebbe un discorso che se fatto in certi termini è semplice per fare intendere all’umano che è linguaggio e di come il sole che sorga al mattino ha comportato, per esempio, l’invenzione della caffettiera per farsi il caffè e svegliarsi… il sole che sorge al mattino ha comportato il lavoro e non è una meraviglia della tecnologia, e quindi pensavo che un’argomentazione fatta in modo semplice dove si parla del linguaggio e delle sue procedure e la questione dell’induzione poteva essere intesa e accolta in un certo modo, non subito, però questo non è fare i conti con la cultura… con cultura intendo in questo caso quella dei canoni morali sui quali è fondata la nostra società, canoni morali significa “non uccidere l’altro se non per difendere la propria vita in pericolo” quei giochi particolari ma che vengono considerati universali ecco con questo, con queste questioni, anche se partiamo da inferenze, da costruzioni, sovrastrutture però un discorso di questo genere è ciò che non permette o meglio ha molta difficoltà per il linguaggio ad essere accolto, perché i valori supremi sono quelli che sono utilizzati anche da colui che ammazza continuamente e lo fa soprattutto in ordine a questi valori ché se non fossero valori c’è l’eventualità che non avrebbero nessun utilizzo, potrebbero non significare qualcosa per qualcuno e quindi non creerebbero tutti quei discorsi che agganciano, non ci sarebbe questa storia, potrebbe fare a meno il linguaggio di storie? Non ci sarebbe nessun interesse a compiere questa operazione non si divertirebbe ma è proprio perché ci sono questi valori che trasgredisce… e qui la responsabilità che occorre porre, e questa è una implicazione che occorre svolgere è la questione dell’olocausto… in che modo porla? Qui le questioni diventano difficoltose, qui si tace perché si sa che sono questioni aculturali… d’altra parte di fronte a questo si smussano gli angoli e diventa complicato parlare di atti linguistici tutto sommato, questa la difficoltà è una difficoltà finché ci si crede, è su questo che io sto lavorando perché se mi è semplice provare un’induzione e parlare delle costruzioni che seguono all’induzione e quindi dell’utilizzo del linguaggio, tengo conto che laddove io mi trovi a parlare del terrorista islamico in un certo ambiente e voglia parlare del linguaggio e quindi mi assuma la responsabilità di quello che vado dicendo ciò comporta da parte mia una fatica in più ecco, ci sono giochi in un modo e giochi in un altro però…

Intervento: lei diceva a chi interessa pensare io immaginavo questo come una sorta di punto di arrivo, per dare un messaggio anche un po’ di speranza per esempio alla domanda a chi interessa pensare a me viene da rispondere a tutti interessa pensare, differente invece la difficoltà e quindi il ripiegare il luogo comune per ovviare a queste difficoltà poi tutto sommato forse questo è un messaggio positivo il fatto che a tutti interessa pensare, perché a tutti interessa la soddisfazione e la soddisfazione viene dal saper pensare, dal saper parlare, dal sapere come funziona il proprio discorso e quindi in questo caso introdurre la questione però in effetti come dire tutti i giochi sono fatti quasi come dire per aggirare la difficoltà che comunque il pensare comporta, il saper pensare è la condizione per la soddisfazione e quindi per la felicità del discorso… non è che il pensiero interessa solo all’analista ma occorre essere analisti per pensare questo implica avere soddisfazioni la questione è poi tutta lì, le difficoltà della vita perché? Perché non c’è un pensiero che riesce a pensare se stesso, perché non c’è modo di poter cogliere questo pensiero nel suo gioco, in quello che sta costruendo, sta lì la difficoltà l’analisi è ciò che consente…

Daniela, qualche considerazione?

Intervento: personalmente la soddisfazione di fare i primi passi nel tentativo di pensare è quella di vedere il proprio discorso come è agito e non subito ecco questa è la prima soddisfazione cioè non come vittime di un destino o di una serie di combinazioni disgraziate o fortunate magari è il discorso della responsabilità messo in questi termini mi importava di più ecco, agire la propria vita e costruirla a partire dal linguaggio come tutto il resto, perché non dovrebbe essere una speranza potersi considerare linguaggio? Questa è una domanda che da tanto tempo voglio porre.