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7-5-2014

 

Oggi intendo dirvi qualcosa a partire dalla propaganda. La propaganda è utilizzata da quando esistono gli umani, dai tempi di Demostene, e non è altro che quell’insieme di attività, che possono essere discorsi o altro, volti a ottenere il consenso del pubblico al fine di trarne un proprio vantaggio. Potrebbe apparire d’acchito che ciascun discorso si strutturi grosso modo come una propaganda, e cioè miri a persuadere altri della verità delle proprie tesi e quindi della necessità di porle in atto. È ovvio che la propaganda è retorica, è un particolare aspetto della retorica propriamente, cioè quello che comunemente è noto come discorso parenetico. Il discorso parenetico è uno dei discorsi più diffusi: “parenetico” è un aggettivo di parenesi. La parenesi letteralmente è l’esortazione. È stata usata per millenni dalla chiesa l’esortazione, per esortare a fare il bene, esortare le anime a fare certe cose; il discorso parenetico è appunto un discorso esortativo, in alcuni casi ammonitorio, ammonisce di quali malanni possono capitare se non si segue l’esortazione di cui sopra. Dicevo che è molto frequente questo aspetto nei discorsi, non solo retorici; i tre discorsi classici della retorica sono il discorso epidittico, deliberativo e quello forense o giudiziario. Il discorso deliberativo verte sulla necessità di stabilire che cosa occorre fare e che cosa no, si delibera, è il discorso politico per eccellenza, nel discorso forense, giudiziario si tratta di stabilire se una persona ha commesso ciò di cui la si accusa oppure no, e infine il discorso epidittico che propriamente sarebbe il discorso elogiativo, alla lettera epidittico significa dimostrativo, e cioè si dimostra che quella certa cosa è il bene. Il discorso parenetico è il discorso che si fa per muovere le folle, le si esorta a fare una certa cosa e la si ammonisce per tutti i malanni che possono capitare se non si fa ciò che le si dice. Un discorso del genere potrebbe apparentemente non avere nulla a che fare con il discorso teorico, il discorso teorico si presuppone che non dovrebbe avere in animo di esortare le persone a fare delle cose, dovrebbe dire soltanto come stanno le cose, poi ciascuno fa quello che gli pare, ma non è così. Sappiamo da Feyerabend in poi che le cose non stanno affatto così e che si tratta sempre ciascuna volta di esortare qualcuno credere delle cose. A noi interessa la questione del potere, e sul potere c’è ancora tantissimo da dire, da articolare, da inventare, e il discorso parenetico è il discorso del potere potremmo dire per antonomasia. Il discorso parenetico non è propriamente normativo, non dice quali sono le regole morali da seguire, non è un discorso morale tout court, può anche esserlo, ma non solo, è il discorso che esorta gli animi muovendo dalla supposizione che le persone debbano essere supportate, confortate, sorrette, perché se no cadono nell’errore, nell’avvilimento, nel lutto e nella depravazione. Dunque è il discorso del potere per antonomasia dicevo, e questo può consentire di cogliere più facilmente, più rapidamente un discorso che vuole, anche se a parole dice di no, ma vuole essere un discorso di potere, un discorso che vuole dire ad altri come stanno le cose perché questi altri si muovano in quella direzione. Il potere, la fantasia di potere, è una delle cose più difficili da considerare e soprattutto da abbandonare, al punto da indurre a pensare in alcuni casi che sia impossibile, però noi consideriamo invece che qualsiasi cosa sia possibile anche perché decidiamo noi che cosa è possibile. A meno che il possibile sia un qualche cosa che è fuori dal linguaggio come la natura, ecco, il discorso parenetico ha bisogno della natura il più delle volte, ne ha bisogno come dell’aria che respira. Questa difficoltà che appare immensa può essere affrontata, anzi direi che può solo essere affrontata con degli strumenti particolari senza i quali, temo, non ci sia nessuna possibilità di intenderla, strumenti che fornisce un’analisi indubbiamente, ma non solo, occorre anche avere iniziato a considerare il modo in cui gli umani funzionano e cioè il modo in cui funziona il linguaggio, la sua struttura, solo da lì è possibile accorgersi che la fantasia di potere procede, potremmo dire inesorabilmente, dal modo in cui funziona il linguaggio, perché il linguaggio impone che ciascuna cosa venga affermata per potere consentire di procedere nell’argomentazione, nel discorso, e una “affermazione” come dice la parola stessa “ferma qualcosa”, e fermando questo qualche cosa lo impone come vero. Questa “imposizione” di cui sto parlando è un’imposizione che andrebbe messa tra virgolette perché è tale solo in certe circostanze, non sempre, non necessariamente, però il più delle volte si impone, e imponendosi mostra la direzione da seguire…

Intervento: perché è tale solo in certe circostanze?

Perché se il funzionamento del linguaggio, la sua struttura è perfettamente conosciuta quindi praticabile, allora in quel caso non si subisce questa imposizione da parte del linguaggio, anche se l’affermazione ferma comunque qualche cosa, però è ricondotta alla sua funzione all’interno del discorso che è semplicemente di consentire di proseguire, non stabilisce nessuna verità a cui altri debbano conformarsi. La connessione con il discorso parenetico è proprio questa: nel momento in cui l’affermazione ferma qualche cosa deve, se non è avvertita come un elemento linguistico, deve trovare il consenso altrui, deve costruire il consenso e deve mantenerlo, perché solo questo consenso consente all’affermazione di essere riconosciuta come tale, come vera, soltanto altri possono fare questo, questo riconoscimento che appare necessario, è tale per via del modo in cui si insegna a parlare. Perché quando si apprende a parlare non si hanno ancora gli elementi per valutare quello che sta accadendo; il modo in cui si insegna a parlare prevede che la verità, la eventuale verità di una affermazione debba essere confermata dalla persona che sta insegnando a parlare, non si insegna a chi sta imparando a parlare di verificare la verità dalle proprie affermazioni, lo si renderebbe autonomo e di conseguenza non ricattabile, e quindi crollerebbe tutto il sistema civile. La questione riguarda la verifica della verità di una affermazione di una certa cosa da parte di un’altra persona, la quale è quella che sa se ciò che sto dicendo è corretto oppure no, perché si fa questo? Perché si insegna a obbedire poi? Perché se io conosco la verità e l’altro no, l’altro dipende da me per fare le cose, per sapere muoversi fra tutti i vari eventi che accadono, di distinguere quali sono quelli veri, importanti, sapere cosa è bene, cosa è male e un moltissime altre cose. Una persona che apprende, sta che imparando il linguaggio, incomincia ad accorgersi che tutti quelli che la circondano si muovono in quel modo, cioè obbediscono a certe leggi, ubbidiscono a certi criteri, si muovano insomma secondo delle regole che la persona che sta imparando a parlare deve apprendere e che vuole apprendere, perché è soltanto l’apprendimento di queste regole che gli consentirà di pensarsi parte di un gruppo, di un consesso civile. Perché è importante pensarsi parte di un gruppo? Primo, perché si ritiene che questo gruppo sia depositario di una verità, cioè questo gruppo sa come stanno le cose, e quindi se io mi aggrego a quel gruppo anch’io divento parte di coloro che sanno come stanno le cose. Prendete un gruppetto di ragazzini, il modo in cui si strutturano questi gruppetti è emblematico, che cosa cerca un ragazzino o una ragazzina? Cosa accade? Intanto occorre domandarsi perché questo ragazzino cerca di fare parte di un gruppo, che cosa cerca esattamente? Ciò che cerca è ciò che cercano tutti, cioè il potere, un potere che possa esercitare, manifestare e soprattutto che venga riconosciuto da altri. Perché altri gli riconoscano un potere occorre che lui faccia quelle cose che gli altri vogliono che lui faccia, se no non funziona, quindi deve entrare nel gruppo e fare quelle cose che il gruppo ha deciso che deve fare, per far parte del gruppo, occorre che si adegui alla ideologia di quel gruppo, così come andavano di moda a fine anni 60 certi modi di vestire che determinavano immediatamente l’appartenenza a un gruppo, se un ragazzo fosse entrato in un gruppo di estremisti di sinistra vestito con il blazer sarebbe stato immediatamente estromesso, perché quello era l’abito di quelli che si consideravano allora i fascisti. Comunque l’appartenere a un gruppo dà potere per il fatto semplicissimo che questa verità è condivisa da un certo numero di persone delle quali si ha stima, che si ritengono importanti. Una qualunque religione funziona esattamente così. I cristiani formano un gruppo, è come se la fede di ciascuno fosse non solo confermata ma amplificata dalla fede di tutti gli altri e rafforzasse il mio credo, può essere in un dio, può essere una squadra di calcio, può essere qualunque cosa. Il funzionamento di questi gruppi è tale perché consente di acquisire potere. Perché, per esempio, accade a un fanciullo di abbandonare la famiglia e legarsi a un gruppo? Perché nella famiglia gli hanno tolto, o immagina che gli abbiano tolto, il potere che pensava di avere all’interno della famiglia, e allora questo potere ha la necessità assoluta di trovarlo altrove. Ciascuno a modo suo, in genere cerca questo potere all’interno di un gruppo, di una corporazione, di una religione, di un qualunque accidente non ha importanza, però deve appartenere a qualche cosa, un qualche cosa che consenta di pensare di avere del potere. È generalmente quello che si fa con gli amici, ovviamente lo si fa a maggior ragione all’interno di questi gruppi, e cioè ci si conferma delle cose che si suppone di sapere e si deride, si prende in giro, si vilipendano in alcuni casi coloro che non fanno parte di quel gruppo, quelli che pensano altrimenti, e la cosa può anche prendere una brutta piega per esempio, basta pensare alle guerre di religione e ai milioni di persone uccise per questo motivo. Però vedete non basta accorgersi di una cosa del genere per potersene sbarazzare, come ho detto all’inizio è forse la cosa più difficile da fare tanto da apparire in alcuni casi impossibile, cioè non cercare di avere potere, esibirlo, manifestarlo e soprattutto farlo riconoscere. Il discorso parenetico serve proprio a questo, a fare riconoscere il mio potere, perché io ti esorto a fare in un certo modo “perché io so come stanno le cose, e ti ammonisco a non fare quello che ti sto dicendo di fare, perché se no male te ne incoglie”. È pensabile l’esistenza in assenza di fantasie di potere? Tecnicamente sì certo, è anche ottenibile, ma con estrema difficoltà, tutto concorre a volere comunque affermare, cioè fermare le cose che si dicono e imporle come una sorta di esortazione. È forse la questione più complessa che abbiamo mai affrontata fino ad oggi da quando abbiamo iniziato questo lavoro molti anni fa, perché a questo punto, se dovesse non esserci nessuna fantasia di potere è come se le affermazioni non fermassero più niente, cioè sono lì soltanto per consentire al gioco di proseguire senza nessun altro scopo, nessun altro obiettivo.

Intervento: non posso non parlare se non ci fosse il potere… farei dei giochi linguistici e nulla più…

È questo che sto dicendo, e questo potrebbe essere il modo per affrontare la cosa più leggermente, ma ciò che impedisce l’acquisizione di quegli strumenti e anche, soprattutto, del volere abbandonare la fantasia di potere, è che toglie l’unica, grande, immensa soddisfazione che gli umani hanno dalla loro esistenza. Se Eleonora non avesse nel momento in cui approccia un fanciullino di vario genere e foggia non ci interessa, non avesse il desiderio di imporre il suo potere su questo fanciullino perderebbe di colpo una grandissima parte dell’interesse che ha in questa operazione. Perderebbe la necessità di fare un’infinità di cose che vengono fatte al solo scopo di ottenere e mantenere un potere. Abbandonare questa fantasia di potere significa togliere praticamente ogni soddisfazione, perché gli umani sono stati addestrati a avere soddisfazione unicamente dal raggiungimento del potere, non è che siano stati addestrati propriamente, nel senso che qualcuno gli ha insegnato questo, ma fa parte di quell’inganno che viene perpetrato nel momento in cui si insegna a parlare, inganno che procede dall’insegnare che è la persona che sta insegnando a parlare che conosce la verità, e quindi sa qual è la via da percorrere. Chi sta imparando a parlare non può sapere nulla di tutto ciò, ma potrebbe tecnicamente essere messo nelle condizioni di sapere lui che cosa è bene, che cosa è male o più propriamente che non c’è nessun bene, nessun male, ma tutto questo avviene, e non può non avvenire, finché si addestra a parlare in quel modo e cioè facendo credere che sia un’altra persona a conoscere la verità e quindi a questo punto è inevitabile che la soddisfazione passi attraverso il riconoscimento: se io non so se quello che dico è vero, e posso essere soddisfatto soltanto dalla verità perché è la conclusione giusta di un certo percorso, se questa verità deve essere demandata a qualcun altro cioè deve essere riconosciuta da qualcun altro allora la soddisfazione che io trovo, non è più nell’avere reperito, la “verità” nel discorso che sto facendo da me, ma deve essere demandata all’altro, che può essere una persona, un gruppo. Da qui la necessità delle persone di fare gruppo, cioè di trovarsi fra coloro che pensano allo stesso modo per potere essere riconosciute dall’altro, cioè in modo che l’altro riconosca questa verità. Ci si sposa anche per questo motivo, si compie un atto legale che sancisce che è quella la persona preposta per darmi il supporto, il conforto eccetera, perché come si sa gli umani hanno bisogno di essere confortati, supportati, sostenuti, sorretti. Dunque se la soddisfazione la traggo, ed è questo l’altro tipo di soddisfazione, da un percorso che inventa nuove cose e verifica queste nuove cose, verifica soltanto la loro coerenza all’interno del sistema, non può verificarle altrove ovviamente, parlo della teoria del linguaggio, se questo non c’è, è chiaro che la soddisfazione nel reperimento della verità, della coerenza di tutte queste storie deve essere trovata da un’altra parte, perché qualcuno ce l’ha, da qui la necessità di appartenenza a un gruppo qualunque, se no non ci sarebbe questa necessità. Questo è per altro il motivo per cui si fa teoria in un certo modo anziché in un altro, per avere il consenso per esempio di alcune persone che si ritengono importanti in un certo ambito, e quindi si scrivono delle cose che saranno gradite teoricamente a un certo ambito, quello della filosofia analitica per esempio. Non è affatto escluso che in molti casi si produca una teoria per questo motivo, per farsi riconoscere come facenti parte dei teorici della filosofia analitica per esempio, quindi tutto ciò che si scriverà in questa teoria è pilotato da questa fantasia, è ovvio che questo comporterà delle limitazioni ovviamente e qualunque nuova idea possa venire in mente viene immediatamente scartata, perché l’obiettivo è un altro, e questo è un modo totalmente differente di approcciarsi alle teorie di qualunque tipo compresa quella psicanalitica ovviamente.