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7-5-2008

 

Intervento: volevo riprendere la questione della volta scorsa della sintassi, intendo che il linguaggio questo sistema funziona attraverso delle stringhe la cui verità o falsità è determinata dalla posizione che occupa nel sistema, il linguaggio lo avevamo definito come un sistema di istruzioni per la costruzione di proposizioni attraverso regole di esclusione e formazione che danno forma appunto a delle sequenze a delle inferenze… proseguendo nel dedurre dal funzionamento del linguaggio la sua struttura e come funziona mi è complesso perché tutto quello che traiamo lo traiamo da un sistema semantico noi possiamo parlare del funzionamento del linguaggio soltanto attraverso un impianto semantico il quale impianto semantico non può contraddire l’impianto logico ed è questo che mi è abbastanza complesso… intendere un pochino di più quello che andiamo costruendo…

L’ipotesi che abbiamo considerata la volta scorsa è che le parole di per sé siano vuote cioè non abbiano un significato intrinseco ma che questo, chiamiamolo significato per il momento, proceda unicamente dalla loro disposizione cioè dalla sintassi in cui intervengono, è una questione, come dicevamo, complessa. Nella logica ci si muove per dimostrare la validità di un’ipotesi, si muove da assiomi, da qualche cosa che deve essere vero, ora sappiamo che anche nella logica questi assiomi sono vuoti cioè sono sequenze che sono vere, cioè hanno una semantica che le definisce come sempre vere, ma nel caso del linguaggio la questione è un po’ diversa: da quali assiomi muovere per costruire una teoria che ci consenta di affermare che l’ipotesi che abbiamo postulata è vera, cioè che le parole sono senza significato ma acquistano un significato dalla posizione che occupano all’interno di una sequenza? Quali assiomi? Perché qui è come se fossimo al di qua di ogni possibile assiomatizzazione, siamo cioè in un campo dove ci muoviamo in base a una costrizione logica e cioè unicamente da quella struttura che ci consente di fare queste affermazioni, la struttura più elementare che abbiamo trovata finora è che qualunque elemento sia è un elemento linguistico e ciascun elemento linguistico per essere tale deve essere connesso con altri elementi linguistici, potremmo dire che una certa x è un elemento linguistico allora qualunque cosa segua a questa x è un elemento linguistico, ma da dove viene questo? Da una regola? No, perché come dicevo siamo ancora al di qua di ogni possibile regola dunque viene unicamente dalla constatazione del funzionamento del linguaggio in atto, per il momento non abbiamo nessun altro criterio e sappiamo che per funzionare il linguaggio necessita di elementi linguistici e di una connessione tra questi elementi, come dire che ciascun elemento deve, per il funzionamento stesso del linguaggio, essere connesso con altri elementi linguistici. Ora, se ne stiamo parlando è perché il linguaggio funziona, dunque sappiamo questo dal funzionamento del linguaggio e solo da questo, il fatto di essere al di qua di tutte le possibili regole certo sì, crea dei problemi perché non abbiamo qualcosa che ci aiuti, che ci dia una direzione, l’unica direzione che possiamo considerare è quella che rileviamo dal funzionamento del linguaggio, come dire che se sta funzionando e sta funzionando perché lo stiamo utilizzando allora necessariamente ciascun elemento è connesso con ciascun altro, per il momento non ci interessa ancora sapere come è connesso, ci basta sapere che lo è, che esiste una connessione mettiamola così ed è questo che ci induce a stabilire che se c’è un elemento linguistico allora ce n’è un altro, per dirla nel modo più semplice possibile: c’è un elemento linguistico perché se stiamo parlando c’è necessariamente e allora quella inferenza di cui abbiamo parlato l’altra volta nota come modus ponens, e poi vedremo perché è valida questa inferenza, ci dice che se c’è un elemento linguistico allora ce n’è un altro ma c’è un elemento linguistico, di conseguenza sarebbe dimostrato che ce n’è un altro. Ma perché dunque, dicevo, questa inferenza nota come modus ponens è valida? Il fondamento del suo funzionamento consiste proprio in questo: che se c’è un elemento linguistico allora ce n’è un altro e necessariamente c’è per potere affermare l’elemento linguistico da cui siamo partiti, è un sistema che procede unicamente rilevando in atto il funzionamento del linguaggio e avvalendosi unicamente del suo funzionamento quindi non abbiamo la possibilità di utilizzare nessuna regola per il momento perché le regole a questo punto devono ancora essere costruite, però dal funzionamento possiamo stabilire che se c’è un elemento linguistico allora ce n’è un altro e questo è già qualcosa. Il passo successivo consisterà allora nel potere affermare, e prima ancora nel potere stabilire che cos’è un’affermazione. Cosa significa affermare qualcosa? Mi viene in mente qualcosa che diceva Russell il quale diceva che in matematica, ma la cosa probabilmente può estendersi anche alla struttura del linguaggio, dire che qualcosa esiste non è dire nient’altro che dire che qualcosa non è autocontraddittorio, se non si contraddice allora esiste se no, no, al pari potere affermare qualcosa all’interno del linguaggio è potere dire che qualche cosa non è autocontraddittorio e cioè non nega la sua stessa esistenza. Costruire un sistema contraddittorio è semplice basta partire da un assioma tipo questo “vi è almeno una x tale che p(x) e non p(x)” cioè vi è almeno una x tale che affermi p e che la neghi simultaneamente. Sappiamo che per il linguaggio negare che qualcosa è un elemento linguistico è un problema, può costruire una sequenza che dice una cosa del genere però si trova di fronte a un grosso problema è come se, adesso la dico in modo molto rozzo, è come se il linguaggio affermasse: io non esisto, ma se lo afferma è perché qualche cosa è possibile, cioè è possibile che ci sia un elemento linguistico per potere affermare una cosa del genere, è possibile che invece non ci sia? Se non ci fosse non potrebbe utilizzare questo elemento linguistico, per potere affermare una cosa del genere cioè dovrebbe utilizzare qualche cos’altro che non è linguaggio e questo comporta dei problemi, e comporta l’intervento di un’altra struttura che non è linguaggio la quale struttura afferma che qualche cosa non è linguaggio ma dovrebbe affermarla in un modo tale che poi richiederebbe un terzo elemento che consenta di mettere in connessione il linguaggio con qualcosa che non è linguaggio e probabilmente così via all’infinito. È una questione che ci interessa fino ad un certo punto ché di fatto l’unica cosa con cui per il momento abbiamo a che fare è il linguaggio quindi assumiamo provvisoriamente che sia impossibile uscire da questa struttura. A questo punto qualunque elemento risulta un elemento linguistico per il solo fatto che interviene, che esiste, cioè si stabilisce, si afferma e non si nega perché per esistere occorre che si affermi, per poterlo affermare è necessario che non si neghi; è già un altro elemento, visto che non possiamo partire da assiomi o almeno quelli noti per dimostrare ciò che dobbiamo dimostrare e cioè che le parole non hanno nessun significato allora possiamo costruirli, come dicevo prima dobbiamo costruire delle regole che risultino necessarie all’interno di questa struttura e cioè del linguaggio, e la prima l’abbiamo stabilita, e cioè che qualunque cosa è un elemento linguistico e sappiamo anche che questo è affermabile e non è negabile, potrebbero essere sufficienti come assiomi? Cioè a questo punto il nostro vecchio modus ponens potrebbe funzionare come qualche cosa di necessario, cioè se A è un elemento linguistico allora anche B è un elemento linguistico ma A è un elemento linguistico perché ne sto parlando, quindi appartiene a questa struttura, e dunque risulta dimostrato che B è un elemento linguistico. Questo è un modo per dimostrarlo, l’altro è quello che afferma che un elemento linguistico non può essere isolato, non può non essere all’interno di una struttura fatta di altri elementi linguistici perché se fosse isolato allora non avrebbe connessioni con nessun altro elemento linguistico, se non avesse nessun altra connessione non sarebbe in nessun modo conoscibile visto che la conoscenza non è altro che connessioni, relazioni. È sufficiente un sistema assiomatico come questo? Potrebbe essere sufficiente per partire, a questo punto costruire una dimostrazione a partire da questo sistema assiomatico non è nient’altro che trovare tutto ciò che è derivabile da questi assiomi e quindi valido, e naturalmente consistente, o coerente se preferite, cioè non autocontraddittorio, come dire che tutto ciò che si può costruire a partire da questo non deve mai contraddire ciò da cui è partito e cioè dal fatto che esiste un elemento linguistico, anzi che qualunque cosa è un elemento linguistico, ora detto questo e stabilite le regole per giocare incominciamo a giocare. La nostra ipotesi, ripetiamo per l’ennesima volta, è che le parole, quelle cose che i linguisti per esempio chiamano lessemi, non abbiano di per sé nessun significato ma lo acquistino, chiamiamolo per il momento significato, unicamente dalla sintassi in cui sono inseriti, come muovere per dimostrare una cosa del genere? Un elemento linguistico è provvisto di un significato intrinseco? Cioè che gli appartiene, l’unico significato? Necessario? No, giustamente, ma perché no? Per un motivo abbastanza forte. Supponiamo che abbia un significato, uno e solo quello, allora questo significato sarebbe l’elemento che chiude una sequenza, questa sequenza ad un certo punto è terminata da quell’elemento, ora una sequenza siffatta contraddice l’assioma da cui siamo partiti e cioè che se A è un elemento linguistico allora il successore è un elemento linguistico ma anche il successore del successore è un elemento linguistico ovviamente, perché è una prerogativa di ciascun elemento linguistico avere un successore che è un elemento linguistico e dunque questo ultimo elemento che sarebbe il significato di un termine ha necessariamente un altro elemento linguistico che lo segue, a questo punto cercare il significato di un termine equivarrebbe a una ricerca infinita, l’altra volta lo mostravamo con un esempio una cosa del genere, con il dizionario: prendete il dizionario e cercate una parola, ciascuna parola che troverete avrà altri rinvii e questo all’infinito pur essendo un sistema chiuso, un buon dizionario ha 200.000 parole più o meno, in ogni caso, siano quante siano sono un insieme chiuso, finito, ma all’interno di questo sistema chiuso che potrebbe essere benissimo il linguaggio il numero di combinazioni è infinito. L’infinito ha sempre creato dei problemi in logica tant’è che proprio il programma di Hilbert ha cercato di trasferire tutti i problemi riguardanti l’infinito in sistemi chiusi, quindi finiti, in modo che si potesse giungere alle dimostrazioni compiute, corrette, d’altra parte anche questo assioma da cui siamo partiti che dice che qualunque elemento linguistico è connesso con un altro elemento linguistico propone un infinito, ma a questo punto l’infinito che cos’è esattamente? La nozione di infinito che tanto ha preoccupato e continua a preoccupare sia i logici che i matematici non è altro che la possibilità di aggiungere elementi linguistici ad altri elementi linguistici, questo sistema è chiuso? È chiuso all’interno del linguaggio ovviamente perché qualunque elemento io aggiungerò sarà sempre e comunque all’interno della struttura linguistica, ma posso aggiungerne un numero infinito, ma ciò che a noi interessa è riuscire formalizzare le mosse possibili, non tanto ciò che le mosse possono significare ma quali sono quelle consentite all’interno del sistema e quali non consentite, l’unica mossa non consentita all’interno del sistema linguistico che stiamo considerando è quella che afferma che un elemento è linguistico e non lo è al tempo stesso, come dicevo prima: vi è una x tale che p(x) e non p(x), invece della p possiamo mettere la L che sta per linguaggio, come dire che vi è una x che è linguaggio e che non è linguaggio. Questo sistema è molto semplice, ma perché nega una cosa del genere? È importante che neghi il fatto che un elemento sia linguistico e non sia linguistico, o più semplicemente che un elemento non sia un elemento linguistico, perché lo nega in modo così tassativo? Qui possiamo fare un aggancio alla logica formale, al teorema di completezza che è fondamentale nelle teorie formalizzate. Il teorema di completezza dice che tutte le formule ben formate derivabili dagli assiomi sono valide, sono cioè dei teoremi, cioè sono formule valide e che non è derivabile dagli assiomi nessuna altra formula, come dire che la proposizione che afferma che qualche cosa è fuori dal linguaggio non deve essere derivabile dagli assiomi di partenza in nessun modo, allora il sistema è completo, cosa vuole dire che non è derivabile? Che non è dimostrabile ovviamente, si tratterebbe di dimostrare che se A è un elemento linguistico allora ciò che segue non è un elemento linguistico o vi è almeno una x tale per cui se A è un elemento linguistico quello che lo segue non lo è, è dimostrabile una cosa del genere? In base all’assioma che abbiamo costruito no, ovviamente, tuttavia la cosa è da verificare in modo più attento: a quali condizioni affermare che “ciò che segue un elemento linguistico non è un elemento linguistico” è vera? Intanto possiamo dire questo, che ciò che segue un elemento linguistico a questo punto è altro, un’altra cosa che non appartiene al linguaggio naturalmente e allora a questo punto la questione si sposta e cioè da qualche cosa che è linguaggio sarebbe derivabile qualche cosa che non è linguaggio, il che comporta dei problemi, immediatamente sorge un’antinomia, è come dire che è possibile costruire un’inferenza tale per cui se chiamiamo sempre L il linguaggio, se L allora non L – se c’è il linguaggio allora non c’è il linguaggio – è vero che la logica qui ci aiuterebbe perché esistono delle tavole di verità che consentono di affermare che se in un’implicazione l’antecedente è vero e il conseguente è falso allora tutta l’implicazione è falsa, però dicevamo che qui siamo al di qua delle regole logiche, e allora dovremmo stabilire perché effettivamente un’implicazione del genere risulta falsa: perché se l’antecedente è vero e il conseguente è falso l’implicazione è falsa? Non per una regola che ci è fornita dalle tavole di verità, qui dobbiamo trovare qualche cosa di più forte e cioè il motivo per cui sono valide effettivamente le tavole di verità, che ci dicono che se l’antecedente è vero e il conseguente è falso allora l’implicazione è falsa, perché? L’unico strumento di cui possiamo disporre nel nostro caso è soltanto il funzionamento del linguaggio, non abbiamo nient’altro, né tavole di verità né regole logiche, niente, perché tutto ciò viene dopo, dunque soltanto dal funzionamento del linguaggio possiamo stabilire una cosa del genere: perché il linguaggio mette in atto questo meccanismo? Perché ci dice che se c’è un elemento allora è necessario che ce ne sia un altro, mentre è falso affermare il contrario? È come se il linguaggio dicesse, adesso diciamo così in modo un po’ rozzo, che se un elemento allora necessariamente un altro e non può non esserci, che è un altro modo per dire che ciascun elemento linguistico è tale se e soltanto se non sta da solo, se lo fosse cesserebbe di esistere, se non fosse in connessione con un altro, quello che lo precede e naturalmente quello che lo seguirà, perché se risulta necessariamente vero questo principio da cui siamo partiti, questo assioma: che se A è un elemento linguistico allora necessariamente ad A segue un altro elemento linguistico, se questo risulta assolutamente vero allora tutto diventa più semplice, anche se si tratta di verificare se ciò che abbiamo appena detto risulta una dimostrazione o una costrizione logica, perché a questo punto potremmo anche obiettare sulla validità di qualunque dimostrazione visto che stiamo considerando elementi che sono la base per costruire qualunque dimostrazione, e la “costrizione logica” salva la questione perché ci impone l’utilizzo di questo schema al di là o al di qua di qualunque altra considerazione, nel senso che non è possibile per potere considerare quello che stiamo considerando non utilizzare questo schema, potremmo addirittura azzardare per il momento che la struttura indicata dal modus ponens sia una costrizione logica più che una regola inferenziale, come dire che per pensare bisogna pensare così, la struttura del linguaggio è fatta così; è dunque la struttura stessa del linguaggio questa che i medioevali chiamavano modus ponens? È una possibilità, per il momento è una possibilità, dunque l’ipotesi che dobbiamo dimostrare, e cioè che le parole di per sé non significano niente, a questo punto può apparire più semplice nel senso che per significare questa sequenza deve essere terminata e cioè occorre un elemento linguistico al quale non ne segua un altro, perché se ad un elemento linguistico continua a seguire necessariamente un altro allora come definire il significato? Definire nell’accezione etimologica del termine cioè come chiudere una sequenza, se questa non è chiudibile in nessun modo? Le parole non hanno alcun significato finito, allora come si ipotizzava la volta scorsa la semantica in questo caso è data sì dalla sintassi certo, ma qui la questione è piuttosto complicata perché togliendo alle parole il loro significato che è quello che comunemente si utilizza  d significato?to linguistico continua a  seguire necessariamente un altro allora come defijire hè ta sequneza ciò che abbiamo a ci troviamo di fronte a una struttura che è totalmente differente, dove non ci sono più quei significati che conosciamo tradizionalmente cioè un’altra parola che chiude, che fa da riferimento fisso ma un rinvio di vero / falso, come dire che quel significato che conosciamo da sempre perché la scuola ce l’ha insegnato deve essere sostituito dalla possibilità di agganciarsi di un elemento linguistico ad altri elementi, e soltanto questa possibilità di agganciarsi costituisce la semantica, possibilità che è stabilita dalla semantica stessa, come dire: alcune porte sono aperte e altre chiuse. Come avviene un discorso fatto a questa maniera? Considerare che il discorso sia effettivamente fatto a questa maniera e non è semplice. Prendete questa affermazione “non è semplice” e provate ad applicare ciò che abbiamo detto fino adesso, naturalmente c’è un “non” che vale da negazione una “è” che vale da copula e “semplice” che vale da predicato. Abbiamo appena detto che tutti questi tre elementi di per sé non significano niente ma acquistano, per il momento usiamo ancora questo termine visto che ne siamo vincolati, un significato dalla posizione in cui intervengono, dalla sintassi, come dire ancora che l’unica cosa di cui disponiamo per dare una direzione a questi tre elementi è la sintassi, non ce ne sono altri, quindi il fatto che siano posizionati in questo modo, sintatticamente corretto date le regole della sintassi, fornisce intanto un criterio cioè questa sequenza, questa formula è ben formata cioè utilizzabile perché si avvale della sintassi che l’ha costruita, ma come è utilizzabile? Prendiamola da un’altra parte, che cosa ho voluto dire dicendo che non è semplice? Che è difficile? Sì certo, che comporta altre cose? Sì anche, che ci sono altre cose da considerare? Potrei andare avanti all’infinito, questo significa che questa sequenza non verrà mai compresa da nessuno? No, o forse sì, ancora non sappiamo, può anche essere che di fatto non venga compresa per nulla ma che tuttavia abbia un utilizzo da parte di chi ascolta, non viene compresa nel senso che il significato nell’accezione tradizionale del termine non ha un limite, di fatti potrei usare delle perifrasi o delle parafrasi o sinonimi all’infinito senza fermarmi mai, quindi questo ci autorizzerebbe a dire che non può essere compresa ma torno a dirvi che questo non comporta il fatto che non sia utilizzabile, questo ci suggerisce già una questione, e cioè che i discorsi, le parole, non sono comprensibili poiché bisognerebbe di nuovo confermare ciò che abbiamo stabilito prima, ma sono utilizzabili, in che modo? Da una sintassi naturalmente, è la sintassi che li utilizza, questo rende conto anche del fatto che le parole sono intercambiabili in lingue diverse, per esempio, ma l’utilizzabilità rimane la stessa, non il significato, perché stiamo considerando che non ne abbia nessuno ma l’utilizzabilità, cioè il fatto di potere essere inserite o meglio riconosciute da una sintassi, che cosa riconosce la sintassi? Intanto la correttezza, dopodiché se è corretta la riconosce come tale, riconosce e sa che questa sequenza essendo fatta di elementi linguistici comporta altri elementi linguistici, cioè consente di proseguire…

Intervento: è corretta solo se implica una semantica?

La semantica in questo caso si è limitata al vero / falso…

Intervento:  il fatto che la sintassi sia corretta lo determina la semantica?

Certo, nel fatto di costruire proposizioni valide…

Intervento: che abbiano un senso…

In questo caso il senso è solo il vero / falso…

Intervento:  non tanto semanticamente sono porte che si aprono e che si chiudono…

La semantica in un sistema formale è questo: vero o falso, questo è il senso, non ce ne sono altri, non ci sono giudizi estetici o definizioni del dizionario…

Intervento: perché sia utilizzabile comporta altri elementi…

Infatti se è corretto allora questo comporta che si agganci ad altri elementi. Il fatto che sia riconosciuta dalla struttura sintattica come corretta, proprio perché corretta quindi valida, comporta che sia agganciata ad altri elementi linguistici, se fosse falsa cioè riconosciuta non valida allora non avrebbe nessun rinvio. Qui però viene la parte difficile, fino adesso abbiamo dette solo cose semplicissime, e cioè quale direzione prendere? Viene la parte difficile perché a questo punto risulta particolarmente arduo non solo per noi ma lo è anche per i logici distinguerlo da quella cosa che si chiama linguaggio ordinario provvisto di significati, cioè sganciarlo totalmente da questo per poi tornarci eventualmente con ben altre basi e che viene riconosciuta sì dalla struttura ma viene riconosciuta anche essere differente da altre sequenze, come dire? Da questa, chiamiamola formula, così sembra più semplice, sganciarla dal linguaggio ordinario, questa sequenza, da questa formula che cosa è derivabile in modo corretto? Cioè quali altre formule corrette sono derivabili? Probabilmente sta qui la via per risolvere questo problema, chi fornisce i criteri di correttezza a questo punto? Perché potrebbe anche dirsi che dalla formula “non è semplice” può derivarsi “quindi sono le dieci meno cinque” perché no? Quale struttura sintattica impedisce che questa sequenza sia corretta? Perché per la logica formale questa sequenza per quanto bizzarra è valida…

Intervento: la sintassi sarebbe teoricamente corretta è la semantica…

Ma anche dalla semantica della logica formalizzata risulta comunque corretta perché l’antecedente è vero e il conseguente è vero, sono le dieci meno cinque e se il conseguente è vero la sequenza risulta vera però qui il conseguente ha avuto una verifica che è quella dell’osservazione, e questo non dovrebbe intervenire. Dobbiamo trovare la connessione tra un sistema formalizzato assiomatizzato e il linguaggio così detto ordinario…

Intervento: mi veniva in mente nella conferenza di Eleonora, c’è il ragazzo che chiede alla ragazza “che cos’hai?” risposta “niente” e quello che veniva fuori in quel contesto è che questo “niente” era tutto, questo per dire che moltiplicando i passaggi si riesce a cambiare totalmente il senso del vocabolario per esempio del “niente” è tutto un percorso che occorre fare per intendere il senso differente…

La questione è riuscire a trarre da pochissimi elementi come quelli che esistono nella formalizzazione la possibilità di infiniti elementi cioè di infinite combinazioni mantenendo però la loro semantica e cioè semplicemente vero / falso. La logica formale ha cercato di ridurre il linguaggio ordinario da cui parte necessariamente, da cui è sempre partita, in proposizioni le più semplici possibili di conseguenza le più generali, operazione che è riuscita in buona parte, ciò che non riesce è il processo inverso, una volta stabilita questa formalizzazione ritornare al linguaggio ordinario questo sembra impedito, perché? Cosa è successo nel frattempo? Come se il linguaggio ordinario “vietasse” la formalizzazione nel senso che la sua complessità impedisce, una volta tradotto in formule più semplici, di essere ritradotto. È il problema che dovremo risolvere.