6-8-2008
Nessuna questione intorno alla clinica psicanalitica? Clinica psicanalitica come clinica del discorso dicevamo la volta scorsa, in realtà lungo l’analisi per parecchio tempo ciò che è in questione è un discorso religioso, con discorso religioso non intendo il credere necessariamente in qualche dio ma una struttura di discorso che suppone che le cose accadano magicamente, senza il proprio apporto, in definitiva non essere responsabili della buona parte delle cose che accadono. Dunque l’analisi del discorso religioso. La questione l’abbiamo affrontata già tanto tempo fa, parlando di clinica psicanalitica non si può non affrontare il discorso religioso che non è nient’altro che l’insieme di tutte quelle cose che la persona crede, naturalmente le crede perché suppone che quella sia la realtà delle cose non perché è lei che le crede ma perché le cose stanno così, perché il mondo è fatto così come si suole dire, l’insieme di tutte le cose in cui la persona crede costituisce la struttura del suo discorso religioso. Generalmente una cosa del genere non viene mai messa in discussione cioè tutto l’insieme delle cose in cui una persona crede fermamente non viene mai messo in gioco, assolutamente, a meno che non succeda qualche cosa, in genere un malanno, un accidente qualunque, il più delle volte il constatare l’impossibilità di riuscire a gestire situazioni che si mostrano contraddittorie fra loro, contraddittorie ma altrettanto importanti e irrinunciabili, allora a questo punto si avverte una sorta di impotenza, impotenza di fronte a una certa situazione che non si può risolvere, da qualunque parte vada dunque sarà stato un disastro quindi questa è una delle occasioni in cui la persona decide di mettersi in gioco e affrontare il suo discorso perché constata che il suo discorso la porta là dove non dovrebbe né vorrebbe andare se no, come dicevo prima, la persona non ha nessun motivo per interrogare le cose che pensa, per un motivo molto semplice, per il solo fatto che le pensi sono necessariamente vere, perché se fossero false non le penserebbe, è semplice, e quindi l’insieme di tutte le cose che pensa cioè che crede essere vere costituisce di fatto la persona stessa, che è fatta di queste cose, per questo non c’è nessun motivo per la persona per mettersi in discussione se non appunto un evento, un qualche cosa che crei una situazione anomala che non riesce più ad affrontare e allora naturalmente la persona si rivolgerà a voi con tutto il suo bagaglio di superstizioni, una quantità sterminata di superstizioni, cioè come dicevo tutte quelle cose che crede essere vere: se tutte le cose in cui credo sono vere come è possibile che succeda ad un certo punto un problema? Le cose vere generalmente filano lisce, dunque l’interrogazione inizialmente può vertere su tutta una serie di cose che sono ritenute assolutamente vere di per sé e non discutibili, però la persona si trova a metterle in discussione perché creano un problema e di cosa sono fatte queste superstizioni? Generalmente con superstizione si intende una credenza irragionevole fondata su elementi magici: il gatto nero, il sale, lo specchio che si rompe e allora dicevo tutte queste infinite superstizioni con le quali la persona si presenta a voi hanno la struttura di un entimema, di un sillogismo costruito su una premessa assente. Il sillogismo come sapete ha una premessa maggiore, un medio e una conclusione, nell’entimema manca la premessa maggiore e questo ha degli effetti naturalmente perché pur mancando è data come acquisita e i proverbi sono strutturati così, il gatto nero che porta sfortuna per esempio, per essere un’affermazione degna di tale nome occorrerebbe verificare che ogni volta in cui un qualunque gatto nero si sia trovato in una certa posizione allora ne è seguita una catastrofe, sempre e comunque necessariamente, che è un po’ complicato da provare, però questa struttura di cui dicevo è importante perché mostra come il più delle volte è strutturato il pensiero degli umani, il quale funziona come se girasse soprattutto attraverso dei proverbi, anche se non sono riconosciuti come tali nel senso che non sono quelli più praticati, però pensate a una qualunque argomentazione, a un qualunque discorso faccia una persona, muove da alcune cose e poi attraverso dei passaggi giunge a una conclusione ma la premessa generale che dovrebbe sostenere tutto quanto voi non la troverete, è, per cui ciò che si conclude come necessario nella migliore delle ipotesi può essere una possibilità ma questo anche nell’ambito della fisica o di qualunque scienza sperimentale cioè quelle scienze che si fondano non su delle regole prestabilite perché allora in quel caso non ci sono problemi perché le regole dicono quali sono le mosse da fare e quali no, ma quelle che si basano sull’osservazione che ovviamente non può essere sostenuta altri che dall’induzione, come dire: è sempre successo così quindi succederà così anche la prossima volta, questo ha la struttura della superstizione nel senso che non è posta come uno dei giochi linguistici e considerata come tale ma come una certezza assoluta, ora al di là del fatto che domani mattina sorga il sole cosa che ciascuno si auspica se no sarebbe un grosso problema, al di là di questo qualunque argomentazione, qualunque pensiero, decisione, desiderio, sogno etc. degli umani è costruito su questa struttura e su quell’altra che non è più un entimema ma che è comunemente considerato un epicherema cioè quel sillogismo dove la premessa che dovrebbe essere necessaria è invece assolutamente arbitraria per cui rimane altrettanto arbitraria anche la conclusione, ed è l’esempio dei famosi Pietro e Paolo apostoli. Dunque quando una persona inizia l’analisi vi trovate di fronte a una cosa del genere perché questo è il modo in cui gli umani pensano e continueranno a pensare in questo modo fino a quando qualcosa nel loro discorso si accorgerà che non procede magicamente da cose che compaiono così, per virtù propria, ma sono la conclusione di sequenze di discorsi, che lui cioè il suo discorso stesso ha costruito nell’arco degli anni e che lui cioè questa persona non è nient’altro che il discorso che sta facendo, solo questo, allora a questo punto incomincerà un’elaborazione intorno al proprio discorso e quindi quelle conclusioni che procedono da un entimema o da un epicherema non saranno più soddisfacenti né accolte come necessariamente vere ma prese per quelle che sono e cioè conclusioni totalmente arbitrarie che se vengono accolte è soltanto per un motivo estetico, le accolgo perché a me piace così …
Intervento: mi piace pensare così soprattutto perché tutti pensano così, la voce del popolo è considerata la voce di dio …
In questo caso se tutti pensano in un certo modo allora sarà vero così, cosa che di fatto non solo pensano ma dicono anche per esempio rispetto alla religione “se tutti credono in un dio qualcosa di vero ci sarà” è un modo di pensare abbastanza comune e viene utilizzato dalla propaganda, per esempio, attraverso i media, la televisione, i giornali: se lo dice il giornale qualche cosa di vero ci sarà, magari non sarà proprio tutto così però qualcosina di vero e invece magari no, non c’è assolutamente nulla di vero. Tutto questo gioca sul fatto che gli umani sono portati a considerare che se i più o molti pensano quella cosa allora quella cosa sarà vera, la retorica fa un grande uso di una cosa del genere però a noi interessa per il momento quello che pensa ciascuno cioè il suo modo di pensare, e il modo di pensare degli umani abbiamo detto gioca fra l’entimema e l’epicherema, questo è il modo di pensare e non ce ne sono altri perché i sillogismi che vengono costruiti hanno sempre questa struttura e ce l’hanno sempre non per un ghiribizzo personale ma perché la premessa da cui partono comunque è sempre e necessariamente arbitraria e quindi non può portare mai a una certezza, mai per nessun motivo e questo è stato il problema per altro degli umani da sempre per quanto ha riguardato anche il pensiero filosofico, cioè l’impossibilità di dare una risposta definitiva ad alcune domande ma sempre un girare in tondo a questioni che sono apparse mano a mano che si procedeva sempre più inaccessibili, al punto di venire abbandonate come inutili come per esempio ha fatto l’ermeneutica. Senza la possibilità di intendere quale necessariamente deve essere la premessa maggiore non c’è nessuna salvezza, comunque, qualunque conclusione sarà sempre assolutamente arbitraria, cosa significa che è arbitraria? Significa che di per sé non dovrebbe costringere all’assenso, se una cosa è arbitraria posso farla o non farla però se si scambia una conclusione arbitraria per una che invece si ritiene assolutamente necessaria allora lì sorgono i problemi perché se è arbitraria vuole dire che è così ma potrebbe essere il contrario se invece si dà come necessaria allora non può essere il contrario, e da qui i problemi, una cosa che si riteneva assolutamente vera si mostra infida, traditrice, inaffidabile, con tutto ciò che questo comporta naturalmente, problemi, crisi di coscienza di ogni sorta, foggia e dimensione perché quando avviene un fenomeno del genere il più delle volte la persona attribuisce a sé la responsabilità o più propriamente la colpa “è colpa mia che non ho saputo fare” oppure “è colpa mia perché c’è qualche cosa in me che non funziona” mentre non è necessariamente così, però torno a dirvi se si muove da questa struttura che giunge a conclusioni assolutamente arbitrarie ma che sono ritenute assolutamente necessarie direi che la tragedia finale è inevitabile perché prima o poi ci si accorgerà che c’è qualche cosa che rende queste conclusioni non necessarie e allora o si rimette in discussione tutto quanto dall’inizio e cioè tutta la propria esistenza, oppure si intende come funziona quella cosa che produce fenomeni del genere e cioè la struttura del linguaggio perché è la struttura del linguaggio che produce questi fenomeni, senza il linguaggio non esisterebbe nessuna morale. Per esempio un animale feroce uccide senza nessun problema, e non uccide solo per nutrirsi, uccide anche per gioco come fa un gatto con un topo per esempio, lo uccide per gioco esattamente come fanno i cacciatori con lo schioppo però in totale assenza di sensi di colpa. I sensi di colpa come sappiamo sono importanti, come diceva Freud, non si governa senza sensi di colpa, il senso di colpa non è nient’altro che l’attribuzione a sé, quindi prevede l’esistenza di un sé naturalmente, dunque dicevo l’attribuzione a sé di un problema, di un intoppo che riguarda unicamente il discorso. Tecnicamente il senso di colpa ha un’unica funzione che riguarda il piacere o il godimento cioè rivivere o un evento che si considera infame, lo si rivive con tutte le emozioni annesse e connesse oppure dà per avvenute cose che in realtà non sono mai avvenute però uno si sente responsabile quindi se sono responsabile l’ho fatto, perché se no mi sentirei responsabile. E quindi in altri termini non è altro che un modo per godere di una certa scena ripetendola e mantenendola, il senso di colpa la mantiene lì immobile ed è disponibile sempre ed è anche un vantaggio economico, insomma non c’è bisogno di andare a cercare chissà dove, è sempre lì fino al punto in cui alcune persone si ritengono responsabili di qualunque cosa accada nel mondo ...
Intervento: questi personaggi non si fanno sensi di colpa perché se no non lo farebbero …
Non per quello che fanno certo, magari questo viene fuori altrove e altrimenti perché, dice bene, non avere sensi di colpa, essere totalmente sprovvisti di sensi di colpa non significa essere delle carogne perché la persona che non ha sensi di colpa non ha neanche nessun piacere a fare soffrire il prossimo …
Intervento: lo si vuole escludere?
No, ma in molti casi sarebbe una fortuna se una persona non si ponesse un problema del genere, di fare soffrire il prossimo cioè non trae soddisfazione da questo, una persona del genere è considerata disumana se non trae piacere dalla sofferenza altrui, non ha una di quelle caratteristiche che definiscono generalmente gli umani e quindi è disumano. Un analista occorre che sia questo cioè occorre almeno che sia disumano e cioè non provare piacere della sofferenza altrui, questo è importante tenetelo presente quando capiterà, non gli interessa, non è attratto dalla sofferenza degli altri, non la cerca e di conseguenza non la provoca, in questo senso potremmo dire che non è altruista …
Intervento: mi viene in mente Aristotele che quando parlava dei Sofisti deprecava il fatto che loro non amassero la sofferenza altrui perché loro amavano la vincita sì ma la vincita attraverso la disputa non traevano piacere dalla tragedia …
Potranno apparire cose strane quelle che sto dicendo, però se ci pensate attentamente potrete considerare che di fatto è così che occorre muoversi, se una persona non gode del male altrui di fatto non è altruista, l’altruista generalmente è considerato quello che si occupa del bene dell’altro, che vuole il bene dell’altro e che anzi deve fare il bene dell’altro per cui per potere soddisfare la propria esigenza occorre che l’altro stia male, abbia dei problemi, se no che fa? E se non c’è nessuno che sta male e che ha bisogno di lui è un problema al punto di crearne, creare qualcuno che abbia bisogno di lui …
Intervento: io non ho capito … non volere il male altrui significa essere indifferente al male o, perché a me magari può capitare di essere indifferente che qualcuno stia bene o stia male però perché non ho interesse della persona …
Non si tratta di indifferenza propriamente, e cioè se una persona sta male fare in modo che soffra ancora di più, non tento né sono invogliato a infliggere altro dolore ma la questione non riguarda tanto l’evento singolo ma un modo di pensare, e cioè la necessità che ha la persona di sentirsi importante per qualcuno, ecco l’altruismo, adesso per raccontarvi un caso molto semplice e anche molto buffo pensate alle nonne ciascuno ha avuto una nonna nella sua vita, le nonne sono strane e cosa fanno? Se qualcuno dice a una nonna che gli piacciono certe cose da quel momento in poi sarà condannato a mangiare quella cosa lì all’infinito per cui deve fare molta attenzione a quello che dice, ma perché la nonna fa questo? Perché deve sentirsi importante e quindi dal fatto che qualcuno affermi che gli piace la torta di patate ecco allora la nonna in questione da quel momento in cui sa questo immagina di aver colto, carpito qual è il desiderio dell’altro quindi se lui desidera questo allora io soddisferò il suo desiderio facendo la torta di patate fino alla morte. Ma questa è una cosa buffa, un’amenità, tuttavia mostra la struttura nel modo più semplice il modo in cui si svolge il pensiero dell’altruista, l’altruista deve costringere l’altro a consentire a fare in modo che lui lo possa aiutare …
Intervento: ma allora è egoista …
Che differenza c’è? La questione potrebbe anche apparire irrilevante tutto sommato se non fosse che mostra un modo di pensare che appartiene agli umani, vale a dire quello che punta ad avere il controllo, il potere assoluto sull’altro cosa che si manifesta spesso anche nelle relazioni, e cioè individuare qual è il desiderio dell’altro per soddisfarlo perché se l’altro sta bene allora rimarrà dov’è e non se ne andrà più. L’altruismo sotto questo aspetto in effetti è un egoismo senza limiti nel senso che costringe l’altro attraverso il ricatto e mostrando di fare qualunque cosa per il suo bene lo costringe all’obbedienza totale e assoluta. D’altra parte tutti i più grandi massacri sono stati perpetrati per questo motivo, per il bene di qualcun altro e così anche nelle cosiddette relazioni molto spesso avviene qualcosa del genere e di questo occorre tenere conto nella clinica psicanalitica, anche perché in molti casi la questione che è in gioco è proprio questa, non sempre naturalmente però spesso perché è la questione alla quale gli umani tengono di più perché è quella dove il loro potere è più che in qualunque altra circostanza messo in discussione, il potere sull’altro, e nel momento in cui gli sfugge incominciano a agitarsi e allora ecco che avviene quel fenomeno di cui dicevo prima e cioè di qualcosa che è assolutamente arbitrario e che invece viene preso come totalmente necessario: se voglio bene a una persona allora faccio tutto ciò che per questa persona è bene e se faccio tutto ciò che per questa persona è bene questa persona sarà contenta, è inevitabile, perché allora mi tradisce, mi insulta, perché fa tutte queste cose? Se tutta la sequenza precedente è vera allora deve essere assolutamente inevitabile che mi ami e invece questo non avviene. Naturalmente la conclusione a cui giunge la persona in questo caso è che è necessario che se faccio così allora lui mi voglia bene, mentre è assolutamente arbitrario, il motivo è molto semplice ovviamente: primo non tutte le persone sono fatte allo stesso modo, non tutte le persone amano essere servite e riverite, secondo, ciò che io ritengo essere il bene della persona non necessariamente collima con ciò che quella persona reputa essere il suo bene, terzo, potrebbe anche accorgersi che tutto ciò che faccio per “il suo bene” lo faccio perché mi piace e quindi non sentirsi minimamente in dovere di fare alcunché, può capitare Stefania, ecco perché a questo punto c’è il tracollo perché se io ritengo che se faccio queste cose allora sia necessaria una certa conclusione e questa conclusione si mostra assolutamente falsa ecco che mi trovo nella mala parata e allora incomincio a pensare “che cosa ho sbagliato?” perché ritiene che tutte le cose fatte siano corrette, tutto il procedimento, tutti i passaggi siano corretti e allora dov’è che ho sbagliato? Dovunque naturalmente, è come quando una persona compie un calcolo, ha fatto tutti i passaggi corretti però arriva alla conclusione sbagliata, che si fa?
Intervento: si cambia procedimento …
È una soluzione anche quella certo però vi rendete conto di come è facile per una persona giungere a delle conclusioni e ritenere queste conclusioni assolutamente necessarie mentre sono totalmente arbitrarie e da qui naturalmente l’impatto che hanno quando invece la conclusione è un’altra, spesso è proprio una cosa del genere a muovere una persona a fare una domanda di analisi, quando si chiede dove ha sbagliato e non sa rispondere …
Intervento: è un’anomalia nel discorso …
Qualche cosa del genere, ha costruito un ragionamento che ha questa struttura: Pietro e Paolo sono apostoli, gli apostoli sono dodici, Pietro e Paolo sono dodici. Quando si accorge che sono due è una catastrofe. C’è qualche considerazione intanto? Eleonora?
Intervento: mi stavo chiedendo quanto possa influenzare l’abitudine del pensare in una certa maniera nell’ambito del pensiero di una persona o nell’ambito di una società … se il pensare in una certa maniera deriva da un’abitudine e di conseguenza quell’abitudine crei quel modo di pensare e quindi che non sia quel modo di pensare che ha creato quell’abitudine … se io per esempio avessi sentito per tutta la mia vita che per sfamarmi bisogna mangiare gli uomini … anche la morale, la morale viene costruita … è lo stesso pensiero che crea l’abitudine …?
L’esempio che fai tu della morale è emblematico nel senso che nel corso degli anni e a volte dei secoli si struttura un certo modo di pensare e cioè una certa cosa diventa un valore, e una volta che si è posta in questi termini molto difficilmente viene messa in discussione ma viene tenuta per buona perché è una verità ed essendo una verità è funzionale, per esempio la questione morale serve in quanto vera a potere parlare male di tutti quelli che non si attengono a quella morale, questo è l’utilizzo principale, anzi la condizione per potersi mantenere è proprio che non venga mai messa in discussione e a quel punto o viene accolta così come una verità e come tale ha questo utilizzo oppure non viene accolta e viene presa per quello che è …
Intervento: anche la scienza, da quel momento in poi vengono fatti i calcoli però non si va mai a considerare quanto sia necessario …
Certo che no perché l’osservazione è difficile che venga messa in discussione almeno quanto i presupposti su cui si regge l’aritmetica è difficile che vengano messi in discussione perché sono utili, forniscono delle verità quindi perché metterli in discussione?