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6-7-2016

 

L’Eraclito di Heidegger ha detto moltissime cose intorno alla logica, logica che è una tecnica: se la logica non si rivolge al Logos per Heidegger rimane una tecnica, rivolgersi al Lόγος significa accogliere l’apertura che comporta un domandare intorno a ciò che appare. Il λόγος umano, cioè il discorso, il dire, se non si rivolge all’essere rimane pura tecnica ma rivolgersi all’essere significa rivolgersi a quel progetto nel quale il dire non solo è inserito ma è quello che è. Queste letture che abbiamo fatte e anche le prossime che faremo si rivolgono a un migliore e più preciso intendimento della questione del potere, della volontà di potenza, per questo dicevamo che la logica se non si rivolge, adesso usiamo l’essere, ma è sempre inteso come il progetto nel quale la logica è inserita, in questo caso la logica non va da nessuna parte nel senso che gira in tondo per il proprio super potenziamento, ché la tecnica fa questo, ma abbiamo anche visto che la tecnica, in definitiva la metafisica, non è altro che il linguaggio stesso, il suo funzionamento. Come dire che il linguaggio non può sottrarsi al super potenziamento, ma dicevamo che la differenza fondamentale sta nell’accorgersi di una cosa del genere oppure non accorgersene minimamente e quindi essere travolti dalla tecnica. Il super potenziamento in ogni caso non è evitabile, è possibile parlare di super potenziamento intellettuale in questo caso? Cioè il super potenziamento è inevitabile nel senso che il linguaggio procede per affermazioni, per sequenze che giungono a una conclusione, quindi afferma qualche cosa e da lì parte per costruire altre sequenze cioè per allargare la sua conoscenza, dopo tutto fa questo, quindi la verità. Il super potenziamento intellettuale si potrebbe intendere come la capacità, la possibilità di tenere conto di ciò che si sta facendo in ciascun istante, in ciascun atto linguistico, perché è intellettuale? Perché è come se super potenziasse la capacità di mantenere il pensiero in quanto pensiero libero, o per dirla con Heidegger, di mantenere aperta la domanda pur sapendo che non può non concludere ciascuna volta che parla, ciascuna volta che pensa qualunque cosa deve concludere perché se no non va da nessuna parte se fa solo congiunzioni “e … e …”, occorre a un certo punto un “allora …”. Occorre per potere da lì costruire altre sequenze. Il super potenziamento è inevitabile perché fa parte della struttura integrale del linguaggio, ma un super potenziamento intellettuale, cioè una attività che conduce alla ricerca continua del mantenimento della domanda in quanto apertura. Questo potrebbe anche essere interessante, e cosa significa ancora questo? Significa mantenere costantemente il proprio dire, cioè quello che Heidegger chiama il “λόγος umano”, mantenerlo sempre costantemente all’interno di un progetto in cui si è gettati e non potere non sapere di questo progetto in cui ci si trova, che è quello che dà il significato al dire, cioè al λόγος umano. Il Λόγος è il significato del dire, del λόγος umano, di tutto ciò che gli umani dicono, pensano o non pensano, e questo Λόγος non è altro che l’essere, quindi il progetto. Se non tengo conto ciascuna volta del progetto in cui mi trovo allora le cose che dico appaiono come oggetti metafisici. Qualunque teoria, compresa ovviamente quella psicanalitica muove in questo modo, cioè muove da un particolare, per esempio nel caso di Freud l’osservazione, per giungere all’universale, e lì si ferma come se avesse scoperto una legge universale. Pensate all’inconscio, alla rimozione, si parte da un particolare che arresto come legge universale che dice che è sempre così, pensate alla frase di Verdiglione “Il significante rimosso, funziona come nome adiacente a un altro significante” vuole dire che ogni volta che un significante è rimosso funzionerà come nome, non c’è possibilità che non accada questo. Ora in questa operazione che stiamo compiendo da qualche tempo è come se facessimo questo percorso, sì certo perché non si può evitare il particolare, e quindi una considerazione che giunge all’universale per stabilirsi, per fermarsi, per affermarsi, dopo di che si ritorna al particolare, è questo l’elemento in più. La legge universale non può non considerarsi come un atto linguistico, cioè non può affermare come stanno le cose, può affermare qualche cosa all’interno di quel gioco che sto facendo e che mi ha consentito di passare da quel particolare a quell’universale, e questo è un gioco linguistico. Per questo dicevo che si torna al particolare, nel senso di considerare questo universale come facente parte di un determinato gioco linguistico e non come un’affermazione su uno stato di fatto, come avviene in una teoria qualunque teoria psicanalitica, che di per sé non è né vera né falsa. Per esempio Freud ha trovato delle cose, gli sono parse buone e le ha universalizzate, anche la Klein ha trovato un caso particolare e poi l’ha universalizzato, e lì si è fermata, come tutti quanti. Come dire che di ciascuna cosa non è impossibile che accada, non è impossibile che accada quindi potrebbe accadere. Il problema è che non possiamo affermare niente più di questo, cioè che non è impossibile che sia, questo sarebbe per noi il passaggio dall’universale al particolare quindi: particolare, universale, particolare. L’universale afferma qualche cosa ma sappiamo che questa cosa che afferma non è una legge universale né una legge generale, né può dire come stanno le cose, è all’interno di un gioco linguistico quindi è possibile che succeda quello che afferma la Klein o quello che afferma Freud o quello che afferma Lacan o chiunque altro, è possibile, ma non è necessario. Qui sta la differenza immensa, perché sarebbe come dire, adesso riprendiamo quell’enunciato di Verdiglione “un significante rimosso funziona come nome adiacente a un altro significante” e aggiungiamo “oppure qualunque altra cosa”. Questa aggiunta nella teoria di Verdiglione non è consentita, non è consentita perché il significante rimosso è quella cosa lì e non un’altra. Ora è possibile che sia quella cosa lì in qualche occasione, non possiamo impedirci di pensare che potrebbe accadere, ma potrebbe accadere, e potrebbe anche non accadere affatto. Questo come dicevo cambia tutto perché riporta l’universale al particolare. Questo in qualche modo è stato suggerito anche dalla lettura di Eraclito di Heidegger. Il progetto è sì l’universale ma “universale” qui e adesso perché ha il senso, il significato di ciò che io sto facendo qui in questo momento, quindi “storicizza” ciò che sto facendo, vuole dire tenendo conto di tutto ciò che mi ha condotto a dire queste cose qui con voi; tenendo conto di questo è come se questo universale che è l’essere ovviamente, in qualche modo virasse verso il particolare, un particolare che è qui e adesso, un particolare che ovviamente proporrà un altro universale e così via all’infinito, che non è propriamente ciò che temeva Heidegger e cioè che parlando dell’essere si trasforma  in ente, cioè un oggetto al pari di qualunque altro, sono io che parlo e lì c’è l’essere, soggetto – oggetto e siamo in piena metafisica. Non è propriamente così, o non soltanto, perché ponendo l’essere come il progetto, la progettualità di ciascuno che significa, in un certo qual modo, ciò che sta facendo in quel momento, è come se contestualizzasse ciò che si sta facendo in quel momento rendendolo particolare, cioè vincolato a quel preciso istante, in questo senso “particolare”, che non significa necessariamente obiettivarlo, semplicemente tenere conto che ciò che sto facendo è mosso dal progetto che mi appartiene, quel progetto che sono in questo momento preciso. A questo la psicanalisi ha girato in torno parecchio: che cosa mi muove a fare, a dire certe cose? Fantasie che ignoro per lo più, le ignoro per vari motivi, perché le ritengo poco interessanti, perché non le ricordo, perché queste fantasie comportano cose che non posso né devo accogliere, per tanti motivi. Avere presente queste fantasie che mi muovo a dire, a fare quello che sto facendo qui adesso è sempre stato il progetto della psicanalisi. Ma questo progetto di cui stiamo parlando in effetti sono fantasie, quelle cose che io mi sono costruite, compresa la realtà ovviamente mia, la realtà che mi sono costruita proviene da altri elementi, questi altri elementi sono stati costruiti, da altri elementi e così via fino a ciò che ha dato l’avvio al linguaggio, perché a un certo punto è incominciato, ed è incominciato quando come sappiamo sono state fornite le prime informazioni insieme con le prime istruzioni per utilizzarle, proprio come una macchina. Questa macchina si è implementata tanto che è sfuggita al controllo, nel senso che ha costruite fantasie e cose di cui non ha più il controllo, l’umano è una macchina sfuggita al controllo. Può apparire un po’ fantascientifico però … Per Heidegger gli umani hanno dimenticato l’essere, cioè hanno dimenticato in quale progetto stanno vivendo qui e adesso, ogni informazione diventa un ente, diventa un significante il quale è incollato a un significato, cioè non c’è più la barra. È il sogno di Husserl, cioè le cose stanno così come dico. Dunque aprire quelle domande che altrimenti rimangono precluse, ci sono delle domande che sono precluse, cioè interrogazioni che non possono farsi per svariati motivi, questo per il momento è irrilevante, però delle vie sono chiuse. Ciò che ha sempre insegnato la psicanalisi: ci sono dei percorsi sono interrotti. Ciò che Heidegger in qualche modo ci ha mostrato è che rivolgersi al Λόγος, all’essere, non è altro che accorgersi del progetto che si è in ciascun momento, progetto che si è cioè dell’intenzione che interviene, del motivo per cui si vuole fare una qualunque cosa. Ma, portando come dice lui la cosa alle estreme conseguenze, il progetto ultimo è quello di lasciare aperta la domanda cioè continuare a interrogare, questo è il progetto più autentico, quello che dovrebbe appartenere all’uomo autentico. Posta la questione in questi termini allora il super potenziamento se diventa super potenziamento intellettuale potrebbe avere qualche interesse, super potenziamento intellettuale anziché super potenziamento tecnico metafisico. Non evita né la tecnica né la metafisica, però fa un passo ulteriore rispetto a questo e il passo ulteriore è accorgersi di non potere uscire dalla metafisica e quindi dalla tecnica e quindi prendere atto che ciascuna cosa è quella che è per via di qualche altra cosa che non è, che poi si arriva a questo: ciascuna cosa che af-fermo posso affermarla perché quella cosa è un’altra cosa. La necessità di affermare qualche cosa è una necessità che è quella di parlare, questa necessità è insita nel funzionamento del linguaggio. Sappiamo che il linguaggio non può arrestarsi in nessun modo, qualunque elemento rinviando a un altro dà l’avvio a un’altra catena, a un’altra combinatoria, a un’altra sequenza e sappiamo anche perché si parla, si parla per attuare la volontà di potenza, diceva questo Nietzsche, ogni parlare è per la volontà di potenza, è mosso dalla volontà di potenza cioè dall’inseguire la verità, che è poi la stessa cosa, quella verità che è un’illusione così come è un’illusione il mantenere aperta la domanda in un certo senso. Mantenere aperta la domanda significa articolare questa domanda, articolarla cioè inserirla all’interno di un gioco, ma questo gioco deve concludere, nel momento in cui questo gioco conclude la domanda cessa, quindi paradossalmente per mantenere aperta la domanda occorre chiuderla. È come il pensiero libero, il pensiero libero è tale a condizione di non esserlo, perché una volta che stabilisco il pensiero libero lo delimito, lo determino, lo af-fermo, affermandolo lo chiudo. Gli umani vivono incessantemente e inesorabilmente in questo paradosso per cui una cosa è quella che è a condizione di essere qualche altra cosa. Tuttavia per potere affermare che qualcosa è un’altra cosa occorre che la prima cosa sia af-fermabile, cioè sia quello che è, quindi qualunque cosa è quello che è a condizione di essere qualche cos’altro e questo qualche cos’altro può essere un qualche cos’altro se la prima cosa è quella che è. Questo è l’abisso in cui vivono gli umani da sempre, ma che non è propriamente un abisso, è solo il funzionamento del linguaggio, basta prenderne atto e giocarci perché altro non possiamo fare. Per giocare occorre conoscere il valore delle carte. Il valore delle carte è un’allegoria, è intendere il funzionamento delle varie parti del discorso, e soprattutto che il discorso si avvia e continua ad avviarsi e a procedere con l’unico obiettivo del suo super potenziamento: il super potenziamento è l’implementazione ininterrotta di altre proposizioni che naturalmente devono essere accolte come vere dal discorso, se no le scarta. Questo fa il linguaggio: costringe ad affermare ciò che di fatto non può essere affermato se non dicendone altro, avendo ben chiaro questo molte cose diventano più semplici e tutta questa operazione che adesso vi ho descritta più o meno rapidamente è esattamente ciò che dicevo prima del passaggio dal particolare all’universale per tornare a un particolare, cioè per tornare alla considerazione che questo universale è anche lui un atto linguistico e non può non esserlo, e se è un atto linguistico allora è inserito all’interno del progetto, cioè ha qualcosa di specifico che lo rende unico, e così anche l’universale, il particolare. De Saussure è stato molto esplicito, lui parlava di significante e significato, perché ci sia il significante occorre che ci sia il significato, perché ci sia il significato occorre che ci sia il significante e queste due cose restano distinte dalla barra, questa barra, questo terzo elemento tra i due impedisce la sovrapposizione, la sovrapposizione sarebbe il definitivo raggiungimento dell’universale, per sempre, cioè le cose stanno così e basta. Dicevo che sapere tutto questo è molto utile, soprattutto nei confronti del proprio pensiero, innanzi tutto rende probabilmente molto più semplice il passaggio dall’universale al particolare, che è come dire: “sì è vero questo, è tutto vero, ma sto parlando, sono parole, sono discorsi, sono significanti, sono combinatorie” tutto ciò che io ritengo vero, ritengo che è così è all’interno di un gioco. Abbiamo sempre parlato di gioco, parlare di gioco o di progetto in alcuni casi sembra un po’ sovrapporsi, non so se sia sovrapponibile del tutto oppure no, in ogni caso la cosa per il momento non ci interessa.

Intervento: lei leggendo Nietzsche di Heidegger affermava che il progetto è giungere a tenere conto di tutte le regole del gioco che ha inventato la Scienza della parola …

Per gli umani è difficile, perché non siamo ancora macchine, non ancora, o non del tutto, perché una macchina può tenere conto di una quantità di informazioni che noi neanche ci sogniamo, noi dimentichiamo, confondiamo, facciamo una serie di cose molto discutibili ma inevitabili perché il nostro cervello è fatto malissimamente. Ciò di cui stavo parlando è potere sapere di essere un progetto: se io sono qui in questo momento, in questo luogo con voi e sto parlando di queste cose, tutto ciò che mi ha costruito fin da quando ho cominciato a parlare mi ha condotto qui in questo momento a parlare con voi, quindi se sono qui adesso a parlare con voi è perché tutto ciò che mi ha costruito è qui e adesso mentre sto parlando, in questo senso dicevo è tutto presente. Quando Heidegger parla della “storicità” parla di questo cioè tutto ciò che l’ha portata qui, lei, adesso, in questo istante a parlare con me in questo momento, tutto ciò che l’ha portata qui è presente qui e adesso. Non è presente “consapevolmente” però è qui, è qui perché tutto questo ha confluito in ciò che lei è adesso, questa è la “storicità” di cui parla Heidegger. Facciamo un altro esempio più semplice, lei prima parlava di “conto” contiamo da uno a mille, 1,2,3,4 … 1000. Il due per esempio non c’è più nel 1000, non mi ricordo neanche più di averlo menzionato, però per arrivare a 1000 c’è quel 2, c’è nella sequenza che mi ha condotto fino a dire “1000”. Per cui tutto “il mio mondo” è presente, è presente qui e adesso mentre dico 1000, il 2 di cui non ricordo neanche più l’esistenza c’è perché se no non sarei potuto arrivare a mille, è un esempio molto banale. Quindi il super potenziamento che non possiamo evitare, ché non possiamo cessare di parlare quindi di pensare, possiamo volgerlo in super potenziamento intellettuale, questa può essere la nostra chance, e il super potenziamento che altro ci dice? Che questo super potenziamento conduce in un luogo che è un’illusione, conduce alla domanda che rimane aperta ma sappiamo che non può rimanere aperta, che deve chiudersi per potere riaprirsi. È un’illusione per gli stessi motivi per cui Nietzsche parlava della verità come illusione, e giustamente diceva che pur sapendo che è un’illusione non possiamo farne a meno, perché bisogna pure affermare qualcosa. Il pensiero libero è un pensiero che non cessa e non può cessare di domandare, domandare anche intorno a se stesso e alle condizioni di sé, è per questo motivo che non è né può essere funzionale a qualunque organizzazione, qualunque sistema. Mette in discussione, mina inesorabilmente le fondamenta di qualunque istituzione, di qualunque sistema, quindi non è funzionale al sistema, come si diceva, la psicanalisi non fa bene agli affari, il pensiero libero non fa bene agli affari perché le persone cessano di credere in ciò che io voglio che credano e incominciano a pensare per i fatti loro. Però questo pensiero libero è lui stesso un’illusione perché non può darsi se non autodistruggendosi in un certo senso, cioè affermandosi, cioè solo chiudendosi può proseguire a interrogare, che è esattamente il funzionamento del linguaggio,