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6-7-2006

 

Abbiamo incominciato a parlare dell’estetica, non so se la cosa ci interessa al punto tale da proseguire la questione, tuttavia potrebbe essere un avvio per una teoria estetica…

Intervento: avevamo definito l’estetica come un discorso ben fatto…

Diciamo che il bello, il concetto di bello muove da lì, in effetti essendo costruito dal linguaggio non può che averne le stesse forme, e attenersi alle stesse regole, poi da lì avevamo considerato la costruzione di un bel discorso che in fondo risponde ai requisiti che sono gli stessi di una bella cosa, qualunque essa sia, e cioè mantenere le proporzioni tra i vari elementi che la compongono, evitare cacofonie, dissonanze, discrepanze, attriti, mantenere quella che comunemente si chiama appunto armonia. In genere ci si è accontentati della constatazione che se un corpo è bello attrae più di uno brutto, ma perché esattamente una cosa del genere avvenga, nessuno l’ha mai considerato attentamente e d’altra parte se non si pone la questione in termini radicali muovendo da ciò stesso che consente la costruzione del concetto di bello, non si approda a niente, se non a luoghi comuni “è così perché è così”…

Intervento: il concetto di bello, sono anni che stiamo interrogandoci sull’attrattiva, su ciò che attrae e quindi ciò che spinge la persona in una certa direzione in una sorta di ipnotismo che suscita il bello, per arrivare al linguaggio e quindi al discorso, al discorso bello, persuasivo privo di cacofonie…

Ha detto bene, se è bello è persuasivo, e anche un corpo se è bello è persuasivo, anche se in questo caso si dice seducente…

Intervento: in fondo anche nella coppia si immagina che le cose accadano di per sé, ad un certo momento l’innamoramento e la fusione di due corpi che avviene per via di un travolgimento… la questione estetica un bel discorso… occorre una serie di passaggi se no l’attrattiva del corpo bello che cos’è? Perché parliamo di estetica? Il concetto del bello a cosa serve?

Sappiamo che il bello piace a tutti, ma non per tutti il bello è lo stesso, perché? Chi saprebbe rispondere a questa semplice domanda?

Intervento:… una certa cosa è bella perché è funzionale al suo discorso…

Anche, però per lo stesso motivo per cui per una persona è vera una cosa e per un’altra persona è vera un’altra, così come una sequenza di proposizioni giunge sempre a una proposizione vera all’interno di quel gioco ovviamente, se muove da una certa premessa, muovendo da un’altra premessa è chiaro che giungerà a una conclusione vera ma totalmente differente e il bello funziona allo stesso modo, mantiene sempre lo stesso criterio ma muove da una premessa diversa. Da dove arrivano queste premesse? Dall’installarsi del linguaggio, lì avviene qualcosa che è molto difficile da esplorare e di conseguenza da considerare, però possiamo dedurre qualcosa comunque

Intervento: anche perché l’installarsi del linguaggio lo possiamo solo costruire e quindi dedurre in questo momento, in questo contesto e attraverso i giochi che siamo abituati a compiere e alle conclusioni che possiamo trarre… certo è una deduzione quella che possiamo fare dell’installarsi del linguaggio…

Sappiamo come funziona il linguaggio e nel momento in cui si installa funziona già come funziona anche dopo, non ci sono differenze, può avere soltanto più o meno elementi con cui operare ma questo si mantiene anche negli anni a venire, ci sono persone anche adulte che hanno pochissimi elementi con cui operare, altre che hanno moltissimi elementi. Come si costruisce una credenza? Una superstizione? Una certezza? È ovvio che bisogna partire da qualche cosa che sia acquisito e nel momento in cui il linguaggio si installa che cosa è acquisito? È acquisito ciò che si dice, abbiamo detto in altre occasioni, perché non c’è nessuna possibilità per il discorso che ascolta in quel caso, che si sta formando, di mettere in dubbio qualunque cosa, perché non ha nessun elemento per farlo e quindi qualunque cosa si dica, per il solo fatto che si è detta rappresenta il vero, è il vero; la stessa cosa si mantiene anche dopo negli anni a venire solo che in alcuni casi, neanche sempre, c’è l’eventualità, l’opportunità di poterla mettere in gioco, di interrogarla, tant’è che se qualcuno vi dice qualcosa d’acchito la pensate vera, per il solo fatto che l’ha detto, perché tendenzialmente se una persona parla, dice qualcosa, dice qualcosa di vero, non dice qualcosa di falso a meno che non stia mentendo appositamente, ma questo è un altro discorso. D’altra parte se non c’è e non può esserci in quel momento un criterio verofunzionale qualunque cosa si dica è vera, qualunque cosa, e quindi costituisce la base, il fondamento su cui costruire sequenze di proposizioni. Questo rende conto da una parte del fatto che grosso modo le persone pensano tutte la stessa cosa, con piccole varianti, e mostra anche perché ci sono queste piccole varianti, a seconda delle prime cose che vengono dette, che sono vere, in base a queste si costruiscono, dopo, ponendosi come premesse, si costruiscono dopo una serie di argomentazioni, quindi potremmo dire che gli umani pensano tendenzialmente le stesse cose, le piccole differenze che intervengono generalmente mostrano soltanto che probabilmente, adesso mettiamola come possibilità, che su alcune cose è stato posto un maggiore accento che su altre, però tendenzialmente a un bambino piccolo si dicono le stesse cose, non è che si fanno grosse differenze, e infatti anche da adulti più o meno pensano le stesse cose. Appare che le persone pensino tutte in modo diverso ma non è proprio così, se fosse così non sarebbero gestibili, controllabili, governabili, occorre che le cose che contano, quelle importanti, le pensino tutti allo stesso modo e cioè, per esempio, che sia necessario un governo, necessario che ci siano dei valori, che ci sia uno che comanda e altri che obbediscono, sono le prime cose che vengono insegnate, in fondo è il modello che impongono i genitori per lo stesso motivo, e cioè per potere controllare quindi gestire più facilmente il bambino, il motivo è sempre lo stesso: avere una maggiore possibilità e facilità di gestione della situazione, d’altra parte se una madre insegnasse a un figlio di disobbedire a chiunque, compresa la madre, sarebbe complicato gestire la situazione. E quindi gli si insegna che deve obbedire alla mamma…

Intervento: le parole che dicono i genitori vengono assunte come vere…

Sì, i genitori sono le persone con cui hanno a che fare per il maggior numero di anni…

Intervento: in questo modo essendo qualche cosa che ricevono dall’esterno forse a quel punto subentra la credenza che la verità arrivi dall’esterno…

Certamente questo dà un contributo, è fuori di dubbio…

Intervento: la verità dio, la voce comune…

Certo, quella figura retorica che si chiama “auctoritas” lo dice lui e lui sa, che appunto può essere il genitore, il governo, dio, il capo gruppo. Ora facciamo un passo indietro rispetto al vero, certo è ovvio che un bimbo non si pone la questione del vero, è semplicemente qualcosa che si dice e che incomincia a esistere, c’è, è stato detto, quindi c’è, questo è il passo precedente, dopo diventa anche vero…

Intervento: perché è stato detto da lui o è stato detto da altri? Perché in effetti le prime parole che ascolta sono state dette da altri…

Certo, se no nascerebbe già provvisto di linguaggio. Abbiamo anche accennato a come si insegna il linguaggio, cioè un sistema inferenziale: “se fai questo succede quell’altro”, c’è già tutto quanto quello che serve perché questo già è differente da quell’altro ovviamente, e c’è già un sistema inferenziale cioè un’implicazione “se questo allora quest’altro”…

Intervento: occorre che il bambino cominci a capire per poter costruire un’inferenza… anche questo mettere in connessione è addestramento? Occorre che ci sia una prima connessione…

Tendenzialmente la prima connessione viene mostrata, viene esibita…

Intervento: sembra che sia come una sorta di dimostrazione ostensiva la prima cosa che accade… ma questo è questo come e in che stermini si stabilisce?) (una relazione di causa effetto nasce prima nel linguaggio…

Intervento: se io piango qualcuno mi darà da mangiare…

Intervento: però la deduzione è della mamma che vede che il bambino sta piangendo e quindi perché piange e cosa deve fare per farlo smettere…

È solo una reazione, a una variazione di stato…

Intervento: però questa reazione o l’idea se piango la mamma… è già un’implicazione… che rientra successivamente all’installarsi del linguaggio… sul fatto che il bambino piange si è costruito tutta la psicologia, la psicanalisi, si tratta di capire come funziona la questione del linguaggio a meno che non siamo noi a porla in termini di implicazione…

Occorre andare cauti, il corpo umano è, come sappiamo, provvisto di sensori che registrano degli stimoli, per cui per esempio se io immergo un neonato in acqua gelata ci sono ottime probabilità che piangerà, cioè reagirà a quello stimolo in quel modo, e se raffreddo ancora l’acqua reagisce in un altro modo, cioè muore, in fondo sono reazioni, è un’inferenza questa? No, è una reazione, il ferro non inferisce che quella è una calamita e quindi adesso lo attrae, perché ci sia un’inferenza occorre che ci sia un sistema…

Intervento:…

Sì, il sistema è più sofisticato, è più complicato, più elaborato, infatti il ferro non piange se lo si stacca dalla calamita, più un sistema è complesso maggiore è il numero di reazioni che intervengono, tant’è che è possibile addestrare gli animali, per esempio, gli si fanno fare cose che di per sé non farebbero, e questa è una reazione, però temo che non possiamo parlare di inferenza. Perché ci sia inferenza occorre che ci sia il pensiero che potrebbe non essere così, se non c’è questo pensiero non è un’inferenza, è una reazione, è un po’ il discorso che faceva Benveniste rispetto alle api, quando criticava taluni che parlavano di linguaggio delle api, un’ape va in giro, vede il fiorellino, torna indietro e segnala in modo assolutamente preciso la posizione di quel fiore, tant’è che parte tutto lo sciame e arriva esattamente lì, non è che si disperda nel nulla, magari succede, però tendenzialmente va dritta sull’obiettivo, il problema è, diceva Benveniste, che queste api non possono fare diversamente, non è che faccia uno scherzo e le mandi da tutt’altra parte, questo non lo può fare. Dunque non possiamo parlare di inferenze ma di reazioni, di programmi se preferite, o di cosa volete, come se queste api fossero programmate, in effetti, esattamente come un computer di fronte a un certo stimolo reagisce in un certo modo, così come il ferro non può decidere “no, oggi la calamita non mi attrae”, non lo può fare, non può decidere, non può variare la sua condotta. Ciò che fa il linguaggio è consentire questo: potere variare il proprio pensiero, la propria condotta, costruisce un pensiero e pone delle condizioni di potere variare la condotta al punto che una persona può mettere la mano sul fuoco e tenercela se vuole, mentre un animale non lo può fare, perché non può decidere, reagisce a degli stimoli e basta, e la cosa è finita lì, gli umani essendo provvisti di linguaggio decidono il da farsi, il linguaggio glielo consente…

Intervento:…

Occorre distinguere qui l’inferenza dalla reazione, io sto facendo un’inferenza, certo, ma il ferro non compie un’inferenza, il bambino che piange perché immerso in acqua fredda piange ma non compie un’inferenza…

Intervento: reagisce a uno stimolo… però quando il bimbo vede la mamma e smette di piangere compie un’inferenza…

Non necessariamente, anche un cane smette di abbaiare quando arriva il padrone o smette di latrare se uno si avvicina con la ciotola del mangiare, non per questo è provvisto di linguaggio, reagisce a degli stimoli, semplicemente, certo è un po’ più elaborato del ferro, ovviamente il sistema è più complesso e quindi ha un maggior numero di reazioni, un computer è più elaborato di una macchina da scrivere perché ha un maggior numero di possibili reazioni a un certo stimolo, può fare molte più cose di quanto può fare una macchina da scrivere…

Intervento: nella Metafisica di Aristotele nel libro undicesimo “l’essere come accidente e l’essere come vero” c’è un punto in cui parla della necessità e dell’accidente e Aristotele dice che non c’è scienza dell’accidente cioè delle cose accidentali e non può esserci e a proposito dell’accidente dice che è un’affezione del pensiero, i sofisti quindi non praticano la vera scienza, non praticano la necessità stabilita dai sapienti, decisa dai sapienti ma praticano il non essere, l’accidente… un’affezione dice lui del pensiero, affezione molto difficile da trattare perché sfugge e il conto non regge…

Sono tutte quelle cose che non hanno un andamento prevedibile, per esempio il gioco dei dadi è accidentale nel senso che è casuale, nessuno può sapere quale numero uscirà, per questo non è possibile costruire una scienza dei dadi…

Intervento: certo e quindi tutto ciò che ha fatto la scienza fino ad ora non è stato nient’altro che basarsi su reazioni che aveva costruito, non ha potuto decidere nulla e quindi inferire…

Con la statistica si è tentato di ovviare in parte a questa difficoltà, con tutti i limiti della statistica…

Intervento:…

Certo, fornendo al bambino un’istruzione, si forniscono delle informazioni, così come si fa con una macchina e appunto la prima è “questo è questo” cioè esiste, è, c’è, e poi c’è anche quest’altro, inizialmente probabilmente è una enumerazione: questo, poi questo, questo, etc., poi si inserisce il sistema inferenziale e si inserisce utilizzando la differenza “questo non è quest’altro”, certo appoggiati dal senso della vista, per esempio, in quel caso queste percezioni che altrimenti non avrebbero nessun senso, incominciano ad avere un senso, e cioè questo non è quest’altro, da quel momento ha quanto gli serve per costruire qualunque cosa in base semplicemente alla possibilità di distinguere un elemento da un altro, che quindi deve essere identico a sé, e un sistema inferenziale per inserirlo all’interno di una combinatoria, di una sequenza, che non è più soltanto una enumerazione ma un rapporto di causalità: questo è causa di quest’altro, questo viene da quell’altro. Tant’è che a un certo punto incomincia a chiedersi da dove viene lui: se ogni cosa viene da qualche altra io da dove vengo? Come vi ho detto all’inizio è complessa la questione e occorre andarci molto cauti, perché deduciamo cose dalla struttura del linguaggio ma in realtà non possiamo sapere che cosa c’è prima del linguaggio, perché che cosa c’è prima del linguaggio? Niente, pertanto è arduo, possiamo spingerci fino ad un certo punto oltre il quale non è più possibile andare, il punto in cui il linguaggio si avvia in parte possiamo, come stiamo facendo, dedurlo dal suo funzionamento ma non possiamo uscire dal linguaggio…

Intervento: il bimbetto pur non parlando potrebbe pensare…

Anche se non verbalizza delle cose comunque ha recepito degli elementi, dei significanti e può cominciare nella sua testa a accostarli e combinarli, certo d’altra parte una persona pensa anche quando non parla, un bimbetto perché non dovrebbe fare anche lui la stessa cosa? Una delle difficoltà maggiori è proprio questa: la capacità di distinguere, tant’è che i bambini spesso fanno dei discorsi, quelli che poi fanno tanto ridere gli adulti, dove usano parole che magari non c’entrano niente, ché non sanno ancora esattamente come si usino, di fatto imparano il linguaggio quando cominciano a imparare come si usano dei suoni, “posacenere”, questo suono potrebbe non dire assolutamente niente e infatti a un bambino di sei mesi non dice assolutamente niente, deve sapere come usare questo termine cioè qual è il suo utilizzo che è di rinviare a qualche cosa, che di fatto è un’altra sequenza di proposizioni, e il problema che hanno anche gli adulti, che si mantiene poi anche con l’età è quello di distinguere le cose, distinguere le parole, come abbiamo detto in tantissime occasioni, molto spesso una persona pensa e quindi parla non sapendo in realtà di che cosa sta parlando perché utilizza elementi linguistici di cui non conosce il significato, ciononostante li utilizza, li “utilizza” tra virgolette perché non conosce esattamente l’uso, gli pare, gli sembra, ho sentito dire però non lo sa in realtà, è come un bambino di pochi anni e di conseguenza i suoi pensieri sono quello che sono, e cioè confusi, imprecisi e molto raffazzonati e che concludono cose assolutamente sgangherate, non c’entrano niente magari con la premessa, però “gli pare” in base a qualche cosa che a lui sembra che sia così, ma non lo è, non lo è affatto, cioè la conclusione che trae è assolutamente sballata, purtroppo la più parte degli umani pensa in questa maniera con tutto ciò che ne segue…

Intervento: stavo considerando diverse questioni… intanto gli umani parlano credendo di raccontare le cose che hanno da dire insomma e quindi non danno una grossa importanza a ciò che il discorso fa mentre dice delle cose, il discorso può viaggiare per assonanze, per rumori dice una certa cosa e poi si accorge che o meglio di solito non si accorge che questa parola è simile per rumore invece che per significato, diciamo così…

Sì però le conclusioni che trae sono notevoli nel senso che dopo, una volta che ha concluso in un certo modo, crede in quella cosa e di conseguenza si muoverà in quel certo modo…

Intervento: e qui parliamo di fallacia… anche perché continua a pensare partendo da delle proposizioni che sono assolutamente in antitesi con le cose sulle quali lui immaginava di riflettere… tanto un termine vale l’altro, una proposizione vale l’altra per cui…

Sì, la cosa più difficile da considerare è che qualunque elemento intervenga mentre si parla ha come referente soltanto altre parole, nient’altro che questo, e nell’istante in cui io affermavo questo, tutto ciò che ho detto, qualunque elemento che ha composto questa affermazione ha come referente soltanto altre parole, nient’altro che questo. È buffo trovarsi a pensare mentre si parla a ciò che si dice e cioè a ogni singolo elemento che interviene, “a ogni singolo elemento che interviene” questa sequenza che pure è grammaticalmente corretta, a cosa si riferisce esattamente? Da dove viene? Cosa sta facendo? Costruisce sequenze di proposizioni, certo, a partire da altre che ha considerato essere vere, da queste poi altre, e altre ancora, ancora, nient’altro che questo come abbiamo detto infinite volte, l’unico obiettivo del linguaggio è continuare a costruire proposizioni al solo scopo di farlo. È il motivo delle cose, lo scopo ultimo delle cose, la dottrina che gli antichi chiamavano escatologia, la dottrina del fine ultimo delle cose. Continuare a dirsi, ecco qual è il fine ultimo delle cose, non ce n’è nessun altro, però c’è questo dettaglio che non è irrilevante e cioè che quando una proposizione costruisce una sequenza e conclude in un certo modo che all’interno di quel gioco appare essere vera, allora tutto quanto, e quindi anche il corpo si muove di conseguenza. Ecco, da qui l’agire degli umani, solo gli umani sono provvisti di linguaggio. Pensate a un qualunque animale, un leone, agisce il leone? Potremmo dire che reagisce a degli stimoli, per esempio la fame, la sete, lo stimolo sessuale, qualunque cosa sia, ma un leone non può avere un progetto di nessun tipo, non può pensare al futuro né al suo passato, è come se, questa è una questione che avevamo detta tanti anni fa, è come se un animale, facciamo questa sorta di deduzione, vivesse incessantemente nel qui e adesso, in questo istante, non c’è nient’altro. In un certo senso potremmo fare qualcosa di simile, ma in modo totalmente consapevole, e cioè il qui e adesso, questo istante rappresenta ciò che si sta dicendo in questo momento, certo, posso collegarlo a tutto quello che mi pare ma di fatto tutti questi collegamenti che posso fare sono collegamenti linguistici, nient’altro che questo, noi possiamo fare collegamenti linguistici, il leone no, questa è la differenza, per cui potendo fare tali collegamenti ecco che facciamo progetti, costruiamo città, teorie e un’infinità di cose, se no saremmo come il leone dove esiste soltanto il qui e adesso, perché non c’è nessuna possibilità di costruire collegamenti con altri pensieri perché non ci sono pensieri e quindi è tutto immediato. A noi piace pensare che gli animali possono avere degli affetti, ma non ce l’hanno, non li possono avere, anche se il gatto si struscia non c’entra niente con l’affetto, non più di quanto un pezzo di ferro si affezioni alla sua calamita, a nessuno verrebbe in mente di dire una cosa del genere. Va bene, comunque andate sempre molto cauti su queste questioni, sono ardue e come ho detto prima possiamo andare fino ad un certo limite oltre il quale non possiamo proseguire perché non possiamo uscire dal linguaggio e sapere cosa c’è fuori, però possiamo sapere come funziona, questo sì, questo ve lo prometto.