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6-5-2009

 

Le cose dette la volta scorsa ci hanno condotti a una questione importante che riguarda il metodo, un metodo che riguarda non soltanto la pratica psicanalitica ma anche un metodo di ricerca, di interrogazione, di elaborazione teorica, metodo che riguarda propriamente due aspetti, intendere perché una persona pensa le cose che pensa, che è l’aspetto più clinico e l’altro riguarda invece perché pensa e come pensa. Ma l’aspetto che ci interessa di più in questo momento è intendere che questo metodo è ciò che consente con una relativa facilità e rapidità di potere accostarsi a qualunque teoria cogliendone immediatamente sia aspetti eventualmente interessanti sia invece gli aspetti di nessun interesse, è il metodo che ci ha consentito di interrogare le varie teorie e accorgerci di quanto queste teorie fossero costruite su nulla, sull’osservazione in buona parte, sono quasi tutte costruite sull’osservazione tranne la logica e la matematica che sono costruite su argomentazioni deduttive prevalentemente, e anche considerare quanto poco effettivamente le persone si occupino di un metodo di ricerca, di un metodo di elaborazione teorica ed è anche una delle questioni che sono più difficili da intendere. Quando esponiamo il lavoro che stiamo facendo oramai da molti anni nessuno in realtà sa da dove viene ciò che affermiamo e quando accenniamo a questioni di metodo che ci hanno condotti ad affermare le cose che stiamo affermando la questione appare ardua, ardua perché non c’è di fatto nessun interesse ma anche nessuna considerazione per un metodo teorico, ci si può riferire a qualunque teoria certo ma vi faccio un caso che può apparire emblematico il caso per esempio della logica intuizionista. La logica intuizionista si distingue dalla logica formale soprattutto perché rifiuta il terzo escluso, vale a dire ciò che nella logica formale costituisce uno degli assiomi fondamentali viene rigettato dalla logica intuizionista la quale considera che affermare che o A oppure non A non costituisce in realtà una dimostrazione, uno dei due nella logica formale è ritenuto vero e l’altro falso ma nella logica intuizionista no, il fatto di non potere dimostrare in modo esplicito la verità di almeno uno dei due elementi rende questo assioma non valido. Questa idea che se ha avuto un certo successo soprattutto nell’ambito filosofico e anche nella psicanalisi, molti hanno ripreso questa questione per potere accedere al terzo escluso, il terzo escluso che rimane quell’elemento insondabile, indecifrabile, non individuabile, senza tenere conto che per potere giungere a queste considerazioni, e cioè che nel caso del terzo escluso che non è possibile formulare una dimostrazione esplicita di una cosa del genere, in questo ha dovuto utilizzare il terzo escluso perché in caso contrario questa affermazione che dice che il terzo escluso non è valido vale esattamente quanto la sua contraria, cioè non sta affermando niente in realtà. Non si è accorto Brouwer che per potere affermare la sua teoria, per poterla costruire era necessario che comunque tenesse conto del fatto che una certa affermazione non può essere simultaneamente vera o falsa, non si da una terza possibilità, e naturalmente lui considera la sua teoria vera e quindi necessariamente esclude che sia falsa reintroducendo in questo modo ciò che voleva escludere e cioè il terzo escluso. La teoria di Brouwer o è vera o è falsa, eliminando il terzo escluso ci si riduce a quella formulazione che i medioevali chiamavano lo pseudoscoto cioè ex falso quodlibet: da un’affermazione vera e falsa simultaneamente è possibile trarre qualsiasi cosa e il suo contrario. Questo è un esempio di metodo, il metodo di Brouwer non ha tenuto conto di ciò che stava facendo mentre elaborava la sua teoria e cioè del fatto che per poterla confermare era necessario utilizzare ciò stesso che voleva eliminare, cosa che noi rileviamo molto spesso per quanto riguarda la struttura del linguaggio e teorie che vengono costruite sul linguaggio da parte dei filosofi del linguaggio ma non solo, e cioè non tenere conto, per non si sa quale motivo, del fatto che stanno utilizzando ciò stesso di cui stanno parlando e quindi necessariamente per costruire ciò che costruiscono devono attenersi alle regole del funzionamento del linguaggio. Il metodo di cui vi parlavo consiste proprio in questo: tenere sempre e comunque conto delle regole del linguaggio che stanno consentendo anche a me in questo istante di affermare ciò che sto affermando, ed è questo che risulta determinante se dobbiamo fare una differenza fra ciò che andiamo affermando e ciò che generalmente viene affermato in ambito teorico, dove manca questa banalissima considerazione che se è possibile affermare qualcosa allora è possibile affermarlo grazie a una struttura, e naturalmente sarà possibile affermarlo in base alle regole di quella struttura che è il linguaggio, né più né meno. Questo metodo dunque che è fondamentale riguarda anche la clinica. Una analisi inizia con un racconto, una persona continua a raccontare cose che crede vere per parecchio tempo ma a un certo punto, nel momento stesso in cui si accorge che è responsabile di ciò che sta affermando si impone la questione di ciò che gli permette di affermare ciò che sta affermando, come dire che prima afferma delle cose poi si accorge che è lui che le afferma, cioè che è una sua responsabilità, dopodiché il passo successivo è intendere che cosa gli consente di affermare ciò che sta affermando. Questi tre momenti direi che sono le tappe fondamentali di un percorso analitico e se manca il terzo che è quello che riguarda come dicevo prima il perché penso, gli altri due rimangono aleatori, rimangono cioè privi di ciò che consente di intendere che cosa fa funzionare il mio pensiero e quindi perché penso e di conseguenza di che cosa è fatto il mio pensiero e continuerò ad attribuire a qualunque cosa, al fato o alla mala sorte …

Intervento: senza contare che se la persona non tiene conto di questo aspetto e cioè di che cosa è fatto e come funziona il mio pensiero raccontando fa esistere effettivamente quelle cose che afferma e che afferma con tanto vigore perché è proprio il modo per confermarle, per fermarle, una sorta di psicotizzazione nel senso che le fa esistere in quel pensiero effettivamente … è un po’ quello che fanno gli umani nei confronti delle cose del mondo cercano, partendo da qualsiasi verità abbiano inteso, di far esistere le cose nel mondo quasi che queste cose, quando parliamo di esercizio di potere questa necessità di trovare conferme alle verità fosse una sorta di paura nei confronti di qualcosa che esattamente così come fa il linguaggio che funziona con tutto ciò che gli è utile a costruire proposizioni della cui necessità non si è mai interrogato, dicevo della paura degli umani di rimanere senza nulla … sì ma nei confronti di qualsiasi cosa anche di quella felicità che si cerca per tutta la vita …

Appare sempre arduo, anche quando facciamo interventi in pubblico, per chi ascolta intendere perché poniamo l’accento sul linguaggio anziché come fanno altri che si fermano sulle emozioni, sulle sensazioni, sull’inconscio, sulla tradizione, su infinite altre cose, proprio per una questione di metodo, perché questo metodo ci ha condotti inesorabilmente a una sorta di fine corsa e interrogando le questioni nei termini più radicali e sfrontati possibile si giunge a quella cosa che è quella che consente di elaborare qualunque cosa cioè quella struttura che sta a fondamento, che è il fondamento di qualunque cosa, cioè esattamente il linguaggio. È questa la parte più difficile in tutto ciò che stiamo elaborando, cogliere questa necessità che appare come un ghiribizzo, un’idea fra le altre anziché ciò che inesorabilmente si incontra quando le questioni vengono portate alle estreme conseguenze, fino al limite in cui è possibile portarle oltre il quale limite non è più possibile perché fuori del linguaggio non si può più fare niente. È questo metodo che occorre fare intendere a chi ci ascolta, e non è facile, ma è ciò che accade anche in ambito culturale, teorico, intellettuale, cioè l’assenza totale di metodo e cioè di ricerca portata alle estreme conseguenze. La stessa psicanalisi di Freud non ha affatto condotto le cose alle estreme, conseguenze arrivare all’ipotesi di un inconscio non è affatto arrivare alle estreme conseguenze, le estreme conseguenze colgono invece quella struttura che ha consentito di potere parlare di inconscio, di potere inventare la nozione di inconscio e visto che è questa struttura che l’ha costruito allora l’inconscio come taluni hanno colto è strutturato come un linguaggio e non può essere altrimenti, e da qui intendere che qualunque pensiero, paura, scena, immagine, fantasia, timore, gioia etc. hanno come condizione il linguaggio e in assenza di linguaggio non solo non esisterebbero ma non sarebbero mai potuto esistere, mai in nessun modo. In definitiva di che altro vivono gli umani se non di questo? Dei loro pensieri, desideri, immagini, scene, affanni, progetti, se si toglie questo non resta un granché agli umani. Parlare del linguaggio in questi termini è una cosa che non avviene, generalmente il linguaggio è stato considerato dai più come uno strumento per descrivere altro che non è linguaggio, ma questo metodo ci ha consentito di portare alle estreme conseguenze anche questa considerazione, ci ha indotti a considerare che se non esistesse questa struttura che chiamiamo linguaggio non potremmo fare nessuna considerazione, la scienza non sarebbe mai esistita per esempio, ma allora, e qui si arriva generalmente alla questione più ardua, le cose esisterebbero comunque? Che è una domanda fatidica, una domanda fatidica che tuttavia non ha nessun senso, a questo punto posso pensare che esisterebbero comunque o che non esisterebbero affatto indifferentemente perché non ho nessun modo per uscire dal linguaggio. Il linguaggio è una questione che perseguiamo da parecchio tempo proprio perché ci è parsa ottima e ci è parsa ottima per una serie di motivi, uno di questi è il fatto che considerando una qualunque questione teorica e portandola alle estreme conseguenze alla fine si arriva proprio al linguaggio e vale a dire a quella struttura che consente di costruire qualunque teoria, di costruirla e di verificarla anche in base a dei criteri che sono stati stabiliti, come noto qualunque verifica muove da un certo numero di criteri e questi criteri ovviamente vengono costruiti sempre da una struttura che è quella che si chiama linguaggio …

Intervento: come mai io per esempio è la mia storia personale, infantile ne sono consapevole di questo ma … come mai io instauro un rapporto molto forte quasi viscerale, quasi violento tra il pensiero, la parola in una parola il linguaggio e il passato cioè il passato è un tempo che è stato vissuto…

Lei si è data già una risposta o ha lasciato in sospeso?

Intervento: in sospeso e poi un’altra questione forse più facile per voi … se si può considerare che tutto è linguaggio ma ci sono due cose … spazio e tempo cosa sono linguaggio anche quello?

Innanzi tutto qualunque cosa avvenga viene vissuta attraverso una struttura che è quella che chiamiamo linguaggio che comporta necessariamente una serie di informazioni e che rende ciò che è avvenuto di fatto quello che è, perché senza questa serie di informazioni qualunque cosa accada di per sé non significa niente, se non c’è qualcuno per cui significhi, ma perché qualche cosa significa a un certo punto in modo tragico per qualcuno, per esempio? Perché questo avvenga occorre che ci siano delle condizioni perché se no abbiamo visto che non succede assolutamente niente, quali sono queste condizioni? A questo punto occorre inserire un elemento e cioè il fatto che lungo la propria esistenza una serie di elementi diventano importanti, possono esserci molti motivi ma in generale diventano importanti perché determinano per la persona dei riferimenti, dei riferimenti quindi dei punti fermi, delle verità diciamola in modo più schietto, ora a questo punto se qualche cosa viene a interferire con questa serie di verità, che poi sono in realtà gli elementi su cui ciascuno costruisce la propria esistenza, le cose che ha imparate fin da piccolo e che continua a credere, che continua a pensare e sulle quali continua a basare la propria vita, se qualche cosa interferisce con una o più di queste verità ecco che succede un problema, o queste cose che si credevano prima vengono abbandonate come false per esempio, in base a nuove informazioni oppure avviene quel fenomeno che Freud chiamava del lutto e cioè la necessità di una elaborazione che consenta la separazione di ciò che è ritenuto importante. Questo ci porta a un’altra questione ancora, vale a dire alla necessità che hanno gli umani di avere dei punti fermi, delle cose importanti perché se nulla fosse importante, nulla creerebbe alcun problema, cioè nessun evento di per sé creerebbe nessun problema …

Intervento: un carissimo amico medico, mi è morta la madre giovanissima mi diceva “perché ti crucci di una morte” mi pareva un po’ offensivo però era un amico carissimo …

In effetti la vita è l’unica cosa che porta necessariamente alla morte, ma questo lo sanno tutti, non è una cosa così strana però pone anche qui un’altra questione: perché la più parte degli umani in effetti temono una cosa del genere? Perché? Potrebbero anche non temerla affatto, che cos’è che rende la morte sia così temuta? La cosa più rilevante è che la persona cessa di parlare, cessa di pensare, cessa di interloquire con gli altri, è l’idea che non ci sia più la parola, è questo che spaventa  Intervento: Bergman fa un nesso molto stretto tra la morte e la solitudine assoluta …

È l’impossibilità di parlare, di essere ascoltati, esattamente. Si tratta però di fare ancora un passo ulteriore e domandarsi perché una cosa del genere crea dei problemi? È qui che si situa la questione del linguaggio e cioè la necessità di intendere il suo funzionamento, visto che tutto ciò è una costruzione del linguaggio e che senza linguaggio tutti questi pensieri non potrebbero esistere, non potrebbero esistere l’idea né della vita né della morte ovviamente, visto dunque che è il linguaggio a costruire tutto ciò se noi riuscissimo a sapere esattamente come funziona probabilmente riusciremmo a rispondere anche a questa domanda e cioè perché gli umani hanno paura della morte, propriamente intesa in questo modo e cioè come la cessazione della parola, ma occorre intendere esattamente come funziona il linguaggio ed è di questo che ci siamo occupati in questi anni, sapere proprio questo e quindi a questo punto tecnicamente avere di fatto la risposta a qualunque domanda, poiché è il linguaggio che crea qualunque domanda ovviamente ha anche gi strumenti per rispondere e a questo punto non ci sono più né enigmi, né misteri, c’è soltanto una struttura …

Intervento: è l’impalcatura di tutto …

Esatto, a questo punto possiamo avere di fatto non soltanto la risposta a qualunque cosa ma anche sapere perché si risponde in un certo modo e quindi cosa è importante in alcuni casi. Ciascuno potrebbe sapere sempre e comunque esattamente perché pensa le cose che pensa, perché crede le cose che crede, perché ha paura di una certa cosa, perché un’altra la fa soffrire oppure no …

Intervento: si sceglie …

Ha detta la parola giusta “sceglie”, sceglie nel senso che la persona cioè ciò di cui è fatta cioè il suo discorso effettivamente sceglie una direzione oppure un’altra in base alle informazioni che ha acquisite e in base a degli obiettivi che in qualche modo si è prefissati, ma perché? È qui, come già ieri sera e in altre occasioni ho detto, la straordinaria importanza del linguaggio, del suo funzionamento, intendere come e perché funziona in un certo modo e a questo punto si apre la questione fondamentale, come funziona? È possibile individuarlo come una sorta di sequenza di istruzioni, di fatto noi possiamo individuare, riflettere e considerare il funzionamento del linguaggio unicamente, parlando visto che non abbiamo altri strumenti, ora la questione per quanto possa apparire di una vastità sconfortante d’altra parte invece può essere anche molto semplice: si incomincia a considerare che cosa è necessario al linguaggio per funzionare quindi eliminando tutto ciò che non è necessario al linguaggio per funzionare, per esempio il fatto che io mi chiami Luciano non è necessario al funzionamento del linguaggio, è assolutamente indifferente ma che cosa è necessario invece? Cioè necessario perché non può non esserci in nessun modo, perché se non ci fosse allora non esisterebbe più il linguaggio, non funzionerebbe più? Che cosa è necessario? Pensate ai tre principi aristotelici, principio di identità, non contraddizione e terzo escluso, Aristotele aveva colto qualche cosa che in effetti poi ha costituito il fondamento di tutta la logica fino alla logica contemporanea e cioè ha individuato che cosa è necessario perché funzioni il tutto, tant’è che lei provi a immaginare una parola che simultaneamente significhi tutte le altre, riuscirebbe ancora a parlare? Sarebbe assolutamente impossibile parlare perché il linguaggio cesserebbe di funzionare. A questo punto abbiamo individuato uno degli elementi che lo fanno funzionare cioè uno degli elementi che è necessario al linguaggio per funzionare, e potremmo individuarlo come il principio di identità: ciascun elemento deve essere identificabile per poterlo utilizzare e da questo segue il fatto che essendo identificabile è differente dalla sua negazione cioè ciascun elemento è quello che è e non è altro, e quindi abbiamo già due principi fondamentali …

Intervento: se fosse un altro non sarebbe più quello che è …

Esattamente, e infatti che cosa dice Aristotele: non è possibile che siano A e non A simultaneamente, o uno o l’altro, tertium non datur. Ora abbiamo già due elementi che ci dicono che cosa necessariamente deve esserci perché il linguaggio funzioni, consideri soltanto questi due elementi non più come delle istanze ontologiche che vengono chissà da dove ma semplicemente come delle istruzioni, provi a considerare questo, istruzioni, esattamente così come si istruisce un programma, né più né meno, di qui puoi andare di là no 1/0. Regole semplicissime, delle istruzioni, proviamo a considerare il linguaggio come una sequenza di istruzioni per costruire proposizioni, nient’altro che questo per il momento, accontentiamoci di questo, istruzioni, istruzioni che dicono come deve essere fatta una proposizione, ora a questo punto abbiamo bisogno anche di un sistema inferenziale che ci consente dato un elemento di inferirne un altro, ma se noi ci basassimo unicamente su queste tre istruzioni? Abbiamo solo queste tre istruzioni, a questo punto possiamo costruire qualunque cosa perché abbiamo un elemento e a partire da una prima qualunque informazione che potrebbe essere per esempio “questo è questo” A è A, sappiamo a questo punto che non è il suo contrario e sappiamo che da questo possiamo inferire un altro elemento “se questo è questo allora non è quest’altro”. Questi tre elementi ci sono sufficienti per costruire qualunque cosa, tre istruzioni che consentono di costruire di fatto tutto ciò che gli umani hanno detto, pensato, scritto, costruito, fatto in questi ultimi tre mila anni, a questo punto siamo in possesso della struttura del linguaggio, sappiamo di fatto che il linguaggio costruisce proposizioni ma a che scopo? Per costruire proposizioni. Un’istruzione di per sé non è né vera né falsa, è soltanto un’istruzione …

Intervento: è una convenzione …

Siamo ancora al di qua della convenzione, perché ci vuole qualcuno per cui sia una convenzione. Di fatto questa istruzione funzionerebbe anche se il supporto non fosse un corpo umano per esempio, tant’è che oggi funziona anche con le macchine, tecnicamente è una cosa che può funzionare anche in termini astratti, semplicemente dice come deve essere costruita una proposizione, da delle informazioni: una cosa è quello che è e non può essere altro da sé e se è quello che è allora non è altro da sé, non serve altro …

Intervento: ho un amico che è informatico il quale è programmatore … dice quello che io metto dentro al computer non è niente di diverso da quello che parli … c’è il processo binario, c’è 0/1 …

Abbiamo considerato molto attentamente la questione partendo proprio dalle considerazioni di Alan Turing che fu praticamente l’inventore del computer quello che ha costruita la prima macchina pensante, come la chiamava lui: il modo in cui si addestra un essere umano è esattamente lo stesso in cui si addestra una macchina, gli si forniscono delle informazioni e gli si danno delle istruzioni per poterle utilizzare, non fa altro che questo, ma a questo punto tutto ciò che gli umani hanno costruito e ciascuno di questi umani a uno a uno pensa, immagina, spera, desidera, qualunque cosa gli umani facciano ininterrottamente che cos’è esattamente? Dovremmo a questo punto essere costretti a concludere che sono sequenze di proposizioni, nient’altro che questo. Come dire che una persona può disperarsi unicamente in base a sequenze di proposizioni perché non c’è nient’altro, è una considerazione abbastanza importante che ha delle implicazioni che in alcuni casi possono apparire devastanti …

Intervento: è un po’ forte … il mio amico diceva perché ti crucci? La morte …

Lo stesso Epicuro diceva perché preoccuparsi della morte? Quando c’è la morte non ci sono io, se ci sono io non c’è la morte quindi non c’è nulla di che preoccuparsi, però di fatto poi non funziona così, quando uno si accorge che sta per morire magari la cosa gli secca, non è così indifferente, il più delle volte almeno, se può preferisce evitarlo, eppure anche la paura della morte non è che una sequenza di proposizioni, non c’è altro, è questa la questione fondamentale …

Intervento: …

Dipende dalla fantasia in cui anche questo concetto è inserito, infatti una persona può affrontare la morte senza nessun timore se sa per esempio che la sua morte salva una nazione intera, come nel caso dell’eroe il quale va a morire tranquillamente senza paura, dipende da come questo concetto è inserito all’interno di un certo gioco linguistico, allora a questo punto la morte ha una certa connotazione può anche essere “piacevole” in alcuni casi paradossalmente, in genere non lo è in genere ma in alcuni casi sì …

Intervento: io parlo da solo …

Il cosiddetto discorso interiore avviene continuamente, una persona si parla anche quando dorme, è ininterrotto perché il linguaggio è una di quelle cose che non si ferma mai, gira ventiquattrore su ventiquattro senza sosta e non c’è modo non soltanto di evitarlo ma non c’è nessuna possibilità di uscirne. Non è possibile uscire dal linguaggio, dal momento in cui una persona è entrata in questa struttura non ne esce più, è questo lo rende particolare …

Intervento: lei prima diceva se non ci fosse il linguaggio, poi è stato interrotto …

Non sarebbe molto differente da un topo per esempio, cioè non ci sono più progetti, desideri, affanni, paure, aspettative, emozioni niente, non c’è più niente, sta lì, facevo ieri l’esempio del cane che dorme perché non ha niente da fare, invece noi possediamo il linguaggio, siamo linguaggio, quindi non possiamo in nessun caso né tornare nella posizione in cui non c’è il linguaggio né possiamo pensare una situazione in cui non c’è linguaggio, perché la penseremmo comunque attraverso il linguaggio, insomma non possiamo uscirne in nessun modo …

Intervento: uno parla in continuazione e un altro timido non parla …lei dice che pensiamo comunque?

Certo, se una persona parla tantissimo e un’altra parla pochissimo è per fantasie che riguardano quella persona ovviamente, il linguaggio non è nient’altro che la condizione per potere avere delle fantasie, è una struttura, per il linguaggio qualunque cosa si costruisca, che sia la cosa più bella, più dolce, più meravigliosa oppure la più tragica, la più terrificante, la più spaventosa è totalmente indifferente, è come una macchina costruisce proposizioni, quali proposizioni per la macchina è totalmente indifferente l’unico obiettivo che ha è costruire proposizioni, quali questo non ha nessuna importanza, questo deciderà del discorso che fa la persona. A questo punto distinguo fra linguaggio e discorso, il linguaggio è soltanto un sistema operativo è la struttura che fa esistere il discorso, il discorso è la sua applicazione, è nel discorso che una persona può trovarsi a essere spaventata, adirata etc.

Intervento: e riguardo alle emozioni? Al di là del linguaggio …

Non sono al di là del linguaggio, sono nel linguaggio …

Intervento: possono anche non esprimerle a parole … si dice che per una frase musicale bisognerebbe provare emozioni, per i figli bisognerebbe provare emozioni … anche … non crede che tutti i genitori provino le stesse emozioni?

Certo che no. Come dicevo prima il linguaggio è la condizione per potere provare emozioni, e ciascuno prova emozioni in base alle cose che ha acquisite, in base ai suoi pensieri, in base a ciò che gli hanno detto, in base a ciò che ha imparato, a partire cioè da una quantità sterminata di elementi tant’è che alcune persone si emozionano per certe cose e altre si emozionano per altre, poi naturalmente la morale civile vorrebbe imporre certe cose ma questo è un altro discorso …

Intervento: da considerare comunque?

In alcuni casi sì, ma anche la morale civile comunque è stata una costruzione totalmente arbitraria, non è necessaria. Forse occorre porre la questione intermini ancora più radicali e cioè interrogarsi su che cosa si intende con natura, e soprattutto una volta che si sarà definita la natura domandarsi perché si è definita in questo modo e che cosa ha consentito di definirla in questo modo, è ciò di cui parlavo prima cioè del metodo che consente di andare sempre alle estreme conseguenze, portare le questioni fino al punto in cui è possibile andare oltre, e il punto oltre il quale non è più possibile andare rappresenta la condizione della loro esistenza, e cioè quella struttura di cui stiamo parlando, che è il linguaggio.