6-5-1999
Piacere:
produzione di atti linguistici
L’ostacolo
e l’obiettivo. Le regole sono gli ostacoli
Tragedia
rappresentazione del male: protesi, epitesi, catastasi, catastrofe, catarsi…
Catastasi
elemento ritardante l’epilogo
Ostacolo
figura retorica che promuove un terzo elemento fra due
Sofferenza
figura retorica delle regole del linguaggio
Allora
proseguiamo il discorso di giovedì, avete letto la Poetica di Aristotele quindi
sapete, sapete l’essenziale. Sapete per esempio che la tragedia è una rappresentazione
del male, una rappresentazione che serve a dimostrare, a mostrare, a esibire
tutte le sue fasi (…) le varie fasi
della tragedia: protesi, epitesi, catastasi, catastrofe, catarsi, sì è
necessario che ci sia la catastasi, e la catastrofe. La catastasi sarebbe
l’elemento ritardante, ritardante l’epilogo, se no si concluderebbe subito (…)
l’intervento di un qualche cosa che rinvia il fine. Come nella struttura
cinematografica, uno si aspetta la conclusione e invece no, c’è un altro
elemento che sposta tutto, che rimette tutto in gioco. Dicevo una
rappresentazione del male, lo esibisce, il male. Tempo fa dicevamo a proposito
del male che questo sorge dall’idea del falso, l’antica dicotomia vero/falso.
Il vero ciò che è bene, ciò che è, ciò che è necessariamente, il falso è ciò
che non è, è il male. Gli stesi Padri della Chiesa, in particolare Agostino,
parlano del male come allontanamento dalla verità, è ciò che si contrappone al
vero, alla verità ma il male propriamente
ha una funzione, ma torniamo indietro di qualche passo, la volta scorsa
ci siamo posti due quesiti, l’uno è se la tragedia fosse necessaria e l’altro,
se il discorso religioso fosse la condizione della tragedia. Vediamo a quali
condizioni si dà il male, il male come falso è inteso generalmente come la
trasgressione a qualche regola, una regola stabilita. Trasgredisco una certa
regola ed ecco che interviene il male, se considerato il male come falso la
trasgressione delle procedure linguistiche comporta il falso cioè il falso come
ciò che è fuori dalla parola, questo logicamente, retoricamente il male non è
altro che la trasgressione di una regola stabilita o più regole. Occorrono
delle regole per poter indicare che cos’è il male se no….trasgredire questa
regole ecco ciò che individua il male.
Ora la tragedia come rappresentazione del male possiamo intanto stabilire che
non risulta in nessun modo necessaria, non è necessaria in quanto il male,
posto come trasgressione di regole, non significa assolutamente niente, non ha
nessuna necessità logica di esistere, però sappiamo che gli umani ne sono
fortemente attratti. Vediamo di vedere perché, la trasgressione a una regola
comporta un altro gioco, se io trasgredisco una regola, il gioco che prevedeva
quella regola non può farsi e se ne fa un altro, questa trasgressione, dicevo,
costruisce un nuovo gioco e quindi altri atti linguistici differenti, come dire
che la trasgressione produce atti linguistici, ma non soltanto la
trasgressione, anche l’ostacolo produce atti linguistici, non a caso prima vi
parlavo della catastasi, il momento ritardante nella tragedia, inserisce un
ostacolo, un colpo di scena, questo ostacolo costringe l’attore a tutta una
serie di peripezie, quindi ad altri atti linguistici. Che cosa attrae gli
umani? Visto che vivono di linguaggio? Ciò che lo produce, ciò che lo produce
ininterrottamente, ciò che produce atti linguistici, altri atti linguistici,
sempre altri atti, qualunque cosa che
soddisfi questa condizione è ciò che produce piacere, cioè tutto ciò che
produce atti linguistici. Possono essere in varia forma possono essere
immagini, possono essere pensieri, evocazioni. Dicevamo questa sera possono
essere la musica, un quadro, l’arte che è sempre fortemente evocativa, cosa
evoca, cosa produce? Produce pensieri, immagini, scene e quindi atti
linguistici, tutto ciò che produce atti linguistici è ciò che produce piacere,
pertanto il piacere potremmo definirlo come la produzione di atti linguistici.
Il piacere da sempre è ciò che da sempre gli umani inseguono, ciò che produce,
dicevamo in varie occasioni, delle sensazioni, ma queste sensazioni come
abbiamo visto già anni fa non sono altro che atti linguistici, nuovi atti
linguistici, un nuovo atto linguistico è ciò che potremmo indicare come
sensazione, un differente atto linguistico, quindi per provare piacere occorrono atti linguistici,
se no non c’è nessun piacere. Però uno potrebbe dire quando mangio un gelato
alla fragola provo piacere, e questo è un atto linguistico? ma il piacere che
io affermo di provare mangiando il gelato alla fragola, procede dal gelato alla
fragola in sé oppure è connesso con qualche altra cosa? cosa sarebbe il gelato
alla fragola fuori dal linguaggio? Assolutamente niente non esisterebbe, non
sarebbe mai esistito, è ciò che è connesso con il gelato alla fragola, che cosa sia connesso adesso non ci importa ma,
è ciò che è connesso, ciò che questo gelato alla fragola mette in moto, cioè
atti linguistici, possono essere come dicevo prima pensieri, immagini, scene,
evocazioni di qualunque tipo e sono queste che fanno sì che una persona provi
piacere mangiando il gelato alla fragola, anziché mangiando una rapa, ora
dunque stiamo dicendo che gli umani sono attratti da tutto ciò che produce atti
linguistici… (…) ora, dunque abbiamo cominciato ad intendere che cosa attrae
gli umani fortemente, la sofferenza dicevamo la volta scorsa, tutto il discorso
che si faceva relativo al nemico, perché la sofferenza? Voi sapete la
sofferenza provoca una forte identificazione, una persona che soffre attrae
subito l’attenzione, se c’è un incidente e scappa il morto, son tutti lì che
vogliono buttare l’occhio per vedere i miseri resti, perché una cosa del
genere? Cosa produce una cosa del genere? Possiamo dire in prima istanza che la
sofferenza come spettacolo del male… che poi è la stessa cosa della tragedia,
la tragedia è la rappresentazione di questo spettacolo, quindi in quanto
spettacolo del male esibisce ciò che prima indicavamo come il falso, come ciò
che non è o più propriamente in questo caso come ciò che non dovrebbe essere,
ma perché attrae questo spettacolo? Proviamo a considerare la questione,
ponendola nei termini più banali, c’è uno spettacolo di una persona che soffre,
come motivo di attrazione, però questo è già un andare troppo svelti, perché a
questa domanda possiamo rispondere, mentre è più difficile intendere perché il
male esercita una forte attrazione ma possiamo dire che lo spettacolo della
sofferenza, una persona che soffre attrae, produce un’identificazione perché
appunto gli umani sono attratti dal male, se la persona sta male io mi
identifico con quella e quindi attraggo l’attenzione, mi metto al suo posto,
sono al centro dell’attenzione, cioè tutti quanti si occupano di me. Ora due
cose dobbiamo intendere primo perché il male attrae, secondo perché gli umani
cerchino di attirare l’attenzione su di sé, cose non così semplici ma
incominciamo dalla prima: perché gli umani cercano il male? (pur affermando di
cercare il bene, però sono fortemente attratti
dal male) Una persona che sta benissimo, non ha nessun problema ed è
sempre di buon umore non desta grand’interesse, una persona che soffre
tantissimo, che è più di là che di qua, esercita invece un’attrazione
fortissima, perché? Perché questo fascino della sofferenza, che è il male tutto
sommato. Proviamo a considerare il male. Dicevo prima che linguisticamente
potremmo affermare che il male non è altro che il falso, ciò che non è o che
non dovrebbe essere, e indirettamente abbiamo affermato che ciò che non è o che
non dovrebbe essere promuove atti linguistici, nuovi atti linguistici, come
dire che è per questo che gli umani cercano il male, perché il male promuove
atti linguistici. Ma in che modo? Il male qui ha la funzione dell’ostacolo,
tutto ciò che costituisce un ostacolo, promuove atti linguistici cioè promuove,
il muoversi (pro-muove) il muoversi in qualche direzione, generalmente nella
direzione che mirerebbe a eliminare l’ostacolo, facendo questo promuove atti
linguistici, promuove nuovi giochi. In linea di massima una persona che soffre
attira l’attenzione per questo spettacolo, di chi si adopera per sconfiggere un
ostacolo, infatti se una persona sta male tutti si premurano di suggerire
quello che deve fare: prendi questo, fai quel altro, un impacco, oppure….così,
come un qualunque problema che poi
possono diventare anche dei giochi propriamente attraverso i vari cruciverba,
giochi di parole ecc. rebus, trovare la soluzione o problemi matematici, tutto
ciò che attiva la produzione di atti linguistici, dal momento che stiamo
considerando sia unicamente questo ciò che produce piacere, la produzione di
atti linguistici, quindi tutto ciò che promuove tale produzione, produce
piacere. Ora c’è una sorta di oscillazione si diceva la volta scorsa continua
tra bene e male, forse la cosa è molto semplice nel senso che il bene sarebbe
l’obiettivo da raggiungere che non è qualcosa di definito è soltanto
l’obiettivo da raggiungere che una volta raggiunto viene eliminato e lascia il
posto ad un altro. Tempo fa si diceva del bene appunto di ciò che gli umani cercano
di raggiungere come l’obiettivo, ma non può stabilirsi questo obiettivo, uno
volta stabilito è già finito, è già eliminato, e il male è l’ostacolo che funge
da catastasi, da impedimento al raggiungimento del bene, ma è questo ostacolo
che promuove l’atto linguistico, lo promuove occorrono entrambe le cose,
l’obiettivo il bene e il male come ostacolo, perché senza l’obiettivo
l’ostacolo non è ostacolo, è ostacolo a che cosa? Se voglio andare da qualche
parte qualcosa mi ostacola se mi impedisce di andare da qualche parte, ma se
non voglio andare da nessuna parte non mi ostacola nulla quindi occorre un
obiettivo che è il bene e l’ostacolo che è il male. Posta la questione in
questi termini cioè come due facce che non sono altro che lo strumento che
promuove atti linguistici, occorre un ostacolo e occorre un obiettivo, se no
non si mette in moto nulla, non si producono atti linguistici, non si producono
nuovi giochi, come d’altra parte ciascun gioco propone incessantemente, c’è un
obiettivo da raggiungere e qualcosa che impedisce di raggiungerla. Se giocando
a poker c’è un piatto di 200.000 lire, quello è l’obiettivo da raggiungere,
l’ostacolo sono gli altri che magari hanno carte migliori delle mie (…) e tutti i giochi grosso modo hanno questa
struttura. Quindi potete pensare queste nozioni di bene e male, come
assolutamente funzionali, adesso dico “strutturali” fra virgolette perché
ancora non lo sappiamo ma potrebbero apparire come strutturali al linguaggio,
potrebbe anche essere delle regole del gioco, l’obiettivo e l’ostacolo. Ché
l’obiettivo senza l’ostacolo non è
nulla perché è immediatamente raggiunto e una volta raggiunto cessa di produrre
atti linguistici e quindi cessa di essere un obiettivo, l’obiettivo è il
raggiungimento (la verità è una delle sue facce) certamente, una volta
raggiunto l’obiettivo cessa di essere tale non è più obiettivo anche grammaticalmente non è più obiettivo, e quindi
cessa la produzione di atti linguistici, un po’ appunto come la questione della
verità, se è raggiunta impedisce di andare avanti, questo in effetti ha creato
in effetti a molte persone che venivano qui e che hanno posta la questione in
termini realistici, hanno immaginato di avere la verità e sono scomparsi, senza
accorgersi che è soltanto un gioco, nulla di realistico, nulla cioè di fuori
dalla parola. Dunque dicevo due aspetti che possiamo considerare forse come regole del linguaggio, il linguaggio
necessita di un obiettivo per produrre atti linguistici, un obiettivo e un
ostacolo. Proviamo a vedere se è proprio così, l’obiettivo del linguaggio
abbiamo detto che è inesorabilmente la produzione di atti linguistici, non può
non farlo, ma ciò che a noi interessa sapere è se è necessario che ci sia un
ostacolo. Proviamo considerare qual è l’ostacolo, logicamente se
esiste un ostacolo, apparentemente no,
dal momento che il linguaggio produce necessariamente sempre atti linguistici,
incessantemente. Ma quindi apparirebbe non necessaria la presenza di un
ostacolo (perché ci sono continui rinvii) cioè il linguaggio procede
inesorabilmente, producendo sempre atti linguistici. Potremmo forse affermare
che logicamente non è necessario, ciò che è necessario logicamente è ciò che fa
funzionare il linguaggio, quello che consente di girare e l’ostacolo sembra non
avere nessuna funzione necessaria in questo, retoricamente sì, la retorica si
occupa delle emozioni, da sempre, retoricamente invece produce l’ostacolo,
fatto apposta per produrre differenti nuovi atti linguistici, però, però
abbiamo visto e questa è una questione fondamentale che la logica di cui
parliamo non produce propriamente atti linguistici, è condizione perché la
retorica li produca, perché un atto linguistico nuovo inedito dà maggiore
soddisfazione di uno desueto? È sempre un atto linguistico, sicuramente produce
un nuovo gioco, possiamo porre la
questione più semplicemente perché un gioco nuovo è più divertente di uno
vecchio. La questione posta così è posta in un modo molto semplice ma intendere
questo non appare invece essere molto semplice cioè perché il gioco nuovo
diverte di più di uno vecchio? Che è la stessa cosa di dire perché un atto
linguistico inedito è più interessante di uno desueto? Perché se sono entrambi
atti linguistici? Un nuovo gioco che quindi ha nuove regole forse promette un
maggior numero di atti linguistici? Se il linguaggio produce ininterrottamente
atti linguistici parrebbe che ne produca anche di nuovi talvolta e che cos’è un
nuovo atto linguistico, un nuovo gioco, un gioco che ha regole nuove? quindi le
nuove regole costringono a nuovi atti linguistici, a nuovi giochi, ci stiamo
avvicinando ma ancora non è chiara la questione, perché un gioco nuovo diverta
di più del vecchio, a meno che negli obiettivi del linguaggio sia ci sia
produzione di un numero sempre maggiore di atti linguistici, perché se sono
sempre gli stessi sono quelli, un numero finito, tuttavia possono essere un
numero finito? Questo comporterebbe qualche problema, sarebbe l’ultimo gioco,
l’ultima parola, mentre sappiamo che possono combinarsi attraverso le regole di
produzione e di esclusione, infiniti atti linguistici, si tratta di vedere
se è una questione strutturale del
linguaggio la produzione di nuovi atti linguistici, differenti atti linguistici
anziché gli stessi, il linguaggio potrebbe produrre una sola frase e andare
avanti all’infinito con quella, nulla lo vieta (…) sì ma è proprio questa la
questione cioè perché un gioco nuovo produce un’emozione e abbiamo visto che
produce tale emozione perché produce nuovi giochi linguistici, il piacere e
quindi l’emozione non è altro che il nuovo atto linguistico. La questione che
sto ponendo è così apparentemente molto astratta però forse può porre le basi
per intendere in termini molto pratici come funziona il tutto. Andiamo a vedere
se appartiene alla struttura del linguaggio la produzione di nuovi atti
linguistici, potrebbero essere sempre gli stessi? Proviamo a porci la questione
in questi termini logicamente, se
fossero sempre gli stessi, come si diceva prima sarebbe in un numero
finito, se il numero è finito e non ci
sono possibilità di altre combinazioni il linguaggio cesserebbe di esistere,
cesserebbe di esistere in quanto non producendo combinazioni chiaramente non
funziona, non sta funzionando, non sta funzionando in quanto sarebbe fermo, non
ci sarebbe produzione di atti linguistici ma sembra invece che per funzionare
abbia in effetti necessità di nuovi atti linguistici che non sono altro che la
produzione di nuove combinazioni e ricombinazioni di atti linguistici, se io
prendo due atti linguistici e li metto insieme produco un terzo atto
linguistico e così via all’infinito, stiamo dunque dicevo avvicinandoci
all’eventualità che appartenga alla struttura del linguaggio la costruzione di
nuovi atti linguistici incessantemente se così fosse, poi si tratterà di verificare
con maggiore attenzione, se così fosse,
allora gli umani effettivamente cercherebbero continuamente nuovi atti
linguistici e tutto ciò che li produce e li promuove, quindi l’ostacolo,
l’ostacolo come ciò che promuove nuovi giochi nuovi atti linguistici. Sì
potremmo dire che forse logicamente non è necessario ma retoricamente sì, però
prendete un principio aristotelico che più vi aggrada, ciò che si oppone cioè
la sua contraddittoria, è un ostacolo oppure no? Prendiamo per esempio il
principio di non contraddizione, se io pongo A e non A, questo non A si oppone,
ma è un ostacolo oppure no? È una questione non semplice, diciamo che si oppone
al linguaggio, anche se non è praticabile, ma il non A è opposta di A, diciamo
che A esclude la sua contraria, quindi esclude l’opposto, la questione è che
non A non fa nessun ostacolo, di nessun tipo anzi, no logicamente sembra
difficile poter parlare di ostacolo, non ci sono ostacoli al funzionamento del
linguaggio, vengono messi, vengono messi per produrre nuovi atti
linguistici, però se il linguaggio
strutturalmente produce continuamente nuovi atti linguistici e logicamente non
ha nessun ostacolo, produce incessantemente nuovi atti linguistici senza nessun
ostacolo, senza la presenza di nessun ostacolo, chi sa rispondere a questo
problema? Però forse poniamo la questione male, intendendo l’ostacolo come
qualcosa che si oppone, potrebbe non essere necessariamente qualcosa che si
oppone, ma un qualcosa che promuove anche senza opporsi, mettere insieme due
atti linguistici produce un terzo atto linguistico, non c’è nessuna
opposizione, cioè qualcosa si promuove, forse è la nozione stessa di ostacolo
che è deviante in qualche modo, fuorvia da un corretto andamento teorico,
l’ostacolo è un figura retorica non esiste in natura, è la figura retorica che
indica la promozione di un terzo elemento fra due, per esempio, poi può essere
rappresentato in vari modi, il male è
una di queste rappresentazioni.
Tuttavia prima dicevamo che se voglio raggiungere un obiettivo, il raggiungimento
di questo obiettivo, è impedito da qualcosa che fa ostacolo, l’obiettivo senza
l’ostacolo sarebbe nulla… (…) sì l’obiettivo la produzione di nuovi atti
linguistici, per produrre un nuovo atto linguistico occorrono altri atti
linguistici, ma per produrlo io devo attenermi a delle regole, e queste regole
sono l’ostacolo. Le regole sono gli ostacoli, appunto l’impedimento, avevamo la
soluzione sotto il naso, se io voglio trovare la radice cubica di 47,847, 12 io
posso dire 27, una palla, cosa mi impedisce di dire 27? Le regole del calcolo
numerico che mi fanno da ostacolo e mi costringono a tutto un ragionamento, le
regole sono questo di produzione e di esclusione e sono quello che indicavo
come “ostacolo” tra virgolette cioè quelle che consentono di produrre nuovi
atti linguistici, e danno a questi atti linguistici la dignità di nuovi atti
linguistici perché si attengono a quelle regole, così come la radice cubica del
numero che ho detto prima, cioè se io dicessi 25, non mi dà nessuna emozione ma
se invece io mi metto lì con carta e matita, faccio un calcolo terribilissimo,
alla fine riesco a risolvere il problema ecco che il nuovo atto linguistico
occorre che sia all’interno delle regole di quel gioco se no, non è niente.
(non c’è obiettivo senza ostacolo) e l’ostacolo sono le regole del gioco, sì è
come nel poker la questione è semplicissima, io posso dire ho vinto io, e gli
altri dicono perché? Perché sì? Devi attenerti alle regole del gioco del poker,
se hai le carte superiori alle nostre vinci, se no… (come avviene la
rappresentazione dell’ostacolo attraverso il male) provi a formulare lei
qualche ipotesi? (…) dunque qual è la funzione del male in tutto ciò, il
momento ritardante nella tragedia, la catastasi? (una virata) consente di
aggiungere altri elementi (la
purificazione degli atti linguistici) la catarsi, sì questo è un obiettivo
nella tragedia certo, però (il rinvio non trovando un uso non è usufruibile dal
discorso, così la teoresi pare in quel continuo costruire ed aggiungere
elementi pare non servire, mentre è ciò che permette la costruzione del
passaggio) (…) (la necessità è di rappresentare ciò che è strutturale) sì la
catastasi è ciò che prelude alla catastrofe e a la catarsi finale (a meno che)
ecco forse cosa dice il buon cristiano? Che la sofferenza gli farà guadagnare
il paradiso (…) cosa ci può suggerire una cosa del genere che la sofferenza
conduce alla via diretta, al piacere,
tenendo conto di ciò che abbiamo detto, che sono le regole del gioco come
ostacolo all’atto linguistico e quindi con la sua produzione, allora la
necessità della sofferenza allude alla necessità di regole tanto più rigide
quanto più alta è la posta in gioco, come nei giochi, un gioco è tanto più
divertente quanto il gioco è più difficile, la sofferenza pare essere un modo
di rappresentare regole del gioco molto ferree, molto rigide, necessarie al
raggiungimento dell’obiettivo. In effetti si ascolta che la sofferenza è
necessaria, la si cerca, può essere solo una rappresentazione delle regole del
gioco. Una persona che soffre è una persona che sta facendo un gioco che ha
regole difficili e quindi se riesce ha
maggior merito, credo che sia questa la via per cercare di intendere qualcosa
di più, anche se non soddisfa ancora moltissimo, però prendetela come una
direzione su cui riflettere. La sofferenza come figura retorica delle regole
del linguaggio… (…) ciò che attrae nella sofferenza forse è ciò stesso che
attrae come spettacolo nel vedere qualcuno che sta facendo un gioco difficile
la cui soluzione pare complicata. Sì certo è ancora molto nebuloso il tutto
però (una persona non rinuncia alla sofferenza perché non rinuncia….) sì qual è
il gioco che attrae di più? Quello che ha l’esito più incerto. La morte non è
da una parte più incerta e dall’altra più certa, perché lo spettacolo della
morte attrae? Nessuno sa cosa sia la morte, nessuno sa con certezza, se perde
di avere questo carattere di incertezza, perde anche il suo fascino, la morte
non interessa più (…) lo spettacolo della morte, c’è un incidente, tutti si
fiondano, sì però… (…) la morte come un gioco più incerto… questione complicata
però forse ci stiamo avvicinando, già avere inteso che le regole costituiscono
un ostacolo al raggiungimento dell’obiettivo, è un passo avanti….(è sempre un
innalzamento, c’è sempre questa rappresentazione) un altro aspetto un po’ vago
il fatto che la sofferenza è il male questo si chiama regole date da una specie
di sorte, regole ferree incontrollabili, ingestibili, cosa che governa il
tutto, quindi una specie di metaregole, di fronte alla sofferenza al patire, ai
patimenti, generati da malattie, da catastrofi o incidenti cose che accadono
così, quasi una produzione di metaregole, regole del fato della sorte, che
nessuno può gestire ma che ci sono, sono ferree nessuno sfugge alle regole del
destino, tolgono pertanto ogni responsabilità e alludono appunto, dicevo, a delle meta regole che
governano il tutto, però dobbiamo riflettere ancora parecchio, forse vedere
delle regole di un ordine naturale muove anche da qui, pare che ci siano delle
regole stabilite per tutti, che regolino il tutto, solo a questo punto è
possibile stabilire degli obiettivi, e cioè continuare a provare del piacere,
sì occorre riflettere ancora molto (…) in alcuni casi lo cerco l’ostacolo in
alcuni casi accade, se per esempio va a Milano e un autobotte si è rovesciata,
quello è un ostacolo che lei non ha creato…per questo l’accidente, l’incidente
esercitano anche e forse un fascino anche perché alludono a delle metaregole
che governano il tutto e che sfuggono al controllo degli umani…può essere una
direzione da seguire (…) la sofferenza è stata sempre cara agli dei, “beati gli
ultimi saranno i primi nel regno dei cieli” (…) sì chi più ha sofferto più sa,
infatti nella vulgata Cristo dice il vero perché è morto sulla croce… (il
sapere che cos’è se non una creazione di nuove proposizioni) esatto, possiamo
fermarci qui questa sera.