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6-4-2004

 

Allora, questioni?

Intervento: l’utilizzo della sofferenza nel luogo comune

Utilizzo in quale accezione? Personale? Sociale? Politico? Economico? Abbiamo detto tante volte che la sofferenza per definizione non deve essere ammessa come una propria produzione, perché il vantaggio della sofferenza è quello che, siccome soffro, devo adoperarmi per cessare di farlo e quindi darmi da fare, se invece l’ho costruita io che cosa mi do da fare per toglierla visto che l’ho prodotta io? Quindi devo continuare a pensare, è necessario perché tutto funzioni, che la sofferenza venga da qualche cos’altro, mio malgrado… ma è sulla sofferenza l’intervento?

Intervento: sulla solitudine

Allora perché parliamo della sofferenza? La solitudine è non potere parlare, non potere parlare con qualcuno, per questo le persone lamentano di essere sole anche se in realtà non lo sono affatto, nel senso che ci sono molte persone intorno a loro, però non c’è un interlocutore, qualcuno con cui parlare e allora c’è la solitudine, finché c’è qualcuno con cui parlare la solitudine non c’è. È la parola che manca Cesare, quando dico manca un interlocutore non intendo uno qualunque che chiacchieri con me, ma qualcuno che per quella persona funzioni come un interlocutore, con cui cioè ci sia la possibilità di parlare di cose che interessano, l’interlocutore è questo, e la solitudine in effetti è fatta di una cosa del genere, ché se una persona parla con qualcuno che gli interessa di cose che lo interessano non sentirà mai la solitudine, si annoia a morte quando è in mezzo a gente che gli parla assieme di cose che l’annoiano a morte. Ma perché una persona non può interloquire tra sé e sé per esempio, cioè porre se stesso come interlocutore? Nulla glielo vieta, ma perché non funziona generalmente? Dico generalmente, non è una legge, perché una persona dice che manca, cosa manca? Manca il confronto, è questo che viene enunciato generalmente, ma deve confrontare che cosa? E perché?

Intervento: deve verificare

Esattamente, e cioè deve fare vero qualcosa, e perché deve farlo vero? Perché non sa se lo è, magari ci crede ma non ne ha mai la sicurezza, perché un cristiano ama parlare con persone della sua stessa fede? Perché si scambiano conferme e quindi è come se dovesse sempre verificare le sue idee ed è per questo che la persona cerca un interlocutore, non essendo sicuro di ciò che afferma ha bisogno che qualcuno lo faccia al posto suo e cioè trovare magari una persona che pensa come lui e quindi ecco che viene rinforzata e corroborata la sua idea, ma se questo signore non avesse bisogno di verificare niente, perché ha già verificato, allora ha bisogno di un interlocutore? Teoricamente no, poi è ovvio che può trarre piacere da una conversazione ma non ne ha bisogno, perché non ha più da verificare niente, e questa è una questione importante anche per quanto riguarda la clinica cosiddetta, il fatto che una persona abbia bisogno sempre di qualcuno in realtà non è altro che per verificare le cose che pensa, le sue idee, le sue opinioni, i suoi sentimenti, le sue sensazioni, qualunque storia ma se ha già verificato cioè sa dove sta la verità e dove non può non stare allora può trarre il piacere di una conversazione eventualmente, ma non ne ha la necessità perché non ha più da verificare niente…

Intervento: non c’è più la ricerca della verità

Esattamente, e allora ecco che se stesso come interlocutore va bene, non ha bisogno di confrontarsi con altri per sapere se le cose che pensa sono vere, a quel punto anche se è una sensazione è una questione estetica e sa benissimo che è una questione estetica, quindi non ha da metterla a confronto per sapere se ad altri piacciono le noccioline americane oppure no, non gliene può importare di meno.

Intervento: sofferenza è il centro, la funzione dello stato è quello di fornire benessere al cittadino… la psichiatria e la psicanalisi stessa… si tratta di lenire la sofferenza attraverso lo psicofarmaco o attraverso la parola buona dello psicologo o del prete? la questione è a monte, il credere che ciò che si dà come disagio è qualcosa da curare e quindi o la pillola o vado da qualcuno e gli racconto i fatti miei, la questione è quella del rimedio partendo dal disagio come malattia… com’è che il discorso occidentale è così attratto dal discorso della sofferenza? E quindi crea richiesta… paura del nulla esiste

Nella mitologia cristiana il Cristo che soffre sulla croce certifica con la sua sofferenza la veridicità di ciò che dice, lui ha sofferto per quello che dice, per quello che ha detto e questo lo rende vero, d’altra parte fino a qualche tempo fa la tortura era un sistema giuridicamente accettato perché quando una persona soffre dice la verità, questo è il frutto della mitologia cristiana, per cui nella sofferenza c’è sempre della verità, questa è l’idea più comune, stessa cosa per quanto riguarda il merito ciò che è ottenuto con sofferenza, il sacrificio, il dolore vale di più di ciò che è stato ottenuto con il sorriso sulle labbra, cioè la sofferenza ha un valore etico, morale,

Intervento:…

Lei diceva la persona che soffre ha un forte potere seduttivo, ché la sofferenza ha un valore, ha acquisito nel discorso occidentale, con il cristianesimo soprattutto, un valore enorme, la persona che soffre vale di più di quella che non soffre quindi se io soffro ecco che io sono più interessante, più importante, e più soffro e più sono importante…

Intervento: il benessere è soltanto in contrapposizione alla sofferenza

Spesso, sarà capitato a ciascuno di voi, quando uno lamenta “mi sono fatto male a un gomito” allora l’altro: “sapessi io, mi sono distrutto…” “mi sono fatto…” “sapessi io…..” perché una persona dice cose del genere? Perché più soffre e più vale. Negli anni 60 questo modo i ragazzini lo usavano per sedurre le ragazzine, mostrarsi sofferenti, era il periodo dell’esistenzialismo, andare in spiaggia con quaranta gradi con il maglione nero, tutti un po’ emaciati, un po’ sofferenti, mostrare sofferenza perché la sofferenza vale, ha un valore, un valore intrinseco e quindi esibendola si acquista valore…

Intervento: la questione della sofferenza pone anche il sacrificio, il sacrificio veniva fatto per ingraziare il signore, ingraziarsi la benevolenza del dio… fino al punto di sacrificare se stessi, una sorta di immolazione

In effetti Abramo che voleva sacrificare il figlio come sacrificio supremo, poi non si è mai saputo se dio… insomma il sacrificio è fondamentale…

Intervento:…per il cristianesimo il suicidio proviene dalla sofferenza… per lo stoicismo che è stata una fase importante per il pensiero, per lo stoicismo il suicidio non era qualche cosa che proveniva dalla sofferenza, può essere curiosa la questione del suicidio un non saperne della vita e il desiderare la morte, non è la stessa cosa due implicazioni differenti, desiderare la morte cosa vuol dire? Non si può desiderare qualcosa che non si sa che cosa sia

È sempre una esibizione a vantaggio di qualcuno, di chi resta per così dire: “mi uccido e lo mostro”…

Intervento: è un uccidere qualche d’un altro con il senso di colpa per esempio…

Sì tutto questo era totalmente assente negli stoici, si uccide perché non è più interessato a proseguire e bell’è fatto…

Intervento: sofferenza di chi immagina una sorta di potenza superiore che può essere qualunque cosa e che quindi è vittima, per cui non può reagire però questa questione della vittima che serve a noi per rilanciare la questione della responsabilità… è assolutamente attraente, questo parallelo fra lo stoicismo e il cristianesimo, nello stoicismo il suicidio come atto di decisione e nel cristianesimo come atto rivolto all’altro

È peccato perché la vita appartiene a dio, non appartiene più alla persona, negli stoici la vita appartiene alla persona e quindi…

Intervento: eppure a me interessava per una questione annosa per quanto mi riguarda la questione dell’altro è come se il cristianesimo avesse instaurato questa sorta di immedesimazione, identificazione nell’altro per cui l’interlocutore al quale io mi rivolgo è questo altro per cui io sono quell’altro ed è a questo altro che io addebito quelle che sono le mie questioni. Il suicida quello che immagina di farsi male perché questo sacrificio serva per far provare il senso di colpa all’altro, per punire qualcuno, perché questo? perché considera quell’altro fatto esattamente come lui, cioè immagina che l’altro provi le stesse sensazioni che prova lui e gli addebita quelle che sono le sue decisioni tutto sommato, capovolgendo e non accorgendosi del giochetto

Suppone che l’altro soffrirà moltissimo per la sua morte, ma non è così automatico…

Intervento: la questione dell’altro… la polis greca non erano soggetti a una verità assoluta… nella chiesa invece c’è qualche cosa di assoluto… siamo fratelli nella verità

La verità deve essere pubblica e soprattutto riconosciuta da tutti perché funzioni…

Intervento: il sacrificio è una testimonianza rispetto a dio… comunque il discorso era partito inizialmente da questa necessità che si avverte per esempio di inventare nuove malattie, di inventare nuovi disagi per giustificare in certo qual modo una sorta di intervento, fa parte anche di una sorta di promozione dello psicofarmaco perché lo psicofarmaco non può essere propagandato tramite la pubblicità mediatica allora l’unico modo di propagandarlo è quello di inventare una nuova malattia…

La sofferenza rende importanti come dicevamo, è una forte componente seduttiva, per questo una persona non smette di soffrire facilmente, è come togliergli l’importanza, per cui si inventa nuove malattie se guarisce da una, togliere l’importanza a qualcuno è una brutta cosa, ché l’importanza non è altro che esibire una verità attraverso quello che dico, quello che mostro; come cambiare modo di pensare? In effetti il primo passo è mostrare la responsabilità della sofferenza…

Intervento:…

C’è modo e modo di dirlo, ci deve arrivare la persona stessa ovviamente mostrandogli gli aspetti essenziali, la persona ad un certo punto dice “sono io che ho costruito tutto questo, e allora perché l’ho fatto?”. La volta prossima ci occuperemo dello psicofarmaco.