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6 febbraio 2019

 

La struttura originaria di E. Severino

 

Incominciamo a leggere il Capitolo X, che è un capitolo interessante. Riprende ovviamente le cose dette prima ma le riprende in modo più specifico. Il titolo è La manifestazione dell’intero: come appare l’intero. L’intero è inteso qui semplicemente come significato, cioè, come una parola, una cosa, le parole sono significati. a) L’analisi di un significato è posizione di ciò che questo significato è o significa, e non di ciò che è altro dal suo essere o significare;… Cioè, l’analisi di un significato è l’analisi di quel significato, e non di un altro qualunque. Se l’analisi di un significato rivelasse ciò che è altro dal significato analizzato, questo sarebbe o significherebbe simpliciter il suo altro:… Se io analizzo un significato che si rivela significare altro da quel significato che voglio analizzare, allora vuol dire che sto analizzando un altro significato. D’atra parte, proprio perché ogni significato (ogni essere)… Potremmo noi aggiungere: ogni essere qualcosa. Se qualcosa è qualcosa è perché è un significato. …non è il suo altro – proprio perché ad ogni significato conviene L-immediatamente (Incontraddittoriamente) ed essenzialmente di non essere il suo altro… Sta continuando a dire che un significato è quel significato e non un altro. …l’analisi di ogni significato è rilevamento dell’altro da questo. Se io analizzo un significato, e mi rendo conto che questo significato non è quell’altro significato, allora l’analisi di questo significato è prendere atto che questo significato non è altro da sé. Quindi, per analizzare il significato devo rilevare ciò che questo significato non è. Il che potrebbe essere un’aporia, e come la leva? Con il solito modo. L’aporia è immediatamente tolta in quanto, come già si è detto nel capitolo precedente, l’analisi di un significato rileva l’altro da questo appunto come altro, ossia come tolto, negato; sì che ogni significato è o significa il suo altro in quanto appunto è non essere o non significare il suo altro. Qui dovrebbe essere abbastanza chiaro. È questo che intendeva quando diceva che z è nK, cioè z non è il suo contrario, che abbiamo tolto e che, quindi, non è quella cosa lì. In generale: se guardando l’essere non si può vedere il non essere… Io vedo questo ma non vedo tutto ciò che questo non è. …è invece necessario vedere la negazione del non essere… Io vedo questa cosa ma non vedo tutto ciò che questa cosa non è, ma è importante vedere che questa cosa non è tutte le altre cose che questa cosa non è. …o se “essere” non significa “non essere”, significa però, essenzialmente – e immediatamente -, “negazione del non essere”. Severino la spiega così: essere non significa non essere, però significa essenzialmente e immediatamente negazione del non essere, l’essere è negazione del non essere. Questo lo significa immediatamente. L’essere non è non essere, ma nega immediatamente il non essere, il suo contrario. Si osservi che come nK vale L-immediatamente come costante di z, ma K vale L-mediatamente come costante di z; così – e con ciò si conferisce al discorso l’ampiezza dovuta – il non essere il proprio altro vale L-immediatamente some costante di ogni significato… Il non essere altro è la costante di ogni significato; possiamo dire incontraddittoriamente che tutto ciò che non è questo significato è altro da questo significato. A pag. 408. Sì che la proposizione: “La posizione di ogni significato implica necessariamente la posizione dell’altro da tale significato”… L’essere e il non essere. L’essere implica il non non essere, cioè la negazione dell’altro da sé. …è sintetica a priori. È sintetica a priori nel senso che c’è un’implicazione: qualche cosa implica un’altra cosa, è questa la sintesi a priori. …mentre la proposizione “La posizione di un qualsiasi significato implica la posizione della negazione dell’altro da tale significato (o la posizione del contraddittorio di quel significato, come tolto)” è analitica. La prima dice La posizione di ogni significato implica necessariamente la posizione dell’altro da tale significato indica la posizione, cioè c’è; nella seconda, invece, dice che ciò che si implica è la negazione dell’altro da tale significato, e cioè è come se dicessi che l’essere implica a posizione del non essere. Sarebbe questo il giudizio sintetico a priori: l’essere implica la posizione del non essere. Se, invece, dico che l’essere implica il non non essere, allora in questo caso è immediato, se è essere non è non essere. Nel primo caso dico che implica quest’altra posizione e la lascio lì; nella proposizione analitica tolgo, cioè se è essere non è non essere. b) Ma ogni significato non implica, come tolta, semplicemente una parte dell’orizzonte del contraddittorio del significato, ma la totalità di questo orizzonte: del significato x non si dice semplicemente che non è questo o quest’altro non-x, ma che non è la totalità del non-x. L’analisi di ogni significato è pertanto manifestazione della totalità. Infatti ogni significato e la totalità del suo altro dividono l’intero. Come dire: c’è Cesare e poi tutto ciò che Cesare non è, cioè, tutto l’universo tranne Cesare. Tutto questo universo, più Cesare, è l’intero. D’altra parte, in ogni significato varia l’orizzonte tolto; o se l’analisi di ogni significato ha come esito unico la totalità, in ogni analisi differisce l’orizzonte di ciò che è posto come tolto dal significato considerato. È chiaro che se io considero questa cosa, allora tutto l’universo sarà tutto tranne questa cosa. Dice poco più avanti La posizione di un qualsiasi significato implica allora in un duplice senso la posizione dell’intero semantico. Qui sta dicendo qualcosa di interessante. Ogni significato, qualunque significato, comporta tutti i significati. Ogni significato che interviene, anche il più banale, si porta appresso tutti gli altri significati. Non è una grande novità, l’aveva già detto de Saussure.

Intervento: È come il mio mondo. Il mio mondo sono tutti i significati…

Lei si pone come un qualche cosa che non è tutte le altre cose, è un significato che non è tutti gli altri significati. Però, tutti questi altri significati sono presenti. Non sono, come preciserà, immediatamente presenti ma sono presenti, e ci mostrerà il perché devono essere presenti. Devono essere presenti perché esista quell’unico significato che abbiamo preso in considerazione. Questo ovviamente, parlando, ha delle implicazioni, perché ogni volta che dico qualche cosa questo qualche cosa è come se si portasse appresso tutto il linguaggio, non una parte ma tutto. Da un lato, appunto perché per porre un certo significato x come negazione di tutto ciò che non è questo significato è necessario porre come negata la totalità di ciò che oltrepassa x, e questo assoluto oltrepassamento (in cui è posto sia il significato oltrepassato che l’orizzonte oltrepassante) è lo stesso intero semantico. L’intero semantico è il linguaggio in toto. (La posizione dell’oltrepassamento assoluto è posizione dell’intero come tale… Posizione dell’oltrepassamento, cioè, ciò che oltrepassa la x è l’orizzonte totale, vale a dire, non c’è qualche cosa che sia al di là di questo, non c’è un qualche cosa che sia oltre il linguaggio. …ossia l’intero è posto come assoluto, o il contraddittorio di x è posto come la totalità del contraddittorio). In altri termini, poiché la posizione del significato x come negazione di tutto ciò che non è x, è posizione dell’intero come parzialmente negato,… È una parte, per quanto grande possa essere è una parte, perché manca la x. …la posizione di x implica la posizione dell’intero (come tale). Questa x implica la posizione dell’intero come tale, perché la x, più tutto ciò che la x non è, è il tutto, l‘intero, è il linguaggio. Per altro lato, il significato “altro da tutto ciò che non è x”, che vale come predicato nella proposizione “x è altro da tutto ciò che non è x” (o “x non è tutto ciò che non è x”), è esso stesso l’intero come parzialmente tolto, sì che la presenza di questo significato implica la presenza dell’intero. Prendete questa frase “altro da tutto ciò che non è x”. Ora, questa frase funziona come predicato in quell’altra che dice “x è altro da tutto ciò che non è x”. Sia che la ponga come affermazione sia che la ponga come predicato, questa frase che, in fondo, dice che “x è tutto ciò che non è non x”, in ogni caso tutto questo, indicando ciò che non è la x, è l’intero parziale. Perché questo intero sia tutto occorre che, come di fatto accade, x implichi necessariamente la presenza di tutto ciò che non è x. Mettere insieme queste due cose compone il tutto. Potremmo dire a questo punto che x, più tutto il non x, è il concreto. Se, invece, prendo la x e poi, dall’altra parte, tengo come presenza tutto ciò che non è x, mi trovo di fronte a due astratti, perché non si dà l’uno senza l’altro, la x non c’è senza tutto ciò che x non è. Questo comporta anche una questione. Parlando, io dico qualche cosa, dico un significato, che è quello che è in virtù del fatto che esistano tutti gli altri significati. Sono questi altri significati che fanno esistere quel significato. Quindi, in che modo posso pensare, supporre, che questo significato sia un qualche cosa di diverso da ciò che è, e cioè che, anziché essere un significato, un fatto linguistico, rappresenti qualche cosa che significato non è, cioè la realtà, per esempio? Non posso in nessun modo presupporre che questa cosa, che è un significato, sia ciò che di fatto non è, cioè la realtà: la realtà è una cosa, il significato un’altra e questo significato non viene dalla realtà, viene da altri significati. Questo è un modo per incominciare a intendere che ciò che si dice procede unicamente da ciò che si dice, Freud direbbe da fantasie. Le fantasie non sono altro che racconti, quindi, altri significati; questi altri significati sono la condizione per il manifestarsi di questo significato di cui sto parlando in questo momento. È un altro modo, sottile ma interessante, di porre la questione, e cioè che qualunque parola, qualunque significato, qualunque cosa io approcci è un significato grazie al fatto che è inserita all’interno, a un orizzonte, direbbe Severino, di significati. Vale a dire, questo significato, che sto dando a questa cosa, è tale perché questo significato comporta, escludendoli, tutti gli altri significati, perché sennò non potrei parlare. Se questo significato fosse tutti i significati del mondo non potrei mai parlare. Chiaramente, devo poter distinguere e, quindi, devo separare questo da tutti gli altri significati; devo, cioè, porli, altrimenti questo non esiste, ma in quanto tolti, perché sennò non posso parlare, e se non posso parlare non si pone neanche il problema. Nonostante questo, Severino non giunge mai alla questione del linguaggio in quanto problema; continua a parlarne senza mai cogliere la questione di cui si tratta, e cioè che, di fatto, sta facendo un’analisi accuratissima e articolatissima del funzionamento del linguaggio. Sta dicendo anche che non c’è uscita dal linguaggio perché qualunque significato, cioè qualunque cosa, è quella che è in virtù degli altri significati. Come dire che qualunque cosa è quella che è in virtù di tutte le altre cose, cioè, di tutte le altre parole, perché non c’è una cosa che non sia un significato; se non fosse un significato non sarebbe. Certamente, l’altro da tutto ciò che non è x, non è l’intero – ma è appunto x –… Tutto l’intero, senza la x, è parziale, ma tutto questo altro che non è x, che cos’è? È x. L’altro da tutto ciò che non è Teresa è Teresa. …d’altra parte, affinché l’altro da tutto il non-x sia presente come tale, è necessario che sia presente tanto x quanto la totalità del contraddittorio di x… Che sia presente sia x sia ciò che x non è, cioè che sia presente il concreto. (ossia è necessario che sia presente anche la differenza per la quale x non è l’intero), ed è appunto la presenza di questo assoluto oltrepassamento a valere come presenza dell’intero. La presenza di questo assoluto oltrepassamento, cioè, il fatto che la x comporta tutto ciò che non è x, che sarebbe il suo oltrepassamento: se non è x va oltre. L’intero è l’insieme di queste due cose. In altri termini, mentre x non è l’orizzonte che lo oltrepassa assolutamente… Cioè, x non è non-x. …l’intero è proprio questo assoluto oltrepassamento di x; sì che porre x come negazione dell’orizzonte oltrepassante significa porre l’intero. Esattamente quello che diceva prima: l’oltrepassamento di x è ovvio che, essendo ciò che x non è, messo insieme a x forma l’intero. In quanto la posizione dell’intero come parzialmente tolto, implica la posizione dell’intero… La posizione dell’intero come parzialmente tolto implica la posizione dell’intero. È necessario che ci sia l’intero perché io possa toglierne una parte. Infatti, se da un lato bisogna dire che ‘intero come parzialmente tolto “include” l’intero… Per il motivo che ho appena detto, cioè, per potere togliere una parte dell’intero occorre che questa parte che tolgo comprenda l‘intero, nel senso che se non ci fosse l’intero, se non implicasse l’intero, che parte sarebbe, sarebbe parte di che cosa? …- ma propriamente l’inclusione è qui implicazione -… Infatti, lo implica, il parziale implica l‘intero, sennò, appunto, sarebbe parte di che cosa? …per altro lato quest’ultima posizione (l’estremo) è essa includente, in senso proprio, il medio: in quanto ogni contenuto semantico è momento dell’intero semantico. Questa implicazione implica che cosa? Implica il medio perché, aggiunge, ogni contenuto semantico è momento dell’intero semantico. È come se lui stesse dicendo a se stesso: abbiamo appena detto che questa parte, il parziale, implica il tutto, quindi, è incluso, come se il tutto fosse incluso nella parte. È dunque immediatamente autocontraddittorio … progettare che la posizione di un significato qualsiasi non implichi la posizione dell’intero… Continua a ripetere sempre la stessa cosa. d) È chiaro che la proposizione: “La posizione di un qualsiasi significato x implica la posizione dell’intero semantico” è sintetica a priori solo se alla variabile x si conferiscono i valori costituiti dai significati diversi dall’intero semantico (ossia dal semantema infinito). Se x assume il valore “intero semantico” quella proposizione è infatti analitica. La proposizione La posizione di un qualsiasi significato x implica la posizione dell’intero semantico - che è ciò che stiamo continuando a dire: ciascun significato comporta tutti i significati – è sintetica a priori solo se alla variabile x si conferiscono i valori costituiti dai significati diversi dall’intero semantico, che è come dire che a questa variabile x io do dei valori determinati. Possiamo dirla così. La posizione di un qualsiasi significato x: cosa intendiamo qui con x? Lui dice che basta non attribuire a questa x il significato di essere un intero semantico, cioè di essere l’intero, altrimenti si crea un problema. Se x assume il valore “intero semantico” quella proposizione è infatti analitica: perché? Come dire che la posizione di un qualsiasi significato, cioè dell’intero semantico, implica la posizione dell’intero semantico, allora è analitica: la posizione dell’intero semantico è la posizione dell’intero semantico: se a x sostituisco l’intero semantico, continuo a dire la stessa cosa. Introduce qui la questione del semantema infinito. In linguistica per semantema si intende quella parte della parola che costituisce la costante rispetto a tutte le variabili. Per Severino è l’apparire del tutto nell’apparire del parziale. Per esempio, nella parola “comandamento” comanda è il semantema, e poi ci sono tutti i vari morfemi che possono intervenire, le varie forme: comandare, comandamento, comandato, ecc., ma “comanda” è la parte che rimane fissa., il “tutto” a cui che permane in tutte le possibili varianti. Ora, il semantema infinito potete intenderlo come una sorta di semiosi infinita, cioè il fatto che un significato può assumere infinite varianti, può diventare infinite cose. È in questo senso che il semantema è infinito. Appunto per questo, mi sembrava di poterlo associare alla semiosi infinita di Peirce, cioè una produzione infinita di significati, perché se analizzo un significato posso andare avanti all’infinito, non c’è un punto in cui io possa dire “questo è il limite”. f) Il significato “x” implica il significato “altro da tutto ciò che non è x”, e questo significato implica il semantema infinito. Perché tutto ciò che non è x che cos’è? Posso cominciare a enumerarlo ma, ogni volta che lo enumero, la mia enumerazione mi porta poi altre cose, e vado avanti all’infinito. Ecco la semiosi infinita, di cui vi dicevo. A pag. 411. g) Si concluda questo primo gruppo di considerazioni col seguente corollario: poiché l’intero semantico è costante di ogni significato… Questa è la questione centrale che deve essere ben chiara. L’intero semantico è costante di ogni significato; come dire che costituisce ciò che analiticamente è necessario perché esista un qualunque significato. L’intero semantico è la condizione perché ci sia un qualunque significato. …se l’intero semantico non è posto come tale, non è posto alcun significato. Questo è fondamentale. Se infatti l’intero semantico non è posto, l’esito della posizione del significato x … non può essere la posizione di un significato, poiché qualsiasi significato y, che sia posto nell’esito, può essere posto solo e siano poste le costanti che L-immediatamente gli convengono, e quindi solo se sia posto il tolto orizzonte della totalità del contraddittorio di y; ma poiché la posizione di questa costante immediata implica essenzialmente, come si è visto, la posizione dell’intero semantico, se quest’ultimo non è posto, non può essere posta nemmeno quella costante immediata, e quindi nemmeno il qualsiasi significato y che dovrebbe comparire nell’esito di quella posizione astratta di x. L’esito di questa posizione astratta è dunque posizionalmente nullo. Sta precisando per benino le varie cose. Sta dicendo fondamentalmente che se l’intero semantico è la costante di ogni significato, allora se io non pongo tutto questo intero semantico non pongo neanche la x e nemmeno altri significati che appartengono alla x, come la y, per esempio. Posso astrarre una y da x, ma se non pongo l’intero semantico, la y non è nulla. Sarebbe come dire, in un certo senso, che ogni volta che apro bocca mi trascino appresso il linguaggio da quando esiste. In altri termini: la posizione di un significato x, la quale non sia posizione delle costanti di questo significato, ha come esito un termine contraddittorio di x. Questa x, senza tutto ciò che non è x, è contraddittorio; è come porre l’essere senza porre, e togliere, il non essere. La totalità del non-x conviene o è predicata L-immediatamente, come negata, di x… Tutto ciò che x non è, è L-immediatamente, cioè incontraddittoriamente negato in quanto non-x. …ossia vale L-immediatamente come costante di x. Tutto ciò che non è x è la costante di x. Quando io dico qualche cosa, tutto ciò che non dico, ma che c’è in questo qualche cosa che dico, è una costante di ciò che sto dicendo, è ciò che lo rende quello che è. Inoltre, il campo semantico costituito da tale costante è essenzialmente e L-immediatamente implicante il semantema infinito. Ciò che è immediatamente, incontraddittoriamente, presente, cioè ciò che ho posto per poterlo togliere, è essenzialmente e incontraddittoriamente implicante il semantema infinito, implica cioè una quantità infinita di cose che non sono immediatamente presenti. Pensate al linguaggio: io dico una cosa; questa cosa si porta appresso tutta la sua storia, si porta appresso il motivo per cui l’ho detta, si porta appresso ciò che mi fa pensare mentre la dico, si porta appresso una quantità infinita di cose, ed è tutto in questa cosa che sto dicendo. Il semantema infinito: c’è una produzione infinita di variabili possibili. Il semantema dice che c’è una parte che rimane, alla quale si possono aggiungere infinite cose. Sì che, se questo non è posto, allorché si intende porre x non può essere postala costante L-immediata di x, e quindi non è posto nemmeno x. Se io voglio porre x ma non pongo anche ciò che è costante di x, cioè tutto ciò che non è x, non pongo neanche la x. A pag. 413, paragrafo 3, La totalità dell’immediato e l’intero semantico. La totalità dell’immediato è il significato così come appare, cioè la cosa così come appare. L’intero semantico a questo punto è, ovviamente, la cosa così come mi appare e ciò che non mi appare ma che è la condizione perché questa cosa mi appaia. a) Dire che ogni significato implica l’intero semantico equivale a dire – stante che i significati immediatamente noti sono i significati appartenenti a quell’originario significare che è appunto la totalità dell’immediato -… Dire che ogni significato implica l’intero semantico equivale a dire… che il significato originario è la stessa apertura originaria dell’intero semantico, ossia che l’intero è l’immediato (è immediatamente presente). Qui ci dice una cosa che prima non diceva. Infatti, dice: è immediatamente presente. Sembrava che ciò che era immediatamente presente fosse il significato che ho di fronte, F-immediatamente, cioè il fenomeno che mi appare. Sta dicendo, invece, un’altra cosa, dice il significato originario è la stessa apertura originaria dell’intero semantico, ossia che l’intero è l’immediato. L’intero, quindi, sia la x sia ciò che la x non è, è l’immediato, in quanto è struttura originaria. La struttura originaria è quella struttura che si pone come incontraddittoria, cioè l’incontraddittorietà dell’intero semantico è la stessa apertura originaria dell’intero semantico, l’apertura di questo intero semantico, ma questa apertura che cos’è? Ci sta dicendo che non è altro che la sua immediatezza; l’intero semantico si mostra come immediato in ciò che appare. Se l’apertura dell’intero non si realizza come struttura originaria, essa dà luogo a un piano posizionale – la coscienza prefilosofica … La coscienza prefilosofica sarebbe il modo di pensare che non si fa carico dei problemi ma li risolve con i miti, con le storie. …che si lascia accanto la sua negazione, e pertanto è un’infondatezza. Ecco perché dice che si manifesta tutto quanto, perché se non si manifestasse sarebbe un’affermazione prefilosofica. L’intero è x insieme a ciò che la oltrepassa; tutto questo, dice, deve essere immediato, perché se non lo fosse allora la x si lascerebbe il suo contraddittorio come non tolto, ma lo lascerebbe lì. In quanto invece l’intero si apre come struttura originaria, il significato è tenuto fermo, ossia è salvato dalla negazione: il filosofare è l’apertura autentica del significato. b) Ma la F-immediatezza dell’intero… Cioè, l’apparire dell’intero. …significa forse che il concetto di un significato o di un essere non appartenente alla totalità dell’essere immediatamente presente è concetto autocontraddittorio, e che questa autocontraddittorietà è immediatamente rilevata? Questa è la domanda che si fa. A questo punto ha posto l’immediatezza dell’intero. Sta dicendo: l’intero è ciò che si mostra immediatamente, ma questo significa forse che il concetto di un significato o di un essere non appartenente alla totalità dell’essere immediatamente presente è concetto autocontraddittorio? Se io dico che la totalità è immediatamente presente, allora, se affermo che c’è un significato che non è immediatamente presente, questa cosa si contraddice. La risposta è affidata alla stessa struttura dell’immediato, la quale non solo è il manifestarsi dell’immediato come non includente l’autocontraddittorietà… Quindi, l’immediato è incontraddittorio, ciò che mi si mostra è incontraddittorio, se mi si mostra mi si mostra così com’è e non in un altro modo – in questo senso è incontraddittorio. …è anche affermazione L-immediata che l’intero oltrepassa la totalità del F-immediato. Abbiamo visto che l’intero va oltre ciò che appare e, quindi, oltrepassa anche la totalità del L-immediato nella misura in cui anche l’affermazione L-immediata di quell’oltrepassamento è F-immediata. Limitiamoci qui a quel primo lato, e cioè alla non immediatezza dell’autocontraddittorietà di quel concetto… Qual è l’autocontraddittorietà immediata? Il fatto che io ho posto l’intero, la x e tutto ciò che la oltrepassa, ma possono esserci anche altri significati, per cui questa incontraddittorietà dell’intero può essere non immediatamente rilevata, perché posso non accorgermi che c’è qualche altra cosa. A pag. 416. c) L’intero semantico è dunque, da un lato, immediatamente presente. L’intero semantico, cioè la x e tutto ciò che la x non è, ciò che la oltrepassa. Per questo lato l’originario è insieme il conclusivo o il definitivo; ogni sviluppo, ogni scoperta dell’uomo dovendosi porre come interna determinazione dell’apertura originaria dell’essere. Questo l’ha preso da Heidegger: qualunque cosa l’uomo faccia comporta questa apertura, questo aprirsi di un qualunque significato a un semantema infinito, potremmo dire. Ma, per altro lato, che l’intero sia immediatamente presente è, proprio dal punto di vista della strutturazione concreta dell’immediatezza, L-immediatamente negato. È un po’ la questione della contraddizione C: questo tutto c’è, però non è tutto immediatamente presente; si tratta allora di trovare ciò che consenta di potere affermare che, nonostante questo intero non sia tutto immediatamente presente, non è autocontraddittorio. Questo è l’obiettivo, perché se è autocontraddittorio allora crolla tutto. (Si tenga sempre presente che l’esposizione non è ancora pervenuta all’accertamento di questa L-immediatezza). La contraddizione è immediatamente tolta ponendo che l’intero semantico è immediatamente presente come significato formale, e cioè come “intero semantico”… Qui lui la risolve così, ponendo la distinzione tra intero formale e intero concreto. Qui si potrebbe anche discutere la questione perché l’intero formale è certamente fatto della struttura della proposizione, per così dire; manca, rispetto al concreto, il riferimento preciso a qualche cosa, cioè, manca il contenuto vero e proprio, il contenuto semantico. Per esempio, se dico “se a allora b”, questo è un aspetto formale della cosa ma non c’è nessun contenuto: a e b possono essere qualunque cosa. Dice l’intero semantico è immediatamente presente come significato formale, sottolinea il come ma di fatto non è un intero semantico, è solo la forma. Sì che l’affermazione che l’intero oltrepassa la totalità del F-immediato… L’intero oltrepassa la totalità di ciò che appare. …non riguarda questo significato formale come tale, ma il rapporto tra il significato originario – tra il concreto contenuto semantico immediatamente presente – e l’assoluto contenuto semantico cui allude, o cui si riferisce quel significato formale. Dice: l’affermazione che l’intero oltrepassa la totalità del F-immediato, di ciò che appare, non riguarda questo significato formale come tale, sennò sarebbe autocontraddittorio, ma il rapporto tra il significato originario – tra il concreto contenuto semantico immediatamente presente – e l’assoluto contenuto semantico cui allude. Quindi, abbiamo un concreto contenuto semantico e un assoluto contenuto semantico, che è ciò a cui si riferisce il significato formale. L’assoluto contenuto semantico sarebbe: “se a allora b”; il concreto è ciò a cui “se a allora b” si riferisce. Sì che l’intero semantico è immediatamente presente solo come significato formale – nonostante questa formalità sia immediatamente determinata dal significato originario: questa determinazione originaria è infatti solo un momento della determinazione assoluta – ed è appunto perché questa assoluta determinazione non è presente che si dice che l’intero è presente solo come significato formale. La determinazione assoluta non è presente appunto perché una dimensione dell’essere oltrepassa la dimensione dell’essere F-immediato. Sta dicendo che questa determinazione originaria, quella formale, è solo un momento della determinazione concreta. Dice che è appunto perché questa assoluta determinazione non è presente che si dice che l’intero è presente solo come significato formale. È presente questa determinazione solo in modo formale: io determino l’intero formalmente. Quando io penso l’intero, e dico l’intero, lo determino formalmente, non gli do nessun contenuto concreto. Quindi, se io distinguo l‘intero come significato formale dall’intero come significato concreto, ecco che allora “risolvo” la contraddizione, perché a questo punto dico che, sì, l’intero formalmente inteso non contiene tutto o, meglio, potremmo dire che l’intero, formalmente inteso, non mostra tutto; mentre, se io dicessi l’intero, concretamente inteso, dovrebbe mostrare tutto, cioè tutti i significati. Io dico un significato; se questo significato lo prendiamo formalmente è un significato che ha dei riferimenti, posso dire che questi riferimenti sono infiniti, ma concretamente, se io chiedessi quali sono questi riferimenti infiniti, mi troverei in difficoltà. Allora potrei dire che concretamente l’intero, ciò che mi si mostra, questo significato formale, non è propriamente l’intero, perché non contiene tutto ciò che significa o lo contiene solo formalmente, idealmente, ma non concretamente. Però, se io tengo distinte queste due cose, intero formale e intero concreto, ecco che allora posso affermare che l’intero formale comprende tutto, senza che tutto mi si mostri. Ho detto “intero”; finché nessuno mi chiede cosa c’è dentro questo intero va bene; se, invece, qualcuno mi chiedesse “c’è tutto, ma tutto cosa?”, posso rispondere “c’è questo, poi questo, poi quest’altro, ecc.”, mi troverei di fronte al fatto che non potrò mai concludere questa cosa. …quella dimensione oltrepassante è presente quanto alla sua forma, ma non quanto al suo contenuto concreto. La forma oltrepassante, cioè, tutto che x non è. Sì che l’intero è presente come significato formale appunto in quanto l’essere oltrepassante è presente come significato formale. Tutto questo oltrepassante è formale. Cosa c’è oltre a x? C’è tutto ciò che x non è. Questo intero, che x non è, è presente come significato formale. d) La distinzione di forma e contenuto del significato è dunque toglimento immediato dell’autocontraddittorietà dell’affermazione che la totalità del F-immediato non l’intero: l’autocontraddittorietà è determinata dal fatto che quella distinzione non è operata, sì che il medesimo termine è, in quanto tale, presente e non presente. Lui risolve così la questione, dicendo che è questa distinzione il toglimento immediato dell’autocontraddittorietà, che dice che l’affermazione che la totalità di ciò che si mostra, l’F-immediato, non è l’intero. Era questo il problema: che ciò che mi si mostra non è l’intero. … l’autocontraddittorietà è determinata dal fatto che quella distinzione non è operata, distinzione tra l’intero formale e l’intero concreto. È vero che tutto ciò che è l’intero formale non si mostra, ma questo è l’intero formale; se io lo distinguo dall’intero concreto non si contraddicono più. È la contraddizione C, in fondo, è il fatto che questo tutto deve comprendere ogni cosa e deve essere incontraddittorio. Però, io ho a che fare solo con cose determinate, cose concrete. Occorre distinguere, dice lui, questo intero, di cui parlo prima, che è la forma dell’intero, l’ideale, dall’intero concreto, che è ciò con cui ho a che fare, con le cose. È una soluzione che lascia abbastanza a desiderare, vedremo poi anche perché, ma in ogni caso è la soluzione che adotta lui, che è poi la soluzione che adotta anche per la contraddizione C: occorre distinguere tra un intero formale e un intero concreto. Però, la distinzione che fa lui è fittizia perché, se ci pensiamo bene, cosa lo autorizza, di fatto, a fare questa distinzione? È come se esistessero veramente un intero formale e un intero concreto, ma semplicemente attribuisce alla parola “intero” un significato e poi ne attribuisce un altro, non fa nient’altro che questo. Quindi, compie un’operazione linguistica: fino a un certo punto chiamo “intero” in questo modo ma, per un altro verso, lo chiamo in un altro modo. È chiaro che se do significati differenti a queste due cose non sono più in contraddizione. Di fatto, se non operasse questa distinzione si giungerebbe allora a questa considerazione, e cioè che è il linguaggio a essere autocontraddittorio e che non c’è uscita. Io posso anche chiamare le cose in un altro modo, ma rimane il fatto che, affermando una certa cosa, questa cosa, per essere quella che è, deve rinviare ad altro e, quindi, deve essere già un’altra cosa. È questa l’autocontraddittorietà del linguaggio.