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6-2-2008

 

Abbiamo considerata ultimamente una questione di un certo rilievo, vale a dire il fatto che nel discorso occidentale si rileva l’impossibilità di stabilire, per esempio, l’identità di qualcosa con se stessa e da lì il fatto che partano tutti i paradossi noti come paradossi dell’autoreferenzialità, perché intervengono questi paradossi? Cos’è un paradosso? È una proposizione che afferma di sé di essere vera se e soltanto se lo è la sua negazione, come dire che A è uguale a se stessa se e soltanto se non lo è. Perché i paradossi dell’autoreferenzialità, perché quando si cerca di stabilire un identità si incontra un paradosso? L’identità dovrebbe mostrarsi da sé e invece non lo può fare, ecco perché è un paradosso, perché se per dimostrare che A è A, anche solo per poterlo affermare, abbiamo bisogno di un terzo elemento allora questa identità non è tale, abbiamo visto già con Severino, per esempio, ma anche con altri se scrivo che A è A intanto una A è soggetto e l’altra è predicato, può essere un soggetto identico a un predicato? Sono due cose diverse, per esempio, una è a destra e l’altra a sinistra…

Intervento: ma noi siamo uomini ma siamo diversi in quanto uomini ma siamo uguali…

Perché non funziona questa cosa Sandro? Perché non basta una proprietà in comune per stabilire un’identità occorre che tutte le proprietà lo siano…

Intervento: allora rispondo con Aristotele “uomini è un genere, io brizzolato lei meno sono due specie”

Occorre che i due elementi abbiano tutte le proprietà in comune, perché in “A è A” ci sono due lettere e sono uguali, appartengono tutte due all’alfabeto italiano, per esempio, ma abbiamo visto che non è sufficiente…

Intervento: perché A potrebbe essere una maiuscola e una minuscola…

In questo caso la differenza è più evidente…

Intervento: è chiaro che è più evidente però quello che rimane nel discorso occidentale che io e lei siamo due uomini che appartiene al genere uomo ma siamo due cose diverse lei è lei e io sono io, come dire che c’è qualche cosa che comunque rimane l’elemento comune fra me e lei che è il genere, diverso è fra lei e Beatrice…

Anche Beatrice e io abbiamo molto in comune, abbiamo, per esempio, un’appartenenza al genere umano, siamo entrambi italiani, entrambi abitiamo questo pianeta, essendo in questo pianeta siamo partecipi del sistema solare e il sistema solare a sua volta della via Lattea, la Via Lattea…

Intervento: volevo articolare la questione dell’elemento comune però non ha fatto altro che portare in termini generali quello che è l’elemento comune che è quello che viene preso per poter mantenere l’identità come il terzo elemento allora se una persona di fronte ad A = A non ha problemi a stabilire l’identità generalmente noi possiamo anche dire che sono due A diverse… però l’altro dice sì, però il fatto che una sia a destra e che l’altra sia a sinistra risponde allo stesso fatto che lei è Faioni e io mi chiamo Degasperi però siamo sempre uomini, è vero che una A è a destra e una a sinistra ma sono sempre una A quindi c’è questo qualche cosa, questo ente astratto, diciamo così, che accomuna e che fa pensare che la questione sia fondata… in effetti è il modo di pensare che utilizziamo continuamente questo…

Però in ambito teorico occorre un passo ulteriore e cioè definire la nozione di identità, solo una volta che è definita allora potremmo utilizzarla…

Intervento: e lì arrivano i problemi…

Esattamente, perché è ovvio che la definizione di identità potrebbe anche essere identica a se stessa, l’identità è identica a sé, ma naturalmente si incorre negli stessi problemi che abbiamo visto in precedenza rispetto a qualunque cosa, perché sorgono problemi quando si cerca di stabilire un’identità? Naturalmente per via della nozione stessa di identità, cioè due elementi, almeno due, devono avere le stesse proprietà ma per uno stesso elemento occorre che possa mantenere tutte le sue proprietà, cioè debba permanere identico a sé per sempre, naturalmente abbiamo visto in varie occasioni che non si verifica e non si verifica per un motivo molto semplice, e cioè che sia il permanere di questo elemento sia il suo differire sia il trovarsi a sinistra a destra di qualche cosa sia essere soggetto o predicato sono comunque caratteristiche che il linguaggio gli attribuisce, gli imprime, come dire che senza il linguaggio io non potrei stabilire nessuna identità né provarla né garantirla in nessun modo e pertanto avrò sempre necessità di questo elemento per stabilire che una cosa è se stessa. Questo ha degli effetti, e il primo effetto che si può facilmente rilevare è che in assenza di linguaggio non c’è nessuna possibilità di identità, per esempio, perché non è possibile stabilirla, non solo ma è il linguaggio che la stabilisce, stabilisce che cos’è l’identità, le regole per utilizzare questo elemento e di conseguenza deciderà che cosa è identico oppure no ma non in base a criteri ontologici, e cioè che esulano del funzionamento del linguaggio ma cercano qualche cosa che da fuori ne garantisca le proprietà e l’esistenza, l’identità e soprattutto l’esistenza visto che l’ontologia si occupa di questo, perché tutti i tentativi non tengono mai conto che stabilire che cos’è l’identità non comporta stabilire una definizione necessaria, ma una definizione che sarà sempre e comunque arbitraria, cosa vuole dire che non è necessaria ma arbitraria? Che non è identica a sé, ma può variare tant’è che sono state date varie definizioni di identità e non una sola, questo significa che la definizione di identità è arbitraria cioè è ad arbitrio, ciascuno dà la definizione che gli pare più opportuna poiché non c’è nessun riferimento ultimo ed è quello che la filosofia, così come la logica ha sempre cercato:il riferimento ultimo. Il riferimento ultimo si porta appresso la maledizione di essere arbitrario perché nessuno può in nessun modo garantire che sia necessario e cioè che non possano essercene altri, ecco perché essendo arbitraria la nozione di identità a questo punto è impossibile, è totalmente e definitivamente impossibile trovare un criterio e quindi una identità una volta per tutte, perché ogni volta è sempre suscettibile di modificazione, basta modificare la definizione di identità ed ecco che A = A, ed è l’identità oppure non lo è oppure lo è ma a certe condizioni a seconda del momento e dell’estro di chi si sta divertendo con queste operazioni. Ora a questo punto noi possiamo introdurre invece un elemento fondamentale, perché se è il linguaggio come appare che sia a fornire il criterio anzi la nozione, la definizione di identità, allora lui fornirà insieme con queste anche le regole per utilizzare questo termine, tant’è che di volta in volta lo usa in modo differente ma nessuno di questi modi è quello ultimo, definitivo, necessario, ciascun modo di utilizzo dipende dalle regole del gioco in cui questo impiego è inserito mentre non esiste un criterio ultimo di identità definitiva, quella che dovrebbe servire da pietra angolare per stabilire tutte le possibili identità di questo mondo…

Intervento: l’interpretante logico finale…

Peirce cercava proprio questo, l’interpretante logico finale, cioè l’ultimo elemento della catena, se io conosco l’ultimo elemento della catena posso dare un senso a tutti gli anelli precedenti, che è il contrario in un certo senso della teoria del caos, essendo impossibile stabilire il punto di origine non si può mai sapere quale sarà la direzione di un certo fenomeno, per esempio, ma se vuole saperne di più può leggersi René Thom che ha scritto alcune cosa a questo riguardo…

Intervento: lei parlava di Peirce però è anche vero dove parla del così detto interpretante logico finale deve comunque intervenire anche all’interno di una proposizione per dare un senso alla proposizione… la proposizione deve concludere, deve avere un termine perché possa avere un senso in questo senso si ricostruisce un senso a ritroso mi viene da pensare alla ricorsione al termine ricorsione perché per avere un senso la proposizione deve concludersi quindi la questione dell’interpretante logico finale come interviene invece?

All’interno di un gioco. Invece Peirce cercava nell’interpretante logico finale quell’elemento che avrebbe consentito di dare un senso a qualunque altra cosa. Dicevamo che l’impossibilità di stabilire l’identità ha avuto ed ha una serie di effetti nel pensiero, si tratta di considerare che non soltanto nel pensiero logico o filosofico ma anche nel pensiero di ciascuno tutto questo ha degli effetti, perché il logico non trovando un punto di partenza sufficientemente solido attribuisce questo modo corrente di pensare alla natura, ma è un punto di partenza che rappresenta sempre il tallone di Achille di qualunque elaborazione teorica, infatti qualunque testo teorico leggiate, nelle prime due o tre pagine sono esposti i criteri, i principi fondamentali da cui muoverà per costruire tutto ciò che costruirà nelle pagine a seguire, se questi principi non sono sufficientemente saldi allora tutto ciò che ne seguirà sarà altrettanto instabile e arbitrario naturalmente, è questa la ricerca che mettemmo in atto molti anni fa: stabilire un criterio che ci consentisse di verificare se i fondamenti di una teoria sono affidabili oppure no, perché se non lo sono è un problema in ambito teorico, crea problemi quando si vuole affermare qualcosa di vero. Qualunque testo teorico ha questa ambizione, oppure enuncia soltanto dei problemi mostrando l’incapacità di risolverli, come abbiamo visto la volta scorsa a proposito di un testo di ontologia, sì perché ultimamente c’è questo vezzo: porre dei problemi senza soluzione, così uno pensa una cosa e l’altro pensa il contrario, va bene, anche mia nonna pensava un’altra cosa, ma non è un supporto teorico, è come partire da ipotesi, tutta la fisica per esempio è fondata prevalentemente su ipotesi e quindi è difficile accampare delle certezze a partire da ipotesi, ma se voi invece considerate la nozione di identità come un elemento linguistico, che il linguaggio definisce di volta in volta ché ha la possibilità di farlo anzi è l’unico che ha la possibilità di farlo, allora non c’è più nessun paradosso, scompaiono come per incanto tutti quanti perché un elemento non è più chiamato a rispondere della sua identità da fuori del linguaggio, se è fuori del linguaggio non potrà mai rispondere se non attraverso il linguaggio e quindi mostrando di essere differente, perché per dire che è se stesso ha bisogno di un altro elemento e questo elemento naturalmente lo modifica e cioè un elemento è se stesso se e soltanto se non lo è. Ma se questo elemento è all’interno del linguaggio, se è un gioco linguistico, si muove unicamente a partire da delle regole e allora come dicevo ogni paradosso scompare: cosa significa che A è identico ad A? Dipende dall’utilizzo che il linguaggio fa di questa proposizione, tutto qui, se la utilizza in un certo modo allora può stabilire che può utilizzare questo termine se invece come diceva Severino impone a questo gioco di essere fuori del linguaggio allora è ovvio che non ci riuscirà, non ci riuscirà perché avrà sempre la necessità del linguaggio per definire qualcosa quindi di un altro elemento sempre e necessariamente. Ma aldilà dei problemi che ha sollevato una questione del genere in ambito filosofico, logico, matematico, in fondo lo stesso Goedel ha trattato una cosa del genere, anche nel discorso di ciascuno interviene qualcosa di simile attraverso la necessità di ciascuno di ancorarsi a qualche cosa, qualunque cosa non importa, ma a che cosa si ancora il discorso di ciascuno? A delle premesse ovviamente, più o meno esplicite, ma queste premesse vengono date per buone naturalmente e date queste premesse seguono certe conclusioni, se il ragionamento è condotto in modo corretto da certe premesse seguono certe conclusioni inevitabilmente e queste conclusioni sono quelle che faranno agire la persona, ecco perché è importante, perché il modo in cui si muove la persona è determinato dalle cose che pensa, dalle cose in cui crede perché i suoi discorsi sono costruiti da premesse che sono date per buone, per vere indipendentemente dal fatto che le affermi con risolutezza o le affermi con incertezza in ogni caso muove da quelle premesse, anche se muove da un’ipotesi, da un potrebbe essere così, però accoglie che sia così, fa come se fosse così e da un certo punto in poi non è più che fa come se fosse così ma è così, ciò che è partito come un’ipotesi si trasforma quasi magicamente in una certezza. Questa operazione che avviene abbastanza sovente nel discorso può e deve, per esempio, essere rilevata in un percorso analitico dove è vero che qualunque premessa da cui si parte di fatto non ha l’assoluta certezza, però è vero all’interno di un gioco, l’essenziale è rendersi conto che è vero all’interno di quel gioco e non fuori da quel gioco: volgere ciò che all’interno del discorso appare come universale in particolare. C’è solo una formulazione che soddisfa l’universale, e cioè non c’è un elemento che non sia un elemento linguistico in questo caso abbiamo costruito, formulato un universale, detto altrimenti: “qualunque cosa è un elemento linguistico”. Perché lo affermiamo questo con tanta sicurezza? Ci sono due vie per rispondere a questa domanda, una dice che se questo elemento è fuori dal linguaggio allora questo elemento non è se stesso, non essendo se stesso è niente e per essere se stesso occorre che questo elemento mostri di sé di essere se stesso, ma senza linguaggio come fa? Non può in nessun modo mostrare di essere se stesso né provarlo naturalmente, non essendo se stesso è niente. L’altra via riguarda invece il fatto che io posso dire che è fuori dal linguaggio, lo posso dire ma non lo posso provare, con che cosa lo proverò? La questione è che se è immaginato fuori dal linguaggio questo elemento ovviamente non è un elemento linguistico, quindi non è connesso con nessun elemento linguistico, fuori da questa possibilità di avere anche una sola connessione con un elemento linguistico non posso né dirlo né pensarlo né considerarlo, non posso fare niente, posso credere che esista un elemento fuori dal linguaggio così come posso credere nella madonna, posso crederci però non ho nessun modo per provare una cosa del genere, a questo punto appare uno di quegli elementi che Wittgenstein definirebbe non sensi, cioè non significano niente. Sono queste argomentazioni che grosso modo ci danno la forza per affermare che qualunque cosa è necessariamente un elemento linguistico, perché o è un elemento linguistico o non è niente, non è mai stato niente e non sarà mai niente…

Intervento: incomincio ad intendere, ma è difficile tenerne conto…

Il discorso si appoggia sempre su qualcosa che è ritenuto vero, se no non può partire, e che cosa è ritenuto vero? Ciò che si è imparato essere tale, è il famoso “questo è questo” ora questo è questo ha la struttura di A è A e viene preso come se fosse una verità universale naturalmente. Il “questo è questo” da cui si avvia buona parte del linguaggio anzi, probabilmente il linguaggio stesso, affermazione che poi è supportata anche dall’effetto visivo, quando uno mostra questo è questo, lo vede, c’è una percezione…

Intervento: può dipendere una verità…

Dipende che cosa si intende con verità, perché se con verità lei intende ciò che necessariamente è e non può non essere allora deve essere universale, però se io dico questo è un accendino, è una verità? È vero all’interno del gioco che sto facendo certo, così come è vero che due più due fa quattro o che due assi battono due jack, dipende dal gioco in cui è inserito, sono le regole del gioco che decidono l’uso che si farà, in questo Wittgenstein ha colta la questione, sono le regole del gioco che decidono l’uso e quindi il senso di ciò che dico, il senso non ce l’ha di per sé, l’identità non ce l’ha di per sé un significato, dipende dall’uso che si fa all’interno di un gioco specifico ed è questo uso, attraverso questo uso che il linguaggio fornisce il senso. Avevamo accennato a scopo didattico alla differenza tra significato e senso, il senso lo si indicava alla lettera, come la direzione che il discorso prende, è questo il senso, che senso ha quello che dico? È la direzione che sta prendendo il discorso che sto facendo; il significato non è nient’altro che l’essere ciascun elemento un elemento linguistico, quindi l’essere utilizzabile, il significato è il fatto che un elemento sia un elemento linguistico cioè utilizzabile, questo è il suo significato, cioè qualunque elemento non ha un significato ma è un significato per il solo fatto che è utilizzabile, se no non lo sarebbe perché non sarebbe un elemento linguistico, ma se non fosse un elemento linguistico abbiamo visto che non sarebbe niente e quindi il problema sarebbe risolto in ogni caso. È tutto chiaro fin qui?

Intervento: sembra chiaro ma non è semplice…

Questa è una questione su cui stiamo lavorando da tempo, il fatto che tutto ciò possa apparire d’acchito molto semplice, molto facile, e la difficoltà come diceva Beatrice è trovarsi a porre in atto in ciò che si dice, in ciascun istante tutto questo con tutte le sue implicazioni, quali sono le implicazioni immediate? Che qualunque cosa io affermi di per sé non è né vera né falsa, è vera o falsa all’interno del gioco che sto facendo e di questo gioco posso reperire le regole e sapere quello che sto facendo e la conseguenza di questo, più rapida e immediata è che non c’è nulla in cui credere, nulla da difendere, nulla per cui fare delle guerre sante per esempio, come accade spesso. Questo discorso che abbiamo costruito e che non esisteva in natura è il più potente che sia mai stato costruito, e fornisce l’opportunità di vivere nel quotidiano in tutt’altro modo, in modo totalmente e radicalmente e irreversibilmente differente da qualunque altro modo.