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6-1-2004

 

Avete qualche progetto di lavoro per questo anno che inizia?

Intervento:…

Sì, lavorare sul proprio discorso è sempre una questione interessante, anche perché molto spesso sfugge. Talvolta accade di domandarsi se quelle cose che infastidiscono nei confronti altrui sono praticate anche da noi, il più delle volte sì, e questo generalmente è seguito da un certo fastidio per cui si tende a considerare il proprio modo comunque diverso. Questo rende le cose complicate, occorre una sorta di onestà intellettuale non indifferente, onestà intellettuale nel senso che comporta considerare il proprio discorso, cioè le cose che si pensano, che si credono, qualunque cosa sia, come un testo, un testo qualunque da interrogare al pari di qualunque altro. È una cosa che occorre sapere fare, tenendo anche conto del fatto che in molti casi noi invitiamo altri a fare su di sé, a compiere questa operazione, cioè di affrontare il proprio discorso, ma cosa significa affrontare il proprio discorso anzitutto? Occorre dire che il mio discorso sono io, non c’è nessuna differenza, sono io con le cose che faccio quotidianamente, che penso, che immagino, che sogno la notte, che suppongo, che affermo, che nego ecc. ora lavorare sul proprio discorso è compiere quell’operazione che non è nient’altro che quella che abbiamo compiuta costruendo il discorso che abbiamo costruito. La volta scorsa Beatrice si chiedeva come è stato possibile costruire questo discorso che abbiamo costruito: non accontentandoci delle risposte che mano a mano ci si forniva, cioè fornivamo al discorso…

Intervento: se è facile confutare le cose di un altro discorso è estremamente difficile confutare ciò che appartiene al proprio

È difficile riconoscerlo come tale, riconoscerlo come luogo comune, come superstizione, viene scambiato per la verità, come la realtà delle cose e questo è un problema, un problema perché se è la realtà, allora le cose stanno così, non c’è altro da aggiungere, né da togliere. Come si fa a non accontentarsi delle risposte che si danno, che si danno o che non si danno perché il più delle volte le risposte più efficaci sono quelle che non si danno, così come i sillogismi più efficaci sono quelli tronchi, dove non c’è la premessa maggiore, e allora ecco, l’onestà intellettuale consiste in questo: nel non cessare di interrogare la premessa maggiore e tutto ciò che si afferma, non qualunque cosa ovviamente, e allora su quali dovrò soffermarmi? Quelle che occupano all’interno del mio discorso una posizione particolare, e cioè quelle che funzionano come supporto di altre affermazioni, altre convinzioni, l’esempio potete trarlo da tutta la ricerca teorica che abbiamo compiuta e stiamo compiendo, ogni volta ci siamo posti la domanda “e se non fosse così?” come dire: io immagino che le cose stiano in un certo modo, io immagino di essere fatto in un certo modo per esempio, e se le cose non stessero così? E se non fossi fatto così? È una possibilità, e allora perché continuo a dire di essere fatto così? A che scopo? Perché continuo a ripetermi questa cosa? O perché, facciamo il caso contrario, perché invece quella certa cosa è fatta così ed essendo fatta così mi dà tanto fastidio? Come se avessi la certezza che quella cosa, quella persona fosse esattamente così come io penso che sia, è una possibilità, niente di più, questo indipendentemente dal fatto che quella persona sia o non sia così o cosà. Ciò che sto considerando è la certezza in cui mi trovo, che mi muove in base alla quale continuerò a pensare certe cose e mi muoverò in una certa direzione anziché altre, la certezza, ne abbiamo una sola di certezza per il momento, e cioè che qualsiasi cosa è un elemento linguistico, ed è una certezza perché non la possiamo negare, perché come sapete se la neghiamo ci troviamo in grosse difficoltà a proseguire o per meglio dire non possiamo proseguire, quindi siamo costretti ad affermare che qualsiasi cosa è un elemento linguistico, questa è l’unica certezza, qualunque altra cosa non lo è ma può funzionare come tale. Qui interviene l’onestà intellettuale, la necessità per un teorico di non credere in una cosa del genere, cioè di non fondarsi su tale certezza, quella che credo essere tale. Quella certa persona è così! Può darsi, è il massimo che possiamo affermare, può darsi, ma che lo sia oppure no che importanza ha? La certezza come ciascuno di voi sa perfettamente, rappresenta la chiusura di un certo discorso, oltre tale punto si preferisce non andare, un teorico non ha dei punti oltre ai quali preferisce non andare, se no non è un teorico, o è una cosa o è l’altra, si escludono a vicenda, ma certo la questione più complessa è proprio il proprio discorso. Come dicevo prima l’affermare “io sono così”, per esempio, non significa niente, è una questione che va considerata al pari di una questione teorica, né più né meno di un’affermazione teorica, anche se è una stupidaggine va considerata come una questione teorica e cioè sottoposta a un criterio verofunzionale. Intanto occorre stabilire un criterio per potere decidere una cosa del genere, e ci si rende conto rapidamente che non è possibile costruire un criterio verofunzionale su una cosa del genere, e quindi affermare che è vera o che è falsa non ha nessun senso, è una affermazione che significa nient’altro che ciò che io voglio che significhi, ecco che allora magari posso chiedermi perché voglio che significhi quella cosa, perché? Come sappiamo qualunque affermazione di per sé, a parte alcune affermazioni teoriche che si possono provare essere vere oppure false, di per sé non sono né vere né false, sono giudizi estetici “è bello il colore blu”, vero o falso? Non significa niente, è un’affermazione estetica…

Intervento: il problema della psicanalisi precedente che si è soffermata troppo su affermazioni di carattere estetico, una necessità che non lo è

Sì e quindi anche perché una persona è attratta da una certa cosa, se vuole interrogare il proprio discorso ovviamente, non è necessario, non è obbligatorio soprattutto, ma se lo fa occorre che lo faccia sul serio, allora per giungere a considerare che è così perché mi piace così, e quindi assumersi la responsabilità di tale affermazione, cioè sono io che affermo che mi piace così, perché? Perché mi piace così. Occorre poi anche il passo successivo chiedersi perché mi piace così tanto eventualmente, può farlo ma almeno questo, se non fa neanche questo non va da nessuna parte, sì…

Intervento: forse è il passo successivo che è difficoltoso. Al momento in cui dice “ perché mi piace questa cosa” “cosa me ne faccio di tutto questo?” e questo che mi piace comporta non giocare altri giochi

Certo, quello precedente è il primo passo, senza il quale non si fa niente, però c’è il passo successivo certo, che può non essere semplice, chiedere perché piace o non piace una certa cosa, in fondo sapere più cose su di sé è sempre utile, e in ogni caso è straordinariamente utile sapere perché il linguaggio, il mio discorso in questo caso, ha deciso che una certa cosa è bene e un’altra è male, cioè che mi piace oppure no, in base a quali altre cose ho potuto affermare una cosa del genere? Come ha fatto il mio discorso a giungere a una cosa del genere? È ovvio che ha costruito una storia intorno a questa cosa, una storia alla quale tengo perché è una bella storia, essendo una bella storia ha un bel finale oppure consente vari finali, in ogni caso mi dà delle emozioni, mi dà delle sensazioni questa storia alla quale tengo, ed è questo il motivo per il quale non ci rinuncio, il motivo per cui una persona non rinuncia ai suoi cosiddetti sintomi, che rappresentano una storia alla quale non rinuncia. Ma non si tratta neanche di rinunciarci poi tutto sommato, ma di porla per quello che e cioè una storia che si può raccontare oppure no. Una persona può oppure no avere timore di una certa cosa, perché? Questa cosa fa parte di una storia, rinunciare a questo timore è rinunciare alla storia, è la storia che tiene in piedi il timore, mettiamo che uno abbia paura dell’uomo nero, che però può essere chiunque, può essere Osama Bin Laden, può essere Berlusconi, può essere Pinocchio, può essere la Madonna, può essere il ladro, non ha nessuna importanza, è l’uomo nero, come dire è la persona senza la quale io sarei felice, e quindi la temo, la temo perché in effetti tutti i miei mali vengono da lì, ma perché una cosa del genere? È ovvio che se chiedete alla persona in questione il motivo ve lo dirà anche, sicuramente ne tirerà fuori uno sterminio di buoni motivi, così come si trovano un’infinità di buoni motivi contro Saddam…

Intervento: la Parmalat…

Sì, anche questo può essere l’uomo nero, certo, hanno commesso dei crimini, rapine, truffe, estorsioni per i quali crimini non erano autorizzati, sono le stesse cose che fa lo stato ma lo stato è autorizzato, quell’altro no, e quindi deve essere arrestato. Ora dunque l’uomo nero, c’è una storia, ovviamente una storia che comincia con i buoni e con i cattivi, i buoni sono quelli che mi vogliono bene, che mi apprezzano, che mi considerano, magari il papà e la mamma o chi per loro, e i cattivi sono quelli che non mi vogliono, che non mi apprezzano, che non mi considerano, per qualche motivo suppongo che se non mi apprezzano, ed io sono apprezzabile per definizione, se non mi apprezzano è perché sono cattivi loro dentro, e anche fuori, oppure sono malvagi. In ogni caso sono persone che non sono delle brave persone, in questo storia dei buoni e cattivi, questa storia che io comincio a raccontarmi. Ciascuno se la racconta la storia dei buoni e dei cattivi, i buoni sono appunto quelli che mi apprezzano, che mi stimano, che mi amano, i cattivi gli altri. Ma questa storia dei cattivi, ché i buoni sono buoni e stanno lì buoni e loro sono acquisiti, gli altri no, gli altri sono da conquistare, ora ci sono tanti modi di conquistare: c’è il modo in cui si conquista un paese, un modo in cui si conquista una donna, e sono diversi, nel primo caso si usano i carri armati, nel secondo i fiori…

Intervento: anche i carri armati

Non so che tipo di donne frequenti tu che necessitano di essere conquistate con i carri armati, in genere non avviene così. I cattivi, che sono poi il nemico che deve essere conquistato, sono le persone su cui non ho ancora potere, perché quelle che amano, mi apprezzano, mi considerano, mi stimano ecc. sono quelle sulle quali ho potere, sono lì, le altre no, bisogna conquistarle per archiviarle poi ovviamente, e sono queste altre che danno da pensare, da fare, da brigare, da tentare, da inventare, da pensare, da costruire, da lottare, dettaglio non marginale, ed è per questo che sono queste altre quelle importanti, non le prime, sono importanti per i motivi suddetti, perché soddisfano le condizioni e il funzionamento del linguaggio e allora questa storia di cui dicevo che ciascuno si racconta, e racconta e va raccontando in giro, è fatto di questo è un racconto epico delle lotte che ha sostenuto, e che dovrà sostenere per conquistare, qualunque cosa, non ha importanza. Perché, si chiedeva Beatrice, uno preferisce una certa cosa anziché un’altra? Perché è inserita in questa storia dei buoni e dei cattivi e preferisce quella che dice che bisogna eliminare i cattivi o comunque sedurre i cattivi o fare qualcosa perché i cattivi diventino buoni cioè mi apprezzino, mi amino, mi considerino, cioè ancora diventino acquisiti o, se vuole proprio dirla tutta, diventino mio potere. È questa la storia che ciascuno si racconta all’infinito, e questa è la storia che persegue, e occorre che questa storia ciascuno la conosca o almeno sappia che è una storia, direi che è fondamentale incominciare ad essere meno ingenui, in prima istanza rispetto al proprio discorso, poi rispetto a quello altrui, sono i cattivi che interessano, noi sappiamo perfettamente che il linguaggio volge verso la soluzioni dei problemi, non verso i problemi già risolti, cioè verso ciò che consentirà di costruire altre proposizioni, quelle costruite mi servono come data base per costruirne altre, ecco perché i cattivi sono fondamentali, così come il furto è l’anima del commercio, i cattivi sono l’anima della società, possono togliersi i cattivi? Sì, il modo più comune e più noto è quello di sparargli in fronte, ma non è di questo che intendo parlare, togliere i cattivi è togliere la necessità di situare fuori dal linguaggio qualche cosa che appartiene solo al linguaggio, finché permane questa necessità di porre fuori dal linguaggio qualcosa che appartiene al linguaggio è inevitabile, è automatico necessariamente. Riportate il tutto all’interno della struttura del linguaggio e questo si dissolve come neve al sole, non ha più nessun motivo di essere. Fare tutto questo non è semplice, di questo sono assolutamente d’accordo con voi, cionondimeno è ciò che stiamo incominciando a fare. È ovvio che è una storia che eccita tutti quella dei buoni e cattivi, del bene e del male, è il gioco che eccita chiunque, Pensate al pettegolezzo, che è una forma domestica, casereccia di guerra, fare la guerra a qualcuno cioè dire: quanto è cattivo, quanto è scostumato, quanto è irriverente, malnato…

Intervento: tutto questo parlare… per via di dio questa invenzione del discorso occidentale

Che per i cristiani i cattivi sono i mussulmani, ma per i mussulmani i cattivi sono i cristiani, non è casuale, è diverso perché ha esigenze diverse, viene da ridere a vedere tutte queste idiozie eppure sono quelle di cui gli umani vivono da sempre…

Intervento:…

Dio ha questa funzione, è il garante, è il garante universale…

Intervento: nel discorso occidentale il discorso parte da degli indimostrabili, interrogarsi sul bene o sul male è interrogare i moduli che vengono utilizzati

Quali storie lo hanno più interessato, che sono sempre storie violente, violente in accezione più ampia del termine, cioè quelle che mostrano dei grossi problemi da risolvere, sono queste che costituiscono la base di ciascuna storia principale e che pilota tutta l’esistenza. E non può essere altrimenti, dal momento che il linguaggio per funzionare necessita di costruire proposizioni, quindi costruisce qualche cosa che chiamiamo problema, che poiché problema esige una serie di altre proposizioni, non può fare altrimenti, ma come dicevo questo è perfettamente noto, o lo so che tutto ciò che faccio non è nient’altro che costruire proposizioni perché il linguaggio esige questo, perché sono fatto di questo e quindi l’obiettivo non è altro che proseguire a parlare, se dico, se me la prendo con qualcuno, so benissimo che ciò che dico non significa assolutamente niente, ché sono proposizioni e mi servono in quel momento per costruire qualche cosa, per andare avanti, perché quello? Beh, perché se quello è un problema si presta benissimo a svolgere la funzione, quello che mi taglia la strada in macchina per esempio, si presta benissimo a tutta una serie di benedizioni perché ha creato un problema che ho dovuto risolvere, ma so che al di fuori di questo non significa assolutamente niente, che è già qualcosa da cui partire. E allora la considerazione da farsi a questo punto è che l’unica soluzione è insegnare a conoscere il linguaggio, non vedo altre vie praticabili per il momento, certo la retorica ci aiuta a costruire in modo semplice ma finché la persona non conosce il funzionamento del linguaggio non ha nessun modo, perché non ha nessuno strumento, niente, e se non sa niente non può far niente e quindi “il nostro compito” tra virgolette, è quello di fornire questi strumenti e cioè di mostrare come funziona il linguaggio e insistere su questo, non possiamo fare molto di più per il momento, ma non è poco. E quindi ancora procedere con l’elaborazione teorica, più la teoria diventa chiara a noi stessi, semplice, più diventerà semplice il modo in cui la esporremo, perché diventi ancora più semplice occorre che proceda ancora, trovare ancora altre soluzioni, continuare a chiederci ancora cosa intorno a cose che sembrano acquisite, per esempio l’affermazione che qualsiasi cosa è un elemento linguistico. Perché? Continuare a chiedersi perché e “se non fosse così?”

Intervento: interrogare il proprio discorso… d’accordo abbiamo a che fare con un discorso ma quando ascoltiamo qualcosa che non proviene dal “mio” discorso

Quello che lei sta dicendo in questo momento appartiene al suo discorso, non al mio, ho modo di distinguerli, il linguaggio lo consente…

Intervento: posso anche interpretare quello che dice un’altra persona, può intervenire un’interpretazione sapendo che è un’interpretazione e proprio perché è un’interpretazione mi deve dare il criterio con il quale io mi trovo a interpretare le cose in un certo modo, rispondere al criterio interpretativo è avere in qualche modo ragione di ciò che credo. Ma è l’intendere perché ho data un’interpretazione anziché un’altra, per sapere ciò che io credo

Per cui dalla volta prossima riprendiamo tutto quanto, riprendiamo dall’affermazione che afferma che qualsiasi cosa è un elemento linguistico, incominciamo a domandarci se è proprio così.