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5-12-2000

 

Si leggono brani di un testo di Ajdukiewicz, filosofo del linguaggio “Lingua e senso” Paragrafo: Le regole del senso.

Supponiamo che a una persona venga stimolato il nervo scoperto e ancora sensibile di un dente. Essa fa un balzo ed emette un urlo. In queste condizioni sarà superfluo chiedere se la persona in questione abbia provato dolore. Supponiamo tuttavia che tale domanda sia stata posta e che la persona abbai risposto rifiutando l’enunciato “fa male” . come va valutato questo comportamento? Anzitutto si può presumere che abbia mentito quindi che non abbia rifiutato l’enunciato “fa male”, ma che vi sia stata soltanto l’apparenza di un rifiuto. È anche possibile che essa non abbia mentito, quindi che abbia effettivamente respinto l’enunciato corrispondente e non abbia avvertito alcun dolore. Infine è possibile che non abbia mentito quindi che abbia effettivamente respinto l’enunciato “fa male ” pur avendo provato dolore, associandogli un senso diverso dal nostro. In ogni caso escludiamo la possibilità che qualcuno viva una sensazione dolorosa e che rifiuti l’enunciato “fa male” se gli associa il nostro stesso senso. /…/ Vogliamo ora prendere in esame un altro esempio di messa in chiaro di fraintendimenti, supponiamo che qualcuno accetti un enunciato che ha la forma “se A allora B e al tempo stesso l’antecedente “A” di questo enunciato ipotetico, ma rifiuti il suo conseguente “B”, se il suo comportamento è effettivamente questo se dunque esso non è fittizio lo possiamo spiegare per esempio con il fatto che egli quando rifiuta il conseguente “B” ha già dimenticato entrambe le sue convinzioni positive ma se di esse continua ad essere cosciente mentre rifiuta “B” ciò rappresenta per noi un fatto inequivocabile del fatto che egli si serve almeno di una delle due espressioni “se A allora B”, “A” e “B” in un senso diverso dal nostro. Riteniamo cioè escluso che qualcuno che si serva delle espressioni della lingua italiana nel nostro senso accetti un enunciato che ha forma “se A allora B” e il suo antecedente “A” respingendo contemporaneamente il suo conseguente “B”.

Dice praticamente se parla italiano e se interviene l’antecedente cioè una espressione dolorosa il conseguente lo deve accettare, lo deve accettare anche per negarlo…

In questa formulazione si potrebbe pensare che le tesi che stanno alla base delle procedure per la messa in chiaro di fraintendimenti siano soltanto verità empirico psicologiche ma a nostro avviso questa possibilità è esclusa dal momento che entrambe tali tesi non sono acquisite dall’esperienza ma sono analitiche. Non esiste per esse nessun rischio di entrare in urto con l’esperienza così come non esiste per esempio per l’enunciato che afferma che l’acqua riscaldata in normali condizioni di pressione entra in ebollizione a 100°. Un enunciato universale che ha la forma “ ogni A è un B” ha bisogno di una conferma empirica e può essere contraddetto dall’esperienza solo se è possibile accertare che x è un A /…/ non accade la stessa cosa con le nostre due tesi menzionate? Consideriamo la seguente tesi : “chiunque intenda l’enunciato “se A allora B” nel suo corretto senso italiano non può rifiutare il conseguente “B” qualora accetti l’enunciato ipotetico se A allora B e il suo antecedente A /…/ si può forse appurare con sicurezza che qualcuno comprende nel suo corretto senso italiano l’enunciato se A allora B benché non sia ancora deciso se egli si accinga a rifiutare il conseguente pur accettando l’enunciato ipotetico e il suo antecedente? Oppure è possibile accertare che qualcuno associa all’enunciato “fa male” il senso che gli è associato nella lingua italiana se non sembra ancora escluso che egli possa respingere questo enunciato pur vivendo nello stesso tempo una sensazione dolorosa? Noi crediamo che questo sia impossibile…

Questo è ciò che comunemente si crede e cioè che per un parlante la lingua italiana può o negare il conseguente “fa male” per i fatti suoi o accoglierlo e quindi andare in questa direzione che è la direzione del senso comune, dice non è possibile uscire da questa connessione di proposizioni perché non è un fatto psicologico ma perché esperisco una cosa del genere ma perché io ci credo perché non posso non affermare che una martellata sul dito fa male perché è una deduzione cioè qualcosa che è implicito nella premessa cioè in quella proposizione che dice una martellata sul dito fa male) non sembra che dicesse questo (a me è sembrato che dicesse questo cioè questa connessione strettissima fra l’espressione dolorosa e il conseguente “fa male” non è qualcosa che riguarda l’esperienza ma è una deduzione che si trae dalla premessa perché è nella premessa…) quindi è una deduzione e da cosa la deduco? (lo deduco lo traggo dalla premessa “mi do una martellata sul dito” è implicito in questa proposizione che io possa usare di questa proposizione per continuare “fa male” cioè che io sappia che fa male e questo serve a che io lo sappia questo, cioè io so per definizione che fa male) e non può non farlo neanche se ha la mano paralizzata? Neanche se ha un dito congelato? (bisogna distinguere) facciamo delle distinzioni, in un caso normale (in un caso normale fa male per un parlante) in un caso normale chiaramente deve rientrare all’interno di una serie di cose ristrette (certo i sensi o luoghi comuni dati da una cosa del genere non sono moltissimi, quindi in un caso normale le proposizioni che si producono “fa male” e non ce ne sono altre che poi uno voglia negare, nel caso che uno parlando la lingua italiana, il caso in cui all’enunciato “mi do una martellata sul dito” a questo enunciato sia connesso un altro enunciato quello per cui il senso di quella proposizione non è il senso che noi attribuiamo, per noi che parliamo la lingua è non immaginabile proprio perché parlanti di questa lingua, io parlando la lingua non posso fare come se non la parlassi io mi muovo con quelle pedine, non posso uscire dal linguaggio e tornarci a piacimento, come dire se uso una pedina non posso non sapere che non la sto usando, è come se funzionasse quella regola che per cui non posso credere vero quello che so essere falso, per cui è inimmaginabile per una persona che parla la lingua, o non la parla oppure se parla la lingua deve sapere che commesso alla martellata sul dito c’è che fa male o meglio deve giocando questo gioco sapere che interviene dolore ed è un senso tra i più giocati) adesso confuti tutti quello che ha detto, provi esattamente il contrario cioè dobbiamo provare che darsi una martellata sul dito non comporta necessariamente “fa male” (io posso immaginare come parlante della lingua italiana posso immaginare che non faccia male che faccia per esempio “mettersi a ballare la rumba” ma sto immaginando e ciò che traggo è che per contrapposizione fa bene e quindi non è nient’altro che una figura del quadrato logico cioè fa male, non è vero che fa male, fa non male, fa bene ecc. ma “immagino” , come dire che non esco da una certa posizione) se io mi do una martellata sul dito e non succede assolutamente niente? (Certo non possiamo negare che parlando questa sia l’unica connessione possibile) io prendo il martello e lo “poso” sul dito è una martellata non succede assolutamente niente e questo dovrebbe negare tutto ciò che ha scritto Ajdukiewicz, io ho compiuto questa operazione e non c’è stato il male (è un po’ come ciò che si ricava da “tutti gli animali sono mortali ma un animale no” io non posso negare che questo a priori possa accadere) no, no non posso negare nulla può accadere qualunque cosa però lì mi sembra un po’ più forte la questione perché se accade questo allora necessariamente accade quest’altro, è questo che può lasciare qualche perplessità potrebbe non essere così automatico tra l’altro ha preso anche un pessimo esempio, se accetto l’inferenza “se A allora B” e se accetto A allora accetto necessariamente B, un sacco di persone che ci hanno seguiti hanno accolto la premessa maggiore cioè che “nulla è fuori dalla parola” e sanno che se A allora B, abbiamo anche mostrato se allora B, hanno accolto la premessa ma non hanno affatto accolto le conseguenze cioè tutto ciò che ne consegue, anche questo pare non essere così automatico come dire che anche se il linguaggio funziona in questo modo, però, però un conto è il calcolo proposizionale altro è il discorso, lì fanno una sovrapposizione continua fra il calcolo proposizionale dove effettivamente se A allora B dove se accetto A allora devo accettare B, però nel discorso e lui ci mette dentro le sensazioni, le cose non vanno in modo così semplice, per cui una martellata sul dito fa male, non è necessario perché non è sempre così, io prendo il martello e faccio Tuc… (essendo un parlante) certo questo lo diamo per acquisito faccio Tuc e non sento niente e questo di per sé confuta tutto quello che ha scritto Ajdukievicz quindi mi son dato una martellata sul dito e non ho sentito assolutamente niente (però se lui metteva un martellata forte…) quanto? Cioè a questo punto dovete mettere talmente tante restrizioni….ci sono quelli che invece del dolore provano piacere i noti masochisti…. Ci sono quelli che hanno una soglia del dolore molto alta per cui se si dà una martellata sul dito di un bambino piccolo fa molto male se la dà a me o a Cesare magari non ci fa niente, allora deve essere una martellata con una certa forza, poi la persona deve essere in certe condizioni, cioè tutta una cosa talmente ristretta che lascia indicare la presenza di precise regole del gioco, perché tutto l’esempio di Ajdukievicz può essere ricondotto ad un altro gioco molto più semplice: se io ho quattro sette e Cesare ha quattro assi, a poker, allora vince Cesare, esattamente la stessa cosa ….(a me interessava questo esempio intanto per parlare di come funziona la lingua, ma poi per andare oltre a un enunciato di questo genere….) perché come la pone Ajdukievicz sembra che la sensazione sia una cosa che è al di fuori del linguaggio che il linguaggio necessariamente la debba esprimere (in effetti lui pone un’espressione che fa capo a pensieri negativi e a pensieri positivi) sì ma il linguaggio non è un’espressione, non potrebbe esistere se no sarebbe espressione di che? Di qualcosa che è nel linguaggio ovviamente, l’espressione di altri istanti linguistici ancora qui siamo lontani dalla questione, (siamo molto lontani dalla questione, però perché ho ripreso questo saggio?) la questione della realtà (può sembrare, parlo di sembrare impossibile da quelle che sono… ciò che ha stabilito il linguaggio tutto sommato, se si prende il linguaggio come una entità metafisica come per altro lui fa…..) la questione annosa, un animale prova dolore? È fuori dal linguaggio e quindi non dovrebbe provare dolore, io posso affermare che prova dolore, posso fare solo questo, nient’altro che questo, tutto il resto è assolutamente arbitrario, cioè io attribuisco delle cose ma le attribuisco io, posso attribuirgli qualunque cosa a questo punto dal fatto che si comporta in un certo modo, certo, ma il fatto che si comporta in un certo modo, sono sempre io ad interpretarlo, quello che mi pare, quello che mi sembra…la questione della realtà è sempre molto complessa, occorre intendere come si costruisce, come il linguaggio la costruisce, a partire da che cosa, come la mantiene (per questo avevo ripreso questo testo che studia la struttura logica del linguaggio) si possono trovare molti luoghi comuni però portano molto lontano, noi ormai lo abbiamo fatto se non ci fosse il linguaggio non esisterebbe il dolore, non esisterebbe il dolore come non esisterebbe alcunché, la condizione che qualcosa esista è che esista il linguaggio che mi consenta di affermarlo, che esista qualcuno per cui qualcosa esiste, la stessa cosa vale per questo orologio come per il dolore, no, dice, il dolore esiste lo stesso! Ma come lo so? O esiste che cosa esattamente? Non c’è nessuna possibilità di rispondere a questa domanda, quindi sono affermazioni assolutamente arbitrarie, affermare che il dolore esiste anche fuori dalla parola, essendo arbitraria è valida quella come la sua contraria cioè non ha nessun motivo per imporsi (se uno non ha esperienza del dolore? Può succedere io posso imparare la grammatica italiana per leggere che la martellata sul dito crea dolore ma io non avendo esperienza perché non l’ho provato ma avendolo solo letto, io fin che non provo non posso asserire che questo è vero e se non provo quella proposizione non mi dice nulla, cioè è solo una proposizione presa nel linguaggio) ma provare il dolore… il linguaggio consente di costruire delle proposizioni intorno a qualunque cosa quindi anche alle sensazioni o a qualcosa del genere, per esempio uno può non essendosi mai preso una pallottola sapere che prendersi una pallottola nella pancia fa male, come fa a saperlo? Non è mai successo, però ha buoni motivi di pensare che faccia molto male perché ha esperienze simili, non da una pallottola, così non sa cosa si provi ad essere bruciati vivi, però ho provato a scottarmi la punta del dito e posso costruire una quantità, ci sono delle proposizioni che vengono costruite a partire da alcune cose, ecco mettiamola così, avvertire una certa cosa, posso parlare di questa cosa solo all’interno del linguaggio, quindi solo all’interno del linguaggio posso costruire delle proposizioni e posso dire cosa provo e cosa non provo, non posso pensare come sarebbe senza linguaggio, è impossibile farlo, ho detto tante volte che non c’è uscita dal linguaggio, non potendo pensare fuori dal linguaggio mi è impossibile pensare come potrebbe essere se esiste il dolore, non ha nessun senso, a questo punto posso rispondere qualunque cosa e il suo contrario è altrettanto gratuito, prendendo la questione in questi termini ecco che diventa molto più semplice e tutta la questione che pone Ajdukiewicz si risolve molto semplicemente, si risolve se, lui questo non lo fa, se pone tutto ciò che lui afferma come una regola del gioco, c’è una regola che dice che se accade un certo fenomeno allora affermo che mi duole, è una regola del gioco, porla come vorrebbe lui in termini di necessità è arduo perché ci sono dei contro esempi che smontano la sua argomentazione, una martellata oppure il masochista… come la mettiamo? La martellata sul dito fuori dal linguaggio non esiste per niente, non può essere nulla, nel linguaggio acquisisce tutta una serie di connotazioni poi se la martellata me la dà un amico per sbaglio sento poco dolore, se me la dà una persona che mi sta antipaticissima sento malissimo ed ho una reazione violentissima per esempio, così come un pestone me lo fa una persona simpatica e si scusa sorridendo, lo fa una persona che è antipaticissima e sgarbata fa molto male e si reagisce malamente, allora qual è la misura? Com’è che in un caso sento molto male e nell’altro quasi niente, com’è che se non sto facendo nulla e mi annoio mi faccio un graffietto e mi fa malissimo? Se invece sono impegnato a fare cose che mi piacciono moltissimo e che mi divertono mi faccio un graffietto e neanche me ne accorgo, allora dove questo dolore? Qual è la soglia del dolore? Come faccio a sapere quanto dolore provo se questo stesso taglietto non produce sempre quel dolore? Secondo Ajdukievicz dovrebbe sempre essere così (infatti lui pone queste proposizioni universali, ferme e immobili, non mutano) è vero che il linguaggio funziona con queste procedure cioè attraverso le inferenze ma la cosa che gli sfugge è che questa diavoleria della realtà fa in modo che non funzioni più così o almeno apparentemente e cioè la nozione di realtà può compiere questo miracolo per cui se A allora B e accolgo A comunque non B, contro ogni logica certo, eppure è ciò che ciascuno di voi esperisce quotidianamente, perché la nozione di realtà è qualche cosa che non si cura della logica anche se è costruita ovviamente dal linguaggio che è fatto così ma come dicevamo tempo fa impedisce l’accesso al sistema operativo e quindi impedisce l’accesso a potere considerare che se parlo allora funziona questo e se funziona questo cioè l’implicazione allora ne traggo tutte le conseguenze cioè questo B famoso che invece la nozione di realtà mi impedisce di trarre, fa questo la realtà oltre che una infinità di altre magagne, impedisce l’accesso al linguaggio, che è quello che fa Ajdukievicz il linguaggio è una cosa e le sensazioni sono un’altra, linguaggio ed espressione, sono fantasie cioè lui stesso fa quella stessa cosa che dice che è impossibile fare, se A allora B è necessario che sia, dice accetto A e quindi necessariamente B, per una questione logico grammaticale, per cui se dico allora, l’allora grammaticalmente è una congiunzione che mi rimanda a un altro elemento, fa questo, eppure lui stesso non compie questa operazione che afferma essere necessaria, se c’è il linguaggio e questo è lo strumento logico, lui stesso anche se non lo dice in termini molto espliciti, è lo strumento quello che mi consente per cui se è un parlante e parla questa lingua allora necessariamente dice questo (…) sì, sì , ma se lui parlante dice questo che se a una proposizione ne segue necessariamente un’altra allora dovrebbe concludere che qualunque proposizione è necessariamente un atto linguistico anche l’affermazione del dolore, e questo non lo fa, perché? Perché non fa lui stesso ciò stesso che dovrebbe essere inevitabile, perché lui stesso è travolta da questa fantasia della realtà, della quale vedete la potenza immane anche Ajdukievicz che non è uno sprovveduto, e come molti altri ciononostante la nozione di realtà rimane lì, dobbiamo intendere come il linguaggio costruisce questa nozione (…) spesso si giunge ad un accordo rispetto alla realtà, all’esistenza ecc…si giunge ad un accordo e sono proposizioni ma non di ciò che si vede, ciò che si vede si può anche dire sono proposizioni ma quello che vedo è quello, uno può anche dire sono proposizioni ma quello che vedo è reale forse questo è ancora più difficile indurre a considerare che ciò che vedo è un’inferenza… sì la vista fa qualcosa di curioso per cui rimane straordinariamente difficile attribuire ciò che vedo a ciò che dico (…) questo è un luogo comune tra i più tosti, forse con questo dobbiamo confrontarci con questo luogo comune, ciò che vedo, è una questione molto complessa, Platone dà indicazione nel Sofista “lo vedi quell’albero? No, non lo vedo se non lo descrivi” come dire ciò che io vedo non è ciò che vedi tu (come Platone sia sprezzante nei confronti dell’arte, occorre intendere la questione) sprezzante come una imitazione di ciò che è vero (…) sì l’immagine nel greco antico eidos da cui proviene sia l’idea, sia l’idolo, l’immagine, infatti platonicamente le immagini sono nella testa di altre cose che sono nell’Iperuranio, questione molto complicata (il poeta, Freud, diceva di come la vista sia ciò che permette la paura…) la questione dell’immagine ricondurre l’immagine all’atto linguistico (l’immagine è magia, l’atto compiuto) bisogna porla in termini logici per affrontarla in termini retorici come siamo usi fare (le immagini non ci sarebbero se non ci fossero proposizioni con cui giocano) dove possiamo cominciare ad affrontare la questione dell’immagine? La questione è che nel luogo comune l’immagine consente di reperire la realtà, però c’è qualche passaggio che sfugge… va bene ci pensiamo.