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5-8-2009

 

C’è qualche questione da porre?

Intervento: io ho portato gli ultimi scritti di Wittgenstein “La filosofia della psicologia” visto che ultimamente stiamo parlando dell’osservazione e di giochi linguistici, l’ultima volta Antonella chiedeva come spiegare ad un pubblico che qualsiasi cosa è un gioco linguistico, beh per spiegare ad un pubblico che cos’è un gioco linguistico in prima istanza occorre che noi stessi siamo capaci di spiegarci che cos’è un gioco linguistico e io ho ripreso questo testo di Wittgenstein perché mi sembrava che ci fossero cose importanti su cui riflettere ma soprattutto come ascoltare un gioco linguistico perché lui qui come in altri testi mostra giochi linguistici:

P. 866 - 877.

Quindi come si impara un gioco linguistico?

Intervento: si impara parlando nel senso che …

L’ha detto a un certo punto in modo esplicito: così come un bambino impara guardando gli adulti che giocano a tresette a un certo punto impara a giocare al tresette …

Intervento: lo impara parlando, però ci sono parecchie questioni che lui ha portato avanti dall’inizio in queste proposizioni e le porterà fino alla fine una di queste la simulazione proviene dall’incertezza di ciò che sente l’altro, dall’utilizzo della parola “dolore” per esempio, per cui io non posso mai essere certo di quello che l’altro prova fino a non essere mai certo di quello che provo io e quindi non avere nessun criterio sul quale basarsi per stabilire una certezza, un criterio di certezza … dicevo dell’incertezza del pensiero degli umani i quali non possono basarsi su nulla, lui qui parlava anche di mimesi di questo concetto che pare non un concetto ma una realtà nel senso che le persone così dice la psicologia si immedesimano continuamente nell’altro ma come si immedesimano nell’altro? la psicologia parla di stati d’animo o di cose di questo genere … la psicologia descrive la mimesi come un fatto primigenio nel senso che le persone hanno la capacità di “copiare” “entrare” nell’altro e di non accorgersi che è il proprio discorso che costruisce quello che l’altro sente, vede e quindi questa incertezza dicevo per esempio legata al concetto di dolore del quale io non posso essere certo che questo dolore sia qualche cosa di uguale per tutti, che esista da qualche parte o che “lui senta dolore”, il dolore è qualcosa che empiricamente si attribuisce a qualcosa che è all’interno della persona, qualcosa di interno alla persona per cui soltanto di quello che dice la persona noi possiamo avere la certezza però di solito non ci si basa sulle parole della persona ma su quello che ha voluto dire, si interpreta e si parla di stati d’animo e Wittgenstein mostra come quello che è possibile ascoltare in tutto questo non sia nient’altro che delle proposizioni quindi dei giochi linguistici che raggruppano sotto mentite spoglie tutto un mondo di questioni che sono dette, per esempio, da questo aggettivo o da quel pronome …

Intervento: ma parla di dolore fisico o dolore?

Intervento: proprio di dolore fisico in questo caso parla di dolore fisico e quindi di simulazione e quindi di inganno e questo inganno è proprio dato dall’impossibilità di avere una certezza per esempio di quello che sia il dolore perché anche quando io parlo di dolore io immagino che sia come il dolore dell’altro e tutto questo perché il criterio della nostra certezza ci viene dal comportamento che noi vediamo e tutto quello che possiamo dire di uno stato d’animo lo diciamo perché lo inferiamo da ciò che vediamo, dall’osservazione … quando un altro ha dolore “esprime” diciamo così il suo dolore in un certo modo nel senso che io posso riconoscere un faccia dolorante da una faccia allegra ma chi mi dice che il concetto di dolore in queste proposizioni quindi in questi giochi linguistici sia lo stesso dolore? È difficilmente immaginabile che uno che prova dolore abbia invece una faccia allegra ma questo non è necessario, non è necessario tutto sommato dover mostrare all’altro il proprio dolore ecco per esempio di qui la finzione, l’inganno e tutte queste cose qua …

C’è qualche considerazione?

Intervento: il bambino piange e qualcuno si occuperà di lui, come fa ad arrivare a questa considerazione?

Per induzione, però Wittgenstein parla di simulazione, dice che l’animale impara che di fronte a certe cose, come ha fatto Pavlov con i cani, però il cane non può simulare, non può ingannare …

Intervento: ma neanche il bambino inganna …

Finché non parla no. Infatti dice l’animale non mente ma neanche è sincero …

Intervento: non ho capito, lui dice che il dolore fisico lo si impara …

In un certo senso sì, nel momento in cui il linguaggio si installa qualunque cosa accada è sempre comunque vagliata, filtrata per così dire dal linguaggio, tant’è che in assenza di linguaggio dire che una persona, una cosa, un’animale prova dolore è un arbitrio perché non esiste il concetto di dolore, possiamo intendere il dolore come un segnale, un segnale di un mal funzionamento del sistema, anziché accendersi un led si infiamma il nervo e produce a ripercussione degli effetti tali che noi chiamiamo dolore, ma se non c’è una struttura che consente di sapere che cosa sta succedendo, di intendere tutta una serie di cose in effetti affermare che un cane prova dolore lo facciamo perché gli attribuiamo quello che noi sappiamo, ciò che noi pensiamo, ma per esempio un cane non attribuisce a un altro cane il dolore …

Intervento: ma neanche il bambino inganna …

Intervento: e allora dire che il bambino impara che cos’è il dolore …

Sì, quando già si è installato il linguaggio e il bambino ha già imparato certi giochi linguistici …

Intervento: e soprattutto direi che questo testo è importante perché lui cerca soprattutto di trovare il criterio perché per esempio critica la psicologia? Perché la psicologia si basa sul comportamento della persona cioè su ciò che vede e quindi il criterio è la vista e quindi il gioco linguistico, è come se la realtà fosse basata sul gioco della vista e quindi dell’osservazione …

Ci sono altri che vogliono dire qualcosa?

Intervento: quando il bambino si accorge che se dice di avere male allora l’adulto … c’è già una causa e un effetto … sta già inferendo e quindi è già un primo approccio alla struttura del linguaggio …

Interviene quella che Wittgenstein chiamava simulazione, cioè sta mentendo in un certo senso poi in realtà non va da nessuna parte però ha imparato che se fa vedere di avere male si occupano di lui e allora fa finta di stare male, è una cosa tra le più diffuse tra l’altro, l’esempio che fa forse non è casuale come la malattia diplomatica, sa che cos’è la malattia diplomatica? C’è un diplomatico che deve ricevere una tale persona però se la riceve ci sono dei problemi perché si mette in urto con altri ma deve riceverla perché è necessario per mantenere le relazioni diplomatiche, ma se lo fa si mette in urto con altri e allora ecco la malattia diplomatica e così salva capra e cavoli, la famosa malattia diplomatica che fra l’altro è molto utilizzata, si tratterebbe, ma qui il discorso va oltre a quello che voleva dire Wittgenstein naturalmente, del fatto che in molti casi la malattia, anche la malattia più banale, effettivamente è prodotta per secondi fini anche se la persona non se ne rende conto, così come molti incidenti in realtà sono dei lapsus, cioè la persona deliberatamente, a un certo punto come mai non vede quella cosa? Ce l’ha davanti al naso, non l’ha vista, è andata a sbatterci contro. Ci sono altri che hanno questioni?

Intervento: non capisco cosa volete dimostrare …

Questo non è propriamente un corso di dimostrazione, stiamo considerando delle questioni interrogandole, in realtà non abbiamo da dimostrare nulla, quello che volevamo dimostrare lo abbiamo già dimostrato, ma continuiamo a interrogare oltre delle questioni che generalmente non vengono interrogate, e talvolta lungo queste interrogazioni troviamo degli aspetti, delle questioni che appaiono di notevole interesse, per esempio le considerazioni di Wittgenstein, non che Wittgenstein dica chissà che cosa, però potrebbero rilanciare una questione che magari non è stata considerata attentamente. Accade che delle questioni che si suppone di conoscere bene mostrino degli aspetti assolutamente sconosciuti e che se interrogati possono condurre anche molto lontani, per esempio come avviene in qualunque ricerca teorica non che ogni cosa che si dice sia una cosa suprema però per trovarla eventualmente occorre interrogare le cose e interrogarle nel modo più rigoroso cioè non accontentandosi delle prime risposte che possono venire in mente anzi, continuando a interrogare queste risposte. Questo metodo è il metodo psicanalitico in realtà: interrogare, per esempio in un’analisi l’analista interroga la persona cioè vuole sapere da quella persona che sta parlando perché afferma quello che sta affermando, perché? Una persona dice che ha paura dei topi e l’analista gli chiede perché, per esempio, ora però non si accontenta della risposta che fornisce la persona ma continua a domandare e la persona può rispondere “perché ho visto un topo da piccolo e mi ha fatto paura”, si interrogano delle risposte per venire a sapere di più, per fare in modo che la persona stessa sappia di più della sua paura della quale generalmente sa molto poco, sa che ha paura e basta, il compito dell’analista è fare in modo che sappia non soltanto tutto ciò che c’è da sapere rispetto alla sua paura ma anche perché è venuta quella paura, a cosa gli serve, se le è venuta a un certo punto una paura non è che nasce da niente, ha una funzione, serve a qualche cosa quella paura, il compito dell’analista è fare in modo che la persona sappia a che cosa serve la sua paura, un po’ come la malattia diplomatica che serve a qualche cosa, solo che nel caso del diplomatico lui sa perfettamente quello che sta facendo, mentre in altri casi per via di una serie di giochi linguistici che si contrappongono fra loro, la persona è come se perdesse di vista il punto di partenza e si ritrova solo con le conclusioni “ha paura del topo”. Supponiamo per esempio che una persona si trovi ad avere idea, a un certo punto del suo percorso, di non essere stata amata a sufficienza, non è una cosa così insolita, è abbastanza frequente. Naturalmente la persona è convinta di non essere amata ma questo indipendentemente dal fatto che lo sia oppure no, cioè indipendentemente dal fatto che le persone che le stanno intorno l’amino oppure no, è convinta di non esserlo, da dove viene questa convinzione? Perché è sorta a un certo punto? A cosa serve? Queste sono le domande che in una analisi è necessario porre e alle quali è necessario rispondere, e cioè costruire altre argomentazioni a fianco, per esempio la persona può accorgersi che il fatto di pensare di non essere amata ha una funzione nel suo discorso e cioè per esempio immaginare che tutti siano cattivi oppure immaginare che è una persona indegna, può succedere, per esempio se i genitori per il bimbetto in questione hanno dato maggiore affetto alla sorellina allora si trova di fronte a un dilemma: o i genitori sono degli infami, malefici, oppure se si sono comportati così hanno un buon motivo e cioè “io non sono degno” del loro affetto. A questo punto può prendere entrambe le vie, perché ne prenda una oppure un’altra questo è difficile dirsi, però o prende la via per cui i genitori sono degli infami, e allora si contrapporrà a loro sempre e comunque e scatenerà una lotta infinita contro di loro, oppure manterrà invece l’affetto nei confronti dei propri genitori e allora infame e ignobile diventa lui e quindi deve rappresentare questa cosa, per cui se a questo punto lui decide di sé di essere infame e ignobile è ovvio che nessuno lo ama più perché è una persona indegna, il peggiore malefico che sia stato sul pianeta, in questo modo salva l’affetto per i genitori al prezzo naturalmente di assumere su di sé la responsabilità del fatto di non essere stato amato, cosa che lui ha creduto fortemente è stata una cosa per lui assolutamente vera, indubitabile anche se assolutamente falsa naturalmente, però per lui funziona come vera e si comporta di conseguenza. Per tutta la vita non solo continuerà a pensare di non essere amato ma creerà le condizioni, per esempio in ogni relazione per cui la relazione vada a catafascio, in modo di potere dimostrare comunque e sempre di non essere amato, perché è non degno per esempio. In una analisi si tratta di interrogare ovviamente la persona e la cosa più importante che accade lungo un percorso analitico, e qui ci vuole la presenza dell’analista se no non succede mai, è quel passo per cui la persona si accorge che il considerarsi una persona indegna non è l’effetto di una maledizione degli dei ma è stata una sua decisione, l’ha deciso a un certo punto in base a delle motivazioni che potrebbero essere quelle che ho illustrate prima che questa idea l’ha creata per un motivo, cioè è funzionale a qualche cosa, non è che viene da niente e se l’ha fatto è per un ottimo motivo. L’esempio che facevo prima riguardava salvare l’affetto nei confronti dei genitori se no avrebbe dovuto concludere che sono dei maledetti infami e quindi scatenare nei loro confronti una guerra, se lo fa può diventare, per esempio, un paranoico, un isterico se non lo fa molto probabilmente diventerà un ossessivo. Ma dicevo di interrogare le cose, come interrogare le cose, per esempio in questa fase dell’analisi come interrogare la persona? In un modo che non è così distante dal modo in cui si interroga una teoria: si chiede a questa teoria di chiedere conto di sé e cioè su che cosa si fonda e se ciò su cui si fonda ha ragione di essere oppure è una fantasia qualunque? Per esempio la teoria del linguaggio di Heidegger è una teoria che è fondabile oppure no? La teoria che una persona si costruisce intorno al fatto di non essere amata è fondata oltreché fondabile oppure no? Se non lo è non ha bisogno di essere creduta, cioè la persona non ha più bisogno di credere fortissimamente di essere una persona reietta, cessa di crederci così come una persona smette di credere a babbo natale o alla madonna di Lourdes o a qualunque cosa quando interrogando questa cosa si accorge che è fondata su fantasie, su pensieri che gli sono serviti per risolvere per esempio un problema certo, che magari da piccolini è difficile risolvere, come quando i genitori chiedono ai bambini “vuoi più bene alla mamma o al papà?”. Occorre tenere conto che un bimbetto di pochi anni non ha moltissimi elementi per affrontare questioni ardue, per cui le risolve nel modo più semplice, trovando una sorta di compromesso, il problema è che questo compromesso in molti casi se lo porta appresso per tutta l’esistenza, e senza che lui lo sappia questo compromesso piloterà tutte le sue scelte, le sue decisioni di persona adulta, che sia un politico, un capitano d’industria o un medico della mutua o un insegnate di geometria comunque tutte le sue decisioni, le sue scelte saranno pilotate da questa cosa che ignora, ma perché saranno pilotate da questa cosa? Perché è stata una delle prime cose che nel suo discorso sono state stabilite come vere, come assolutamente vere e, come tutte le teorie che si rispettino muovono da qualcosa che è ritenuto essere assolutamente vero, a torto o a ragione questo è un altro discorso, però perché possa essere costruita una teoria qualunque, sia una teoria personale sia una teoria sull’ingegneria genetica, necessita di essere costruita su delle premesse che si ritengono e sottolineo si ritengono vere, anche se tali non possono essere dimostrate. C’è sempre una sorta di connessione tra il modo in cui si interrogano delle questioni come queste per esempio e il modo in cui si interroga una persona in una analisi, e lo scopo nel primo caso è di intendere se ciò che dice Wittgenstein può essere di qualche utilità, cioè può aprire ad altre questioni, nel caso dell’analisi di una persona lo scopo è fare intendere alla persona che le cose in cui crede non sono necessarie cioè non ha bisogno di crederci perché non sono esattamente così e quindi anche in quel caso può la questione aprirsi ad altre cose, può diventare libera e in effetti l’unica libertà è quella dalle proprie paure e dalle proprie superstizioni, questa è la libertà fondamentale. Ciascuna persona anche se non se ne accorge, e non se ne accorge di fatto, è come programmata, pilotata da una sequenza di elementi che all’interno del suo discorso sono stati stabiliti come veri e sui quali costruisce la sua esistenza per cui può giungere a delle conclusioni che possono apparire sì valide, ma che di fatto sono costruite su niente, su superstizioni. D’altra parte anche quello che si fa saltare per aria con una cintura di esplosivo è assolutamente convinto che la sua idea sia totalmente corretta e di essere assolutamente nel giusto, questi sono esempi estremi ovviamente ma per dire che qualunque decisione, qualunque opinione è costruita su delle superstizioni, credenze più o meno antiche. Ciascuno nel corso della sua esistenza ha immagazzinate una quantità notevole di informazioni naturalmente …

Intervento: …

Non è un bisogno, in alcuni casi il disagio arriva ad un punto tale che la persona avverte l’esigenza di fare qualcosa, se no comunemente la persona considera che le cose che pensa siano assolutamente corrette, vere, questo indipendentemente dal fatto che un’altra persona consideri assolutamente corrette e vere le cose che sono assolutamente contrarie alle sue naturalmente, da qui alcune incomprensioni fino alle guerre, per questo abbiamo detto anche lungo le conferenze che la cosa fondamentale per una persona è riuscire a sapere perché pensa le cose che pensa, indipendentemente da quello che pensa, ma perché pensa una certa cosa, perché per una persona una certa cosa è un valore per esempio? Vale al punto tale da essere disposto a sacrificare la propria vita in alcuni casi per quella cosa, immaginate le scelte di persone che hanno la capacità di fare anche grossi danni come un personaggio politico, un personaggio della finanza internazionale, le sue scelte, le sue decisioni sono mosse da dati di fatto? Anche certo, ma quanto influiscono le sue fantasie? Le sue paure? Le sue ansie? Le sue superstizioni nelle sue decisioni? Decisioni che poi andranno a cascata a ricadere su milioni di persone magari. Sarebbe mai riuscito un tale Adolfo Hitler a convincere milioni di tedeschi a invadere il mondo o almeno cercare di farlo se ciascuno di questi avesse avuto l’opportunità di sapere esattamente perché pensava le cose che pensava e di sapere quali fossero all’occorrenza le sue fantasie, timori, angosce, ansie, paure? Sarebbero stati così disinvoltamente accondiscendenti? Oppure gli avrebbero chiesto se fosse matto a pensare una cosa del genere? È molto probabile la seconda ipotesi, nessuno lo avrebbe seguito perché non c’era nessun motivo, e invece le persone sono pilotate dalle ansie, dalle paure, dalle angosce e da tutte quelle cose che ritengono comunque necessariamente, assolutamente vere perché immaginano, ciascuno immagina che quello che pensa corrisponda alla realtà e quindi perché deve metterlo in discussione? Se questo è un accendino che cosa devo interrogare? Il bello è che lo stesso ragionamento lo si fa su cose che hanno ben altra portata dello stabilire se quello è oppure no un accendino, ma la struttura è la stessa e si ripete su questioni che come ho appena detto sono di ben altra portata e hanno ben altri effetti. Per questo è importante imparare a pensare, imparare nel senso di acquisire quegli elementi che consentono di giungere, come ho detto prima, a sapere perché si pensano le cose che si pensano, e che non si pensano perché corrispondono alla realtà delle cose, è da qui che ad un certo punto la nostra ricerca si è diretta verso una direzione precisa, e cioè non le penso perché la realtà è quella che è, perché se così fosse ci sarebbe un’unica opinione ma non è così e allora come si formano le opinioni? Qual è la struttura che consente di costruire le opinioni? Ecco che ci siamo orientati verso il linguaggio che è quella struttura che consente di costruire opinioni, e uno scarafaggio non si fa opinioni, non può farlo e neanche un posacenere si fa opinioni, gli umani invece hanno questa prerogativa e possono farlo soltanto perché sono forniti di linguaggio, se no non sarebbero molto differenti dallo scarafaggio. Eleonora cosa ho omesso, cosa manca per rispondere alla nostra amica Lidia? Tuttavia è vero quello che lei dice, nessuno interroga le cose, non è una cosa che si pratichi, meno che mai nelle scuole, nessuno insegna a fare una cosa del genere, si impara e basta e si ripete, non si fa così agli esami? Non che questo non debba avvenire ovviamente perché prima di interrogare qualcosa occorre prima conoscerla ovviamente, però spingere le domande, le interrogazioni aldilà dell’immaginabile ha degli effetti straordinari e si vengono a trovare e a incontrare delle cose strepitose alle quali non si era mai pensato prima. L’analisi è la via regia per giungere a questo risultato: sapere perché si pensano le cose che si pensano, poi occorre imparare a leggere i testi per interrogarli? Non è necessario anche se torno a dire è molto utile perché questo stesso lavoro che si è fatto sul proprio discorso, sulle proprie certezze, credenze, superstizioni si applica poi con estrema facilità su qualunque cosa, su altre persone, su un testo, su qualcosa che si è sentita, su qualunque cosa, la struttura è sempre la stessa: chiedere conto alla cosa di rispondere di sé. Qualcuno lo ha tentato naturalmente, è da tremila anni che gli umani pensano, almeno da quando c’è testimonianza di loro, il problema è che se si cerca una risposta a questa questione al di fuori del linguaggio non si trova, gli umani ci hanno provato fino ai tempi più recenti ma ciò che accade quando cercano il fondamento ultimo di qualche cosa è che trovano dei paradossi all’infinito senza possibilità di venirne fuori, tant’è che una delle ultime correnti filosofiche di Gian Teresio Vattimo che ha ripreso l’ermeneutica è appunto l’idea che la verità non c’è, quindi non rimane che il discorso che gira intorno a qualche cosa, senza tenere conto che il fondamento c’è di fatto, ed è quello che consente di pensare qualunque fondamento ad esempio e senza il quale nessun problema potrebbe neanche porsi, non sarebbe neanche mai esistito, così come gli umani non sarebbero mai esistiti perché nessuno si sarebbe mai potuto dire umano né avrebbe mai pensato di sé di essere umano oppure no, è un po’ domandarsi cosa c’è fuori dal linguaggio per esempio, è una domanda che il linguaggio consente di formulare però non consente di rispondere perché occorrerebbe andare fuori dal linguaggio e da lì pensare cosa c’è fuori ma con che cosa pensa se è fuori dal linguaggio? Non pensa più, quindi la domanda non può porsi, è una di quelle cose che Wittgenstein avrebbe chiamato non senso, cioè cose alle quali in realtà non è possibile rispondere perché per poterlo fare occorre eliminare quella stessa cosa che consente di pensarle.