Volevo
parlarvi di questo testo che non dice molto di più di quanto già forse non
sappiate però volevo fermare l’attenzione questa sera su un aspetto particolare
dell’argomentazione cioè le fallacie. Sarebbero le fallacie gli errori di ragionamento,
gli errori logici. L’entimema è un sillogismo particolare in cui manca una
delle due premesse, o la premessa maggiore o quella minore.
Intervento: Il paralogismo?
Il paralogismo è un’argomentazione quasi logica.
Dunque, vediamo se qui ci dice qualche cosa che può interessarci, perché una
fallacia in un ragionamento conduce ad una conclusione diciamo insostenibile.
Questo c’interessa perché, generalmente ciò che una persona conclude nei suoi
ragionamenti è ciò che piloterà la sua condotta, che se conclude una certa cosa
questa la ritiene vera ed essendo vera si muoverà di conseguenza,
necessariamente. Dunque, qui c’è la fallacia d’ambiguità, la fallacia
d’argomento d’autorità, argomenti che si attengono ai sentimenti, argomentum ad
ignorantiam, a petitio principii, fallacia di posizione, fallacia d’illusione,
fallacia di ignorantiam elenchi, fallacia del non sequitur, fallacie
statistiche ecc... Ecco la lista di fallacie.
Allora, l’ambiguità, dice qui, è una delle
principali fonti di ragionamenti fallaci, diciamo che un termine è ambiguo se
ha più di un significato. Se per esempio dico: “John ha un cuore buono”, non è
chiaro se intendo che John ha un cuore generoso o se intendo che ha un cuore
forte. Termine ambiguo, cioè buono, e quindi ambiguo perché può essere
interpretato in almeno due modi. Fa un piccolo esempio qui. Tutti gli uomini
sono fratelli in una fraternità condivisa, tutti i fratelli di confraternita
sono studenti universitari, tutti gli uomini sono studenti universitari. Qui
abbiamo una fallacia di ambiguità: diciamo tutti gli uomini sono fratelli in
una fraternità condivisa intendiamo dire che non ci sono differenze
fondamentali tra gli uomini, riguardo al loro statuto di esseri umani ecc... Ma
quando diciamo tutti i fratelli in una confraternita sono studenti universitari
intendiamo che ogni singolo membro di una confraternita è uno studente
universitario. Questa, che sembra una banalità, ed in effetti è da considerarsi
tale, pone l’accento su una questione che abbiamo già discusso in varie
occasioni, e cioè sul fatto che accade di utilizzare nel discorso, anche nel
discorso fra se e se, dei termini di cui non è chiaro il senso, per cui vengono
usati in modo ambiguo. Cosa comporta questo? Comporta che utilizzando uno di
questi termini all’interno di un qualunque ragionamento questo termine potrà
assumere diversi sensi a seconda dell’intenzione di ciò che si vuole provare.
Questo ha degli effetti nell’argomentazione, l’effetto principale è quello di
fare concludere molto rapidamente laddove invece occorrerebbe riflettere molto
meglio. Come dire che ciascuna volta in cui si ragiona intorno a qualche cosa
occorrerebbe avere almeno un’idea di ciò di cui si sta parlando. Cioè, per
esempio, non si è in condizioni di definire cosa si sta dicendo, ciononostante
si usa quel termine tranquillamente in moltissime volte, e allora può sorgere
la questione; quando interviene quel termine di cosa sto parlando esattamente?
C’è l’eventualità che non sappia ciò di cui sto parlando e questo si ripercuote
immediatamente su tutte le conclusioni che traggo, che saranno generalmente
piuttosto squinternate.
Perché le conclusioni muovono da premesse che non
sono note.
Intervento: Come se fossero date per scontate.
Sì. Qualcosa che si suppone di sapere, come diceva
Agostino, “Quando nessuno mi chiede che cos’è il tempo lo so, quando me lo
chiedono non lo so più”, finché non ci penso immagino di sapere di cosa si
tratta, appena ci penso ecco che sorgono i problemi. Un po’ la stessa cosa che
trovate quando dei pensieri provate a scriverli, è un’operazione questa per cui
i versi, come direbbero alcuni francesi, di disambiguamento, perché ciò che vi
appare chiaro, se provate a scriverlo, vi appare straordinariamente confuso.
Non è casuale perché, chiaramente, trovandosi a mettere per iscritto dei
pensieri certe connessioni, certe implicazioni o derivazioni devono essere
esplicitate, mentre il pensiero può non farlo.
Per questo anche è un ottimo esercizio provare a
scrivere delle cose, ci si accorge immediatamente di che cosa non è chiaro.
Qui dice: l’argomentazione che ne risulta non è
valida perché la confraternita è una parola usata con due sensi differenti e
l’argomentazione è ambigua ed anche il termine fraternità. La fallacia prodotta
quando l’inferenza non è valida perché una singola parola può essere usata in
due sensi differenti si chiama equivocità, ma il secondo tipo di fallacia è
basato sull’ambiguità quando è ambiguo l’intero enunciato e non qualche singola
parola. Può accadere, anzi, che nessuna parola sia ambigua e tuttavia lo sia
l’intero enunciato a causa della sua struttura grammaticale. Tale ambiguità si
chiama anfibolo o anfibologia cioè un’ambiguità della proposizione. La leggenda
dice che l’oracolo di Delfi nell’antica Grecia non sbagliava mai, però la ragione
della sua infallibilità era che le sue predizioni erano formulate sotto forma
di anfibolo, ovvero che devono essere interpretate almeno in due modi diversi.
Di conseguenza se si verifica uno dei due eventi la predizione dell’oracolo
poteva essere giudicata esatta.
Come se io dicessi domani o pioverà o non pioverà,
uno dei due andrà bene per forza, quindi avrò comunque ragione.
Si racconta che durante il conflitto fra i Greci ed
i Persiani il comandante greco avesse chiesto all’oracolo quale delle due fazioni
avrebbe alla fine vinto. L’oracolo rispose: “Apollo dice che i Greci ed i
Persiani si sottometteranno. Non era chiaro se i Greci avrebbero battuto i
Persiani. In altra occasione quando Ciro il Grande progettava la guerra contro
un certo Re quando rispose alla sua domanda su chi avrebbe vinto dicendo: “Vive
ancora il re che Ciro deporrà” . Si può notare che gli antiboli dipendono dalla
costruzione di un enunciato, l’ambiguità non è dovuta al fatto che le parole
possono essere interpretate in due sensi, piuttosto il fatto che non
comprendiamo il significato dell’enunciato nel suo complesso. Due tipi molto
diffusi di anfiboli sono dovuti:
a) participi non connessi
b) uso inesatto del segno di negazione nel discorso
ordinario.
Si ha l’errore grammaticale noto come participio non
connesso quando non si connette un nome alla locuzione participiale che lo
precede, ad esempio avrei commesso questo errore se avessi scritto la frase
precedente nel modo seguente commettendo l’errore noto come participio non
connesso una locuzione si presenta priva di connessione.
In effetti è ambiguo, non si capisce. Sembra che sia
la locuzione ad avere commesso l’errore piuttosto che la persona che ha usato
la locuzione.
Non dipende da alcune scorrettezze grammaticali gli
errori formali del ragionamento, dipendono invece dal contesto in cui
l’espressione viene pronunciata. Il contesto sembra suggerire che l’espressione
abbia un particolare significato, ma in realtà esso potrebbe anche non averlo
affatto, cosicché l’enunciato indurrebbe in chi lo ascolta o chi lo legge ad
errore, tali fallacie sono note come fallacie contestuali.
Prendiamone in considerazione qualcuna, una delle
più diffuse è la fallacia di senso. Supponiamo che io dica: “il 28% degli
abitanti di Birmingham ha i denti cariati”. Prima di rendersi conto del senso
di questa considerazione bisognerebbe paragonare Birmingham con città delle
medesime dimensioni per vedere se essa ha una percentuale alta o bassa di
persone con disturbi ai denti. Gli annunci pubblicitari commettono spessissimo
la fallacia di senso. Non è raro vedere uno slogan come: “il 62% del medici
fumatori fuma Marlboro”, per esempio. Ciò induce all’errore perché non dice
quanti dottori non fumano nè dice che fumano solo Marlboro. Potrebbe anche
essere che molti medici fumatori fumino qualche altra marca più frequentemente
delle Marlboro, anche se potrebbero provare queste ultime e se decidessero
cambiare.
Cosa dire, dunque, delle fallacie, dell’ambiguità?
Per quanto ci interessa, ovviamente. Considerate un discorso comune, uno
qualunque.
Intervento: Io non ho capito la connessione con il
discorso di Austin.
Sì, non raggiunge l’obbiettivo.
Intervento. Ma la felicità di un enunciato, come
posso stabilire qual’è l’obbiettivo se ...
In questo caso vuol dire che il 62% di persone
fumano Marlboro o no, quell’altro del 28% di abitanti dai denti cariati, cioè
questa statistica è fatta per un motivo no? Per allarmare per esempio ma, se in
tutto il resto delle città del mondo anziché il 28 il 70% ha i denti cariati allora
questa indagine non ha raggiunto l’obbiettivo cioè non mostra che il 28% è una
percentuale alta, bassa ecc...
In effetti dicevo, potete notare in molti discorsi
delle affermazioni che vengono fatte con determinazione e soprattutto con
leggerezza in cui si afferma che la maggior parte delle persone fa così, è una
cosa molto banale, però un’affermazione del genere è fortemente ambigua. La
maggior parte, quanti? La maggior parte qui, ma qui non c’è mica niente, la
maggior parte rispetto a che? E di nuovo la questione che io accennavo prima
della definizione. Se una persona decidesse in un certo modo perché afferma ma
la maggior parte delle persone usa fare così. E’ un enunciato abbastanza comune
no?, tuttavia potete notare immediatamente due aspetti: primo, che l’enunciato
è assolutamente gratuito, non significa assolutamente niente perché non ha
nessun riferimento, nessun parametro; secondo, che se enunciato in questo modo
come se volesse porre questa affermazione che viene fatta che è assolutamente
irrilevante come invece una cosa assoluta.
Ora la persona che pronuncia una cosa del genere sa
che non è assolutizzabile la sua affermazione almeno il più delle volte, ciò
nondimeno compie questa affermazione. Allora qui interviene un altro elemento e
cioè la necessità che un’affermazione del genere si inserisca in un discorso
per confermare qualcosa in cui lui crede. Come dire che io credo che le persone
debbano fare così e come me molte altre lo fanno. Solo che per dare più forza
alla sua argomentazione dice la maggior parte delle persone fanno così. E’
falso. Però, dicendo questo, anche se è falso, è come se corroborasse la sua
superstizione, come se enunciasse una proposizione assolutamente vera, la
verità sub specie æternitate. Tutti fanno così, quindi, anch’io. Cosa comporta
una cosa del genere nel discorso di ciascuno? Comporta che, spesso, le
affermazioni che vengono compiute nel proprio discorso pur non essendo in
nessun modo sostenibili vengono rafforzate da una sorta di superstizione, cioè
da un’altra proposizione che dovrebbe corroborare la prima ma che, a sua volta,
è assolutamente insostenibile. Bisogna vestirsi con la maglia di lana. Perché?
Perché tutti fanno così. Succede di ascoltare queste cose ma a noi interessa la
struttura di un’argomentazione del genere. Non tanto per la questione della
maglia di lana, ma perché coinvolge, come dicevo, una notevole quantità di
affermazioni che vengono fatte direttamente o indirettamente le quali pilotano
quotidianamente la vostra condotta.
Dunque, la fallacia, in questo caso, consiste nel
immaginare che una certa proposizione che io faccio sia in qualche modo, che io
magari non conosco appieno, supportata da buone argomentazioni che io non
conosco. Questa sorta di argomentazione piuttosto strampalata la trovate spessissimo
invece nel luogo comune, nel discorso corrente, soprattutto per quanto riguarda
affermazioni connesse con la scienza e affermazioni connesse con la religione.
Le cose stanno così, io non lo so perché ma qualcuno lo sa. Altri sanno perché,
io no. Questa sarebbe la fallacia d’autorità però anche d’ambiguità, perché in
effetti ciò che affermo a proposito di un’asserzione scientifica, è fortemente
ambiguo perché io non so nemmeno di cosa sto parlando. Ciò nonostante lo
affermo con assoluta fermezza. Il fumo fa male. Come lo sa? Lo dice la scienza.
E allora? Tu sai cosa dice la scienza esattamente? No. Però mi fido di quello
che dice la scienza. Senza sapere assolutamente nulla di ciò che viene
affermato da qualcuno, senza sapere in base a quale criterio, ciò nonostante,
come sapete molto bene, questa è una delle affermazioni più diffuse e tra le
più accreditate, ultimamente. Gli igienisti, i salutisti ecc... Nessuno di loro
saprebbe dire perché, esattamente, il fumo fa male, o in che modo è stato verificato
che dovrebbe provocare il cancro.
In effetti, invece proprio coloro che sarebbero
preposti a studi di questo tipo di fatto vanno molto più cauti, prima di fare
questa affermazione.
Invece l’igienista non ha nessun dubbio sul fatto
che possa far male, senza sapere assolutamente perché. Dunque quando lui
afferma una cosa del genere dovremmo affermare che non sa di cosa sta parlando.
Ma, al di là di questa direzione ce ne sono un’infinità dove potete rilevarli,
naturalmente il maggior interesse in questa operazione è nel proprio discorso
che funziona assolutamente allo stesso modo, e cioè le proposizioni che
affermano con assoluta convinzione una certa cosa di cui la verità non si sa
assolutamente. Questo se considerate che le cose che si affermano con tanta
determinazione sono quelle su cui si costruisce il modo in cui si pensa, quindi
la propria condotta vi rendete conto immediatamente che non è questione da
poco. Gli umani si muovono così come pensano. Se pensano in questo modo si
muoveranno in questo modo. E una persona che può avere detto che..., può
arrivare a proibire il fumo perché convinta che faccia male senza assolutamente
sapere nulla di tutto questo, questa è la portata che pone una cosa del genere.
Ma, rispetto al proprio discorso voi troverete, se vi soffermate, se avete
voglia di farlo, alle cose in cui credete di fronte alla stessa perplessità,
provate a interrogarvi, interrogarvi rigorosamente. C’è l’eventualità che vi
troviate a un certo punto, di fronte a qualcosa che ignorate totalmente e che,
invece, sta a fondamento di ciò che credete. Questione curiosa questa che
abbiamo già sottolineato in varie circostanze, però esiste un certo numero di
argomentazioni che incorrono nella fallacia detta merita di essere considerata
con molta attenzione.
Potremmo indicarla come una fallacia. Potremmo
addirittura sostenere che tutto il discorso occidentale è sostenuto da
fallacie. Quale è la fallacia fondamentale? Quella che suppone che esista
qualcosa fuori dal linguaggio, per esempio, questa è la fallacia principale.
Quali sono le fallacie che si attengono ai sentimenti?
Esiste un certo numero di argomentazioni che
incorrono nella fallacia di tentare di stabilire che un dato asserto è vero o
falso richiamandosi ai sentimenti che la gente prova nei suoi confronti, e
quindi se dico: “il mondo è piatto”, e voi mettete in dubbio la mia asserzione
potrei tentare di replicare dicendo: “tutti ci credono”. Come risposta
implicherebbe una fallacia perché non si può provare che il mondo sia piatto o
no facendo appello alle credenze della maggioranza ma caso mai mi viene in
mente di prove fornite dalla geografia. Ci sono numerosi casi, fra cui quelli
citati, in cui le credenze delle maggioranze si sono rivelate false. L’appello
alla compassione e all’emozione che è una variante della connessione sopra
citata viene chiamato momentum ad misericordiam. Un avvocato che suggerisce che
l’accusato non può aver commesso un crimine perché ha moglie e sei figli sta
impiegando l’argomentum ad misericordiam. Le sue responsabilità familiari sono
irrilevanti rispetto alla sua colpevolezza, sebbene possano essere importanti
per decidere come punirlo.
Argomentum ad ignorantiam. Un tipo di argomentazione
molto diffuso basato sulla fallacia è la cosiddetta “argomentazione fondata
sull’ignoranza”: qui la fallacia consiste nel sostenere che alcuni asserti sono
necessariamente veri perché non vi sono prove in contrario. L’argomentazione
fondata sull’ignoranza appare plausibile perché imita un tipo di argomentazione
legittimo. Si potrebbe (lecitamente) sostenere che una certa idea è vera perché
abbiamo una serie di elementi importanti, ognuno dei quali implica che l’idea
sia vera e nessuno dei quali fa pensare che sia falsa. Quindi si potrebbe
sostenere che, in determinate condizioni, l’asserto “l’acqua bolle a 100°
Celsius” è vero perché ogni volta che abbiamo tentato di bollire l’acqua, in
determinate condizioni, il punto di ebollizione è stato di 100°; inoltre non
abbiamo avuto esempi contrari. Ora, l’argomentazione fondata sull’ignoranza,
che sembra simile a questa, implica che un certo asserto sia vero semplicemente
perché non abbiamo l’evidenza del contrario. Ma ciò è fallace, perché non
basta, per provare che un’idea sia vera, mostrare che non esistono elementi
contrari; dobbiamo anche dimostrare che abbiamo elementi concreti a suo favore.
Altrimenti potremmo dimostrare che i draghi, gli elfi e i serpenti di mare e
gli unicorni esistono, poiché non abbiamo alcuna prova in contrario.
Nelle dispute religiose si usa spesso
l’argomentazione fondata sull’ignoranza; c’è chi afferma che “Dio esiste” è
vero perché non abbiamo nessuna prova che non esista. Ma se è questa la materia
di prova, non è certo conclusiva, per le ragioni che abbiamo indicato.
Qui ci sarebbe anche la petitio principi. Ciò
nonostante, questa è una questione più complessa di quanto qui descritto, è
possibile affermare vera una proposizione perché non è possibile provare falsa
la contraria? Non è possibile, tuttavia, esiste una prova molto potente, che
muove da una cosa simile: prendete la proposizione che afferma che non è
possibile uscire dal linguaggio, se voi avete letto un paio di cose della
seconda sofistica, trovate che non è provata un’affermazione del genere,
semplicemente è affermato che negarla comporta una reductio ad absurdum, una
riduzione all’assurdo. Negare che nulla è fuori dalla parola comporta un
assurdo, cioè ad una contraddizione in termini perché per negarlo devo usare la
parola.
Ora questa da taluni viene interpretata, anche come
i logici, rimane tuttavia l’unica, la più potente, perché qualunque altra prova
io ingegnassi di trovare questa prova richiederebbe un’ulteriore prova, nel
senso che se io provo una certa cosa, ovviamente, ho utilizzato un certo
criterio, come so che questo criterio è vero? Ci vuole una prova che dimostri
che questo criterio è vero e così via all’infinito. Quindi una qualunque prova
che si fondi, una prova affermativa, chiamiamola così, inesorabilmente cade
nella regressio all’infinito, no? Mentre, una reductio ad absurdum, no. Perché
riduce all’assurdo la prova contraria. Per la verità non è sostenibile in
nessun modo, e quindi, se non A è necessariamente falso, per un criterio logico
noto già ad Aristotele che non è altro che una procedura linguistica, allora A
è necessariamente vero.
Intervento:…
Sì, certo, però ponendo la questione in questi
termini è abbastanza solida. Mosè è ispirato da Dio, come fai a saperlo? Perché
lo dice la Bibbia, ma come fai a sapere che la Bibbia è affidabile? Perché è
stata scritta da Mosè che è ispirato da Dio, questa che vi sembra una
stupidaggine è un tipo di argomentazioni più diffuse. E cioè, sarebbe la
petitio principi. Cioè l’utilizzo, per provare una certa cosa, di ciò stesso
che deve essere provato. Se voi, per gioco, vi soffermate ad ascoltare delle
argomentazioni di varie persone, vi accorgete con facilità che buona parte
delle loro argomentazioni hanno questa struttura. Cioè adducono come prova ciò
stesso che devono provare.
Intervento:…
Qui è smaccata la cosa ma certe volte è più sottile,
cioè si fa entrare nell’argomentazione che deve provare una certa cosa
surrettiziamente l’elemento che deve essere provato, in modo quasi che non ci
si accorga.
La fallacia di composizione: questa fallacia presume
che sia vero per il tutto ciò che si asserisce esser vero per una parte. Appare
plausibile, perché somiglia ad un argomento induttivo valido. I due esempi che
seguono mettono in evidenza la differenza tra la fallacia di composizione e un
argomento induttivo valido.
a) John O’Brian è irlandese e bellicoso; di
conseguenza, l’Irlanda è bellicosa.
b) John O’Brian è irlandese e bellicoso; di
conseguenza, gli irlandesi sono bellicosi.
in effetti la seconda è un’induzione, mentre
affermare che l’Irlanda è bellicosa non significa nulla.
Anche l’induzione, pur essendo una delle prove del
discorso scientifico, logicamente non è accettabile.
Eppure l’induzione è la prova per antonomasia,
direi.
La logica induttiva, quindi, non si occupa delle
inferenze valide, ma delle inferenze che risultano probabili, se si assume la
verità di alcune proposizioni sulle quali esse sono basate.
La questione è che queste verità su cui sono basate,
queste asserzioni induttive procedono da altrettante induzioni e pertanto,
lasciano il tempo che trovano, anche se di fatto si utilizza continuamente la
situazione induttiva. Per esempio, quando fa il programma per il giorno dopo.
Poi c’è l’argomento d’autorità, certo l’abbiamo
detto varie volte, ipse dixit, lo dice Aristotele, quindi... però può essere
utilizzato anche argomentando, per esempio, il progetto che abbiamo di
conferenze per il prossimo inverno utilizza l’auctoritas, cioè utilizzare Freud
perché avvicina di più le persone ecc... è utilizzare l’auctoritas.
L’argomentum ad hominem, una delle fallacie più
difficili da mettere in evidenza, nonché delle più diffuse, è il cosiddetto
“argomentum ad hominem”. Con questo termine s’intende un’argomentazione diretta
contro una persona piuttosto che contro ciò che una persona dice, allo scopo di
dimostrare che ciò che dice non può esser vero. La politica ci fornisce molti
esempi di argomentum ad hominem. Supponiamo che un deputato democratico
sostenga che è estremamente importante abolire o limitare gli esperimenti
atomici, perché è possibile che i loro effetti a lungo termine avvelenino
l’atmosfera. Un repubblicano conservatore potrebbe replicare dicendo:” Oh, beh,
non potete certo credere a ciò che dice, è un democratico di sinistra e voi
sapete bene che quelli cercano sempre di controllare la spesa militare”. Il
repubblicano ha diretto la sua argomentazione contro l’uomo; ha tentato di
confutare gli argomenti del democratico sottolineando che quest’ultimo
appartiene al partito avversario. Ma una simile confutazione è basata su una
fallacia, poiché il modo adeguato di argomentare consisterebbe nel citare dei
fatti che dimostrino che il democratico ha torto: vale a dire, che non è
probabile che gli esperimenti atomici avvelenino l’atmosfera.
Intervento:…
Sì, ma questo è utilizzato nell’ambito politico
ininterrottamente, anche perché è molto più semplice, più rapido, mettersi a
provare delle cose comporterebbe trovare chi esegue la perizia e comunque
rimarrebbe sempre discutibile. Mentre una cosa del genere, dire che siccome è
comunista allora ecco che afferma questo, non richiede nessuna prova.
Intervento:…
Non c’è periodo storico in cui non sia stato
utilizzato l’argomentum ad hominem, è più facile e più semplice soprattutto per
screditare di fronte al popolo.
Se una persona vuole risanare la moralità del paese
e io trovo che è un pedofilo, gestisce una casa di tolleranza, che ecc...
allora le sue argomentazioni a proposito della moralizzazione del paese
cominceranno ad essere messe in discussione.
Intervento: però, contemporaneamente, non fa anche
leva sui sentimenti?
Sì, come avete notato in molti casi c’è
un’intersezione, soprattutto poi nel discorso corrente ne intervengono a
bizzeffe. All’interno di una fallacia ne trovate altre due, all’interno di
queste due altre tre.
Intervento:…
E invece dell’ignoratio elenchi? Questa fallacia,
nota anche come “conclusione non pertinente”, consiste in un’argomentazione in
cui si parte per provare qualcosa e invece si prova qualcos’altro. Per esempio,
se io tento di provare che la lega calcio francese ha giocatori migliori di
quella italiana, ma stabilisco invece che la lega calcio francese è più ricca
di quella italiana, ho commesso la fallacia della conclusione non pertinente.
Infatti, anche se fosse vero che la lega calcio francese è più ricca di quella
italiana, non per questo ne consegue che le leghe più ricche abbiano giocatori
migliori di quelle più povere. In un’ignoratio elenchi succede che si crede di
provare P (la lega calcio francese ha giocatori migliori) quando in effetti si
sta provando R, quindi si giunge a una conclusione che non è pertinente
rispetto a quella che si sta cercando di provare.
Intervento:…
A volte sì, a volte invece uno parte per la
tangente. Taluni abili riescono a fare in modo che l’interlocutore che vuole
provare lì, giungono invece, attraverso interferenze e deviazioni a provare
tutto, in modo che quando hanno finito le loro argomentazioni possono dire:
“Beh, ora lo devi provare anche tu” e talvolta non è neanche difficile
accorgersene.
La fallacia del non sequitur: Quasi ogni fallacia
implica, per un aspetto o per l’altro, un non sequitur. La locuzione “non
sequitur” significa “non ne consegue”. La fallacia dell’ignoratio elenchi che
abbiamo discusso nel paragrafo precedente implica un certo tipo di non
sequitur. Dal fatto che la lega calcio ecc...
Sì, certo, la questione dell’analisi, in effetti
accade che c’è una voglia di trovare una certa cosa e lo si induce invece a
trovarne un’altra. Uno vuole provare che è abbandonato da Dio e dagli uomini e
invece lo si conduce a provare che è lui che vuole abbandonare gli uomini, per
esempio. Questo avviene, ora in analisi certo questa operazione ha la funzione
di mostrare un altro aspetto che interviene nell’argomentazione. L’intento non
è quello di soverchiare l’altro dialetticamente, a noi questo non importa, però
dimostrare che, perlomeno lo si è detto anche in altre circostanze che dalle
stesse premesse è possibile giungere a infinite conclusioni e non
necessariamente a quella.
Perché si compiono le fallacie? Questa è una
questione interessante, forse più interessante ancora dell’elenco delle
possibili fallacie, questo è un elenco, tra l’altro, molto parziale, sono molte
di più. Perché avviene di commettere delle fallacie, cioè degli errori di
argomentazione, di ragionamento, errori di logica?
Beh, in molti casi per ignoranza della logica, in
altri perché l’argomentare in termini precisi comporterebbe giungere a
conclusioni che non s’intende ammettere.
Intervento: questo è il caso dell’analisi.
Sì, certo. Come nell’eristica, dove si dimostra
qualche cosa al solo scopo di battere l’argomentazione avversaria. C’è un
articoletto da qualche parte che parla dell’eristica, l’eristica è appunto
l’arte di provare vero o falso qualunque cosa indifferentemente. Della quale
eristica ho sottolineato in più occasioni importanti, è importante per potere
fare questa operazione. In quanto a fare questa operazione risulta sempre più
difficile poi trovarsi a credere a una qualunque cosa, ma e soprattutto quelle
che, quelle affermazioni che appartengono al proprio discorso, quelle su cui è
costruito il proprio modo di pensare, è come se, a un certo punto, non ci fosse
più nessuna opinione, cioè non si pensasse più niente, ma non si pensasse più
niente in una accezione particolare, non è che si arresta il pensiero. Non si
formula più nessuna forma di giudizio, per un motivo molto semplice che non
interessa. Perché qualunque giudizio io formuli rispetto a una certa cosa io
stesso ho gli strumenti e i mezzi per provare esattamente il contrario. Non ha
più importanza se una cosa è bene o male, è esattamente ciò che io voglio che
sia e mi assumo la responsabilità totale delle mie decisioni. Dunque le
fallacie, ecco il primo aspetto m’interessava che è quello dell’ignorantiam,
della logica e quindi della procedura delle regole del linguaggio. M’interessa
perché abbiamo detto l’ultima volta che per intendere appieno il discorso che
stiamo facendo occorre una sorta di addestramento alla struttura del
linguaggio. Sapere come funziona, che cos’è il linguaggio. Se questo si ignora
è inesorabile cadere in continue fallacie logiche, cioè giungere a conclusioni
che sono assolutamente squinternate, così come accade di ascoltare
continuamente.
Perché manca la cognizione della logica e cioè di
come si costruisce un’argomentazione logica. Il modello classico dell’argomentazione
comune è il famoso sillogismo degli Apostoli: Pietro e Paolo sono Apostoli, gli
Apostoli sono dodici, Pietro e Paolo sono dodici. L’entimema è un sillogismo in
cui uno dei tre elementi è sottaciuto.
Invece in questo caso la questione è molto più sottile,
perché è falso questo sillogismo? Perché Pietro e Paolo non sono dodici?
L’inghippo c’è, ovviamente, come ognuno può rilevare immediatamente l’assurdità
della conclusione anche se magari non sa dire perché esattamente è errata
questa conclusione. Perché affermare che Pietro e Paolo sono Apostoli risulta
un accidente, nella premessa maggiore c’è un accidente, cosa avviene se io
metto nella premessa maggiore un accidente? Che Pietro e Paolo siano Apostoli
non è affatto necessario, mentre gli Apostoli sono dodici ma è anche fuori
dubbio che Pietro e Paolo siano Apostoli, solo che non essendo necessario che
Pietro e Paolo siano Apostoli da una premessa non necessaria logicamente non
può trarsi una conclusione necessaria. La conclusione sarà, nella migliore
delle ipotesi, contingente, se non falsa come in questo caso. Dato che da una
premessa maggiore non necessaria non possono trarsi conclusioni necessarie da
cosa procede? Si potrebbe fare l’esempio, quello classico, tutti gli animali
sono mortali, l’uomo è un animale, l’uomo è mortale.
Intervento:…
Se fosse “tutti i Pietri e Paoli sono apostoli”
allora sarebbe necessario che Pietro e Paolo fossero dodici, se io affermo
tutti, ma se uso un quantificatore esistenziale cioè se ci sono due che si
chiamano Pietro e Paolo, come dire che Pietro e Paolo sono, che ne so, sono
neri, quel tizio è nero quindi il nero è Pietro e Paolo. Occorre che la
maggiore sia il quantificatore universale, tutti come tutte le x e le y. Ora
per mettere in luce un’argomentazione qualunque, perché giunge a concludere in
modo falso? Perché suppone che ciò che sta affermando sia necessario, tutti,
tutte le x sono così, non questo, tutti questi, come tutti gli animali sono
mortali. Un’argomentazione viene posta come premessa maggiore, un’affermazione
che si vuole, si suppone essere universale ma non lo è. Da qui la fallacia
della confusione. Ora, è molto facile rilevare una cosa del genere accorgendosi
immediatamente che l’assioma, la premessa maggiore da cui muove tutta
l’argomentazione non è necessaria. Ed è proprio la stessa cosa che si fa
durante l’itinerario analitico, accorgersi che tutto ciò su cui si è costruita
la propria esistenza, questa premessa maggiore non è necessaria ma
assolutamente arbitraria.
Ho fatto questa conversazione intorno alla fallacia
e la riprenderemo in varie occasioni perché è molto importante accorgersi della
non sostenibilità delle proprie argomentazioni, dei propri giudizi. Non sono
sostenibili perché la premessa maggiore, perché il sillogismo da cui muovono non
è necessario, è soltanto una mia decisione, per non dire che a me piace così.
Potete volgere qualunque giudizio che interviene nel vostro discorso in modo
più appropriato nell’affermazione non è così ma a me piace così. Mi piace
pensare così ma formulato in questi termini immediatamente impone la domanda
perché? A questo punto interviene un secondo elemento e cioè a che scopo mi
piace una cosa del genere? E l’analisi è questo.
Comunque leggetelo, è una cosa molto soft, però è
una rinfrescatina ad alcune delle questioni logiche. Se volete leggere un certo
numero di fallacie non facili da rilevare c’è un libricino edito da mille lire.
Carroll era un matematico, quello che scrisse “Alice nel paese delle
meraviglie” ha fatto tutta una serie di argomentazioni dove non è sempre facile
trovare la fallacia nella sua argomentazione.
E poi trovare le fallacie nelle argomentazioni che
ascoltate in giro. Che talvolta quelle che ascoltate in giro sono molto facili
da reperire. Va bene ci vediamo giovedì prossimo.