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5 AGOSTO 1999

 

Volevo parlarvi di questo testo che non dice molto di più di quanto già forse non sappiate però volevo fermare l’attenzione questa sera su un aspetto particolare dell’argomentazione cioè le fallacie. Sarebbero le fallacie gli errori di ragionamento, gli errori logici. L’entimema è un sillogismo particolare in cui manca una delle due premesse, o la premessa maggiore o quella minore.

Intervento: Il paralogismo?

Il paralogismo è un’argomentazione quasi logica. Dunque, vediamo se qui ci dice qualche cosa che può interessarci, perché una fallacia in un ragionamento conduce ad una conclusione diciamo insostenibile. Questo c’interessa perché, generalmente ciò che una persona conclude nei suoi ragionamenti è ciò che piloterà la sua condotta, che se conclude una certa cosa questa la ritiene vera ed essendo vera si muoverà di conseguenza, necessariamente. Dunque, qui c’è la fallacia d’ambiguità, la fallacia d’argomento d’autorità, argomenti che si attengono ai sentimenti, argomentum ad ignorantiam, a petitio principii, fallacia di posizione, fallacia d’illusione, fallacia di ignorantiam elenchi, fallacia del non sequitur, fallacie statistiche ecc... Ecco la lista di fallacie.

Allora, l’ambiguità, dice qui, è una delle principali fonti di ragionamenti fallaci, diciamo che un termine è ambiguo se ha più di un significato. Se per esempio dico: “John ha un cuore buono”, non è chiaro se intendo che John ha un cuore generoso o se intendo che ha un cuore forte. Termine ambiguo, cioè buono, e quindi ambiguo perché può essere interpretato in almeno due modi. Fa un piccolo esempio qui. Tutti gli uomini sono fratelli in una fraternità condivisa, tutti i fratelli di confraternita sono studenti universitari, tutti gli uomini sono studenti universitari. Qui abbiamo una fallacia di ambiguità: diciamo tutti gli uomini sono fratelli in una fraternità condivisa intendiamo dire che non ci sono differenze fondamentali tra gli uomini, riguardo al loro statuto di esseri umani ecc... Ma quando diciamo tutti i fratelli in una confraternita sono studenti universitari intendiamo che ogni singolo membro di una confraternita è uno studente universitario. Questa, che sembra una banalità, ed in effetti è da considerarsi tale, pone l’accento su una questione che abbiamo già discusso in varie occasioni, e cioè sul fatto che accade di utilizzare nel discorso, anche nel discorso fra se e se, dei termini di cui non è chiaro il senso, per cui vengono usati in modo ambiguo. Cosa comporta questo? Comporta che utilizzando uno di questi termini all’interno di un qualunque ragionamento questo termine potrà assumere diversi sensi a seconda dell’intenzione di ciò che si vuole provare. Questo ha degli effetti nell’argomentazione, l’effetto principale è quello di fare concludere molto rapidamente laddove invece occorrerebbe riflettere molto meglio. Come dire che ciascuna volta in cui si ragiona intorno a qualche cosa occorrerebbe avere almeno un’idea di ciò di cui si sta parlando. Cioè, per esempio, non si è in condizioni di definire cosa si sta dicendo, ciononostante si usa quel termine tranquillamente in moltissime volte, e allora può sorgere la questione; quando interviene quel termine di cosa sto parlando esattamente? C’è l’eventualità che non sappia ciò di cui sto parlando e questo si ripercuote immediatamente su tutte le conclusioni che traggo, che saranno generalmente piuttosto squinternate.

Perché le conclusioni muovono da premesse che non sono note.

Intervento: Come se fossero date per scontate.

Sì. Qualcosa che si suppone di sapere, come diceva Agostino, “Quando nessuno mi chiede che cos’è il tempo lo so, quando me lo chiedono non lo so più”, finché non ci penso immagino di sapere di cosa si tratta, appena ci penso ecco che sorgono i problemi. Un po’ la stessa cosa che trovate quando dei pensieri provate a scriverli, è un’operazione questa per cui i versi, come direbbero alcuni francesi, di disambiguamento, perché ciò che vi appare chiaro, se provate a scriverlo, vi appare straordinariamente confuso. Non è casuale perché, chiaramente, trovandosi a mettere per iscritto dei pensieri certe connessioni, certe implicazioni o derivazioni devono essere esplicitate, mentre il pensiero può non farlo.

Per questo anche è un ottimo esercizio provare a scrivere delle cose, ci si accorge immediatamente di che cosa non è chiaro.

Qui dice: l’argomentazione che ne risulta non è valida perché la confraternita è una parola usata con due sensi differenti e l’argomentazione è ambigua ed anche il termine fraternità. La fallacia prodotta quando l’inferenza non è valida perché una singola parola può essere usata in due sensi differenti si chiama equivocità, ma il secondo tipo di fallacia è basato sull’ambiguità quando è ambiguo l’intero enunciato e non qualche singola parola. Può accadere, anzi, che nessuna parola sia ambigua e tuttavia lo sia l’intero enunciato a causa della sua struttura grammaticale. Tale ambiguità si chiama anfibolo o anfibologia cioè un’ambiguità della proposizione. La leggenda dice che l’oracolo di Delfi nell’antica Grecia non sbagliava mai, però la ragione della sua infallibilità era che le sue predizioni erano formulate sotto forma di anfibolo, ovvero che devono essere interpretate almeno in due modi diversi. Di conseguenza se si verifica uno dei due eventi la predizione dell’oracolo poteva essere giudicata esatta.

Come se io dicessi domani o pioverà o non pioverà, uno dei due andrà bene per forza, quindi avrò comunque ragione.

Si racconta che durante il conflitto fra i Greci ed i Persiani il comandante greco avesse chiesto all’oracolo quale delle due fazioni avrebbe alla fine vinto. L’oracolo rispose: “Apollo dice che i Greci ed i Persiani si sottometteranno. Non era chiaro se i Greci avrebbero battuto i Persiani. In altra occasione quando Ciro il Grande progettava la guerra contro un certo Re quando rispose alla sua domanda su chi avrebbe vinto dicendo: “Vive ancora il re che Ciro deporrà” . Si può notare che gli antiboli dipendono dalla costruzione di un enunciato, l’ambiguità non è dovuta al fatto che le parole possono essere interpretate in due sensi, piuttosto il fatto che non comprendiamo il significato dell’enunciato nel suo complesso. Due tipi molto diffusi di anfiboli sono dovuti:

a) participi non connessi

b) uso inesatto del segno di negazione nel discorso ordinario.

Si ha l’errore grammaticale noto come participio non connesso quando non si connette un nome alla locuzione participiale che lo precede, ad esempio avrei commesso questo errore se avessi scritto la frase precedente nel modo seguente commettendo l’errore noto come participio non connesso una locuzione si presenta priva di connessione.

In effetti è ambiguo, non si capisce. Sembra che sia la locuzione ad avere commesso l’errore piuttosto che la persona che ha usato la locuzione.

Non dipende da alcune scorrettezze grammaticali gli errori formali del ragionamento, dipendono invece dal contesto in cui l’espressione viene pronunciata. Il contesto sembra suggerire che l’espressione abbia un particolare significato, ma in realtà esso potrebbe anche non averlo affatto, cosicché l’enunciato indurrebbe in chi lo ascolta o chi lo legge ad errore, tali fallacie sono note come fallacie contestuali.

Prendiamone in considerazione qualcuna, una delle più diffuse è la fallacia di senso. Supponiamo che io dica: “il 28% degli abitanti di Birmingham ha i denti cariati”. Prima di rendersi conto del senso di questa considerazione bisognerebbe paragonare Birmingham con città delle medesime dimensioni per vedere se essa ha una percentuale alta o bassa di persone con disturbi ai denti. Gli annunci pubblicitari commettono spessissimo la fallacia di senso. Non è raro vedere uno slogan come: “il 62% del medici fumatori fuma Marlboro”, per esempio. Ciò induce all’errore perché non dice quanti dottori non fumano nè dice che fumano solo Marlboro. Potrebbe anche essere che molti medici fumatori fumino qualche altra marca più frequentemente delle Marlboro, anche se potrebbero provare queste ultime e se decidessero cambiare.

Cosa dire, dunque, delle fallacie, dell’ambiguità? Per quanto ci interessa, ovviamente. Considerate un discorso comune, uno qualunque.

Intervento: Io non ho capito la connessione con il discorso di Austin.

Sì, non raggiunge l’obbiettivo.

Intervento. Ma la felicità di un enunciato, come posso stabilire qual’è l’obbiettivo se ...

In questo caso vuol dire che il 62% di persone fumano Marlboro o no, quell’altro del 28% di abitanti dai denti cariati, cioè questa statistica è fatta per un motivo no? Per allarmare per esempio ma, se in tutto il resto delle città del mondo anziché il 28 il 70% ha i denti cariati allora questa indagine non ha raggiunto l’obbiettivo cioè non mostra che il 28% è una percentuale alta, bassa ecc...

In effetti dicevo, potete notare in molti discorsi delle affermazioni che vengono fatte con determinazione e soprattutto con leggerezza in cui si afferma che la maggior parte delle persone fa così, è una cosa molto banale, però un’affermazione del genere è fortemente ambigua. La maggior parte, quanti? La maggior parte qui, ma qui non c’è mica niente, la maggior parte rispetto a che? E di nuovo la questione che io accennavo prima della definizione. Se una persona decidesse in un certo modo perché afferma ma la maggior parte delle persone usa fare così. E’ un enunciato abbastanza comune no?, tuttavia potete notare immediatamente due aspetti: primo, che l’enunciato è assolutamente gratuito, non significa assolutamente niente perché non ha nessun riferimento, nessun parametro; secondo, che se enunciato in questo modo come se volesse porre questa affermazione che viene fatta che è assolutamente irrilevante come invece una cosa assoluta.

Ora la persona che pronuncia una cosa del genere sa che non è assolutizzabile la sua affermazione almeno il più delle volte, ciò nondimeno compie questa affermazione. Allora qui interviene un altro elemento e cioè la necessità che un’affermazione del genere si inserisca in un discorso per confermare qualcosa in cui lui crede. Come dire che io credo che le persone debbano fare così e come me molte altre lo fanno. Solo che per dare più forza alla sua argomentazione dice la maggior parte delle persone fanno così. E’ falso. Però, dicendo questo, anche se è falso, è come se corroborasse la sua superstizione, come se enunciasse una proposizione assolutamente vera, la verità sub specie æternitate. Tutti fanno così, quindi, anch’io. Cosa comporta una cosa del genere nel discorso di ciascuno? Comporta che, spesso, le affermazioni che vengono compiute nel proprio discorso pur non essendo in nessun modo sostenibili vengono rafforzate da una sorta di superstizione, cioè da un’altra proposizione che dovrebbe corroborare la prima ma che, a sua volta, è assolutamente insostenibile. Bisogna vestirsi con la maglia di lana. Perché? Perché tutti fanno così. Succede di ascoltare queste cose ma a noi interessa la struttura di un’argomentazione del genere. Non tanto per la questione della maglia di lana, ma perché coinvolge, come dicevo, una notevole quantità di affermazioni che vengono fatte direttamente o indirettamente le quali pilotano quotidianamente la vostra condotta.

Dunque, la fallacia, in questo caso, consiste nel immaginare che una certa proposizione che io faccio sia in qualche modo, che io magari non conosco appieno, supportata da buone argomentazioni che io non conosco. Questa sorta di argomentazione piuttosto strampalata la trovate spessissimo invece nel luogo comune, nel discorso corrente, soprattutto per quanto riguarda affermazioni connesse con la scienza e affermazioni connesse con la religione. Le cose stanno così, io non lo so perché ma qualcuno lo sa. Altri sanno perché, io no. Questa sarebbe la fallacia d’autorità però anche d’ambiguità, perché in effetti ciò che affermo a proposito di un’asserzione scientifica, è fortemente ambiguo perché io non so nemmeno di cosa sto parlando. Ciò nonostante lo affermo con assoluta fermezza. Il fumo fa male. Come lo sa? Lo dice la scienza. E allora? Tu sai cosa dice la scienza esattamente? No. Però mi fido di quello che dice la scienza. Senza sapere assolutamente nulla di ciò che viene affermato da qualcuno, senza sapere in base a quale criterio, ciò nonostante, come sapete molto bene, questa è una delle affermazioni più diffuse e tra le più accreditate, ultimamente. Gli igienisti, i salutisti ecc... Nessuno di loro saprebbe dire perché, esattamente, il fumo fa male, o in che modo è stato verificato che dovrebbe provocare il cancro.

In effetti, invece proprio coloro che sarebbero preposti a studi di questo tipo di fatto vanno molto più cauti, prima di fare questa affermazione.

Invece l’igienista non ha nessun dubbio sul fatto che possa far male, senza sapere assolutamente perché. Dunque quando lui afferma una cosa del genere dovremmo affermare che non sa di cosa sta parlando. Ma, al di là di questa direzione ce ne sono un’infinità dove potete rilevarli, naturalmente il maggior interesse in questa operazione è nel proprio discorso che funziona assolutamente allo stesso modo, e cioè le proposizioni che affermano con assoluta convinzione una certa cosa di cui la verità non si sa assolutamente. Questo se considerate che le cose che si affermano con tanta determinazione sono quelle su cui si costruisce il modo in cui si pensa, quindi la propria condotta vi rendete conto immediatamente che non è questione da poco. Gli umani si muovono così come pensano. Se pensano in questo modo si muoveranno in questo modo. E una persona che può avere detto che..., può arrivare a proibire il fumo perché convinta che faccia male senza assolutamente sapere nulla di tutto questo, questa è la portata che pone una cosa del genere. Ma, rispetto al proprio discorso voi troverete, se vi soffermate, se avete voglia di farlo, alle cose in cui credete di fronte alla stessa perplessità, provate a interrogarvi, interrogarvi rigorosamente. C’è l’eventualità che vi troviate a un certo punto, di fronte a qualcosa che ignorate totalmente e che, invece, sta a fondamento di ciò che credete. Questione curiosa questa che abbiamo già sottolineato in varie circostanze, però esiste un certo numero di argomentazioni che incorrono nella fallacia detta merita di essere considerata con molta attenzione.

Potremmo indicarla come una fallacia. Potremmo addirittura sostenere che tutto il discorso occidentale è sostenuto da fallacie. Quale è la fallacia fondamentale? Quella che suppone che esista qualcosa fuori dal linguaggio, per esempio, questa è la fallacia principale. Quali sono le fallacie che si attengono ai sentimenti?

Esiste un certo numero di argomentazioni che incorrono nella fallacia di tentare di stabilire che un dato asserto è vero o falso richiamandosi ai sentimenti che la gente prova nei suoi confronti, e quindi se dico: “il mondo è piatto”, e voi mettete in dubbio la mia asserzione potrei tentare di replicare dicendo: “tutti ci credono”. Come risposta implicherebbe una fallacia perché non si può provare che il mondo sia piatto o no facendo appello alle credenze della maggioranza ma caso mai mi viene in mente di prove fornite dalla geografia. Ci sono numerosi casi, fra cui quelli citati, in cui le credenze delle maggioranze si sono rivelate false. L’appello alla compassione e all’emozione che è una variante della connessione sopra citata viene chiamato momentum ad misericordiam. Un avvocato che suggerisce che l’accusato non può aver commesso un crimine perché ha moglie e sei figli sta impiegando l’argomentum ad misericordiam. Le sue responsabilità familiari sono irrilevanti rispetto alla sua colpevolezza, sebbene possano essere importanti per decidere come punirlo.

Argomentum ad ignorantiam. Un tipo di argomentazione molto diffuso basato sulla fallacia è la cosiddetta “argomentazione fondata sull’ignoranza”: qui la fallacia consiste nel sostenere che alcuni asserti sono necessariamente veri perché non vi sono prove in contrario. L’argomentazione fondata sull’ignoranza appare plausibile perché imita un tipo di argomentazione legittimo. Si potrebbe (lecitamente) sostenere che una certa idea è vera perché abbiamo una serie di elementi importanti, ognuno dei quali implica che l’idea sia vera e nessuno dei quali fa pensare che sia falsa. Quindi si potrebbe sostenere che, in determinate condizioni, l’asserto “l’acqua bolle a 100° Celsius” è vero perché ogni volta che abbiamo tentato di bollire l’acqua, in determinate condizioni, il punto di ebollizione è stato di 100°; inoltre non abbiamo avuto esempi contrari. Ora, l’argomentazione fondata sull’ignoranza, che sembra simile a questa, implica che un certo asserto sia vero semplicemente perché non abbiamo l’evidenza del contrario. Ma ciò è fallace, perché non basta, per provare che un’idea sia vera, mostrare che non esistono elementi contrari; dobbiamo anche dimostrare che abbiamo elementi concreti a suo favore. Altrimenti potremmo dimostrare che i draghi, gli elfi e i serpenti di mare e gli unicorni esistono, poiché non abbiamo alcuna prova in contrario.

Nelle dispute religiose si usa spesso l’argomentazione fondata sull’ignoranza; c’è chi afferma che “Dio esiste” è vero perché non abbiamo nessuna prova che non esista. Ma se è questa la materia di prova, non è certo conclusiva, per le ragioni che abbiamo indicato.

Qui ci sarebbe anche la petitio principi. Ciò nonostante, questa è una questione più complessa di quanto qui descritto, è possibile affermare vera una proposizione perché non è possibile provare falsa la contraria? Non è possibile, tuttavia, esiste una prova molto potente, che muove da una cosa simile: prendete la proposizione che afferma che non è possibile uscire dal linguaggio, se voi avete letto un paio di cose della seconda sofistica, trovate che non è provata un’affermazione del genere, semplicemente è affermato che negarla comporta una reductio ad absurdum, una riduzione all’assurdo. Negare che nulla è fuori dalla parola comporta un assurdo, cioè ad una contraddizione in termini perché per negarlo devo usare la parola.

Ora questa da taluni viene interpretata, anche come i logici, rimane tuttavia l’unica, la più potente, perché qualunque altra prova io ingegnassi di trovare questa prova richiederebbe un’ulteriore prova, nel senso che se io provo una certa cosa, ovviamente, ho utilizzato un certo criterio, come so che questo criterio è vero? Ci vuole una prova che dimostri che questo criterio è vero e così via all’infinito. Quindi una qualunque prova che si fondi, una prova affermativa, chiamiamola così, inesorabilmente cade nella regressio all’infinito, no? Mentre, una reductio ad absurdum, no. Perché riduce all’assurdo la prova contraria. Per la verità non è sostenibile in nessun modo, e quindi, se non A è necessariamente falso, per un criterio logico noto già ad Aristotele che non è altro che una procedura linguistica, allora A è necessariamente vero.

Intervento:…

Sì, certo, però ponendo la questione in questi termini è abbastanza solida. Mosè è ispirato da Dio, come fai a saperlo? Perché lo dice la Bibbia, ma come fai a sapere che la Bibbia è affidabile? Perché è stata scritta da Mosè che è ispirato da Dio, questa che vi sembra una stupidaggine è un tipo di argomentazioni più diffuse. E cioè, sarebbe la petitio principi. Cioè l’utilizzo, per provare una certa cosa, di ciò stesso che deve essere provato. Se voi, per gioco, vi soffermate ad ascoltare delle argomentazioni di varie persone, vi accorgete con facilità che buona parte delle loro argomentazioni hanno questa struttura. Cioè adducono come prova ciò stesso che devono provare.

Intervento:…

Qui è smaccata la cosa ma certe volte è più sottile, cioè si fa entrare nell’argomentazione che deve provare una certa cosa surrettiziamente l’elemento che deve essere provato, in modo quasi che non ci si accorga.

La fallacia di composizione: questa fallacia presume che sia vero per il tutto ciò che si asserisce esser vero per una parte. Appare plausibile, perché somiglia ad un argomento induttivo valido. I due esempi che seguono mettono in evidenza la differenza tra la fallacia di composizione e un argomento induttivo valido.

 

a) John O’Brian è irlandese e bellicoso; di conseguenza, l’Irlanda è bellicosa.

 

b) John O’Brian è irlandese e bellicoso; di conseguenza, gli irlandesi sono bellicosi.

 

in effetti la seconda è un’induzione, mentre affermare che l’Irlanda è bellicosa non significa nulla.

Anche l’induzione, pur essendo una delle prove del discorso scientifico, logicamente non è accettabile.

Eppure l’induzione è la prova per antonomasia, direi.

La logica induttiva, quindi, non si occupa delle inferenze valide, ma delle inferenze che risultano probabili, se si assume la verità di alcune proposizioni sulle quali esse sono basate.

La questione è che queste verità su cui sono basate, queste asserzioni induttive procedono da altrettante induzioni e pertanto, lasciano il tempo che trovano, anche se di fatto si utilizza continuamente la situazione induttiva. Per esempio, quando fa il programma per il giorno dopo.

Poi c’è l’argomento d’autorità, certo l’abbiamo detto varie volte, ipse dixit, lo dice Aristotele, quindi... però può essere utilizzato anche argomentando, per esempio, il progetto che abbiamo di conferenze per il prossimo inverno utilizza l’auctoritas, cioè utilizzare Freud perché avvicina di più le persone ecc... è utilizzare l’auctoritas.

L’argomentum ad hominem, una delle fallacie più difficili da mettere in evidenza, nonché delle più diffuse, è il cosiddetto “argomentum ad hominem”. Con questo termine s’intende un’argomentazione diretta contro una persona piuttosto che contro ciò che una persona dice, allo scopo di dimostrare che ciò che dice non può esser vero. La politica ci fornisce molti esempi di argomentum ad hominem. Supponiamo che un deputato democratico sostenga che è estremamente importante abolire o limitare gli esperimenti atomici, perché è possibile che i loro effetti a lungo termine avvelenino l’atmosfera. Un repubblicano conservatore potrebbe replicare dicendo:” Oh, beh, non potete certo credere a ciò che dice, è un democratico di sinistra e voi sapete bene che quelli cercano sempre di controllare la spesa militare”. Il repubblicano ha diretto la sua argomentazione contro l’uomo; ha tentato di confutare gli argomenti del democratico sottolineando che quest’ultimo appartiene al partito avversario. Ma una simile confutazione è basata su una fallacia, poiché il modo adeguato di argomentare consisterebbe nel citare dei fatti che dimostrino che il democratico ha torto: vale a dire, che non è probabile che gli esperimenti atomici avvelenino l’atmosfera.

Intervento:…

Sì, ma questo è utilizzato nell’ambito politico ininterrottamente, anche perché è molto più semplice, più rapido, mettersi a provare delle cose comporterebbe trovare chi esegue la perizia e comunque rimarrebbe sempre discutibile. Mentre una cosa del genere, dire che siccome è comunista allora ecco che afferma questo, non richiede nessuna prova.

Intervento:…

Non c’è periodo storico in cui non sia stato utilizzato l’argomentum ad hominem, è più facile e più semplice soprattutto per screditare di fronte al popolo.

Se una persona vuole risanare la moralità del paese e io trovo che è un pedofilo, gestisce una casa di tolleranza, che ecc... allora le sue argomentazioni a proposito della moralizzazione del paese cominceranno ad essere messe in discussione.

Intervento: però, contemporaneamente, non fa anche leva sui sentimenti?

Sì, come avete notato in molti casi c’è un’intersezione, soprattutto poi nel discorso corrente ne intervengono a bizzeffe. All’interno di una fallacia ne trovate altre due, all’interno di queste due altre tre.

Intervento:…

E invece dell’ignoratio elenchi? Questa fallacia, nota anche come “conclusione non pertinente”, consiste in un’argomentazione in cui si parte per provare qualcosa e invece si prova qualcos’altro. Per esempio, se io tento di provare che la lega calcio francese ha giocatori migliori di quella italiana, ma stabilisco invece che la lega calcio francese è più ricca di quella italiana, ho commesso la fallacia della conclusione non pertinente. Infatti, anche se fosse vero che la lega calcio francese è più ricca di quella italiana, non per questo ne consegue che le leghe più ricche abbiano giocatori migliori di quelle più povere. In un’ignoratio elenchi succede che si crede di provare P (la lega calcio francese ha giocatori migliori) quando in effetti si sta provando R, quindi si giunge a una conclusione che non è pertinente rispetto a quella che si sta cercando di provare.

Intervento:…

A volte sì, a volte invece uno parte per la tangente. Taluni abili riescono a fare in modo che l’interlocutore che vuole provare lì, giungono invece, attraverso interferenze e deviazioni a provare tutto, in modo che quando hanno finito le loro argomentazioni possono dire: “Beh, ora lo devi provare anche tu” e talvolta non è neanche difficile accorgersene.

La fallacia del non sequitur: Quasi ogni fallacia implica, per un aspetto o per l’altro, un non sequitur. La locuzione “non sequitur” significa “non ne consegue”. La fallacia dell’ignoratio elenchi che abbiamo discusso nel paragrafo precedente implica un certo tipo di non sequitur. Dal fatto che la lega calcio ecc...

Sì, certo, la questione dell’analisi, in effetti accade che c’è una voglia di trovare una certa cosa e lo si induce invece a trovarne un’altra. Uno vuole provare che è abbandonato da Dio e dagli uomini e invece lo si conduce a provare che è lui che vuole abbandonare gli uomini, per esempio. Questo avviene, ora in analisi certo questa operazione ha la funzione di mostrare un altro aspetto che interviene nell’argomentazione. L’intento non è quello di soverchiare l’altro dialetticamente, a noi questo non importa, però dimostrare che, perlomeno lo si è detto anche in altre circostanze che dalle stesse premesse è possibile giungere a infinite conclusioni e non necessariamente a quella.

Perché si compiono le fallacie? Questa è una questione interessante, forse più interessante ancora dell’elenco delle possibili fallacie, questo è un elenco, tra l’altro, molto parziale, sono molte di più. Perché avviene di commettere delle fallacie, cioè degli errori di argomentazione, di ragionamento, errori di logica?

Beh, in molti casi per ignoranza della logica, in altri perché l’argomentare in termini precisi comporterebbe giungere a conclusioni che non s’intende ammettere.

Intervento: questo è il caso dell’analisi.

Sì, certo. Come nell’eristica, dove si dimostra qualche cosa al solo scopo di battere l’argomentazione avversaria. C’è un articoletto da qualche parte che parla dell’eristica, l’eristica è appunto l’arte di provare vero o falso qualunque cosa indifferentemente. Della quale eristica ho sottolineato in più occasioni importanti, è importante per potere fare questa operazione. In quanto a fare questa operazione risulta sempre più difficile poi trovarsi a credere a una qualunque cosa, ma e soprattutto quelle che, quelle affermazioni che appartengono al proprio discorso, quelle su cui è costruito il proprio modo di pensare, è come se, a un certo punto, non ci fosse più nessuna opinione, cioè non si pensasse più niente, ma non si pensasse più niente in una accezione particolare, non è che si arresta il pensiero. Non si formula più nessuna forma di giudizio, per un motivo molto semplice che non interessa. Perché qualunque giudizio io formuli rispetto a una certa cosa io stesso ho gli strumenti e i mezzi per provare esattamente il contrario. Non ha più importanza se una cosa è bene o male, è esattamente ciò che io voglio che sia e mi assumo la responsabilità totale delle mie decisioni. Dunque le fallacie, ecco il primo aspetto m’interessava che è quello dell’ignorantiam, della logica e quindi della procedura delle regole del linguaggio. M’interessa perché abbiamo detto l’ultima volta che per intendere appieno il discorso che stiamo facendo occorre una sorta di addestramento alla struttura del linguaggio. Sapere come funziona, che cos’è il linguaggio. Se questo si ignora è inesorabile cadere in continue fallacie logiche, cioè giungere a conclusioni che sono assolutamente squinternate, così come accade di ascoltare continuamente.

Perché manca la cognizione della logica e cioè di come si costruisce un’argomentazione logica. Il modello classico dell’argomentazione comune è il famoso sillogismo degli Apostoli: Pietro e Paolo sono Apostoli, gli Apostoli sono dodici, Pietro e Paolo sono dodici. L’entimema è un sillogismo in cui uno dei tre elementi è sottaciuto.

Invece in questo caso la questione è molto più sottile, perché è falso questo sillogismo? Perché Pietro e Paolo non sono dodici? L’inghippo c’è, ovviamente, come ognuno può rilevare immediatamente l’assurdità della conclusione anche se magari non sa dire perché esattamente è errata questa conclusione. Perché affermare che Pietro e Paolo sono Apostoli risulta un accidente, nella premessa maggiore c’è un accidente, cosa avviene se io metto nella premessa maggiore un accidente? Che Pietro e Paolo siano Apostoli non è affatto necessario, mentre gli Apostoli sono dodici ma è anche fuori dubbio che Pietro e Paolo siano Apostoli, solo che non essendo necessario che Pietro e Paolo siano Apostoli da una premessa non necessaria logicamente non può trarsi una conclusione necessaria. La conclusione sarà, nella migliore delle ipotesi, contingente, se non falsa come in questo caso. Dato che da una premessa maggiore non necessaria non possono trarsi conclusioni necessarie da cosa procede? Si potrebbe fare l’esempio, quello classico, tutti gli animali sono mortali, l’uomo è un animale, l’uomo è mortale.

Intervento:…

Se fosse “tutti i Pietri e Paoli sono apostoli” allora sarebbe necessario che Pietro e Paolo fossero dodici, se io affermo tutti, ma se uso un quantificatore esistenziale cioè se ci sono due che si chiamano Pietro e Paolo, come dire che Pietro e Paolo sono, che ne so, sono neri, quel tizio è nero quindi il nero è Pietro e Paolo. Occorre che la maggiore sia il quantificatore universale, tutti come tutte le x e le y. Ora per mettere in luce un’argomentazione qualunque, perché giunge a concludere in modo falso? Perché suppone che ciò che sta affermando sia necessario, tutti, tutte le x sono così, non questo, tutti questi, come tutti gli animali sono mortali. Un’argomentazione viene posta come premessa maggiore, un’affermazione che si vuole, si suppone essere universale ma non lo è. Da qui la fallacia della confusione. Ora, è molto facile rilevare una cosa del genere accorgendosi immediatamente che l’assioma, la premessa maggiore da cui muove tutta l’argomentazione non è necessaria. Ed è proprio la stessa cosa che si fa durante l’itinerario analitico, accorgersi che tutto ciò su cui si è costruita la propria esistenza, questa premessa maggiore non è necessaria ma assolutamente arbitraria.

Ho fatto questa conversazione intorno alla fallacia e la riprenderemo in varie occasioni perché è molto importante accorgersi della non sostenibilità delle proprie argomentazioni, dei propri giudizi. Non sono sostenibili perché la premessa maggiore, perché il sillogismo da cui muovono non è necessario, è soltanto una mia decisione, per non dire che a me piace così. Potete volgere qualunque giudizio che interviene nel vostro discorso in modo più appropriato nell’affermazione non è così ma a me piace così. Mi piace pensare così ma formulato in questi termini immediatamente impone la domanda perché? A questo punto interviene un secondo elemento e cioè a che scopo mi piace una cosa del genere? E l’analisi è questo.

Comunque leggetelo, è una cosa molto soft, però è una rinfrescatina ad alcune delle questioni logiche. Se volete leggere un certo numero di fallacie non facili da rilevare c’è un libricino edito da mille lire. Carroll era un matematico, quello che scrisse “Alice nel paese delle meraviglie” ha fatto tutta una serie di argomentazioni dove non è sempre facile trovare la fallacia nella sua argomentazione.

E poi trovare le fallacie nelle argomentazioni che ascoltate in giro. Che talvolta quelle che ascoltate in giro sono molto facili da reperire. Va bene ci vediamo giovedì prossimo.