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5 luglio 2017

 

M. Heidegger, Essere e Tempo 

 

Siamo a pag. 221, Capitolo sesto, La cura come essere dell’Esserci, § 39, Il problema della totalità originaria delle strutture dell’Esserci. Heidegger si chiede se è possibile riunire in una totalità tutte le varie strutture dell’Esserci. Non è una questione che ci interessa particolarmente, pertanto possiamo passare alla pagina successiva (pag. 221) dove affronta una questione di un certo rilievo in Heidegger, la questione dell’angoscia, perché, secondo lui, nel caso dell’angoscia è come se l’Esserci si mettesse di fronte a se stesso e, quindi, c’è l’opportunità di poterlo analizzare, intendere meglio. Della struttura ontologica dell’Esserci fa parte la comprensione dell’essere. Essendo, l’Esserci è aperto a se stesso nel suo essere. L’Esserci è apertura, possibilità e, quindi, anche apertura verso se stesso. Situazione emotiva e comprensione costituiscono il modo di essere di questa apertura. Per Heidegger questa apertura dell’Esserci è caratterizzata dalla comprensione, che è appunto l’apertura nei confronti di ciò che appare, e da una situazione emotiva, come dire, in altri termini, che non c’è una posizione pura, senza emozione, una comprensione, quindi, che non è viziata dal mio modo di essere, di pormi, verso quella certa cosa che sta apparendo. Ciascuna volta c’è una situazione emotiva, e cioè mi pongo in un certo modo, non sono mai indifferente a ciò che accade. È questo che sta dicendo: di fronte a ciò che accade è impossibile essere indifferenti. Freud le chiamava fantasie: qualunque cosa accada, in qualunque modo accada, muove delle fantasie, cioè, dei pensieri, ricordi, immagini, sensazioni, ecc. Non c’è nemmeno per Freud la possibilità di rimanere totalmente indifferenti di fronte a un evento. Anche perché sarebbe una contraddizione in termini, cioè, un evento, che è un qualche cosa che modifica il mondo, modificando il mondo modifica me, che sono il mondo, quindi, anche teoricamente è impossibile non avere una situazione emotiva: se si modifica il mondo mi modifico io, non sono più lo stesso e, quindi, già non c’è più quella indifferenza perché qualcosa è cambiato, c’è una differenza. C’è nell’Esserci una situazione emotiva comprendente, nella quale esso sia aperto a se stesso in modo eminente? La risposta, che darà subito dopo, è sì. A pag. 223. La forma di apertura in cui l’Esserci si porta innanzi a se stesso deve essere tale che in essa l’Esserci si renda accessibile in un modo per così dire semplificato. In ciò che essa rivela deve mostrarsi in modo elementare l’insieme unitario delle strutture dell’essere che andiamo cercando. Lui sta dicendo che sceglie l’angoscia perché è il modo più semplice, quello in cui appaiono delle strutture dell’Esserci in modo più evidente, meno nascosto. Lì è come se fossimo di fronte alla situazione emotiva pura e semplice, che comprende anche la comprensione, ovviamente, in cui qualcosa si modifica e in cui qualcosa accade. Noi poniamo a base di questa analisi il fenomeno dell’angoscia come lo stato emotivo rispondente alle suddette richieste metodologiche. Essendo più semplice fa vedere le strutture dell’Esserci e il funzionamento più semplificato di queste strutture nel momento in cui avviene, per esempio, la comprensione. l’esame di questa situazione emotiva fondamentale e la caratterizzazione ontologica di ciò che in essa viene aperto come tale prendono il loro avvio dal fenomeno della deiezione e definiscono l’angoscia rispetto al fenomeno correlativo della paura già analizzato. Dice, dunque, che l’angoscia appare di fronte al fenomeno della deiezione. La deiezione è la dimenticanza dell’essere. L’angoscia, in quanto possibilità dell’essere dell’Esserci, e l’Esserci stesso in essa aperto offrono il terreno fenomenico per cogliere esplicitamente la totalità originaria dell’essere dell’Esserci. Lui sta cercando qualcosa di unitario che consenta di cogliere l’essere dell’Esserci come se fosse un tutto, in cui vedere come funzionano le varie parti. L’essere dell’Esserci si rivela come Cura. L’essere dell’Esserci non è altro che l’orizzonte in cui l’Esserci, cioè il progetto, mette in atto le sue possibilità. L’elaborazione ontologica di questo fenomeno esistenziale fondamentale richiede la sua delimitazione rispetto a fenomeni che di primo acchito potrebbero essere confusi con la Cura. Tali fenomeni sono la volontà, il desiderio, la tendenza e l’impulso. La Cura non può essere dedotta da fenomeni di questo genere perché è nella Cura che essi trovano il loro fondamento. Quindi, la Cura è qualcosa di più importante, di più determinante, come dire che tutte queste cose come il desiderio, la volontà, ecc., vengono da questa Cura. A pag. 224. L’ente è indipendente dall’esperienza, dall’apprensione e dalla conoscenza attraverso cui esso è aperto, scoperto e determinato. Eppure l’essere è soltanto nella comprensione… quindi, si accorge che non è proprio così come stava dicendo un attimo fa, l’ente è soltanto nella comprensione, vale a dire, in quella apertura all’interno della quale una qualunque cosa può apparire. Qui la comprensione potremmo anche intenderla come linguaggio, come abbiamo già avuto modo di dire: linguaggio come apertura infinita che consente alle cose di apparire, perché se non ci fosse il linguaggio non apparirebbe niente. Eppure l’essere è soltanto nella comprensione di quell’ente al cui essere appartiene qualcosa come la comprensione dell’essere. Quindi, l’ente, cioè le cose, sono soltanto nella comprensione di quelle cose, cioè quelle cose ci sono soltanto se c’è la mia comprensione. L’essere può quindi non essere posseduto concettualmente, ma non è mai completamente incompreso. Fin dall’antichità, la problematica ontologica ha collegato, quando non li hanno identificati, essere e verità. … Un’elaborazione adeguata al problema dell’essere richiede dunque la chiarificazione ontologica del fenomeno della verità. Qui è arrivato alla questione perché pone, come aveva già posto, la questione della verità come l’apertura, come ciò che si manifesta, che appare. Già aveva posto in termini precisi la connessione tra l’essere e la verità, posta ovviamente come l’aletheia e non come veritas latina. A pag. 225. In che modo l’Esserci, in virtù del suo essere stesso, è condotto dall’angoscia in cospetto del proprio essere in maniera che ne possa risultare fenomenicamente determinato come tale nel suo essere l’ente che l’angoscia apre, o possa almeno essere preparata sufficientemente questa determinazione? Sta dicendo: in che modo la questione dell’angoscia ci serve per comprendere meglio il fenomeno della manifestazione dell’ente? Ecco, qui riprende la questione dell’angoscia. L’immedesimazione nel Si e in un “mondo” di cui ci si prende cura rivela qualcosa come una fuga dell’Esserci dinanzi a se stesso in quanto poter-esser-se-stesso autentico. Comincia a dirci che ci si immedesima nel Si per fuggire dal confrontarsi autenticamente con l’Esserci. Infatti, diceva nelle pagine precedenti di come la chiacchiera sia tranquillizzante, abbia una serie tale di virtù per cui si preferisce la chiacchiera all’indagine autentica dell’Esserci, alla domanda autentica sull’Esserci. Ma questo fenomeno della fuga dell’Esserci dinanzi a se stesso e alla sua autenticità non sembra possedere le caratteristiche necessarie per servire da terreno fenomenico della nostra indagine. In questa fuga, l’Esserci non si porta in cospetto di se stesso. Il divergere da sé, per effetto della tendenza più propria della deiezione, porta lontano dall’Esserci. Sta semplicemente dicendo che non si tratta propriamente di un non volere confrontarsi ma che la deiezione allontana, lo fa perdere di vista, lo fa dimenticare. Esistentivamente, certo, la deiezione chiude e nasconde l’autenticità propria dell’essere-se-stesso; ma questa chiusura non è che la privazione di un’apertura, la quale si rivela fenomenicamente nel fatto che la fuga dell’Esserci è nient’altro che una fuga davanti a se stesso. (pagg. 225-226) E qui sta descrivendo l’angoscia: l’angoscia è la fuga dell’Esserci davanti a se stesso. Tuttavia, non ha ancora detto perché. Nel davanti-a-che della fuga l’Esserci in realtà si insegue, sta “dietro” a se stesso. L’Esserci fugge davanti a che? Fugge davanti a se stesso ma, fuggendo davanti a se stesso, è come si rincorresse perché, di fatto, è sempre lui che sta fuggendo davanti a se stesso e, quindi, continua a ritrovarsi. Solo perché, in virtù dell’apertura che gli è propria, l’Esserci è condotto in senso ontologico ed essenziale in cospetto di se stesso, esso può fuggire davanti a se stesso. Questa diversione deiettiva non permette certamente di cogliere il davanti-a-che della fuga, e meno ancora permette di esperirlo una conversione. Più avanti, stessa pagina. La deiezione dell’Esserci nel Si e nel “mondo” di cui si prende cura l’abbiamo chiamata una “fuga” dell’Esserci davanti a se stesso. La deiezione dell’Esserci nel Si, cioè, l’Esserci dimentica se stesso a vantaggio della chiacchiera, si rifugia nella chiacchiera, si acquieta nella chiacchiera. Ma non ogni retrocedere davanti a…, ogni diversione da... è necessariamente fuga. Il retrocedere per paura, davanti a ciò che la paura manifesta, davanti al minaccioso, ha il carattere della fuga. L’interpretazione della paura come situazione emotiva ha mostrato che il davanti-a-che della paura è sempre un ente intramondano proveniente da una determinata direzione, avvicinantesi nella prossimità, nocivo e tale da poter essere evitato. (pagg. 226-227) Nella paura so di che cosa si tratta e cerco di evitarlo: un camion mi viene addosso e allora mi sposto.

Intervento: Si può dire che la deiezione dell’Esserci corrisponde al conformismo, come se il rifugiarsi nel conformismo fosse un modo per non confrontarsi con la propria particolarità?

Sì, certo. Infatti, si con-forma, cioè, assume la forma degli altri, che è quella comune. Se si vuol comprendere ciò che andiamo dicendo intorno alla fuga deiettiva dell’Esserci davanti a se stesso, è necessario rifarci alla costituzione fondamentale dell’Esserci in quanto essere-nel-mondo. Il davanti-a-che dell’angoscia è l’essere-nel-mondo come tale. Non è qualcosa che è nel mondo ma è l’essere nel mondo come tale, cioè, il trovarsi a essere una pura possibilità, questo lo dirà tra poco. Come distinguere fenomenicamente ciò davanti a cui l’angoscia è angoscia da ciò davanti a cui la paura è paura? Il davanti-a-che dell’angoscia non è un ente intramondano. Ma è il mondo stesso. Perciò per essenza non può appagarsi in esso. La minaccia non ha il carattere di un danno determinato che colpisca il minacciato relativamente a un particolare e determinato poter-essere effettivo. Il davanti-a-che dell’angoscia è completamente indeterminato. Questa indeterminatezza non solo lascia effettivamente del tutto indeciso da quale ente intramondano venga la minaccia, ma sta a significare che in generale l’ente intramondano è “irrilevante”. E qui si incomincia a capire che cos’è l’angoscia per Heidegger. L’ente intramondano è irrilevante, non significa niente. Niente di ciò che all’interno del mondo si presenta come utilizzabile o semplice-presenza può fungere da ciò innanzi a cui l’angoscia è tale. Non esiste un oggetto davanti a cui c’è l’angoscia. L’angoscia viene dal fatto che, dice Heidegger, tutte le cose, tutti gli oggetti intramondani, diventano irrilevanti, perdono di significato. La totalità di appagatività costituita dagli utilizzabili e dalle semplici-presenze scoperti nel mondo perde come tale ogni importanza. Sprofonda in se stessa. Il mondo assume il carattere della più completa insignificatività. Però, non ci dice perché avviene questo fenomeno. Dice che l’angoscia è la situazione emotiva di fronte all’insignificatività degli enti intramondani, ma perché diventano insignificanti? A pag. 228. …l’angoscia non ha occhi per “vedere” un determinato “qui” o “là” da cui si avvicina ciò che è minaccioso. Ciò che caratterizza il davanti-a-che dell’angoscia è il fatto che il minaccioso non è in nessun luogo. L’angoscia non “sa” che cosa sia ciò-davanti-a-cui essa è angoscia. “In nessun luogo” non equivale però a “nulla”, poiché proprio in esso si radicano, per l’in-essere essenzialmente spaziale, la prossimità in generale e l’apertura del mondo in generale. Il minaccioso non può perciò nemmeno avvicinarsi nella prossimità da una determinata direzione… se non c’è non c’è nemmeno la direzione …esso “ci” è già ma non è in nessun luogo; esso è così vicino che ci opprime e ci mozza il fiato, ma non è in nessun luogo. Fin qui non c’è nulla di complicato. Nel davanti-a-che dell’angoscia si rivela il “nulla e in-nessun-luogo”. Questa è l’angoscia per Heidegger, il fatto che l’Esserci, proprio perché è nel mondo, rileva che questo mondo di cui è fatto è nulla. L’impertinenza del nulla… impertinenza nel senso che non pertiene a qualche cosa …e dell’”in-nessun-luogo” intramondani significa fenomenicamente: il davanti-a-che dell’angoscia è il mondo come tale. Non è una cosa specifica, eppure è qualche cosa e che cos’è, allora? Dice Heidegger: è il mondo come tale, il mondo come tale che non significa niente. La completa insignificatività che si annuncia nel nulla e nell’”in-nessun-luogo” non significa un’assenza del mondo, ma, al contrario, che l’ente intramondano è divenuto in se stesso così recisamente privo di importanza che, in virtù di questa insignificatività dell’intramondano, ciò che ci colpisce è ormai unicamente il mondo nella sua mondità. Ciò che opprime non è questa o quella semplice-presenza e neppure la totalità di esse come somma, ma la possibilità dell’utilizzabile in generale, cioè il mondo stesso. Ciò che opprime, dice, è l’utilizzabilità la possibilità, quindi, le infinite possibilità che si aprono ciascuna volta di fronte. Poi, questa possibilità si configura in un progetto ma originariamente l’Esserci non è altro che questa serie infinita di possibilità, è un’apertura di possibilità, senza fine. Quando l’angoscia è dileguata, il discorso quotidiano suole dire che “in realtà, non era nulla”. Questo discorso, onticamente, coglie nel segno, coglie che cosa era. Ciò davanti a cui l’angoscia è tale, è nulla di utilizzabile nel mondo. Nulla di utilizzabile perché noi sappiamo che ciascuna cosa nel mondo è “per” qualcosa, cioè è quella che è perché è all’interno di un progetto nel quale ha uno scopo, un fine e un utilizzo. Il nulla di utilizzabilità si fonda nel “qualcosa” di assolutamente originario, nel mondo. In una nota dice: Dunque proprio qui non si tratta affatto di nichilismo. Come dire che questo è qualcosa, è il mondo, che è un nulla di significatività ma non è un nulla assoluto, il nihil absolutum, come dice lui, è non è il nichilismo. Ma questo, da parte sua, appartiene, ontologicamente ed essenzialmente, all’essere dell’Esserci in quanto essere-nel-mondo. Se dunque il davanti-a-che dell’angoscia è il nulla, cioè il mondo in quanto tale, ne viene: ciò dinanzi a cui l’angoscia è tale, è l’essere-nel-mondo stesso. (pagg. 228-229) È chiaro che, posta in questi termini, l’angoscia è ineliminabile, perché non sarebbe niente altro che la situazione emotiva che si incontra nella comprensione dell’Esserci di fronte al mondo, il mondo è nulla. Adesso vediamo se ci dice il perché. L’angoscia apre quindi originariamente e direttamente il mondo come mondo. Non però nel senso che, dapprima, si presenterebbe riflessivamente dall’ente intramondano per considerare soltanto il modo in cospetto del quale sorgerebbe poi l’angoscia; … sta dicendo che si esperisce direttamente l’angoscia ma non come un qualcosa che arriva da qualche parte, perché dice… è invece l’angoscia che, come modalità della situazione emotiva, apre primariamente il mondo in quanto mondo. Il mondo si apre come angoscia, cioè come il trovarsi nella situazione emotiva che segue al rilevare il nulla. Il che non significa però che nell’angoscia la mondità del mondo sia colta in termini concettuali. Certo, uno che è angosciato non è che faccia chissà quali considerazioni. L’angoscia non è soltanto angoscia davanti a… ma, in quanto situazione emotiva, è nel contempo angoscia per… Il per-che dell’angoscia non è un determinato modo di essere o una possibilità dell’Esserci. La minaccia è sempre indeterminata e non può investire, minacciando, questo o quel poter-essere determinato e effettivo. Se la minaccia è indeterminata non può essere colta in qualche cosa. Infatti, dice: Il per-che dell’angoscia è l’essere nel mondo come tale. Nell’angoscia l’utilizzabile intramondano e in generale l’ente intramondano sprofondano. Il “mondo” non può più offrire nulla, e lo stesso il con-Esserci degli altri. L’angoscia sottrae così all’Esserci la possibilità di comprendersi deiettivamente a partire dal “mondo” e dallo stato interpretativo pubblico. Essa rigetta l’Esserci nel per-che del suo angosciarsi, nel suo autentico poter-essere-nel-mondo. L’angoscia isola l’Esserci nel suo essere-nel-mondo più proprio, il quale, in quanto comprendente, si progetta essenzialmente in possibilità. Assieme al per-che dell’angosciarsi, l’angoscia apre l’Esserci come esser-possibile, e precisamente come tale che solo a partire da se stesso può essere isolato e nell’isolamento. Qui, finalmente, arriviamo alla spiegazione. L’angoscia rivela nell’Esserci l’essere-per il più proprio poter-essere, cioè l’essere-libero-per la libertà di scegliere e possedere se stesso. L’angoscia porta l’Esserci innanzi al suo essere-libero-per… (propensio in…) l’autenticità del suo essere in quanto possibilità che esso è già sempre. Ma questo essere è in pari tempo quello a cui l’Esserci è consegnato in quanto essere-nel-mondo. Ecco, a questo punto lui ci dice che cosa per lui è esattamente l’angoscia: il fatto che l’Esserci, quando considera se stesso, quindi, non è nella chiacchiera, si ritrova ad essere nient’altro che una pura e semplice possibilità, nient’altro che questo. È per questo che le cose cessano di significare, perché le cose significano nel momento in cui questa possibilità diviene in atto all’interno del progetto lungo il quale quella cosa, quel determinato utilizzabile, viene utilizzato o, come direbbe lui, appagato. L’Esserci, in ciò che gli è più proprio, non è nient’altro che pura possibilità. Questo, dice Heidegger, lo mette di fronte al nulla, cioè l’insignificatività delle cose, perché ancora non significano finché rimangono possibilità, finché non c’è il progetto in atto. Ecco che allora l’Esserci si trova di fronte a sé che è nulla perché è solo possibilità. Se è solo possibilità qualunque utilizzabile è niente perché non c’è il progetto entro il quale una determinata cosa è quella che è.

Intervento: Come si esce da questa angoscia, secondo Heidegger?

Non si esce, semplicemente. L’angoscia è una tonalità affettiva che è il modo in cui l’Esserci si trova nel mondo, si trova nell’angoscia in quanto assoluta possibilità. La deiezione serve proprio a questo, a impedire all’Esserci di confrontarsi con se stesso perché, confrontandosi con se stesso, si ritrova nel mondo come pura e semplice possibilità e, quindi, circondato da nulla, perché se è solo possibilità e non ancora progetto non c’è nulla. Perché questa angoscia è così preoccupante? È una domanda legittima. Seguiamo il suo discorso. L’angoscia, togliendo il valore alle cose, l’utilizzabilità all’utilizzabile, toglie la possibilità di esercitare un potere sul mondo. Quindi, se dovessimo proprio dirla tutta, dovremmo dire che l’angoscia è la situazione emotiva in cui ci si trova di fronte all’impossibilità di esercitare un potere sul mondo. Viene da qui la necessità della deiezione, quindi, di rivolgersi al Si che invece consente di stabilire come stanno le cose, perché tutti pensano così, e quindi di recuperare il mio potere sul mondo. Finché si mantiene solo la pura possibilità non ho il potere sulle cose perché non “sono” ancora. A pag. 230. Che l’angoscia, in quanto situazione emotiva fondamentale, apra in questo modo, è attestato insospettabilmente dall’interpretazione quotidiana dell’Esserci e dal discorso quotidiano. Abbiamo già detto che la situazione emotiva rivela “come ci si sente”. Nell’angoscia ci si sente “spaesati”. Qui trova espressione innanzitutto la indeterminatezza tipica di ciò dinanzi a cui l’Esserci si sente nell’angoscia: il nulla e l’in-nessun-luogo. Ma sentirsi spaesato significa, nel contempo, non-sentirsi-a-casa-propria. Non sentirsi padrone della situazione. Durante l’indicazione fenomenica iniziale della costituzione fondamentale dell’Esserci e la chiarificazione del senso esistenziale dell’in-essere contrapposto al significato categoriale dell’”esser-dentro”, l’in-essere fu determinato come abitare presso…, essere familiare con… Questo carattere dell’in-essere fu poi ulteriormente chiarito attraverso l’analisi della pubblicità quotidiana del Si, che introduce nella quotidianità media dell’Esserci la tranquillizzante sicurezza di sé e l’ovvietà del “sentirsi-a-casa-propria”. L’angoscia, al contrario, va a riprendere l’Esserci dalla sua immedesimazione deiettiva col “mondo”. La familiarità quotidiana si dissolve. L’Esserci resta isolato, ma lo è come essere-nel-mondo. È qualcosa da cui non può sottrarsi perché lui è essere-nel-mondo. L’in-essere assume il “modo” esistenziale del non-sentirsi-a-casa-propria. A null’altro si allude quando si parla di spaesamento. A pag. 231. La fuga deiettiva verso il sentirsi-a-casa-propria, caratteristico della pubblicità… cioè, di essere nel pubblico, oggi si direbbe di essere in qualche social network. …è fuga davanti al non-sentirsi-a-casa-propria, cioè davanti a quel sentirsi-spaesato che è proprio dell’Esserci in quanto essere-nel-mondo gettato e rimesso a se stesso nel proprio essere. Questo sarebbe il modo autentico: se c’è autenticità nel confronto con l’Esserci c’è angoscia, perché ciò che si ha di fronte è il nulla. Questo spaesamento rode costantemente l’Esserci e minaccia, sia pure inesplicitamente, la sua quotidiana dispersione nel Si. Tale minaccia può, di fatto, accompagnarsi a una totale sicurezza e alla normalità del prendersi cura quotidiano. L’angoscia può sorgere nella più innocua delle situazioni. Essa non ha nemmeno bisogno di quell’oscurità in cui, per lo più e comunemente, uno si sente spaesato. Nelle tenebre non c’è certamente “nulla” da vedere, tuttavia il mondo “ci” è ancora e nel modo più impertinente. Più avanti nella stessa pagina. Dal punto di vista ontologico-esistenziale, il non-sentirsi-a-casa-propria deve essere concepito come il fenomeno più originario. Quindi, pone l’angoscia come qualcosa di originario, di ineliminabile, gi strutturalisti direbbero qualcosa di strutturale. A pag. 233. Nell’angoscia le possibilità fondamentali dell’Esserci, che è sempre mio, si mostrano in se stesse, senza l’intrusione dell’ente intramondano a cui l’Esserci innanzi tutto e per lo più si aggrappa. Si mostrano in se stesse le possibilità, cioè di essere semplici e pure possibilità. Questo era quanto c’era di importante rispetto alla questione dell’angoscia, che, così come l’abbiamo posta, ci conduce all’impossibilità di autodeterminarsi, cioè l’Esserci, come pura e semplice possibilità, si trova di fronte il nulla, il mondo è nulla, non ha nulla su cui esercitare il potere, il dominio. È per questo che rincorre la deiezione, è per questo che è tranquillizzante, perché dà l’occasione di esercitare un potere, di sentirsi autorizzato a pensare di sapere come stano le cose.