NDIETRO

 

5-7-2005

 

in nessun modo è possibile uscire dal linguaggio

 

Stiamo facendo esercizi per provare che una certa affermazione è vera…

Intervento: e questo mi diventa più difficile, è difficile provarla perché se l’altro accoglie le tue regole… il linguaggio è ciò che permette pur descrivendo di organizzare…

Ma non ne è la condizione, questo diceva il nostro obiettore…

Intervento: però se l’altro accoglie tutto sommato le nostre regole… non totalmente però in un certo modo sì… se lascio cadere una pietra la verificherò con i miei sensi, vedo che cade e questo è funzionale al luogo comune ma io deve dimostrare che qualsiasi cosa è un elemento linguistico… retoricamente poter dimostrare a questo tizio che ciò che lui sta facendo è un atto di fede, porlo in condizioni che non possa controbattere…

Bene, come vuole che procediamo, fa lei le obiezioni o faccio io le obiezioni, o mi rispondo e faccio tutto da me?

Intervento: mi piacerebbe, se potesse lei…

Allora siamo alle due solite posizioni: l’una che afferma che la realtà procede dai sensi, come dire che la realtà non è nient’altro che ciò che i sensi percepiscono, e questa è l’una, poi invece la nostra posizione che afferma che qualsiasi cosa è un elemento linguistico. Dicevamo che per il momento sono due opinioni. Al nostro obiettore potrebbe essere richiesto di provare quello che afferma, e cioè che la realtà è ciò che cade sotto i sensi, ora se questo signore dovesse provare quello che afferma si troverebbe in difficoltà, perché una prova è qualche cosa che deve concludere con una affermazione che deve risultare vera, ché se non risulta vera non serve a nulla, ora come potrà procedere per dimostrare una cosa del genere? L’unica cosa che potrà fare sarà dire che i sensi sono la cosa principale, quella che consente agli umani di avvertire qualunque cosa, di vederla, di toccarla, di esperirla e che appare essere la prima condizione ancora prima del linguaggio perché anche chi non ha linguaggio, come comunque un bambino che ancora non ne è provvisto, comunque reagisce a degli stimoli e quindi la percezione precede il linguaggio e anche, dicevamo la volta scorsa, che addirittura potrebbe arrivare a sostenere che ne è la condizione. Facendo questo in realtà non ha prodotto una dimostrazione, ha soltanto accampato delle ipotesi, ché affermare che i sensi sono la prima cosa che gli umani percepiscono, con cui hanno a che fare, come può provarlo se non con una petizione di principio, e cioè dire che è così perché da sempre avviene così, ma come fa a sapere che avviene così? Lo sa in base a una serie di informazioni che ha ricevute e che ha organizzate attraverso il linguaggio, mentre lui sta affermando che sa quello che avviene prima che ci sia il linguaggio, cioè ciò che avviene in assenza di linguaggio, lui sta affermando che lo sa in base a ciò che ha acquisito dopo, cioè quando c’è stato il linguaggio, questo è quanto può affermare, però affermare con assoluta sicurezza come le cose stanno in assenza di linguaggio è arduo, come dire che è possibile, senza il linguaggio, sapere come funzionano le cose senza linguaggio, ma se lo so è perché c’è il linguaggio, posso sbarazzarmi del linguaggio per sapere come stanno le cose senza linguaggio? No, non lo posso fare, e allora tutto ciò che posso fare è soltanto un’ipotesi, potrebbe essere così, ma dovrei privarmi del linguaggio per sapere come stanno le cose senza linguaggio, ma se sono privo del linguaggio come faccio a sapere come stanno le cose senza linguaggio? Quindi non lo può sapere, allora è soltanto un’illazione nella migliore delle ipotesi, a lui piace pensare che sia così, oltre al fatto che possiamo sempre dirgli che questa illazione che compie può compierla in base all’esistenza del linguaggio e quindi è vincolata al funzionamento del linguaggio, alla sua struttura in ogni caso. A questo punto il nostro interlocutore è costretto nell’angolo, e direbbe: effettivamente non posso sapere come stanno le cose senza linguaggio, però tutto induce a pensare che le cose siano in un certo modo anche senza linguaggio. Dunque tutto induce a pensare che… però è vero, dice lui, non lo si può provare ma, ci dice il nostro interlocutore, voi sapreste provare ciò che affermate in modo assolutamente inattaccabile e inequivocabile? Perché se non lo sapete fare allora la vostra opinione vale quanto la mia e quindi ce ne torniamo a casa tranquilli ognuno con le sue convinzioni. Noi a questo signore risponderemo di sì, possiamo provare ciò che affermiamo, e lo faremo. Innanzitutto dovremo concordare con il nostro interlocutore sulla nozione di prova, che cos’è una prova? Quando, giunti a una certa affermazione, potremmo dire che questa è una prova? A quali condizioni? Questione fondamentale perché se non ci accordiamo sulla la definizione di prova sarà difficile condurlo là dove vogliamo condurlo, e allora dobbiamo fornire una nozione di prova che non potrà rifiutare. Diremo così: la prova non è che una sequenza di proposizioni che muovono da una premessa e devono giungere attraverso passaggi coerenti tra loro a una conclusione tale che non soltanto non contraddica la premessa da cui è partita ma sia implicita nella premessa da cui è partita, solo allora sarà una prova. Detto questo allora proviamo che ciò che noi affermiamo è necessariamente vero. Per costruire una tale prova ci servirà uno strumento che ci permetta, da una premessa di giungere a una conclusione e questo strumento dove lo troviamo? Ce l’abbiamo sotto il naso, non è nient’altro che il linguaggio che ci consente di costruire un criterio ma, ci obietta il nostro amico, il linguaggio consente di costruire un criterio ma consente di costruirne di infiniti di criteri, quale dunque accoglieremo? Quale sarà più vero di tutti gli altri? Quale, gentili signore e signori? Perché non ha torto il nostro obiettore, posso costruire qualunque criterio, anche lui ne ha costruito uno, perché il nostro dovrebbe essere più vero? Come si fa a stabilire se un criterio è assolutamente vero? Cioè che non può fallire? Non è difficile rispondere a questa domanda visto che in fondo abbiamo già risposto, il criterio è una sequenza di proposizioni, quindi è costruito così, non c’è altro modo, ora abbiamo detto che è possibile costruire infiniti criteri ma tutti questi criteri dovranno rendere conto, se vogliono essere affermati come veri, di un parametro, quindi questo è vero in base a questo, questo è vero in base a quest’altro, e questo non è possibile mostrare la verità dalla più parte dei criteri, perché una volta interrogati comportano un infinito rinvio, non ci si arresta mai, ma dove è possibile arrestarsi e quindi interrompere questo infinito rinvio? È possibile arrestarsi là dove il rinvio non fa nient’altro che rinviare a se stesso: abbiamo detto che questo criterio è linguaggio, è fatto di linguaggio, se questo criterio utilizzerà soltanto le regole, le procedure di cui il linguaggio è fatto allora non avrà bisogno di cercare altrove le condizioni della sua verità, poiché qualunque definizione di verità comunque sarà fornita dal linguaggio, sarà definita dal linguaggio, ora se noi utilizziamo la struttura del linguaggio per stabilire il criterio di verità allora che cosa avremo fatto a questo punto? Avremo costruito un criterio fatto dello stesso linguaggio che ci ha consentito di costruire il criterio, cosa vuole dire questo? Vuole dire che per costruire un criterio stiamo utilizzando le regole di quella cosa, cioè il linguaggio, senza la quale non possiamo costruire nessun criterio. A questo punto siamo giunti a potere affermare che stiamo utilizzando l’unico criterio possibile o, più propriamente, che stiamo utilizzando un criterio che sarà quello che ci consentirà di potere pensare qualunque criterio, in altre parole ancora possiamo dirla così: questo criterio che utilizziamo è quello che è necessario, ed è necessario perché in assenza di questo criterio, cioè del linguaggio,non è possibile costruire nessun criterio, mentre qualunque altro criterio può essere sostituito,quello che pone per esempio i sensi come criterio per stabilire la realtà può essere sostituito senza che succeda niente, tant’è che io posso sostituirlo e molti lo fanno, con la volontà di dio, con la natura, con quello che gli pare e non succede niente, io posso continuare a costruire altri criteri, sempre altri ma se io affermo che questo criterio, cioè il linguaggio, è sostituibile allora mi trovo di fronte a un problema: non posso costruire più nessun criterio perché i criteri li costruisco attraverso il linguaggio, se tolgo questo criterio, cioè se tolgo il linguaggio io non posso costruire più nessun criterio, né di verità né di altro e quindi in nessun modo potrò stabilire che qualcosa è vera senza il linguaggio, in nessun modo, mentre il linguaggio ci offre il criterio che è l’unico in realtà che risulti necessario e senza questo non c’è più niente, ora in che senso questa è una prova? Abbiamo detto che in realtà non si tratta propriamente di una prova ma di una costrizione logica perché o usiamo il linguaggio per costruire un criterio oppure non costruiamo niente e di qui non c’è via di uscita, una costrizione logica risulta necessaria, se non fosse così, se qualche cosa non è costruito dal linguaggio o meglio, se qualche criterio non è costruito dal linguaggio non è niente, perché non è possibile costruire qualcosa in assenza di linguaggio, o c’è il linguaggio ed è possibile costruirlo oppure non c’è il linguaggio e allora non c’è nessun criterio, di nessun tipo e in nessun modo. Il discorso che facciamo è costrittivo ma in effetti non è una prova, ma per un motivo ancora più potente e cioè che si fonda sulla condizione di qualunque prova, il linguaggio non ha bisogno di provare se stesso, è lui che consente di costruire le prove e quindi se vuole le costruisce se non vuole non le costruisce, ma poco gli importa. Ora arrivati a questo punto il nostro interlocutore si trova di fronte alla sua affermazione che risulta arbitraria, perché ha posto come premessa della sua argomentazione qualcosa che non è necessario, che può essere sostituito, ciò invece che poniamo noi come premessa alla nostra argomentazione non può essere sostituita da altro perché non c’è altro con il quale sostituirlo, e a questo punto possiamo considerare che tutto ciò che abbiamo costruito poggia su un criterio molto potente: il linguaggio, che non è nient’altro che una sequenza di istruzioni che consentono la costruzione di qualunque cosa, dunque ciò che affermiamo è che qualunque cosa, se è tale, appartiene al linguaggio, possiamo anche dire che è fatta di linguaggio, ma cosa intendiamo dire che è fatta di linguaggio? Semplicemente questo: che in nessun modo possiamo uscire dal linguaggio, se potessimo uscire dal linguaggio nemmeno lo sapremmo perché non avremmo nessun modo per saperlo, non ci sarebbe la possibilità appunto di sapere che siamo fuori dal linguaggio, non ci sarebbe la possibilità di sapere niente, assolutamente niente, ora dire che qualunque cosa appartiene al linguaggio necessariamente significa anche dire che questo qualcosa è necessariamente inscritto all’interno del linguaggio e all’interno di un gioco linguistico, qualunque esso sia, e pertanto questo elemento esiste perché è giocabile. La nozione di esistenza non è altro che la nozione di giocabilità all’interno del linguaggio, ciò che non è giocabile all’interno del linguaggio non esiste e non è mai esistito, e giocabile all’interno del linguaggio significa che appartiene alla combinatoria linguistica, è inscritto all’interno del linguaggio, e domandarsi se qualche cosa che non è ancora nel linguaggio, o potrebbe essere inscrivibile nel linguaggio non è un granché come domanda, è possibile, ma non ha nessuna rilevanza perché nel momento in cui esiste, cioè qualcuno si accorge di qualche cosa in quel momento è già linguaggio…

Intervento: è il linguaggio stesso che ci permette di porci questa domanda se c’è qualcosa che non è ancora linguaggio ma è una proposizione che funziona e che ha costruito tutte le metafisiche e le magie…

Sì, però adesso proviamo a fare un discorso più rapido, io ho fatto un discorso molto lungo. Come può costruirsi un discorso più veloce? Saltando dei passaggi però mantenendo sempre la comprensibilità. Potremmo dire al nostro interlocutore che il suo criterio non può essere provato, che rimane un’opinione al pari di qualunque altra e quindi lascia il tempo che trova, mentre ciò che noi affermiamo è provabile e risulta necessario perché se così non fosse, se qualche cosa non appartenesse al linguaggio non potrei saperlo in nessun modo, non potrei provare in nessun modo che non è nel linguaggio perché per farlo devo usare il linguaggio, ché non posso pormi fuori dal linguaggio e da lì verificare che esiste qualcosa senza linguaggio, non lo posso fare. E allora, se non lo posso fare, cioè se non c’è nulla che dimostri una cosa del genere, che possa provare una cosa del genere, allora è un atto di fede, un giudizio estetico, mi piace pensare che sia così, ma io non posso uscire dal linguaggio per dimostrare che questo è fuori dal linguaggio, in nessun modo, non potendolo fare posso crederlo, posso credere anche nella madonna, posso credere a quello che mi pare ma è, nella migliore delle ipotesi un’opinione, nella peggiore un atto di fede assolutamente ingiustificato, e il fatto che sia creduta da un gran numero di persone, questo non significa assolutamente niente. Qualcosa è provabile solo se appartiene al linguaggio, fuori dal linguaggio non c’è nessun modo di provare alcunché quindi il problema non si pone, non c’è proprio, se qualcosa è provabile è perché è all’interno del linguaggio ed è provabile attraverso il linguaggio, solo il linguaggio può fare questo. A questo punto potremmo anche aggiungere che funziona così nel senso che per proseguire è costretto a costruire proposizioni vere, però a questo punto potrebbe non essere necessario, quindi la cosa fondamentale è che non posso uscire dal linguaggio per provare qualcosa perché se per assurdo fosse fuori dal linguaggio da quel momento cesso di potere provare qualunque cosa perché non ho gli strumenti per farlo. Per quanto riguarda i sensi abbiamo detto: io stabilisco che la realtà è ciò che i miei sensi stabiliscono perché mi piace fare così, l’unica cosa che possa dire. Certo i sensi percepiscono delle cose e io posso anche stabilire che la realtà è ciò che cade sotto i sensi, va bene, non c’è nessun problema, c’è soltanto quando qualcuno mi chiede di provare che quello che io faccio è dimostrabile, che sia proprio così e cioè che la realtà sia questo, ma non lo è, la realtà non è niente finché io non decido che cos’è, e posso decidere qualunque cosa, ma posso anche decidere che la realtà appartenendo al linguaggio è ciò che il linguaggio di volta in volta decide che sia e non posso fare altro e quindi in questo senso è una costruzione del linguaggio perché è il linguaggio che decide che cos’è “ma i miei sensi percepiscono le botte in testa”, no senza un linguaggio che organizzi tutte queste cose e che fornisca gli strumenti per potere valutare questo, affermare che comunque sentirei il dolore non significa niente perché per farlo dovrei essere senza linguaggio, poi provare questa cosa, la botta in testa, dopodiché cosa faccio senza linguaggio? La provo lo stesso? Con che cosa? Cosa significa? Non significa niente, reagisco a degli stimoli? Sì certo reagisco a degli stimoli, e torniamo al termometro famoso. È un non senso, non significa niente assolutamente niente cioè non è utilizzabile in ambito teorico, poi va bene, ciascuno lo utilizza nella vita quotidiana così come utilizza una infinità di giochi linguistici senza chiedersi né da dove vengono né come siano fatti, li usa, ma in ambito teorico dobbiamo necessariamente chiederci che cosa stiamo facendo e a quali condizioni possiamo fare ciò che stiamo facendo. Non posso uscire dal linguaggio, questa è la questione fondamentale, non potendo uscire dal linguaggio tutte le mie opinioni, le mie credenze, le cose che immagino, che suppongo, che sogno, che desidero sono costruite da questa struttura e di questa struttura portano continuamente l’impronta, non possono uscire da lì…

Intervento:…

Lei deve dire al suo interlocutore: “esca dal linguaggio, una volta che è fuori dal linguaggio provi questa cosa”…

Intervento:…

Se è senza linguaggio come fa a provare qualche cosa, o dimostrare qualche cosa? E con che cosa lo farà? Non può fare niente, assolutamente niente “ma io sento lo stesso il dolore”, questo può immaginarlo, può supporlo, può crederlo, può fare tutto quello che vuole ma non ne potrà mai avere la certezza, mai, e quindi se piace continuare a crederlo va bene, non vuole più crederlo, va bene, può fare tutto quello che vuole, e può fare tutto quello che vuole per gentile concessione del linguaggio, senza il quale non farebbe né questa cosa né nessun’altra. Purtroppo il linguaggio consente di dire anche tutte queste scemenze, come quella che afferma che qualcosa è fuori dal linguaggio. Se si costringe retoricamente la persona a immaginare di porsi in quella posizione dove non c’è linguaggio, magari ha l’occasione di accorgersi che non potrebbe fare niente, può anche continuare a dire: ma io sentirei al botta in testa, sì, lo dice perché è provvisto di quella cosa che si chiama linguaggio, in caso contrario non potrebbe porsi la questione, ci sarebbero delle modificazioni, qualcosa verrebbe modificato come un bicchiere che cade e si spacca, ma anche questo, il fatto che un bicchiere cada e si spacca è una cosa che il bicchiere considera? Può avvertire? È consapevole di una cosa del genere, perché lui è senza linguaggio, cade e si spacca, è un problema? Si accorge che si sta spaccando? Questa è un’argomentazione retorica, non significa niente logicamente, però può avere qualche efficacia “lei dice che sentirebbe la botta in testa, senza il linguaggio sarebbe come quel bicchiere che si spacca”, cosa sentirebbe? Sentirebbe il dolore che prova il bicchiere né più né meno, certo anche noi possiamo credere che il bicchiere senta dolore, chi ce lo impedisce? Nessuno, è una fantasia come un’altra, ma è una fantasia, dire che sentirei comunque dolore in assenza di linguaggio è una fantasia, non significa niente, assolutamente niente, ma se le piace può continuare a pensare così, la gente crede le cose più strane, crede anche questa…

Intervento: nessuno però l’ha mai detto, nessuno le ha mai dette queste cose…

Certo, ma questo punto dovreste avere a disposizione un criterio che non sia fatto di linguaggio, vi sfido a trovarne uno ma, come dicevo la volta scorsa, tutto questo è ampiamente elucubrato nello scritto sulla logica del linguaggio, che nessuno ha letto…

Intervento:…

Lì non ci sono figure retoriche che ho messo adesso per facilitare la comprensione, è soltanto un testo di logica quindi non ci sono figure retoriche, non sono necessarie in ambito logico, in ambito retorico ovviamente sì, per cui ecco il bicchiere e tutte queste storie, o chiedere alla persona se soffrirebbe così come soffre il bicchiere oppure in altro modo, se in altro modo come fa a saperlo? In base a che cosa? Se non una esperienza che ha acquisita attraverso il linguaggio, è il linguaggio che gli fa pensare tutta una serie di cose, gli fa immaginare che in assenza di linguaggio sentirebbe questo e possiamo anche dirgli perché, se è proprio così curioso, perché una volta che il linguaggio ha stabilito una proposizione che ritiene vera all’interno di quel gioco si attiene a quella proposizione, e non la mette in gioco fino a che non è costretto a farlo, per cui continua a credere ciò che ha sempre creduto, per esempio che esista una realtà indipendente dal discorso di cui è fatta, è una proposizione che ha imparata e che funziona all’interno di un certo gioco come una proposizione vera, e quindi non la mette in discussione, non l’abbandona così come non abbandona il pensiero che una botta in testa farebbe male anche senza il linguaggio, perché è una proposizione che all’interno del suo gioco risulta essere vera, anche se non è provata. Bizzarra questione, tutto ciò che gli umani ritengono essere vero in realtà non può essere provato e possiamo anche dire perché funziona in questo modo, possiamo dire tutto…

Intervento: anche il fatto che l’esperienza come dicevamo organizza il linguaggio, quindi parte dai sensi e i sensi costruiscono il linguaggio, il linguaggio serve ai sensi uno strumenti tra gli altri, come si fa ad affermare che l’esperienza organizza il linguaggio…

Si attribuisce all’esperienza una sorta di metalinguaggio…

Intervento: io imparo a parlare e continuo a parlare e mi trovo a parlare

È ciò che dicevamo prima: l’esperienza dei sensi non può precedere il linguaggio in nessun modo, posso crederlo, posso affermarla una cosa del genere, ma dovrei mettermi fuori dal linguaggio per cercare di provare la cosa, ma come la provo senza linguaggio? C’è altro che volete che io svolga?

Intervento: Leggevo Propp e lo strutturalismo, Propp parla di morfologia, parla di forma, parla di quell’unica storia… che cosa intendono gli strutturalisti, per esempio, Levi Strauss cosa intendono quando parlano di struttura…

Si chiede che cos’è la struttura? L’ha definita Benveniste…

Intervento: volevo una definizione precisa di struttura…

La struttura è una sequenza di elementi tale per cui variando un elemento variano tutti gli altri, questa è la struttura, nient’altro che questo, e con morfologia si intende la forma, per esempio di una fiaba, c’è un evento che funziona da evento scatenante, c’è una serie di effetti di questo evento che hanno un certa forma, per esempio, vanno contro il nostro protagonista e hanno un conclusione dove il nostro protagonista riesce a superare gli ostacoli, tutto questo costituisce una forma, può non essere una struttura certo, ché sia una struttura è necessario, stando alla definizione classica di struttura, che la variazione di un elemento comporti la variazione di tutti gli altri, mentre morfologicamente potrebbe non essere una struttura perché se io vario, per esempio, l’evento scatenante posso mantenere intatti tutti gli altri, come spesso avviene nelle fiabe, l’evento scatenante è un altro, non è quello, è simile ma non è quello e tutto ciò che ne segue è uguale…

Intervento: Propp è arrivato dalla forma a stabilire che c’è un’ unica storia

Sì certo, una forma originaria, che si ripete in tutti i miti, in tutti i racconti

Intervento: che è la questione dell’Edipo perché Levi Strass lì voleva andare a parare

La struttura è sempre la stessa in tutti i racconti: c’è un evento infausto o un problema al quale occorre porre rimedio, qualunque storia è fatta così…

Intervento:…

Potremmo anche dire che Propp non ha tutti i torti se naturalmente pieghiamo quello che lui dice in un certo modo, vale a dire che qualunque storia essendo raccontata dal linguaggio ed essendo fatta di linguaggio ha la struttura del linguaggio, cioè c’è un problema che deve essere risolto…

Intervento: qui risulta in modo macroscopico, cento anni fanno sono cominciati i primi passaggi… sono emerse le prime questioni

Sì, De Saussure soprattutto e poi tutti quelli che hanno fatto seguito fino a Austin, Wittgenstein, anche se non arrivano da De Saussure ma dal quale in qualche modo hanno tratto vantaggio anche loro. Va bene, possiamo fermarci qui per questa sera.