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5 giugno 2024

 

Plotino Enneadi

 

Proseguiamo dunque con le Enneadi di Plotino. Ci sono delle questioni interessanti che si stanno ponendo. Perché Plotino ce l’ha tanto con gli gnostici? Perché non si sottomettono all’Uno. Plotino vuole che tutti quanti si sottomettano all’Uno, perché l’Uno è il Bene assoluto; al di là dell’Uno non c’è niente, è necessario che tutti lo riconoscano. Gli gnostici, invece, anziché sottomettersi all’Uno, con arroganza vogliono mettercisi al suo posto. È per questo che Plotino non li sopporta. Mettersi al posto di Dio; infatti, come abbiamo evocato varie volte, il motto degli gnostici è proprio questo: sarete come dei. L’ira di Plotino nei confronti degli gnostici è a causa di quella che lui ritiene essere la loro blasfemia, cioè, pensare di mettersi al posto di Dio è da blasfemi, significa non avere rispetto di Dio, e un Dio va rispettato. Però, sempre a proposito del neoplatonismo e dello gnosticismo, verrebbe quasi da pensare che siano due facce della stessa cosa. Entrambi, ovviamente, credono fortemente che esista un Dio: Plotino, perché al Dio, all’Uno, bisogna sottomettersi; agli altri, invece, occorre un Dio per potere mettersi al suo posto. Questa cosa dà da pensare al fatto che nel percorso che gli umani hanno fatto da Plotino in poi si è passati dall’Uno a Dio, alla natura, alla ragione. Ma in questo passaggio dall’Uno alla natura, quindi alla ragione – ragione che deve dominare la natura – si rimane in ambito plotiniano, perché l’intelletto procede direttamente dall’Uno. Nel caso del Rinascimento, invece, così come gli gnostici, si è pensato che attraverso l’intelletto, la ragione, fosse possibile accedere all’Uno, cioè alla natura. La natura si rivelerà a noi attraverso le sue leggi e le sue storie, come se l’idea fosse quella di sapere finalmente che cosa la natura vuole da noi. Tutta la scienza, in fondo, anche quella attuale, riprende il discorso di Platone nel Fedro, forse ancor più gli gnostici, e cioè l’idea che sia possibile, attraverso la ragione, comprendere, quindi dominare Dio stesso, attraverso meccanismi in fondo molto simili. Questo significa primariamente che dal neoplatonismo in poi, ma quasi potremmo dire da Aristotele in poi, tutto il pensiero filosofico, quindi anche scientifico, sia stato una sorta di teologia platonica. Ora, teologia qui è da intendere perché ancora in Proclo, per esempio, quando scrive il suo libro sulla Teologia platonica, la teologia è intesa come la metafisica, cioè quella cosa che per Aristotele era la filosofia prima. Una teologia platonica, dove ci sono degli dei o l’uno, secondo le circostanze, dei che occorre conoscere. Cosa presente anche in Platone, attraverso le idee che ci vengono da Dio: attraverso l’intelletto noi possiamo avvicinarci sempre di più. Ora, ci sono due posizioni: l’una, quella di Plotino, che dice che ci si avvicina a Dio, ma non lo si raggiunge mai, è impossibile arrivare all’Uno. È una posizione sostenuta anche da Tommaso fino a Popper, e cioè il pensiero, la ragione, si può avvicinare alla verità, ma senza raggiungerla mai. L’altro pensiero, quello che possiamo chiamare illuminista o rinascimentale, che invece pensa che attraverso la ragione sia possibile arrivare a Dio, conoscerlo, conoscerlo attraverso la natura; dopo Spinoza, Deus sive natura, la natura e Dio sono la stessa cosa. Questo per dire come in effetti il neoplatonismo e lo gnosticismo abbiano compiuto un percorso, potremmo dire, parallelo, da sempre, attraverso queste due forme: la sottomissione o la ribellione. Non a caso, proprio nel periodo dell’Illuminismo ci fu una corrente nota come libertinismo, che era una ribellione. L’idea è proprio questa, la sottomissione o la ribellione. Per ribellarsi occorre essere sottomessi, ma quando si è sottomessi, se accade di interrogare la cosa, immediatamente compare la ribellione, perché io non voglio essere sottomesso a lui, ma voglio che lui si sottometta a me. Quindi, tutto questo ci induce a pensare che, in effetti, questi due momenti, cioè il neoplatonismo e lo gnosticismo, non solo siano andati di pari passo, ma anche lo gnosticismo sia fortemente presente a tutt’oggi nel pensiero, addirittura nel catechismo, come dicevamo forse l’altra volta. Anche l’idea che, se si prega Dio, si ottiene qualche cosa, in Plotino non c’è assolutamente, perché lui non crede che basti recitare qualche cosa, qualche litania, per piegare la volontà di un Dio. Se è Dio non gli può importare di meno delle litanie, oltre al fatto che, come dicevamo, sarebbe veramente un Dio di poco conto quello che si lascia persuadere dalle lusinghe, sarebbe un Dio vanesio, vanitoso, che ha bisogno che qualcuno lo preghi.

Intervento: Per Plotino l’Uno non ha volontà.

No, non ha niente. Per gli gnostici invece si, questi dei sono impuri, sono qualcosa che… L’idea di essere gli eletti; il popolo viene visto sempre dall’alto verso il basso, il popolo è roba da niente, siamo solo noi che sappiamo come stanno veramente le cose.

Intervento: Sarebbe interessante vedere anche l’evoluzione del protestantesimo…

Sì, anche se penso che comunque il protestantesimo non si sia molto discostato dal neoplatonismo.

Intervento: C’è in effetti un ritorno al purismo…

Sì, il purismo. Ci sono sempre queste correnti puriste, così come anche nello stesso Islam c’è una corrente, i sufi, che sono la parte mistica dell’islam. C’è sempre una parte mistica, quella che pensa di essere in diretto contatto con Dio: Dio mi ha parlato, mi ha detto che… C’è sempre quello che è in contatto con Dio. È una cosa importante perché, in fondo, anche questa idea viene da Plotino: sono in contatto con Dio perché, plotinianamente, io sono un’emanazione di Dio, una processione di Dio, senza Dio io non esisterei. Quindi, si mantiene sempre un contatto, per cui non è impossibile che io possa parlare con Dio, anche se con Plotino è qualcosa di già più complicato, più che con Dio magari con l’intelletto, perché l’Uno appunto non parla, non pensa, non fa niente, è. E, allora, si tratta di vedere come hanno sempre giocato anche queste due posizioni e come giochino in fondo spesso simultaneamente.

Intervento: La visione negativa del mondo nello gnosticismo…

Ripresa poi dal proto cristianesimo, Origene, Tertulliano. Per Plotino no, il mondo è tutto una meraviglia. Ciò che ci sta mostrando Plotino, insieme con gli gnostici, perché questo trattato contro gli gnostici, in effetti, non fa altro che, più che sottolineare le distanze, mettere invece in evidenza le vicinanze tra lui e gli gnostici. Entrambi credono fortissimamente alle ipostasi: l’uno vuole sottomettersi, l’altro vuole ribellarsi, tutto qui. E, infatti, Plotino li accusa di questo, di essere superbi, oltre che lussuriosi, ecc. Addirittura, nella scuola di Plotino c’era questa contaminazione, perché alcuni venivano sedotti dalle teorie gnostiche e, infatti, lui si rivolge spesso, non tanto alle persone irrecuperabili, ma ai suoi amici prima che siano contaminati dallo gnosticismo, perché lo gnosticismo ha il suo fascino, visto che dice “sarete come dei”. Plotino, invece, dice: “sottomettetevi”. Sottomissione che poi è passata, un po’ di secoli dopo, direttamente nell’islam, che esige la sottomissione ad Allah; ciò che importa non è tanto la fede, anche sì, ma soprattutto la sottomissione. Questa cosa è tipicamente plotiniana. Diceva bene Sandro, Plotino non considera il mondo come un male. A pag. 309. Ma anche dimenticando che questa immagine è una finzione, come avviene la produzione degli esseri? Qui si interroga su come si producono gli esseri. Essi dicono che c’è anzitutto un essere e poi un altro, ma lo dicono in modo arbitrario. Perché il fuoco è il primo essere? Sono argomentazioni che lasciano il tempo che trovano, però sono quelle di Plotino. E come questo pensiero, appena nato, si accinge a creare? Ricordandosi di ciò che ha veduto. Eppure, esso non era là dove avrebbe potuto vedere, e nemmeno la madre che gli attribuiscono. E poi essi stessi non sono riflessi di anime, ma anime vere venute in questo mondo; di essi solo uno o due possono con fatica sfuggire al mondo ed arrivare alla reminiscenza e avere un ricordo degli esseri visti prima; come non meravigliarsi, allora, che questo riflesso, appena nato, abbia un pensiero, sia pure oscuro come essi dicono, degli esseri intelligibili? Che la madre sua, che è un riflesso materiale, non soltanto abbia questi stessi pensieri e tratta dal mondo intelligibile l’idea del mondo sensibile, ma conosca anche gli elementi di cui questo mondo, può formarsi? Infatti, gli gnostici vogliono tornare là da dove sono venuti; hanno visto la luce, hanno visto gli dei, quindi sanno, e vogliono tornare là, ma per tornare là devono sbarazzarsi del mondo, del corpo e di tutte queste pesantezze. A pag. 311. Infatti, perché l’anima dovrebbe illuminare le tenebre, se questa per lei non fosse una necessità? Necessariamente questa illuminazione o è conforme o è contrario alla natura. Se è conforme è sempre stata, se è contraria ci sarà anche nell’intelligibile qualcosa di contrario alla natura… Cosa che Plotino non può ammettere. …allora i mali sono anteriori a questo mondo e il mondo non è causa dei mali, ma ne causa l’Intelligibile. Il male non deriverebbe all’anima dal mondo, ma al mondo dall’anima, e così il ragionamento concluderà innalzando il mondo sino ai principi primi. E se è così del mondo sarà così anche della materia da cui il mondo ha avuto origine. L’anima, infatti, piegando verso il basso ha visto ed illuminato un’oscurità, che, secondo essi, esisteva già. L’idea che il male preesista è un’idea gnostica, contro la quale combatte Plotino, per il quale il male… è poi l’idea di Agostino: il male non è altro che una maggiore o minore lontananza dall’Uno: tanto più ci si allontana dall’Uno, tanto più ci si avvicina al male; allontanandoci da male ci si riavvicina all’Uno, al Bene. A pag. 313. Essi (gli gnostici) ammettono anche in altro modo che gli esseri superiori non siano puri. Quando essi compongono magie da indirizzare a loro e non soltanto all’anima, ma agli esseri ad essa superiori, essi non fanno che impiegare parole per incantarli, affascinarli, commuoverli; forse credono che essi obbediscono alla loro voce e ne siano attratti, purché si conosca un po’ l’arte di cantare in un certo modo, di gridare, di aspirare, di soffiare, si conoscano, insomma, tutte le pratiche... Sarebbe la teurgia. …di cui è scritto che hanno potere magico nel mondo superiore. Se essi non vogliono affermare tutto questo, come allora esseri incorpori obbedirebbero a delle parole? E così, proprio con quelle teorie con cui vorrebbero rendere più autorevoli i loro discorsi, tolgono agli esseri superiori ogni valore, senza che essi se ne accorgano. Se basta una preghierina per fare in modo che il Dio si pieghi al mio volere, vuol dire che faccio fare a Dio quello che voglio io. Quando poi pretendono di liberarsi delle malattie, avrebbero ragione se lo volessero fare mediante la temperanza e un regime regolare di vita, come fanno i filosofi; essi invece considerano le malattie come esseri demoniaci e si vantano di poterli cacciare con formule e come tali si esibiscono, credendo di essere così più autorevoli presso il volgo, che rimane sempre estatico di fronte alle potenze magiche... A pag. 315. L’etica degli Gnostici è inferiore a quella di Epicuro. Questo è il titolo. L’etica di Epicuro è l’etica del piacere. Ci sono due dottrine riguardanti il conseguimento del fine: l’una pone il fine del piacere del corpo, l’altra preferisce l’onestà e la virtù; il desiderio che sentiamo viene da Dio e ci riunisce a Lui; altrove, vedremo come Epicuro, negando la provvidenza, consiglia di ricercare il nostro soddisfacimento nel piacere, unica cosa che ci rimanga. Ma la dottrina di costoro (gli gnostici) è ancora più temeraria poiché offende il Signore della provvidenza e la provvidenza stessa e oltraggia tutte le leggi del nostro universo, getta il ridicolo sulla virtù della temperanza da tanto tempo onorata, e per non lasciare al nostro universo nessuna cosa bella, elimina la temperanza e insieme la giustizia innata nelle anime e perfettibile mediante la ragione e l’esercizio… Le anime sono perfette. Questa posizione verso Dio è sempre perfettibile tramite l’esercizio, la preghiera, la contemplazione. In fondo, l’accusa nei confronti degli gnostici è quella di temerarietà, cioè di non temere gli dei, anzi, appunto, come dicevo prima, di volerli scalzare e mettersi al loro posto. È chiaro che, se uno pensa una cosa del genere, in un certo qual modo ridicolizza l’Uno, perché l’Uno a questo punto è un qualche cosa che possiamo facilmente maneggiare, anzi, addirittura possiamo metterci al suo posto. E quindi qual è il problema per Plotino? Che perde tutto il suo potere, che è dato dal fatto che lui conosce la verità, cioè, l’Uno. Ne è prova il fatto (della loro temerarietà) che essi non hanno mai formulato una dottrina della virtù, ma l’hanno del tutto trascurata; non dicono. Né ciò che essa è, né quante sono le sue parti, ignorano quanto di bello hanno scritto su ciò gli antichi (sottointeso Platone), non dicono come la virtù si acquisti e si possegga... A pag. 319. Chi tra questi insensati, che si proclamano superiori alla saggezza, è così ordinato e saggio come l’universo? Simile avvicinamento è ridicolo e fuori luogo e, quando non lo si faccia per un bisogno polemico, non esente da empietà, anzi è empio solo il porre il problema, proprio di chi è cieco e non ha né senso né intelligenza, ma è molto lontano dal contemplare il mondo intelligibile... La questione dell’empietà connessa con il pensiero, con l’interrogazione. Come dire che, se qualcuno si interroga, è segno che non è sottomesso, e se non è sottomesso diventa un problema perché potrebbe fare venire in mente ad altri – in fondo questo è uno dei timori di Plotino – che si possa, come dicevano gli gnostici, diventare Dio, non sottomettersi a lui ma diventare lui. A pag. 321. Se essi (gli gnostici) sono stati spinti a odiare la natura corporea, perché hanno udito spesso Platone rimproverare al corpo di essere un ostacolo per l’anima e dire che ogni corpo è una cosa inferiore, essi dovrebbero privare col pensiero l’universo del suo corpo e vedere che rimane: una sfera intelligibile che contiene in sé la forma del mondo, le anime che le danno, fuori di ogni corporeità, una grandezza proporzionata e la estendono nello spazio conforme al modello intelligibile, così che il mondo prodotto si eguaglia per grandezza alla potenza inestesa del suo modello, poiché la grandezza intelligibile consiste nella potenza, quella sensibile nell’estensione. /…/ Quando essi affermano di disprezzare la bellezza terrena, essi farebbero bene se disprezzassero quella dei fanciulli e delle donne, così da non abbandonarsi all’incontinenza. Come dire: parlano tanto e poi…. A pag. 325. Se essi pretendono di essere soli nel poter contemplare, non acquistano con ciò una visione più ampia, nemmeno se dicono di uscire dai corpi dopo la morte, mentre non usciranno le anime degli astri, che governano il mondo per sempre. Infatti, essi non sanno che significhi “esser fuori del corpo”…. Avete presente i dervisci? Sono vestiti in genere di bianco con un gonnellone e stanno fermi su un unico posto e girano, ruotano per ore e ore, provocando così la trance. Si può dunque non amare il corpo, essere puri, disprezzare la morte, conoscere gli esseri superiori e ricercarli, senza odiare insieme gli altri esseri che possono ricercarli ed eternamente li ricercano, senza dire che ne sono incapaci e senza cadere nell’errore di coloro che credono nell’immobilità degli astri, poiché la percezione li mostra tali. Ci sono questi due aspetti: lo gnostico, che in un certo qual modo è solipsista, pensa di bastare se stesso, lui diventa Dio e non vuole sentire ragione; invece, l’altro, Plotino, dice che ci sono anche gli altri da aiutare, non a raggiungere ma avvicinarsi all’Uno, per gli gnostici facciano quello che vogliono, tanto non arriveranno mai a capire; per Plotino no, dobbiamo andare incontro e aiutarli a comprendere. Con questo abbiamo concluso la seconda enneade. Nella terza parla del destino. E qui dice una cosa che è importante. A pag. 335. Delle cose eterne, non è possibile ricondurre le prime ad altre che ne siano cause, appunto perché sono prime, ma quelle che dipendono dalle prime traggono da quelle il loro essere. Esiste un principio primo, il principio di ragione, dal quale è possibile trarre tutto ciò che è, cioè tutto ciò che discende dal principio di ragione. Il principio di ragione rimane l’Uno naturalmente, quello che dà il motivo di tutto, e questo sia in Plotino sia negli gnostici: il principio di ragione è sempre Dio, al quale o sottomettersi o ribellarsi. Ma, come dicevamo, per ribellarsi occorre appunto sottomettersi. Qui il principio dell’universo, dell’ordine che c’è nell’universo. Il concetto è questo, fondamentalmente: l’universo è ordinato, ma, se l’universo è ordinato, allora qualcuno lo ha ordinato, un qualcuno che è sopra l’universo ovviamente, che ha potere sull’universo. Si parte, quindi, da quest’idea che l’universo abbia un ordine, e se l’universo è ordine, allora anche tutte le cose devono avere un ordine. Questo ordine dell’universo è esattamente ciò che ancora oggi in fondo la scienza tenta di trovare: se conosco qual è l’ordine del cosmo allora lo domino perché so dove va, cosa fa, perché lo fa. Se, invece, come dice Democrito, le cose accadono nell’assoluta casualità, si combinano tra loro e non sappiamo né come né perché, allora non conosceremo mai il cosmo, non possiamo dire che il cosmo è ordinato, quindi non possiamo porre nessun ordine trascendente e da qui, poi, fare procedere un ordine immanente, che deve esserci. E questa è stata in fondo la rivoluzione, chiamiamola così, nel Rinascimento, momento, come sappiamo, di grande ripresa del neoplatonismo, con Ficino, Campanella, Pico della Mirandola, Cusano. Incominciava a vacillare questa idea che esista un ordine retto da un Dio, mentre si è incominciato a pensare a un cosmo retto da un ordine naturale. E, allora, non c’è più un Dio che ordina l’universo, ma una ragione, cioè, l’universo ha una ragione. Oggi generalmente si parla di leggi più che di ragione, anche se poi in fondo sono la stessa cosa; leggi che noi possiamo conoscere attraverso la matematica. Ma per potere fare tutto questo occorre presupporre che questo ordine ci sia. E cosa lo fa pensare? In realtà nulla, però, è sempre quella idea che necessariamente, se c’è qualcosa, questo qualcosa ha una causa. Questa è una delle idee più antiche; infatti, lo stesso Aristotele cercava la causa prima, poi trova altro, ma l’idea di partenza era quella: la causa prima, ciò da cui tutto procede e che ordina ogni cosa.

Intervento: Se tutto ha una causa, anch’io ho una causa, non sono qui per nulla.

Ho una causa, quindi, ho una direzione, un progetto e, soprattutto, non sono solo. Perché, se c’è qualche cosa che è causa di me, vuol dire che qualcuno si è preso la briga di farmi esistere – a parte i genitori, che è un fatto accidentale –  c’è una ragione perché io sono qui così. Se c’è una ragione per ogni cosa, c’è una ragione anche per il fatto che io sia qui. E questa idea è molto potente a tutt’oggi: essere al mondo per un motivo. Si potrebbe domandare: perché? Potrebbe, non è obbligatorio. Ma, se incomincia a domandarselo, allora lo cerca questo motivo, magari incominciando dal domandarsi che cosa intende con motivo, per esempio; sarebbe un buon modo di incominciare. Ma tutto questo ha come presupposto che ci sia appunto, come dicevo, un ordine, quindi una ragione nelle cose. Un principio di ragione da cui ogni cosa procede. Dicevamo la volta scorsa, l’Uno di Plotino è il principio di ragione, è ciò per cui esistono l’intelletto, l’anima e poi tutto quanto; senza l’Uno non esisterebbe nulla. Dunque, è ciò da cui ogni cosa procede e, quindi, è ciò che ordina tutte le cose. Cosa fa la volontà di potenza in tutto ciò? Perché la volontà di potenza può anche accettare di sottomettersi, ma a condizione che si sottomettano anche gli altri. Devono essere tutti sottomessi a questo ordine superiore. Tutti devono essere sottomessi, quindi è necessario che riconoscano l’Uno. Quindi, la volontà di potenza è fortemente soddisfatta, cioè io conosco, sono al corrente di quella cosa alla quale tutti devono sottomettersi e si sottometteranno prima o poi.

Intervento: L’anima bella.

Sì, io conosco la verità, io so come stanno le cose. Nell’Illuminismo, invece, c’è stato questo viraggio, che poi è un viraggio molto limitato, in effetti: ha semplicemente sostituito l’Uno, cioè Dio, con la natura e con la ragione, ma rimangono tutte le ipostasi plotiniane: la ragione diventa l’intelletto, che deve conoscere la natura, cioè l’Uno; e poi l’anima, quella sensitiva, che ha portato poi, come sua frangia, al romanticismo, alle emozioni, alle sensazioni, ecc. A pag. 341. …forse la circolazione del cielo e il movimento degli astri reggono e determinano ogni cosa, secondo la loro posizione nel passaggio al meridiano, al loro nascere al tramonto e secondo le loro congiunzioni. Infatti, da queste cose gli indovini predicono i singoli futuri avvenimenti dell’universo e sanno quali saranno la sorte e i pensieri di ciascuno. /…/ …anche questa teoria, a suo modo, attribuisce agli astri ciò che è nostro, volontà e passione, vizi ed impulsi, e non riconoscendoci nulla ci lascia come pietre soggette al movimento e non come uomini che agiscono di per sé e secondo la loro propria natura. Ma bisogna riconoscere a noi ciò che è nostro; sino a ciò che è nostro e al nostro essere giungono sì gli effetti dell’universo, ma bisogna distinguere ciò che facciamo noi da ciò che subiamo necessariamente, e non attribuire tutto agli astri. Dalle regioni del cielo e dalle variazioni dell’atmosfera scendono in noi riscaldamenti raffreddamenti nella mescolanza che ci compone; altre influenze però vengono dai genitori... È chiaro che Plotino vuole mantenere assolutamente quella cosa che poi i cristiani chiameranno il libero arbitrio: gli uomini non devono tendere o non tendono all’Uno per necessità, ma per volontà; il che significa che riconoscono nell’Uno il Bene Assoluto. Se lo facessero per necessità, non avrebbero bisogno di riconoscere niente; ma se, invece, è una scelta, vuol dire che si riconosce il Bene Assoluto, Dio o chi per lui. A pag.347. Quando l’anima, cangiata dalle cose esterne, agisce come sotto l’impulso di un movimento cieco, né l’azione né la disposizione sua si devono chiamare volontarie... Ecco, qui è un elemento importante per comprendere la distanza tra Plotino e gli gnostici. L’uomo non può volere il male, non è una sua volontà e se lo fa è per una serie di contingenze, ma l’uomo vuole il bene, perché sa che l’Uno è il Bene Assoluto, lo sa perché viene da lì e, quindi, non può volere il male; può volerlo se è malconsigliato, se accade qualche cosa che lo svia dalla diritta via; ma se non accadono questi fenomeni contingenti, lui naturalmente va verso l’Uno, cioè torna là da dove arriva, va verso ciò che sa essere il Bene Assoluto. Questo è importante: che l’uomo sappia che quello è il Bene Assoluto. Ma quando essa l’anima, nel suo impulso, prende come guida la sua propria ragione pura e impassibile, soltanto allora si deve dire che quell’impulso dipende da noi… Cioè, quando è secondo l’Uno. …che è volontario ed è opera nostra. È volontario perché voglio ciò che Plotino vuole, poi in fondo, e cioè che si tende all’Uno come Bene. …che esso non viene da altro luogo se non dall’interno dell’anima pura, dal principio primo dominatore e signore, non da un’anima sviata dall’ignoranza, prostrata dalla violenza dei desideri che sopraggiungendo la conducono, la trascinano e non permettono più che noi ci siano azioni, ma passioni. Quindi, è importante che sia qualcosa di volontario. Ma cosa significa che è volontario? Significa che io riconosco che quello è il Bene. È questo che importa: che ci sia da parte mia il riconoscimento che quello è il Bene. A pag. 351. Ma poiché noi affermiamo che il mondo esiste sempre e non v’è momento in cui esso non esista, dobbiamo giustamente concludere che c’è una provvidenza universale… L’ordine universale. …e che essa è la conformità dell’universo all’Intelligenza; che l’Intelligenza gli è anteriore, non cronologicamente, ma in quanto esso deriva dall’intelligenza. La ragione. …la quale gli è anteriore per natura, ne è la causa, l’archetipo e modello, di cui il mondo è immagine, esistente e sussistente per opera dell’Intelligenza, in questo modo. È attraverso la ragione che noi comprendiamo l’ordine dell’universo. Ma cosa garantisce questa ragione? Pochi si sono fatti questa domanda: questa ragione come sappiamo che dice qualcosa di qualche interesse? Lo sappiamo perché la ragione viene dall’Uno, viene dalla natura. Dio è l’Uno, e sappiamo che Dio non mente; quindi, la natura non mente, e la ragione viene dalla natura. Dunque, la ragione non ci mente, ma se noi la usiamo correttamente ci mostra immediatamente qual è la diretta via: questo è il pensiero di Plotino. La natura dell’Intelligenza e dell’Essere costituiscono il mondo vero e primo, che non esce fuori di sé stesso, e non perde la sua forza per divisione, né diventa incompleto in nessuna delle sue parti, poiché ciascuna di esse non è separata dal Tutto, ma ogni sua vita ed intelligenza vive e intende insieme in una unità… Questo è il concetto di processione. …così che ogni parte diventa un tutto ed è unita a se stessa senza essere separata da un’altra… Eh sì, perché se viene separata dall’altra vuol dire che all’Uno, a un certo punto, incominciano a mancare delle cose, … Ovunque una è completa, l’Intelligenza è immobile… Non deve muoversi, perché sennò si altera, ovviamente. …e non accoglie nessuna alterazione, poiché nessuna parte agisce sull’altra. E perché dovrebbe agire, se non ha difetti? Perché la Ragione produrrebbe una ragione, e l’Intelligenza un’altra Intelligenza? Il potere di produrre da sé non è affatto degli esseri perfetti, poiché il produrre e il muoversi sono in proporzione della propria imperfezione. È quando qualcosa è imperfetto che si adopera per produrre qualcosa. E, infatti, l’intelligenza e l’anima non sono prodotti dall’Uno, sono emanazioni, procedono dall’Uno. Per gli esseri del tutto beati basta essere immobili in se stessi ed essere quello che sono. Fa effettivamente di tutto per mostrare che l’Uno è sempre esattamente lo stesso, non muta. Che significa questo? Che la natura non mente: se è naturale, è vero. La natura non mente, e questa idea della natura, posta in questi termini, è stata inventata da Platone, non esisteva prima. Pensate al concetto di φύσις degli antichi. Ecco, la natura così come la pensiamo oggi, cioè come la pensava Plotino, non c’entra assolutamente niente. Noi abbiamo a tutt’oggi il neoplatonismo e lo gnosticismo sotto gli occhi quotidianamente. Ogni volta che incontriamo qualcuno, questo qualcuno a modo suo riproduce questi modelli che, d’altra parte, dopo più di duemila anni, si sono ben radicati. Duemila anni di insistenza e alla fine ce l’abbiamo fatta. Alla fine, tutti quanti credono che la natura, in fondo, sia Dio, che abbia un’anima o che comunque produca delle anime, e che abbia una sua volontà, una sua intelligenza, che bisogna conoscere. Se ne occupano i fisici per sapere che cosa questa natura vuole da noi. È la stessa domanda che si pongono forse ancora oggi gli ebrei, quando gli arrivavano gli olocausti, che sono stati di un certo numero nel corso della storia: perché Dio ci manda questa maledizione? Cosa abbiamo fatto? Che cosa vuole da noi? Che cosa vuole la natura da noi? L’importante è che voglia qualcosa o, meglio, che io possa pensare che lo voglia da me. E, allora, non sono più solo, sono importante. Vedete come la volontà di potenza fa da filo conduttore di tutto quanto.