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5-6-2013

 

La questione del potere è assolutamente importante. Per esempio perché è così facile per uno stato, un governo, imporre dei divieti? La più parte delle persone sono contente che ci siano dei divieti, non considerano il fatto che questi divieti costituiscano una limitazione della libertà, quello che conta è che questi divieti sono l’occasione per potere imporre una verità su qualcuno, è per questo che le persone, non tutte ovviamente, ma buona, parte sono favorevoli a imporre dei divieti alla cittadinanza, ogni divieto è qualche cosa, una verità che io sono autorizzato a imporre su altri. Appena per dire di uno dei modi in cui si configura la questione del potere rispetto alle fantasie di ciascuno. Dicevamo che una fantasia muove sempre da una scena di potere, è sempre la costruzione di una scena dove la persona è importante e tutto ruota intorno a lei.

Intervento: rifletto sugli effetti dell’atto di parola cioè quando qualcosa contraddice la premessa su cui si è costruito il discorso, questi effetti sono ciò che mettono in movimento gli elementi della struttura, come per l’intervento di un elemento nuovo e quindi il tentativo è quello di “salvare” la premessa tornando indietro, come se si cercasse di sottrarre elementi di un computo, per cui si “dimentica” momentaneamente, in qualche caso, ciò che si è acquisito. Si “dimentica” ciò che si è acquisito perché ciò che si è acquisito non è entrato nel computo del gioco che si sta facendo (per esempio del gioco del necessario che è in contrapposizione al gioco della realtà) gli effetti dell’atto di parola vengono giudicati “male” dal discorso e quindi la “fretta di concludere” e quindi è come se non elaborasse l’elemento nuovo, se non acconsentisse alla processione, al lavoro del linguaggio… modificandosi un elemento si modificano tutti gli altri elementi…

Io andrei più cauto, gli elementi si modificano nel corso dei secoli, questo però comporta un problema, e cioè il fatto che se un elemento è quello che è perché connesso con tutti gli altri, come individuare questo elemento? Ci si trova a un certo punto ad affermare quelle cose che altri hanno già affermato, e cioè che un elemento linguistico è differente da sé, il problema a questo punto è come lo so? Come faccio a sapere che gli elementi si modificano tutti quanti? Quindi se muovo da certe premesse allora giungo a questa conclusione, se muovo da altre premesse no, questo ci dice che il considerare che un elemento è quello che è perché connesso con tutti gli altri, non è un’affermazione di verità, cioè non stabilisce come stanno le cose, è soltanto la conseguenza di un particolare gioco, e questa è una delle cose più complesse da prendere in considerazione, anche e forse soprattutto in ambito teorico. Tutto ciò che stiamo considerando è un gioco, quindi verrebbe da dire che l’unica cosa certa è che qualsiasi cosa, se è qualche cosa, appartiene a un qualche gioco linguistico, ma anche affermare questo è un gioco linguistico, non è una verità. A questo punto occorrerebbe riflettere su un’altra questione ancora, e cioè la difficoltà di combinare due questioni di cui abbiamo già parlato: una è che qualunque cosa è determinata e prodotta da una rete di connessioni, cosa che rende molto difficile a questo punto la possibilità di individuare un elemento, quindi da una parte c’è questa considerazione che un elemento è determinato dalla rete di connessioni in cui è inserito. Dall’altra invece la considerazione che un elemento è tale in seguito a una decisione. Quale delle due? Perché anche considerare che qualunque elemento è prodotto da una decisione è un gioco linguistico, non è una verità. Ciò che avviene a questo punto è che le parole, i discorsi, sono costruiti in un certo modo, questo certo modo è determinato dalle regole del linguaggio che è ciò che abbiamo a disposizione per costruire proposizioni, quindi le regole del linguaggio dicono soltanto quali combinazioni sono consentite da quel gioco e quali no, in questo modo costruiscono delle sequenze fatte nel modo che ho detto, ma di queste possibili combinazioni quale verrà utilizzata? Ecco, questa è una decisione del discorso, è il discorso che lo decide, quindi di fatto non c’è questa difficoltà a stabilire se a decidere sono le regole del gioco oppure una decisione del discorso, le regole del gioco dicono soltanto quali combinatorie sono consentite, cioè, facendo l’esempio del gioco del poker, le regole del gioco dicono soltanto quali mosse sono consentite, ma quali io metterò in atto di volta in volta mentre gioco a poker queste non sono le regole del gioco a stabilirlo. Ora, perché il discorso decide in una certa direzione? Cosa lo muove a decidere in quella direzione anziché in un’altra? Anche questa è una questione interessante, anche se poi non è così difficile da articolare; il discorso deve produrre altri discorsi, altre sequenze ovviamente, le regole del linguaggio dicono, impongono a questa struttura di concludere con un’affermazione che sia riconosciuta come vera all’interno del sistema, sappiamo anche quando un’affermazione è riconosciuta come vera all’interno del sistema, e cioè quando non contraddice la premessa che l’ha costruita, quindi il discorso deciderà del discorso successivo o della sequenza successiva in base a questo unico criterio, e cioè che la sequenza successiva possa concludere con un’affermazione vera. Questo è l’unico criterio che segue, non ce ne sono altri, e cioè un’affermazione da cui si muove deve arrivare a un’altra affermazione, è questo che decide il discorso, è l’unica decisione che prende. Usiamo il verbo “decidere”, in realtà è quasi più una sorta di programma, comunque possiamo anche usare questo termine “decidere”.

Intervento: ma questo avviene in tutti gli ambiti del parlare…

Non ho detto che avviene solo in un ambito, sì, io ho fatto l’esempio del gioco del poker ma non si verifica soltanto quando si gioca a poker, anche quando si gioca a tre sette, anche quando si decide di proseguire a vivere oppure no. Ma ha fatto bene a precisare, perché la struttura del linguaggio è tale per cui deve concludere ciascuna sequenza con una affermazione, quando dico “affermazione” intendo un’affermazione vera all’interno del gioco, quindi la direzione che prende ciascuna volta è determinata da questo, cioè dal potere concludere con una affermazione, questa è l’unica direzione che prende, non ce ne sono altre, ed è questo che determina, configura le fantasie, cioè quei pensieri che il discorso costruisce in base a questo funzionamento. Fantasie di potere, perché il potere è la raffigurazione nella fantasia del funzionamento del linguaggio, certo conoscendo il funzionamento del linguaggio si inserisce una variante, cioè sapendo che cosa sta funzionando, come sta funzionando, la necessità di esercitare il proprio potere su altri scompare. Non c’è più la necessità di imporre su altri la propria verità. Questa necessità procede dal pensare che la propria verità sia universale, e se questa verità universale trova qualcosa che la contraddice, anche uno solo la contraddice, non è più un universale ma è particolare, e quindi questa verità che io affermo, sostengo e propago nell’etere, non è più una verità universale. Ma se è una verità deve essere universale, e quindi non ci deve essere nemmeno uno che la neghi, quindi devono essere tutti d’accordo. È questo che muove una persona a imporre, a costringere, o comunque a persuadere altri che quello che dice è vero. Ma se io so, e lo so perché ho appreso il funzionamento del linguaggio, so che cosa accade mentre parlo, allora so che quello che affermo in nessun modo può essere una verità universale, è soltanto qualcosa che è vero all’interno di un gioco particolare, e quindi in ogni caso sarà sempre e comunque un’affermazione particolare, ma mai universale. A questo punto non ho nessuna necessità di imporla su altri, non essendo universale può esserci benissimo qualcuno che afferma qualche altra cosa, può farlo, perché no? È perduta la necessità di imporre la verità. Questa serie di passaggi mostrano come dal funzionamento del linguaggio si giunga all’imposizione del potere, sempre ovviamente perché non si sa nulla del funzionamento del linguaggio cioè, come dicevamo spesso, anziché agire il linguaggio lo si subisce, quindi non so che cosa sto facendo, non so che cosa sto dicendo, non so perché lo sto dicendo, cosa che invece è preferibile che ciascuno sappia, in ciascun istante. Dunque ciò che sto dicendo e anche perché lo sto dicendo e cioè per il motivo di giungere a un’affermazione. Ma posso a questo punto immaginare, se non so nulla del linguaggio, che giungere a questa affermazione corrisponda al raggiungere la conoscenza, alla consapevolezza di uno stato di cose, cioè alla verità, oppure, se conosco il funzionamento del linguaggio, so che questa cosa che affermo è vera all’interno del gioco che sto facendo, e anche questo gioco che sto facendo lo sto facendo unicamente per compiere affermazioni per proseguire a giocare, è questo che non può più non farsi giunti a un certo punto: non è più possibile non giocare. E se non puoi più non giocare Eleonora, gli effetti immediati sono che non puoi non sapere in ciascun istante che sei in un gioco, un gioco linguistico, e che quindi tutto ciò che questo gioco produrrà, tutte le affermazioni che produrrà, sono affermazioni che hanno la loro validità, cioè la loro verità, all’interno di quel gioco, quindi a partire dalle regole specifiche di quel gioco, ma le regole di quel gioco non sono, né potranno mai essere, regole universali. Che qualunque cosa farai o penserai, o non farai o non penserai, sarà soltanto il prodotto di un particolare gioco e non potrai non sapere che questo gioco ha un unico fine, che è quello di costruire affermazioni. E questo quali conseguenze ha nel quotidiano? Perché possiamo anche andare oltre, una cosa l’abbiamo già detta, cioè non c’è più la necessità di avere il desiderio, diciamola così, di controllare qualcuno, di gestire qualcuno. Qualunque posizione della persona che muova dalla supposizione che le cose stiano in un certo modo crolla, non c’è più, quindi non c’è più la paura, non c’è più l’angoscia, l’affanno, l’agitazione, il panico e tutte queste belle cose. Non c’è più per esempio la fantasia di abbandono, per dirne una, perché non è più sostenuta da niente. La fantasia di abbandono muove dall’idea che si possa essere abbandonati da qualcuno e quindi possa perdere il controllo su qualcuno, se non mi considera più, non ho più potere su di lui, non posso più fare niente, da qui la depressione, la tristezza eccetera. Dunque la questione del potere è sempre più importante e dovremo lavorarci ancora molto perché tutto appare ruotare intorno a questo, e di conseguenza al fatto che la struttura del linguaggio gira in un certo modo, il linguaggio deve produrre affermazioni e ogni volta che costruisce un’affermazione questa affermazione, come avviene nella stragrande maggioranza dei casi, può essere presa come la descrizione di uno stato di cose, come la verità, una verità sub specie æternitate, e quindi non ci deve essere nessuno che la neghi, se no un’affermazione universale si trasforma in particolare. A questo punto è un problema, perché significa che non è del tutto vero quello che penso, potrebbe anche non esserlo, anzi ci sono casi in cui non lo è. Come disse Peirce: “è facile essere certi di qualcosa, è sufficiente essere sufficientemente vaghi”. Detta altrimenti, è sufficiente non interrogare le cose.

Intervento: Quello che è successo al movimento psicanalitico è paradigmatico rispetto a quello che è successo in ambito sociale, a come si è strutturata la società nei millenni… È evidente che la società deve regolamentare le relazioni perché è utile… Tutto questo è subordinato, oggi, qualunque piccolo aspetto della vita sociale, è subordinato all’esercizio di potere) è vero (è condizionato, c’è proprio perché esiste il potere… Di primo acchito verrebbe da immaginarsela questa cosa…

La questione che lei ha posta può apparire fantascientifica, però è qualche cosa che accade in una analisi, e cioè che abbandonati i giochi che poi, che sono praticamente tutti giochi di potere, cioè quelli che la persona fa comunemente, il gioco che rimane è il gioco teorico, e cioè una società di persone che gioca con la teoria. Accade in un’analisi, al punto in cui una persona, dopo che non è più interessata a compiere questi giochi di potere rimane l’unico gioco che non può non giocare, un gioco che gioca se stesso all’infinito, cioè un gioco teorico.