5 febbraio 2020
Scienza della logica di G.W.F. Hegel
Libro Primo. La dottrina dell’essere. Sono delle pagine importanti quelle che stiamo per leggere. La prima domanda, da cui muove Hegel, è questa: Con che si deve incominciare la scienza? Solo recentemente sorse la coscienza che è una difficoltà di trovare in filosofia un cominciamento, e solo recentemente si discusse in varia maniera intorno alla ragione di questa difficoltà e alla possibilità di risolverla. Il cominciamento della filosofia è di necessità o un mediato oppure un immediato, ed è facile mostrare che non può essere né l’uno né l’altro; cosicché tutte e due le maniere di cominciare sono soggette ad essere confutate. È una questione antica, in effetti, questa del cominciamento, che si porta appresso un’altra questione importante, che è quella del fondamento. Il fondamento sarebbe quella cosa da cui ogni altra procede, cioè, il punto da cui si comincia. A pag. 53. Il cominciamento è logico, in quanto dev’essere fatto nell’elemento del pensiero che è liberamente per sé, cioè nel sapere puro. Esso è quindi mediato per ciò che il sapere puro è l’ultima, assoluta verità della coscienza. Fu notato nell’Introduzione che la fenomenologia dello spirito è la scienza della coscienza, l’esposizione di questo, che la coscienza ha per resultato il concetto della scienza, vale a dire il sapere puro. Tutto il percorso della Fenomenologia dello spirito ha condotto alla scienza della logica, alla scienza del sapere puro. La logica ha quindi per presupposto la scienza dello spirito che appare, scienza che contiene e mostra tanto la necessità e con ciò la prova della verità di quella posizione che è il puro sapere, quanto in generale la sua mediazione. In questa scienza dello spirito che appare si parte dalla coscienza empirica, sensibile. Questa è il vero e proprio sapere immediato. Ciò che appare, il fenomeno. In quella scienza si esamina che cosa si contenga in questo sapere immediato. … La logica è la scienza pura, vale a dire il sapere puro nell’intiero ambito del suo sviluppo. Ma in tal resultato questa idea si è determinata come quella che è la certezza fattasi verità, si è determinata come la certezza che da un lato non sta più di contro all’oggetto, m lo ha reso interno, lo conosce come se stessa, - dall’altro lato poi ha anche abbandonato il sapere di sé come qualche cosa che stia di contro all’oggettività e ne sia soltanto la negazione, si è spogliata di questa soggettività ed è una con questo suo spogliarsi. Affinché ora, partendo da questa determinazione del sapere puro, il cominciamento resti immanente alla scienza di esso, non v’è da far altro che considerare, o, meglio, non v’è da far altro, scartando tutte quelle riflessioni od opinioni che si hanno, che accogliere, soltanto, ciò che ci sta dinanzi. Che è il progetto di ogni fenomenologia - come diceva Husserl: andare alle cose stesse. Tra poco vedremo perché non aveva neanche tutti i torti. A pag. 55. La semplice immediatezza è essa stessa una espressione di riflessione, e si riferisce alla differenza del mediato. Non c’è immediatezza senza mediato. Nella sua vera espressione questa semplice immediatezza è quindi il puro essere. Come per sapere puro non s’ha da intendere altro che il sapere come tale, in maniera cioè affatto astratta, così anche per essere puro non s’ha da intendere altro che l’essere in generale; l’essere, e niente più, senza alcun’altra determinazione e riempimento. Qui il cominciante è l’essere mostrato come quello che è sorto per via di mediazione, e propriamente per via di una mediazione tale, che è nello stesso tempo il suo proprio togliersi. Poco più avanti. Così il cominciamento dev’essere un cominciamento assoluto o, ciò che in questo caso significa lo stesso, un cominciamento astratto. Non può così presupporre nulla, non deve essere mediato da nulla, né avere alcuna ragion d’essere. Anzi, dev’essere esso stesso la ragion d’essere o il fondamento di tutta la scienza. Dev’essere quindi semplicemente un immediato, o, meglio, soltanto l’immediato stesso. Come non può avere una determinazione di fronte ad altro, così non può nemmeno avere alcuna determinazione in sé, non può racchiudere alcun contenuto, perché una tal determinazione o contenuto sarebbe una distinzione e un riferirsi di diversi l’uno dall’altro, epperò una mediazione. Il cominciamento è dunque il puro essere. Dunque, da che cosa si incomincia? Qui occorre fare una riflessione. Ciò da cui si incomincia è ciò che appare. Ciò che appare, il fenomeno, per Hegel è l’essere; non solo, dirà anche che l’essere è il movimento, ma l’essere e il movimento, come è stato inteso nella fenomenologia, sono lo stesso. Ma che cosa appare? Atteniamoci al funzionamento del linguaggio. Ciò che appare è ciò che dico, ciò che si pone dicendo, il “posto” è ciò che appare, la prima cosa che appare. Occorre qui intendere bene la questione del principio di non contraddizione, che Severino, e moltissimi altri prima di lui, hanno posto come il fondamento. Ma come intendere il principio di non contraddizione? Può intendersi molto semplicemente in questo modo: il principio di non contraddizione dice che se ho posto qualcosa allora non è vero che non l’ho posto, cioè, se ho posto qualcosa, questo qualcosa è, ed è in quanto l’ho posto. Bisogna considerare intanto che ciò che si pone, una parola, potremmo intenderlo come il cominciamento: qualcosa si è posta. Il fatto che si sia posta ci sta dicendo che sarebbe falso affermare che non è stata posta. Ma la cosa più importante in tutto ciò è che il principio di non contraddizione impedisce di porre qualcosa dicendo che non la si pone. Naturalmente, tutto questo si svolge, si articola, nel linguaggio, cioè, ciò che si pone è un elemento linguistico; questo elemento linguistico è chiaro che non è, né può essere, un immediato, o, più propriamente, è un immediato nel senso che si pone d’acchito, è ciò che è in quel momento, cioè, ciò che ho detto è ciò che ho detto, non è altro, in questo senso è immediato; ma è anche e necessariamente mediato nel senso che è un elemento linguistico e come tale è un elemento linguistico in quanto connesso con altri elementi linguistici, sennò non sarebbe un elemento linguistico. Ciò che ci invita a fare Hegel è di fondare la logica su qualche cosa che appartiene alla logica, cioè, senza cercare altro al di fuori della logica stessa. Potremmo dire che la logica muove dal porre qualche cosa e dal considerare che se l’ho posto allora non è che non l’ho posto, cioè, da quel momento c’è. Poi, arriverà a dire che è vero ma per il momento accontentiamoci di questo: e cioè che è stato posto. Ponendo questo elemento faccio una cosa notevole, cioè incomincio a fare esistere qualche cosa, che prima non esisteva. Quindi, le cose incominciano con il porre qualcosa; un porre qualcosa che potremmo anche considerare un gesto di estrema audacia, ma soprattutto dobbiamo considerare che il “posto” è ciò da cui inevitabilmente si incomincia, nel momento cioè in cui si dice qualcosa. Questo cominciamento è qualcosa che non richiede delle estrapolazioni al di fuori della logica, ma semplicemente il fatto che la logica muove dal fatto che si ponga qualcosa, che si affermi qualcosa, perché se non pongo niente naturalmente non si avvia niente. Quindi, questo fondamento della logica, che è sempre apparso difficile da reperire, in realtà non è altro che il porre, il dire qualcosa che avvia una catena. Perché dico che questo costituisce il cominciamento? Perché risulta inevitabile che ciò che dico, ciò che pongo, non sia ciò che non pongo, perché se non lo fosse allora vorrebbe dire che non sto ponendo niente; se non ho posta quella cosa, allora da quella cosa, che non ho posta, non può procedere niente e, quindi, non può avviarsi il linguaggio. Se il linguaggio procede, cioè se sto parlando, questo indica che qualcosa è stato posto, cioè che c’è stato un cominciamento. Con tutto ciò potremmo anche dire che il principio di non contraddizione è quel primo elemento che dice che ciò che è stato posto è quello che è. Hegel lo chiama l’essere, ma potremmo anche dire: ciò che è posto, cioè, la parola, ciò che si dice, che è a un tempo sia l’immediato, l’immediatamente posto, sia il mediato, ché se non fosse mediato, cioè connesso con altri elementi, non sarebbe. Ora, la logica fonda se stessa nel momento in cui qualcosa si pone; si fonda nel senso che trae da lì tutto ciò che segue: se non dico alcunché non parte nulla e, quindi, devo porre qualcosa, dire qualcosa. Quindi, la logica è fondata su se stessa, come diceva Hegel; anzi, diceva che occorre proprio trovare questo, cioè un qualche cosa che non abbia altro principio al di fuori di sé, così com’è il linguaggio. Non c’è un principio al di fuori del linguaggio che fa esistere il linguaggio, sarebbe un elemento fuori del linguaggio e, dunque, un elemento che non ha alcuna esistenza. C’è qui anche da precisare la questione dell’essere e del nulla, di cui parlerà tra poco. In effetti, quando si parla del nulla, del nulla assoluto o, come lo chiamavano nel Medioevo, il nihil absolutum, in realtà si parla di un nulla che è comunque un elemento linguistico e, quindi, è qualcosa. Il nulla assoluto sarebbe il fuori del linguaggio, ed è questo l‘unico modo per intendere il nulla assoluto, che naturalmente è un’idea che si riferisce alla “possibilità” dell’assenza di linguaggio, possibilità che in realtà non c’è. Il nulla assoluto è questo: l’assenza di linguaggio. Il nulla invece, anche quello di cui parla Heidegger, è sempre un nulla connesso con l’essere o, come diceva Heidegger, un niente, un non ente. Se fosse il nulla assoluto, e quindi fuori del linguaggio, non avremmo alcuna possibilità di fare niente. Da qui tutte le disquisizioni, anche quelle medioevali, intorno all’essere e al nulla. Non so se vi ricordate il famoso De nihilo et tenebris di Fredegiso di Tours, è un problema antico quello dell’essere e del nulla: l’essere contiene o non contiene il nulla, ma se il nulla è, è qualcosa. L’antinomia era che se considero il nulla, il fatto stesso di considerarlo implica che il nulla sia qualcosa e, quindi, il nulla è qualcosa, è essere. Dunque, la logica è fondata su se stessa in quanto non è altro che il porre qualche cosa: quando qualche cosa è posto, da quel momento dico che esiste e dopo posso anche costruire tutta la logica che è stata costruita dopo. Tutta la logica formale, per es., non è altro che una serie di calcoli a partire da qualche cosa che è stato posto; se non fosse stato posto nulla non ci sarebbe stato nulla da calcolare. Il che ci riporta immediatamente alla questione del linguaggio: il linguaggio dicendo pone qualcosa. È chiaro che poi, dicendolo, avvengono una serie di cose, che sono anche quelle che Hegel ha illustrate, ma il primo puro essere è ciò che è posto; non c’è un altro modo di intendere la questione. Anche l’idea che la logica non abbia un fondamento è vera fino a un certo punto. Che cosa fonda la logica? Il fatto che si ponga qualcosa, è questo l’unico fondamento che ha. È chiaro che questo fondamento è tale solo se qualcosa si dice. Quando io scrivo la formula “se A allora B”, intanto ho posto la A, l’ho posta, non mi interessa che cosa sia, ma ho posta qualche cosa. Ponendola, la logica la considera vera, cioè, dice che è vero ciò che ho posto, e quindi comincia a fare i conti con questo. Fa tutti i suoi conti, però il punto di partenza è che qualcosa è stato posto: l’essere, così lo chiama Hegel, ma in realtà non è altro che il positum degli antichi, ciò che è posto. Dando questa sorta di fondamento alla logica si dice soltanto che la logica non può che procedere dal linguaggio di cui è fatta. È questo il suo procedere, procedere che, come dirà tra poco Hegel, è un procedere circolare, nel senso che, una volta che qualcosa si è posta, questa cosa passa nel suo opposto, ciò che questa cosa posta non è, cioè, il non posto diventa la garanzia di ciò che è stato posto, proprio come diceva Severino: il non essere, posto ma tolto, diventa la garanzia dell’essere. Il posto, senza la sua negazione, lascia la possibilità che sia posto ma anche non posto. Il principio di non contraddizione dice che non c’è questa possibilità, la toglie: se qualcosa è posta allora non può che essere posta. Tutti i tre principi dicono la stessa cosa: il principio di identità, A è A; il principio di non contraddizione, non (A e non-A); il principio del terzo escluso, A oppure non-A, tertium non datur. Dicono tutti e tre la stessa cosa, e cioè che ciò che è posto non è ciò che non è posto. Ma anche il principio di non contraddizione compie quell’operazione di Severino, e cioè insiste nel dire che ciò che è posto non è ciò che non è posto, quindi, non (A e non-A), vieta questo, vieta di dire una cosa del genere, vieta cioè che il linguaggio, dicendosi, non dica; è questo che il principio di non contraddizione sta ponendo: se dico, dico, è falso che se dico non dico. Come lo so? La risposta è molto semplice: intanto, perché me lo sto chiedendo; non potrei farmi nessuna domanda, né questa né qualunque altra, se non stessi parlando. Ma come so che sto parlando? Perché l’ho imparato. Ho imparato che producendo certi suoni, con una certa struttura, con certi riferimenti, ecc., e tutto questo lo chiamo “parlare”. Ho imparato tutto questo, non è che mi sia venuto così, divinamente. Adesso vedrete come Hegel rafforza tutto ciò che vi ho accennato. A pag. 56. La persuasione, che l’assoluta verità debba esser un resultato, e viceversa, che un resultato supponga un primo vero, il quale però, poiché è primo, considerato oggettivamente, non è necessario, e dal lato soggettivo, non è conosciuto, - cotesta persuasione ha recentemente condotto a pensare che la filosofia possa solo incominciare con una ipotesi ed un problema… È chiaro che se tolgo questo cominciamento dal linguaggio devo cercarlo da un’altra parte, ma da questo momento in poi comincio a trovare solo paradossi, incongruenze, antinomie, ecc. ora ad una tale opinione, ripetutamente sostenuta da Reinhold negli ultimi tempi del suo filosofare, si deve rendere questa giustizia, ch’essa muove da un vero interesse riguardante la natura speculativa del cominciamento filosofico. L’esame di questa maniera di vedere offre in pari tempo l’occasione di fornir qualche spiegazione preliminare intorno al significato dell’avanzamento logico in generale, poiché quella maniera di vedere si connette subito con l’andare innanzi. Infatti essa riesce a dire che in filosofia l’andare innanzi è piuttosto un andare indietro e un fondare, per mezzo di che, soltanto, si giunge a vedere come quello con cui si era cominciato non sia semplicemente qualcosa che si è assunto ad arbitrio, ma sia nel fatto per un lato il vero, e per l’altro il primo vero. Bisogna riconoscere che è questa una considerazione essenziale … la considerazione cioè che l’andare innanzi è un tornare addietro al fondamento, all’originario e al vero, dal quale quello, con cui si era cominciato, dipende, ed è, infatti, prodotto. Dicevo prima del “posto”. In effetti, il posto è tale perché c’è un non posto, c’è il negativo, un negativo assoluto, ed è questo che rende vero il posto, perché è falso che non è non posto: è questo l’unico vero falso di cui possiamo parlare e che abbia un senso. Come dire che, parlando, non posso affermare che non sto parlando, e questo per i motivi di cui parlavo prima, ad es., per il fatto che mi sto ponendo questa domanda. Non è tanto il fatto che costruisco un paradosso, un’antinomia, ma il fatto che se sto parlando allora sto ponendo qualche cosa, e questo è il vero, l’unico vero, di cui possiamo dire con buona certezza che è vero, cioè che sto parlando mentre sto parlando. A pag. 57. L’essenziale per la scienza non è tanto che il cominciamento sia un puro immediato, quanto che l’intera scienza è in se stessa una circolazione, in cui il Primo diventa anche l’Ultimo, e l’Ultimo anche il Primo. Poco più avanti. Così il cominciamento della filosofia è la base che è presente e si conserva in tutti gli sviluppi successivi, quel che rimane assolutamente immanente alle sue ulteriori determinazioni. Qualche cosa che permane sempre. Nello stesso tempo si vede che quello che costituisce il cominciamento, in quanto vi sta come non ancora sviluppato e come privo di contenuto, non è, nel cominciamento stesso, ancor veramente conosciuto, e che solo la scienza, e propriamente la scienza nel suo intiero sviluppo, è la sua perfetta, piena e veramente fondata conoscenza. L’immediato, il posto, in effetti, è, sì, il vero ma è il vero in quanto ciò che è posto ritorna nella dialettica, ritorna come un significato. Esattamente come il significato e il significante di cui parla de Saussure: il significante è ciò che è posto, l’immanente il sensibile; epperò, senza significato non c’è nessun significante. Quindi, è sì posto, ed è il primo, ma perché possa essere il primo occorre che ci sia il significato, in questo caso il secondo; poi, vedremo che, in effetti, la questione centrale, soprattutto per Hegel, è che non si tratta di un primo e di un secondo, ma della relazione tra i due. È questo che conta, è questo che fa di ciò che è quello che è. A pag. 58. Così il motivo, per cui nella scienza pura si comincia dal puro essere,… Potremmo dire: dalla parola, da ciò che si dice. …fu dianzi mostrato immediatamente nella scienza stessa. Nella scienza stessa, cioè, nel fatto che è da ciò che dico che necessariamente comincio, non c’è un altro modo di cominciare. Cotesto puro essere è l’unità in cui ritorna il puro sapere, o, quando questo sapere si voglia tener distinto, come forma, dalla sua unità, cotesto puro essere è il contenuto di esso. Questo è il lato per cui cotesto puro essere, cotesto assoluto-immediato, è insieme anche assolutamente Mediato. Ma non è meno essenziale che venga preso anche nella sua unilateralità, secondo la quale è il puro-immediato, appunto perché qui sta come cominciamento. Il significante, ciò che si pone, è l’immediato, nel senso che è quello che è, così come ci appare, ma al tempo stesso, ci sta dicendo Hegel, l’ha ripetuto per tutta la Fenomenologia dello spirito, è anche mediato, perché se non ci fosse un altro elemento a cui si riferisce… come aveva inteso moto bene Peirce: il segno è tale perché è segno per un altro segno; se non c’è questo altro segno, per cui il primo segno è segno, non c’è neanche il primo. In quanto non fosse questa pura indeterminatezza, in quanto fosse determinato, sarebbe preso come mediato, come già condotto innanzi. Cioè, se fosse mediato non sarebbe più il cominciamento. Sta dunque nella natura del cominciamento stesso, ch’esso sia l’essere, e niente più. Perciò non v’è bisogno, per entrar nella filosofia, di nessune precedenti preparazioni, né di riflessioni né di addentellati offerti da qualcos’altro. L’essere, cioè, ciò che si dice, ciò che appare, anche perché ciò che appare, qualunque cosa sia, è qualcosa che comunque si dice; se non ci fosse il linguaggio non apparirebbe niente, nemmeno il concetto stesso di apparire. A pag. 59. Nulla è ancora, e qualcosa deve divenire. Il cominciamento non è il puro nulla, ma un nulla da cui deve uscire qualcosa. Aveva detto che l’essere è il nulla, essere come assoluta indeterminazione, come il vuoto assoluto, perché se è determinato non è più il puro essere, è già un’altra cosa. Dunque anche nel cominciamento è già contenuto l’essere. Il cominciamento contiene dunque l’uno e l’altro, l’essere e il nulla; è l’unità dell’essere col nulla; - ossia è un non essere, che è in pari tempo essere, e un essere, che è in pari tempo non essere.
Intervento: Qui riecheggia Severino: le cose non vengono dal nulla e non tornano nel nulla.
Certo. Le cose non vengono dal puro nulla. Se pongo il puro nulla come qualcosa che è fuori dal linguaggio, allora, certo, da lì non può venire nulla. Questo puro nulla è qualcosa che non esiste e che non può esistere perché, essendo fuori dal linguaggio, non ha nessuna esistenza. Perché qualcosa esista, come lo stesso concetto di esistenza, occorre presupporre che ci sia un linguaggio che fa esistere il concetto di esistenza. Quindi, questo nulla di cui si parla non è altro che il negativo di ciò che si è posto, non può essere il nulla assoluto perché sarebbe un nulla fuori dal linguaggio e in questo caso non ci sarebbe nessuna possibilità né di dire né di pensare nulla, così come si potrebbe chiedere a qualcuno di pensare qualcosa senza linguaggio. A pag. 60. Ma, inoltre, quello che comincia è già; in pari tempo, però, non è ancora. Nel cominciamento dunque, questi opposti, l’essere e il non essere, sono immediatamente uniti. Vale a dire che il cominciamento è la loro unità indifferente, indistinta. L’analisi del cominciamento ci darebbe quindi il concetto dell’unità dell’essere col non essere, - o in forma riflessa, il concetto dell’unità dell’esser differente e del non esser differente,… Questo concetto si potrebbe riguardare come la prima e più pura (cioè più astratta) definizione dell’Assoluto; - come infatti sarebbe se in generale ci si dovesse occupare di questa forma di definizione, e dei nomi dell’Assoluto. Poco più avanti. Se non che v’è da fare ancora un’altra considerazione, a proposito di cotesta maniera di procedere. Quell’analisi presuppone come nota la rappresentazione del cominciamento. Si è proceduto così dietro l’esempio delle altre scienze. Queste presuppongono il loro oggetto, e assumono a guisa di postulato, che tutti ne abbiano la stessa rappresentazione e vi possano trovare a un dipresso quelle medesime determinazioni che un po' di qua, un po’ di là, per mezzo di analisi, di confronti e di altri ragionamenti esse arrivano ad addurre e ad assegnare riguardo all’oggetto. Ma quello che costituisce il cominciamento assoluto, dev’essere anche un che di già noto. Ora se è un concreto, epperò qualcosa che sia in sé molteplicemente determinato, questa relazione, ch’esso è in sé, vien presupposta come un che di noto. Vien con ciò data come un che di immediato, ciò che invece essa non è, perché è relazione solo come relazione di diversi, epperò contiene in sé la mediazione. Oltrediché nel concreto entra l’accidentalità e l’arbitrio dell’analisi e del vario determinare. Poco più avanti. Quello che è in sé un primo ed un altro… È primo, è vero, ma è anche altro. Come il significante: è primo, ma è anche altro, è anche significato; se non lo fosse, non sarebbe neanche significante. Quello, che costituisce il cominciamento, il cominciamento stesso, bisogna quindi prenderlo come tale che non si possa analizzare, bisogna prenderlo nella sua semplice, non riempita immediatezza, epperò come essere, come l’assolutamente vuoto. Il cominciamento, dunque, come l’assolutamente vuoto. E, infatti, è così, ma questo vuoto non rimane tale; se rimanesse tale vorrebbe dire che l’essere e il nulla sono due elementi disgiunti, cosa che per Hegel non è mai. Ché se poi, per non potersi acquietare nella considerazione dell’astratto cominciamento, si volesse dire che non si debba cominciare col cominciamento, ma addirittura colla cosa, allora questa cosa non è altro che quel vuoto essere. Perocché quel che sia la cosa, questo è, che deve manifestarsi solo nel corso della scienza, e che non può esser presupposto prima di essa come già noto. Questa è l’obiezione all’idea di dover cominciare da qualche cosa, da un oggetto qualunque. Hegel dice che è compito della scienza giungere a determinarlo; se noi partiamo dall’oggetto prima di averlo determinato, è come se noi partissimo da qualche cosa senza sapere nulla di quella cosa. A pag. 65. Perocché solo nel semplice non v’è nulla oltre il puro cominciamento; solo l’immediato è semplice, poiché solo nell’immediato non v’è ancora un aver proceduto da uno a un altro. Il significante preso come tale che ancora non è proceduto verso il significato. Quindi è che quello che dovrebbe essere espresso o contenuto oltre l’essere, nelle più ricche forme della rappresentazione dell’assoluto o di Dio, cotesto non è nel cominciamento se non una vuota parola, e soltanto l’essere, questo semplice, che non possiede alcun più ampio significato, questo vuoto, è dunque, semplicemente il cominciamento della filosofia. Si incomincia da qualcosa che è stato posto, ma questo qualcosa che è stato posto di per sé è nulla, è il vuoto, è soltanto il cominciamento, è ciò che dà l’avvio a tutta la catena. Di questo avvio posso sapere qualche cosa soltanto in un ritorno, e cioè nel momento in cui questo avvio ha dato l’occasione di incontrare il suo negativo, ciò che non è. È soltanto da questo movimento, dal fatto che qualcosa si pone, ma questo qualcosa è debitore del fatto di avere escluso di non potere non essere qualcosa (principio di non contraddizione). Questo movimento, che c’è inevitabilmente dal momento in cui pongo qualcosa, perché se pongo qualcosa non sto non ponendo qualcosa, cioè affermando qualcosa ne nego necessariamente un’altra, ecco che ponendo qualcosa do l’avvio a quel movimento, la dialettica, che non è altro che il linguaggio. Pongo qualcosa e, ponendolo, escludo che ciò che pongo non sia ciò che pongo. Con questo semplice movimento si avvia tutto il movimento del linguaggio; il linguaggio non è altro che una continua ripetizione di questo movimento. Questo mostra come sia già nell’avviarsi del linguaggio presente il movimento, la dialettica. Di fatto, così come ne parla Hegel, linguaggio e dialettica sono la stessa cosa: pongo qualcosa ma questo qualcosa non è ciò che non ho posto. Devo però dire che non è ciò che ho posto perché, in caso contrario, mi trovo di fronte a qualcosa che ho posto ma che non viene sostenuto da niente, e quindi potrebbe essere posto come anche non posto; ma se così fosse il linguaggio non si avvierebbe: se non fosse posto non ci sarebbe nessun cominciamento, non ci sarebbe nulla. Possiamo anche dirla così: qualche cosa è nel linguaggio perché è impossibile che non sia nel linguaggio. Perché è impossibile? Perché se non fosse nel linguaggio non ci sarebbe neanche ciò che ho posto, e quindi non ci sarebbe niente, non ci sarebbe cominciamento di alcunché. Se c’è cominciamento è perché qualcosa, un elemento linguistico, è stato posto; il quale elemento linguistico, ponendosi, esclude di non essere ciò che è. Questo primo movimento, come vi dicevo, tra l’affermare qualcosa e l’escludere che questa cosa non sia quella che è, cioè non sia posta, è il movimento dialettico che avvia il linguaggio – di cui è fatto il linguaggio, potremmo dire – e senza il quale non c’è nessun avvio. Ecco perché è fondamentale questo passaggio che indica Hegel tra l’essere e il nulla, tra il porre qualcosa e il suo negativo assoluto, cioè l’affermare che non è stato posto nulla dopo che è stato posto qualcosa. Che cosa garantisce che ho posto qualcosa? Il fatto che ciò che ho posto non è ciò che non ho posto, che se qualcosa è nel linguaggio allora non è non nel linguaggio; perché se non fosse nel linguaggio non sarebbe. Questa è forse la più precisa determinazione della logica, la quale ci dice che qualcosa, dicendosi, si pone e che ciò che è posto è il vero. Perché è il vero? Perché la sua negazione è il falso, perché la sua negazione cancella il primo, non lo solleva, come dice Hegel parlando di Aufhebung, ma lo cancella. Se ciò che ho posto è ciò che non ho posto, allora c’è un problema, vuol dire che non ho detto ciò che ho detto. Se affermo una cosa del genere mi ritrovo in un problema perché a questo punto cessa di funzionare il linguaggio. Se ciascuna cosa che si dice è quella cosa in quanto non detta, quella stessa cosa ma non detta, il linguaggio non può funzionare. Se non funziona a questo punto non c’è più nessun tipo di problema, ma già se c’è un problema vuol dire che sta funzionando in un certo modo. Dunque, il fondare la logica sull’essere e il nulla; l’essere come ciò che si pone, il nulla come il suo negativo assoluto, che non può non sussistere, cioè, non può sussistere se non come “garanzia” di ciò che è stato posto; garanzia nel senso che, come fa il principio di non contraddizione, nega che il nulla cancelli l’essere. In fondo, poi, il principio di contraddizione non è altro che questo: impedisce che il nulla cancelli l’essere, ma l’essere si integra con il nulla. Vale a dire, è come se sapesse di essere nulla, nel senso che l’essere, in quanto assoluta indeterminazione – non può essere determinato da alcunché, sennò diventa qualche cosa che non è l’essere ma qualche cosa – è totalmente vuoto, cioè è nulla. Ora, che cos’è un significante in assenza di significato? È puro vuoto, è nulla, non significa niente. Soltanto con il significato il significante è quello che è, soltanto con il nulla l’essere è quello che è, con il nulla in quanto tolto. Così anche il significato rispetto al significante: il significante trae dal significato il suo essere, ma questo significato viene tolto, non è che permane a fianco del significante, per cui c’è significato e significante; una volta che il significante ritorna dal significato, rimane sempre e solo significante, ma il significante solo a questo punto è quello che è, e non il puro vuoto. Mi rendo conto che non è semplicissimo da intendere, però è il funzionamento della dialettica hegeliana, e del linguaggio. È per questo che il primo non è mai propriamente il primo; perché possa essere il primo occorre che ci sia già un secondo. Possiamo dirla così: perché ci sia il primo occorre che ci sia il linguaggio, ma se c’è il linguaggio, come condizione del primo, non è già più il primo; senza linguaggio non c’è primo, e se c’è il linguaggio non è il primo. Questo è il problema, detto in un altro modo, con cui si è scontrato Hegel, anche se non lo ha posto in questi termini, ovviamente; però, la questione centrale riguarda questo, e cioè perché qualcosa sia è necessario che non sia ciò che non è. Di questo si fa portatore il principio di non contraddizione, che dice che se qualche cosa è nel linguaggio, allora non può essere fuori del linguaggio. Ma se è qualche cosa è necessariamente nel linguaggio; dunque, qualunque cosa è necessariamente nel linguaggio, con tutto ciò che questo comporta, naturalmente. Non si è mai riusciti, in realtà, a dare un fondamento alla logica. Si dice che la logica fondi tutto; sì, va bene, ma la logica chi la fonda? Le sue regole sono arbitrarie, si è sempre pensato. Łukasiewicz, logico polacco, soleva dire che il principio di non contraddizione non è fondabile. La sua tesi, detta in modo spiccio, era che il voler trovare un’argomentazione che fondi il principio di non contraddizione implica che il principio di non contraddizione non sia più un principio ma qualche cosa che segue a qualche altra considerazione, per cui non è più originario. Severino obietta che qualunque argomentazione si presupponga per fondare o non fondare il principio di non contraddizione non può farsi senza il principio di non contraddizione, e in questo senso è originario. Ma è originario in questo senso, che il principio di non contraddizione dice semplicemente che ciò che è posto non è non posto: se dico qualcosa, è quella cosa, è l’essere, cioè c’è, e non posso fare come se non ci fosse, o, meglio, posso anche fare come se non ci fosse ma quella cosa rimane. Rimanendo, è chiaro che si pone e si impone, e decide di tutto il percorso che incomincia da lì. Quindi, la cosa fondamentale, che ci servirà anche per intendere il prosieguo, è questa: il cominciamento è sì il primo, ma l’autentico cominciamento è la relazione tra l’essere e il nulla, che sono in uno in quanto in relazione, per cui non sono più né l’essere propriamente né il nulla propriamente, ma la coesistenza di entrambi simultaneamente. Questa coesistenza non è altro che il movimento dialettico tra l’essere e il nulla. In questo movimento l’essere necessita del nulla per potere porsi; posto il nulla, questo movimento deve toglierlo per tornare all’essere e confermarlo in quanto essere. Questo movimento circolare è la relazione tra l’essere e il nulla, è il movimento dialettico, è il primo vero.