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4 ottobre 2017

 

M. Heidegger, Essere e Tempo 

 

Siamo a pag. 354. La decisione è una modalità eminente di apertura dell’Esserci. Ma l’apertura è già stata interpretata esistenzialmente come la verità originaria. Quest’ultima non è primariamente una qualità del “giudizio”, né, in generale, il carattere di un determinato comportamento, ma è un costitutivo essenziale dell’essere-nel-mondo come tale. La verità deve essere concepita come un esistenziale fondamentale. Ci troviamo di fronte a una posizione intorno alla verità che è insolita. In genere, la verità è il risultato di un’argomentazione logica, è la conclusione di un qualche cosa. Qui, invece, non è così; qui la verità non ha nulla a che fare con la logica né con altre considerazioni. Infatti, ponendola come un esistenziale, quindi non come giudizio, giudizio vero o falso, ha a che fare con l‘apertura dell’Esserci. Quando l’Esserci si apre, questo aprirsi per Heidegger è la verità. La chiarificazione ontologica dell’affermazione: “l’Esserci è nella verità” ha indicato l’apertura originaria di questo ente come verità dell’esistenza e ha rimandato, per la sua delucidazione, all’analisi dell’autenticità dell’Esserci. Con la decisione è stata ormai raggiunta la verità dell’Esserci più originaria, perché autentica. L’apertura del Ci apre cooriginariamente l’essere-nel-mondo nella sua rispettiva totalità: e cioè il mondo, l’in-essere e quel se-Stesso che, in quanto “io sono”, questo ente è. La decisione riguarda l’Esserci, è l‘Esserci che decide, lo riguarda nel modo più autentico, perché la decisione dell’Esserci non è altro che un’apertura verso l’essere nel mondo. Con l’apertura del mondo è già sempre scoperto l’ente intramondano. L’esser-scoperto dell’utilizzabile e della semplice-presenza si fonda nell’apertura del mondo, perché il rilascio della rispettiva totalità di appagatività dell’utilizzabile richiede una precomprensione della significatività. Qui ha concentrato molto una serie di cose, che ha già dette in buona parte. Sta dicendo che questo esser scoperto dell’utilizzabile, in realtà, è già un qualche cosa che è compreso nell’essere nel mondo. Non è una cosa che sorprende, che non c’era prima. Per lui, questo essere nel mondo comporta già sempre il fatto che ci sia qualcosa. Perché c’è qualcosa? Non che ci sia propriamente, autonomamente e indipendentemente da qualunque cosa, ma c’è perché è nel mondo, e il mondo non è altro che la stessa gettatezza. Il mondo è questa gettatezza, per cui, se c’è l’Esserci, che è questa gettatezza, c’è il mondo, che altro non è che l’apertura della gettatezza. Non si tratta di un mondo in cui l’Esserci viene gettato da qualcuno o da qualcosa, non è affatto così per Heidegger. Il mondo non è altro che la stessa gettatezza dell’Esserci, in quanto sempre gettato e che, in quanto sempre gettato, si prende cura della gettatezza stessa. Si prende cura nel senso che lascia che ciò che appare possa essere ciò che è. L’apparire di ciò che appare, in quanto lasciato essere ciò che è, è la verità per Heidegger. Gettato nel suo “Ci”, l’Esserci si è già sempre assegnato di fatto a un determinato (cioè al suo) “mondo”. È già sempre assegnato questo mondo, non è che viene assegnato a un certo punto quando viene gettato, l’Esserci è già sempre il mondo.

Intervento: Una volta entrati nel linguaggio si è da sempre nel linguaggio.

Esattamente. A pag. 355. La decisione, per la sua natura ontologica, è sempre propria di un singolo Esserci nella sua effettività. L’essenza di questo ente è la sua esistenza. La decisione “esiste” solo come decidersi comprendente e autoprogettantesi. La decisione, dice Heidegger, esiste soltanto in questo modo, come comprendente, cioè come apertura, che si apre, e come l’autoprogettarsi, cioè il trovarsi nel progetto più autentico, è l’Esserci che si progetta in quanto se stesso. Cosa vuole dire questo? Che ha se stesso come ente preferenziale e del quale si prende cura. Si prende cura nel senso che è già preso nella Cura ma non è distratto dal Si. Potremmo dire, anche se questi non sono termini utilizzati da Heidegger, che è riflettente su se stesso, prende se stesso come ciò che è da pensare. Il decidersi è, in primo luogo, l’aprente progettare e determinare le possibilità di volta in volta effettive. La decisione per Heidegger è sempre un aprirsi verso qualcosa, verso determinate possibilità di volta in volta effettive, non importa quali. Il decidersi è questo: aprirsi verso possibilità. A pag. 358. La decisione non è che l’autenticità della Cura stessa, di cui la Cura ha cura e che è possibile in quanto Cura. Dicendo che la decisione è l’autenticità della cura stessa sta dicendo che non è altro che l’aprirsi dell’apertura, non verso il mondo ma nel mondo, che è la posizione più autentica dell’Esserci: essere sempre aperto nel mondo, mondo che è lui, naturalmente. Non è che c’è l’Esserci e dall’altra parte il mondo, l’Esserci è il mondo, e poiché l’Esserci sono io posso dire che io sono il mondo, il mondo in cui vivo, il mondo di cui sono fatto, e io sono fatto di tutte le cose che coesistono e che nel tempo mi hanno costruito: io sono tutte queste cose. Questo è il mondo di cui io sono fatto, non il mondo al quale mi affaccio, ma il mondo che io sono. È stata questa una delle cose più importanti pensate e poste da Heidegger, e cioè il dire che io non mi affaccio al mondo, e qui ha preso le distanze dal cartesianesimo (soggetto-oggetto). Dicendo che io sono il mondo, che l’Esserci è il mondo, dice che non c’è più questa divisione ma io sono tutte le cose di cui sono fatto. È una posizione di enorme interesse e, difatti, è stata poi ripresa da quasi tutti coloro che sono succeduti a Heidegger. Sovverte radicalmente la posizione filosofica precedente a lui fino a Husserl, per cui non c’è più la possibilità di stabilire un fondamento, che tutta la filosofia ha sempre cercato, perché questo Esserci, che è il mondo, in realtà non riesco a metterlo come fondamento. Come abbiamo visto, il fondamento dell’Esserci è il nulla perché questo Esserci non è mai qualcosa di fisso, è sempre quello che è in quanto gettatezza. Si potrebbe leggere Heidegger come un pensatore che ha letteralmente distrutto la possibilità di fare filosofia. Con Heidegger la filosofia è finita, non ci sarebbe più nulla da pensare, nel senso che ciò che era da pensare è stato pensato, e cioè che colui che pensa, l’Esserci, è fondato su nulla, perché non è altro che l’essere continuamente gettato innanzi. Questa posizione di Heidegger è una posizione che è stata raggiunta anche da altri, penso alla semiotica, Peirce in particolare, dove non c’è più nessuna possibilità di fermare, di stabilire alcunché. Potremmo dirla così: qualunque cosa l’Esserci si trovi a progettare, questo progettare è sempre per qualche altra cosa, è sempre in vista di un utilizzabile, è sempre in vista di altro. Pertanto, non è mai individuabile, determinabile. Poi, Heidegger, facendo un gioco di prestigio, riesce a dire che è possibile pensare una totalità dell’Esserci, ma appunto con un gioco di prestigio. Il modo in cui lui riesce a pensare questo è che il progettarsi dell’Esserci più autentico è l’essere per la morte, ma nel momento in cui muore cessa l’Esserci per cui, compiendosi, non c’è più, e questo era ciò che impediva di stabilire l’Esserci come una totalità determinata o determinabile. Questo non riesce e, quindi, se la totalità non è raggiungibile allora non resta che, non più attendere la morte perché una volta che c’è la morte l’Esserci svanisce, ma anticipare la morte, dandola come presente, come un esistenziale. Anticipando la morte è come se a questo punto l’Esserci può essere pensato, perché ingloba anche la morte senza svanire perché l’anticipa assumendola su di sé. Come dicevo, è in realtà un gioco di prestigio, è abbastanza discutibile questa posizione, però, è il modo con cui lui pensa di potere comunque pensare a una totalità dell’Esserci: la condizione che la morte sia anticipata, cioè, sia assunta. Ora, in che cosa consista esattamente l’assunzione della morte… lui gioca sul fatto che l’assunzione della morte non sarebbe niente altro che l’assunzione della nullità del fondamento, e fin qui lo si può anche seguire. Se l’assunzione della morte corrisponde, per qualche verso, all’assunzione dell’impossibilità di dominare il linguaggio, allora si potrebbe anche essere concordi, almeno in parte. La non dominabilità del linguaggio può essere posta o come la meta, e allora ci sarebbe il nichilismo, cioè, ogni cosa è votata alla fine, ad andare nel nulla, oppure, e a questo ci eravamo avvicinati, io anticipo, accolgo, assumo questa impossibilità di dominare il linguaggio e faccio funzionare questa impossibilità nel farsi stesso del linguaggio. Come dire che tengo in ciascun atto linguistico che questo atto linguistico non domina il linguaggio, non ha nessun fondamento. Questo potrebbe essere, in un modo forse un po' più chiaro, il modo per intendere meglio, quantomeno più interessante, la questione dell’assunzione della morte in Heidegger. Tutto il pensiero filosofico, almeno fino a Nietzsche, ha sempre pensato la morte come l’assenza di senso e, infatti, Nietzsche dice a un certo punto “Dio è morto”, cioè, il senso assoluto è morto, ma come punto di arrivo, punto finale, quindi, che fare adesso? Invece Heidegger è come se prendesse questa cosa e la tirasse in avanti facendola funzionare in ciascun atto di parola. A questo punto, la morte non è più il punto finale ma il punto di partenza. Siamo al Capitolo Terzo, che si intitola Il poter-essere-un-tutto autentico da parte dell’Esserci e la temporalità come senso ontologico della Cura. §61 Schizzo del passaggio metodologico della determinazione del poter-essere-un-tutto autentico da parte dell’Esserci alla messa in chiaro fenomenica della temporalità. A pag. 360. Qui all’inizio dice una cosa interessante che riassume un po' quello che dicevamo un attimo fa. Abbiamo progettato esistenzialmente un poter-essere-un-tutto autentico da parte dell’Esserci. L’analisi del fenomeno ha chiarito l’essere-per-la-morte autentico come anticipazione. Che è esattamente ciò che stavamo dicendo prima. Nella sua attestazione esistentiva il poter-essere autentico dell’Esserci è stato presentato come decisione e al tempo stesso interpretato in senso esistenziale. Questa anticipazione dell’essere per la morte, dice Heidegger, è una decisione, cioè, quando l’Esserci, aprendosi, in questa apertura incontra se stesso, lì incontra l’essere per la morte, trova l’assenza di fondamento, la nullità. A pag. 361. Finché l’interpretazione esistenziale non dimenticherà che l’ente che le è dato come tema ha il modo di essere dell’Esserci e che, di conseguenza, non è costruibile come un composto di semplici-presenze, i suoi passi innanzi saranno guidati esclusivamente dall’idea di esistenza. Nel caso del problema della connessione possibile di anticipazione e decisione si richiede che questi fenomeni esistenziali siano progettati nelle loro specifiche possibilità esistentive e che queste siano “pensate fino in fondo” in modo esistenziale. La questione dell’anticipazione e della decisione va pensata come se questi due aspetti fossero sempre insieme. La decisione è un’apertura che si apre nel mondo. Questa apertura che si apre nel mondo, che cosa comporta? Comporta immediatamente l’anticipazione, perché ogni volta che l’Esserci si apre nel mondo, cioè si apre a se stesso, e questo va sempre tenuto presente, trova di nuovo, e siamo daccapo, la nullità del fondamento, trova la nullità di se stesso, perché l’Esserci, pensando se stesso, pensa una gettatezza, non pensa a un oggetto che sta lì. Un metodo genuino si fonda nella pre-visione adeguata della costituzione fondamentale dell’“oggetto” da aprire, ovvero della regione dell’oggetto. Una genuina riflessione metodologica, ben diversa dalle vuote discussioni della tecnica, informa al tempo stesso sul modo di essere dell’ente tematico. … Ma l’interpretazione del senso ontologico della Cura deve compiersi sul fondamento della piena e costante consapevolezza fenomenologica della costituzione esistenziale dell’Esserci finora posta in luce. (pagg. 361-362) Sta dicendo che l’interpretazione autentica che diamo della Cura non può non essere consapevole (consapevolezza fenomenologica, cioè che riguarda il fenomeno, ciò che appare), deve tenere conto della costituzione esistenziale dell’esserci, cioè del modo in cui è fatto l’Esserci. Quindi, se voglio riflettere intorno alla cura, non posso non pensare al modo in cui accade l’Esserci, e cioè come gettatezza, come apertura nel mondo. E la Cura non è nient’altro che questo aprirsi dell’apertura nel mondo. La temporalità è esperita in modo fenomenicamente originario nell’autentico essere-un-tutto da parte dell’Esserci, cioè nel fenomeno della decisione anticipatrice. Heidegger distingue tra tempo e temporalità. Dice che la temporalità è esperita, in quanto fenomeno, in quanto qualcosa che appare, nell’autentico essere un tutto da parte dell’Esserci. Essere un tutto da parte dell’Esserci, avevamo già visto che questo poteva costituire un problema, a meno che, come dicevo, non ci sia questa decisione anticipatrice dell’essere per la morte. a questo punto, allora è possibile pensare l’Esserci come un tutto. Questo, dice, è il modo in cui viene esperita la temporalità. Perché? Dice: Se è qui che la temporalità si annuncia originariamente, è presumibile che la temporalità della decisione anticipatrice ne costituisca un modo privilegiato. Quindi, connette la temporalità con la decisione anticipatrice. Che cosa ci fa pensare questo? La decisione anticipatrice, potremmo dirla così, come la condizione per pensare la temporalità. Qui si pone una questione importante. La decisione anticipatrice accoglie su di sé l’essere per la morte. A questo punto, la morte non è più una questione di tempo, cioè prima o poi arriverà, non è più una questione di tempo così come è comunemente intesa, cioè come si intende comunemente il tempo, come una successione di stati. La temporalità, a questo punto, tolta dal modo di pensarla del Si, diventa un qualche cosa che esiste, o può esistere, non più come una successione di stati ma come un qualche cosa che è sempre qui. E, in effetti, è questo il modo in cui Heidegger pensa l’Esserci, in quanto mondo, e il mondo, la temporalità dell’Esserci, non è altro che l’essere già presenti tutte le cose nel mondo, sono già qui. Qualunque progetto io decida, qualunque cosa io voglia fare, questa cosa è già qui come possibilità, perché io sono questa possibilità pura, quindi, ogni possibilità è già presente. La temporalità può temporalizzarsi secondo diverse possibilità e diversi modi. In realtà, lui non dice esattamente cosa intende con la distinzione tra tempo e temporalità e temporalizzarsi, lascia che il lettore lo desuma. Quindi, la temporalità, visto che l’essere già qui dell’essere per la morte, cioè, della decisione anticipatrice che in quanto tale pone l’essere per la morte già qui, questa è la temporalità. Quando si temporalizza? Quando questo essere per la morte anticipato, ecc., interviene in un qualunque progetto io voglia fare. Difatti, dice può temporalizzarsi secondo diverse possibilità e diversi modi. Le possibilità fondamentali dell’esistenza, l’autenticità e l’inautenticità dell’Esserci si fondano ontologicamente in temporalizzazioni possibili della temporalità. Temporalità come elemento originario e le temporalizzazioni sono i modi i cui la temporalità si mostra, per esempio, in un progetto. Tutto questo non lo dice Heidegger ma bisogna desumerlo dal testo. § 62 a pag. 363. La decisione fu definita come il tacito e pronto-all’angoscia autoprogettarsi nel più proprio esser-colpevole. La decisione, questo aprirsi dell’apertura, che si affaccia sulla nullità, comporta l’angoscia, perché mi trovo di fronte all’assenza totale di fondamento. Quindi, l’autoprogettarsi nel più proprio esser colpevole è ciò che dovrebbe seguire all’angoscia. Qualcuno prova angoscia di fronte all’assenza di fondamento e, quindi, si autoprogetta, si pensa come colpevole. L’esser-colpevole è proprio dell’essere dell’Esserci e significa: essere il nullo fondamento di una nullità. L’esser-“colpevole” proprio dell’essere dell’Esserci non è suscettibile né di diminuzione né di accrescimento. Esso precede ogni determinazione di quantità, se questa ha, in generale, un senso. (pagg. 363-364) Poi dice altre cose che al moneto non ci interessano. Dice che l’esser colpevole è sempre presente nell’Esserci. Precisa poi che l’essere alla fine significa esistenzialmente per l’Esserci essere per la fine. La decisione diviene autenticamente ciò che essa può essere solo in quanto essere-per-la-fine comprendente, cioè in quanto anticipazione della morte. La decisione non “ha” un legame qualsiasi con l’anticipazione, intesa come qualcosa di diverso da essa. Essa cela in sé l’essere-per-la-morte autentico come la modalità esistentiva possibile della sua autenticità. L’essere per la morte, come abbiamo già visto, è l’unica possibilità esistentiva dell’Esserci per essere autentico. Quindi, l’essere per la morte è ciò che rende l’esistenza dell’Esserci autentico. Decisione significa: lasciarsi chiamare-innanzi al più proprio esser-colpevole. Come dicevamo, la decisione è l’aprirsi dell’apertura nel mondo, quindi, l’aprirsi della Cura, la decisione è strettamente connessa con la Cura… dice lasciarsi chiamare-innanzi al più proprio esser-colpevole. Il mio aprirsi nel mondo, che naturalmente sono io, se autentico non può che incontrare l’esser colpevole, cioè, come diceva Heidegger, il nullo fondamento di una nullità. A pag. 365. L’Esserci, una volta che si è deciso, assume autenticamente nella propria esistenza di essere il nullo fondamento della propria nullità. Noi concepiamo esistenzialmente la morte come la possibilità già chiarita dell’impossibilità dell’esistenza, cioè come la pura e semplice nullità dell’Esserci. Qui ci dice cosa lui intende con la morte, cioè come la possibilità già chiarita dell’impossibilità dell’esistenza. Vale a dire, l’Esserci esiste come gettatezza, come progetto gettato, quindi, nell’impossibilità dell’esistenza. Questa esistenza è fondata su nulla, è fondata sul fatto che l’Esserci non è mai determinato e, nel momento in cui volessi determinarlo, mi sfugge e al suo posto trovo nulla. La morte non si aggiunge all’Esserci all’atto della sua “fine”; ma è l’Esserci che, in quanto Cura, è il gettato (cioè nullo) “fondamento” della sua morte. Continua a girare intorno alla questione che, se letta però tenendo conto delle cose che dicevamo prima circa l’impossibilità di dare un fondamento al linguaggio che non sia il linguaggio stesso, allora può intendersi meglio, cioè io mi trovo sempre preso nel linguaggio, che non ha nessun fondamento, che è lui stesso a darsi un fondamento nella propria assenza di fondamento. La verità del linguaggio potrebbe dirsi così: è l’assenza totale di fondamento… ed è questo il suo fondamento. La nullità, che domina originariamente l’essere dell’Esserci, gli si svela nell’essere-per-la-morte autentico. La nullità si svela in quanto essere per la morte, in quanto questa nullità sorge dall’accogliere la morte, cioè l’assenza di fondamento, come fondamento. A pag. 366. Col fenomeno della decisione ci troviamo in cospetto della verità originaria dell’esistenza. È con questo fenomeno, fenomeno inteso fenomenologicamente come ciò che si manifesta, appare, accade, è dunque con questo fenomeno della decisione che ci troviamo di fronte alla verità originaria dell’esistenza. Ma occorre tenere conto che la decisione è, sì, l’aprirsi dell’apertura ma è una decisione anticipatrice della morte. È soltanto quando accade la decisione che ci troviamo di fronte a una verità originaria dell’esistenza, cioè, la verità originaria dell’esistenza sarebbe questa decisione anticipatrice, che mostra la nullità del fondamento. Condensando un po': la verità è la nullità del fondamento. Questo è un modo di intendere la verità totalmente differente da tutta la filosofia che lo ha preceduto. Per esempio, tutta la questione che pone Sini della verità come transizione, come il transitare di tutti gli umani verso un qualche cosa; la verità è questo transitare, non è né il punto di partenza né il punto di arrivo, è il transito stesso. Questa posizione Sini l’ha ripresa da Heidegger, non pari pari ma quasi, come quando dice che la verità non è altro che la decisione, cioè il trovarsi di fronte all’assenza di fondamento, indica che la verità originaria dell’esistenza non è che un qualcosa che è sempre in movimento, che è sempre impossibile da fissare su qualche cosa, perché se la fissiamo sull’Esserci, l’Esserci non è altro che gettatezza; se la fissiamo sulla morte in quanto tale, presa come oggetto, l’Esserci scompare. Quindi, questa verità originaria dell’esistenza è che il fondamento, che consentirebbe, lui soltanto, un arrestarsi di qualche cosa, è nullo, e pertanto non è possibile arrestarsi o attestarsi su alcunché. L’Esserci che ha deciso è svelato a se stesso nel suo rispettivo poter-essere effettivo, sì da essere esso stesso questo svelare e questo esser svelato. La verità implica un tener-per-vero che sempre le corrisponde. L’Esserci che ha deciso è svelato a se stesso nel suo poter essere effettivo, nel senso che, se l’Esserci decide anticipatamente per l’essere per la morte, svela se stesso. Il suo poter essere, non il suo essere; si svela in quanto poter essere, in quanto puro poter essere, in modo da essere esso stesso questo svelare, ma al tempo stesso è anche lo svelato perché è l’Esserci che svela se stesso, l’Esserci è sia lo svelante che lo svelato. La verità implica un tener-per-vero che sempre le corrisponde. Tener per vero non è altro che il tener per vero ciò che si svela, perché la verità per Heidegger è questo, è ciò che si svela, alethèia. Quindi, la verità è il tener per vero, da parte dell’Esserci, il proprio svelarsi in quanto pura possibilità. Poi, parla dell’esser certo. Che cosa significa allora la certezza propria di una tale decisione? Essa deve mantenersi in ciò che viene aperto mediante il decidersi. Non è altro che un mantenere ciò che viene aperto. A pag. 367. Ma l’Esserci è cooriginariamente nella non verità. Perché l’Esserci è anche il Si, non è soltanto il Ci, anzi, per diventare il Ci deve fare una serie di cose complicatissime. L’Esserci nasce nel Si, quindi, è cooriginario alla non verità, se la verità è, come diceva prima, lo svelarci dell’Esserci a se stesso, cioè io mi svelo a me stesso come un tutto, e questo posso farlo soltanto con la decisione anticipatrice. A pag. 368. Il problema del poter-essere-un-tutto da parte dell’Esserci è un problema effettivo-esistentivo. L’Esserci lo risolve in quanto deciso. Non è che l’Esserci risolva un qualcosa attraverso un calcolo o un’argomentazione, ecc. No, è una decisione. L’Esserci che riflette se stesso è come se decidesse a questo punto della propria esistenza. Come se io sapessi di essere nel linguaggio perché è il linguaggio che mi consente di costruire tutte quelle proposizioni che mi fanno dire che sono nel linguaggio. So che sono nel linguaggio perché ho imparato certe cose che mi dicono che se compio certe operazioni allora il compiere queste operazioni io lo chiamo “essere nel linguaggio”.