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4-10-01

 

Sandro, perché secondo lei continuiamo ad occuparci di questioni logiche complicatissime, anziché divertirci con cose più amene?

Intervento: come obiettivo sto pensando in questo momento alla questione della tecnica…

anche, ma è l’unica cosa che ci distingua dalle religioni, potere affermare cose che procedono da una necessità logica anziché da qualunque stupidaggine passi per la testa, è la sola cosa che ci distingue dalla religione. Sì la tecnica certo, sta riflettendo intorno a questo, come costruire una tecnica?

Intervento: la premessa, l’obiettivo era partito dalla questione di inventare una tecnica

mi ricordo, ed è stato così?

Intervento: no, stiamo discutendo di questioni teoriche

allora cosa ci manca?

Intervento: niente di particolare, il discorso segue una sua direzione quello che interviene ed è contingente rispetto a quella che è una elaborazione… quindi è una tecnica caratterizzata anche da una semplicità) sì anzi è uno degli aspetti fondamentali, certo (noi ci eravamo proposti l’autunno come...

dissi così: che entro l’autunno avremmo avuto una tecnica pronta?

Intervento: no, non proprio così però si era detto di arrivare all’autunno

ah! ecco, e questo lo abbiamo fatto. Vi ricordate di Kant? Per Kant è vero tutto ciò che non è autocontraddittorio, non aveva tutti i torti, ciò che stiamo facendo è porre le basi per potere affermare in termini abbastanza semplici che il vero è tale solo perché una struttura nota come linguaggio consente di potere affermarlo, e cioè che una cosa non è vera di per sé, è vera perché c’è una proposizione che la afferma. Questo è molto importante, perché da questa via forse ci è più facile condurre una persona a potere ammettere che il vero procede da una serie di inferenze, di deduzioni e quindi da una struttura linguistica, perché è difficile sostenere che una inferenza non appartiene a una struttura linguistica, giungere a questo ci consentirebbe poi di fare il passo successivo e cioè porre in modo inequivocabile e molto semplice ché, come ci ricordava Sandro prima questo, è l’obiettivo: che la realtà, ciò che comunemente si chiama reale o realtà o quello che vi pare è una costruzione, è una produzione linguistica. Che è il passo più arduo da compiere, riuscire a pensare che una qualunque cosa, questa è necessariamente un atto di parola, è un passo straordinariamente difficile e complesso per chiunque, il quale chiunque tende sempre a trovare qualche cosa che è fuori dal linguaggio, questo per una buona serie di motivi, ma principalmente perché è stato addestrato a fare così, e questo fa, esattamente come un computer, fa esattamente ciò per cui è programmato, niente di più e niente di meno, e gli umani pensano così. Compiere questo salto comporta inserire un antivirus il quale consenta l’accesso al sistema operativo, cioè al linguaggio. Questa operazione come abbiamo detto in moltissime occasioni è una operazione prevalentemente retorica, visto che abbiamo in animo di persuadere allora dovremo volgerci alla retorica per compiere questa operazione miracolosa. La retorica apre un varco, buona parte delle figure retoriche, come voi sapete perfettamente, si basano sullo straniamento, sulla sorpresa, ora la sorpresa, lo straniamento, aprono un varco e cioè insinuano una cosa diversa da quelle previste Già questo non è marginale in quanto potrebbe, dico potrebbe perché non è così automatico, potrebbe fare trasparire che le cose forse potrebbero non essere esattamente così penso che siano, la retorica in buona parte fa questo, una volta aperto questo varco, cioè instaurata la disposizione ad accogliere cose inedite, ecco che a questo punto è possibile avanzare il discorso che stiamo costruendo, ma fino ad allora mi sembra piuttosto improbabile che una argomentazione logica possa aprire un varco al pensiero degli umani, non si è mai verificato, non vedo perché dovrebbe verificarsi adesso. La retorica è lo strumento giusto per persuadere e in effetti ciò che vi dicevo prima del vero come costruzione del linguaggio è una operazione retorica, voi domandate a una persona come fa a sapere che una certa cosa è vera, lo sa perché nella migliore delle ipotesi ha messo in piedi un ragionamento la cui conclusione gli è parsa vera, questo nella migliore delle ipotesi perché talvolta avviene in modo strampalato, però consideriamo la migliore delle ipotesi, ora le è parsa vera comunque in seguito a un ragionamento, di cosa è fatto questo ragionamento? C’è un elemento da cui muove, comunemente noto come premessa, una serie di passaggi e poi la conclusione, ora tutto questo marchingegno è fatto di elementi del linguaggio, ad esempio il se, allora, la congiunzione ecc., potremmo affermare, adesso sto parlando in termini retorici come ci rivolgessimo ad un pubblico, potremmo affermare che il ragionamento è fatto di linguaggio? O se non è fatto di linguaggio di che cosa è fatto? E fino a qui penso che la più parte delle persone ci seguirebbe, e questo ci consentirebbe di giungere abbastanza facilmente a potere affermare che possiamo dire e quindi affermare che una certa cosa è vera in seguito o grazie a una struttura che chiamiamo linguaggio, ora il passo che può risultare arduo per i più è questo: ma qualunque cosa vera procede dal linguaggio oppure ci sono cose che sono vere di per sé? E qui qualcuno potrebbe porre delle obiezioni, che ci sono già state poste un miliardo e mezzo di volte, però sono sempre importanti le obiezioni perché ci costringono di volta in volta a trovare sistemi o argomentazioni più raffinate, ad esempio è vero che se questo posacenere mi cade va per terra, e questo procede da una legge che è fuori dal linguaggio, legge di gravità, la quale legge di gravità non ha a che fare con il linguaggio, perché che io parli oppure no, l’aggeggio cadrà comunque. Ora si tratta per lo più di affinare le nostre argomentazioni, ché di fronte a una argomentazione del genere possiamo volendo, dimostrare che la legge di gravità è falsa oppure che è vera oppure se potrebbe esistere una legge di gravità fuori dal linguaggio e se sì a quali condizioni? Però sono tutte argomentazioni complesse e che richiedono più di trenta secondi e trenta secondi è il tempo che abbiamo per lo più per rispondere, per eliminare un’obiezione di questo tipo, per questo dicevo che occorre affinare le argomentazioni, che per altro è anche un buon esercizio per ciascuno di noi. Direi che comunque l’ossatura, l’impianto di una cosa del genere potrebbe essere questo, e cioè dimostrare che il vero procede dal linguaggio e quindi il passo successivo che la realtà, qualunque cosa si intenda con questo, anche questa è necessariamente vera, la realtà è vera per forza, proprio nel luogo comune, noi sfrutteremo il luogo comune in questo senso: se è reale non può essere autocontraddittoria, né può essere falso. La più parte delle persone non lo sa però lo applica di fatto, se una cosa è reale è vera necessariamente, poi vedremo perché anche il luogo comune suppone una cosa del genere, come dire: per fare breccia nel luogo comune utilizzare il luogo comune, perché no? Detto questo incominciare a lavorare sul vero e lavoriamo sul vero perché siamo giunti a considerare che gli umani lo cercano sempre e necessariamente, che lo vogliano oppure no, i discorsi che abbiamo fatto in questi ultimi incontri ci hanno consentito di muovere da qui, da una base piuttosto solida, cercano il vero, ne hanno bisogno come il pane, hanno bisogno di pensare che ciò a cui concludono, l’argomentazione che hanno messo in piedi concluda a una cosa vera e non falsa, anzi deridono coloro che giungono a conclusioni false, già… perché? Perché se giunge a una conclusione falsa vuol dire che si è ingannato, e se si inganno vuol dire che non ha saputo considerare bene la questione oppure le inferenze che ha concluso sono errate oppure ancora la premessa da cui è partito è completamente sgangherata, però ci tengono molto che la conclusione a cui giungono sia reale e abbiamo visto che in un certo senso sono costretti a fare una cosa del genere, il problema o meglio l’equivoco che sorge è che tale conclusione ritenuta vera è, come dicevamo la volta scorsa, immaginata essere un elemento extralinguistico e cioè non immaginano che il fatto di potere affermare che sia vera non è altro che un’operazione linguistica, nient’altro che questo

Intervento: mi chiedevo che fine faceva il falso che viene deriso tutto sommato, la direzione dell’argomentazione reputata falsa non viene intesa, intrapresa dal discorso e allora viene derisa.

Il falso ha questa funzione nel discorso: indicare quale direzione non si deve prendere, l’argomentazione falsa non è un’argomentazione seguibile perché, lo dicevano già nel medioevo “ex falso quodlibet” da una conclusione falsa può prendersi qualunque direzione indifferentemente e cioè non fornisce nessuna direzione, e il discorso ha necessità di una direzione per proseguire se gliela si leva è un problema, se, se A allora B, questo B dà la direzione stabilita dal se A allora B, entrambi ne stabiliscono la direzione e se non c’è la direzione il discorso che fa? Non fa niente, non può fare niente, non può proseguire perché se prosegue, prosegue necessariamente in una direzione non può seguire una direzione e la sua contraria, questo già Aristotele lo aveva inteso perfettamente

Intervento: Io ponevo in ambito clinico questa questione: una persona che crede una certa cosa non può pensare che questa cosa sia falsa… quindi tutto ciò che si presenta alla persona e che dice la persona tiene conto di un’unica direzione del discorso, non può distogliere il suo discorso da quello che per lei funziona.

Sì, mantenere la verità in cui si crede, come dire: se questa persona mi vuole bene allora non può fare questo, se ha fatto questo è per qualche altro motivo,perché siccome mi vuole bene non può farlo, non può volerlo fare. Certo, non posso ammettere che ciò che io credo vero sia falso… Retoricamente la questione del vero è molto importante visto e considerato che gli umani non possono non fare nient’altro durante la loro esistenza se non inseguirlo a tutti i costi, il linguaggio è fatto a questa maniera, insegue la conclusione di volta in volta. È curioso che anche le leggi, le cosiddette leggi della logica tengano conto di una cosa del genere, l’unico caso in cui l’inferenza se A allora B è falsa è quella per cui la A è falsa, l’unico caso… cioè non c’è la premessa o la premessa è falsa, in effetti non ha tutti i torti, c’è sempre una premessa, se c’è linguaggio c’è sempre una premessa e quindi c’è una conclusione, si parte da un elemento linguistico e si giunge a un altro. Nel luogo comune il vero ha una funzione notevolissima, per questo vi sto invitando a considerare attentamente la questione: le persone si muovono e fanno tutto ciò che fanno, pensano ciò che pensano in base a questo e a nient’altro che questo: i criteri di verità, la cosa su cui possiamo riflettere è come si costruisce un criterio di verità, questione tutt’altro che semplice ma di notevole interesse, a quali condizioni una certa cosa può essere ritenuta vera? Noi ci muoviamo sempre in ambito retorico ovviamente, in ambito logico tutto ciò non ha grande interesse ma retoricamente sì, abbiamo considerate nei discorsi molte figure retoriche che hanno questa funzione, potremmo anche riprenderne alcune se la cosa ci interessa, e come certe figure di discorso invitino in un certo senso a considerare vero ciò che affermano, quasi un invito ad indirizzare in quella direzione, tutte le figure retoriche hanno questa funzione? A che serve una figura retorica? A produrre effetti, emozioni, sensazioni, rinvii, sviare il discorso, tutta una serie di operazioni… forse ci sono cose della retorica che ancora non abbiamo esplorate, per esempio la questione del vero nelle figure retoriche come si pone? Sono sempre anch’esse affermazioni del vero oppure no? Difficile a dirsi ma c’è l’eventualità che anche la figura retorica si muova di conseguenza, come dire che qualunque cosa il linguaggio costruisca è costruito in funzione di questo: potere stabilire, affermare una conclusione, giungere a una conclusione, è possibile, ancora non lo sappiamo con certezza. Stiamo giungendo a qualcosa di notevole anche se dobbiamo fare ancora un po’ di strada, e cioè che qualunque cosa accada all’interno del linguaggio e cioè qualunque cosa accada agli umani non sia nient’altro che questo: porre un elemento per potere giungere, concludere a un altro e che di fatto non ci sia nient’altro che questo, a che scopo? Nessuno. Assolutamente nessuno. Come dire che il linguaggio non ha nessun altro obiettivo fuori di sé, è questo che sto dicendo, con nessuno scopo, l’unico scopo di cui possiamo parlare con un certo criterio è che il linguaggio ha come scopo il proseguimento di se stesso. Dunque agli umani non accade nient’altro all’infuori di questo? Parrebbe, il nostro compito è verificare se è esattamente così, in parte lo abbiamo verificato, ci sono ancora delle cose da considerare e se fosse così questo ci creerebbe qualche vantaggio? Forse… Come dicevamo la volta scorsa sapremmo esattamente cosa fanno gli umani perché non lo possono non fare, sapremmo che è esattamente sulla questione del vero che dobbiamo lavorare perché che agli umani, piaccia oppure no, lungo la loro esistenza non fanno nient’altro che questo, stabilire, affermare cose pensate vere. Ora se passano la vita a compiere questa operazione è chiaro che farlo notare così direttamente può creare qualche problema, occorre arrivarci attraverso una serie di passaggi e uno di questi potrebbe essere appunto la nozione di vero e poi di realtà, a questo punto se giunge a considerare che la realtà può essere un elemento linguistico, può essere una produzione del linguaggio, ecco che tutto ciò che andiamo dicendo è molto più facile da accogliere. Questo anche in ambito clinico, si tratterà di vedere come porre la questione del vero, è ovvio che la persona che sta parlando con voi suppone di dire cose vere oppure di dire cose false, o una cosa o l’altra, se vi dice cose vere ci si domanda come mai pur essendo vero non funziona come dovrebbe, se vi dice cose che sa essere false allora chiede a voi quali siano quelle vere, e se gliele dite vi chiederà poi perché quelle che voi dite vere non funzionano…

Intervento: una obiezione, lei nella prima parte ha cominciato dicendo che gli umani non si accorgono che non esiste alcuna verità che non sia una verità linguistica, o qualcosa del genere. A questa proposizione si potrebbe applicare l’obiezione di Russell, i paradossi logici “Epimenide cretese diceva che tutti i cretesi mentono” oppure quello del barbiere, ce ne sono molti… la proposizione “che gli umani quando parlano di verità, questa verità è un atto linguistico” questa stessa proposizione mi pare che potrebbe essere indifferentemente vera o falsa, perché se è vera è falsa e se è falsa è vera, non so se mi spiego; cioè dire non se ne esce dal fatto di supporre che la soluzione dei paradossi logici come sappiamo è stata affrontata in modo diverso l’enunciato, l’enunciazione

In effetti il suo paradosso funziona se la verità non è un atto linguistico, se lo pone come atto linguistico cessa di funzionare, perché essendo tale non può essere che una produzione del linguaggio, è ponendola fuori dal linguaggio “che è vera se e soltanto se è falsa” e viceversa, cioè ponendo una verità che trascenda il linguaggio, solo a questa condizione, se no se lei afferma che la verità è un prodotto del linguaggio, la verità come qualunque altra cosa non incappa in nessun paradosso logico, perché negare una cosa del genere non lo può fare e non c’ è nessun paradosso, è come dire: qualsiasi cosa questa è necessariamente un atto linguistico, non è una affermazione paradossale. Lei trova la questione del paradosso perché pone la verità come un qualche cosa che è fuori dal linguaggio, allora a questo punto sì…

Intervento: sicuramente, ma se è nel linguaggio posso sempre trovare un’altra proposizione che dice un’altra verità.

ma a questo punto non ci interessa, è lì che mettiamo allora Russell e la sua teoria dei tipi, non ci interessa che cosa intendiamo con verità, ci interessa semplicemente dire che la verità è un atto linguistico, qualunque sia non ha nessuna importanza, non diamo a questa un contenuto particolare, intendiamo la verità come un qualunque atto linguistico e allora distinguiamo ovviamente, se invece poniamo la verità come una proposizione che afferma una cosa necessariamente vera allora sì, allora siamo all’interno di un paradosso, però la verità è un atto linguistico, che cosa è necessariamente vero? La verità? No, necessariamente vero è l’affermare che qualunque elemento è un atto linguistico

Intervento: appunto questa è un’operazione retorica non è logica

l’enunciarlo sì, comporta una proposizione retorica, che però non può essere negata, in nessun modo, possiamo dire che è retorica nel senso che affermare una cosa logica può comportare qualche problema, forse, però di fatto enuncia una proposizione che si pone al di qua della possibilità di costruire proposizioni vere o false, è al di qua, enuncia la proposizione che non può essere negata salvo affermare una proposizione autocontraddittoria, non so se è questa la questione che si stava ponendo…

Intervento: lei diceva “non so se si può affermare qualcosa di logico” in effetti quando la logica è in atto si compie un’operazione retorica, anche le tavole di verità si dicono, sono regole

sì abbiamo detto che l’affermare una qualunque cosa attiene alla retorica, può darsi è una distinzione che abbiamo fatta, si potrebbe dire qualcosa di meglio… però è chiaro che se prendo la verità come una proposizione che afferma qualcosa di necessariamente vero fuori dal linguaggio allora esistono i paradossi immediatamente, però come è possibile un paradosso, l’unico paradosso formidabile è quello in effetti che afferma che esiste qualcosa fuori dal linguaggio, a questo punto lei si trova di fronte a un paradosso, ché per poterlo affermare è preso nel linguaggio ovviamente, utilizza il linguaggio ma tolto questo paradosso, se considera un qualunque altro, come è fatto esattamente? È anche in questo “Epimenide cretese dice che tutti i cretesi mentono” dove sta esattamente il paradosso? nel fatto che lui può affermare che tutti i cretesi mentono senza mentire, come dire c’è un utilizzo differente di questo termine, in un caso il mentire interviene in un modo, nel secondo interviene in un altro, se lo utilizza allo stesso modo è ovvio che il paradosso è irresolubile, così come Achille e la tartaruga, se considera lo spazio infinitamente divisibile allora Achille non raggiungerà mai la tartaruga, se invece lo considera finitamente divisibile allora la raggiungerà e la supererà, dipende dal gioco che decide di fare, e cioè non considera nel paradosso che esistono delle regole differenti rispetto al primo mentire e al secondo mentire, per esempio, non considera cioè che sono elementi linguistici, i quali elementi linguistici assumono di volta in volta un senso differente, a meno che un elemento abbia sempre un senso e cioè non trovi un senso che gli fornisce la combinatoria in cui è inserito ma ce l’abbia di per sé, e cioè appunto sia fuori dal linguaggio, solo a questa condizione è possibile il paradosso, ché se è sempre nel linguaggio non c’è più nessun paradosso perché io do a ciascun elemento il senso che ritengo più opportuno visto che non ce l’ha di per sé, e smonto qualunque paradosso salvo uno che non posso smontare, e cioè quello che afferma che esiste un elemento fuori dal linguaggio, questo non lo posso smontare, ma direi che è l’unico.

Intervento: io ho questa impressione che la retorica sia più efficace della logica) sicuramente più persuasiva.

In effetti il lavoro che facciamo è prevalentemente retorico, la logica ci serve unicamente per costruire proposizioni che siano assolutamente inattaccabili e questo la retorica non lo può fare anzi, la retorica non se ne cura minimamente, però dobbiamo tenere conto (e è questo dicevo fin dall’inizio ciò che ci distingue dal discorso religioso) che muoviamo unicamente da questioni che procedono da una costrizione logica e cioè che hanno come fondamento soltanto elementi linguistici, nient’altro che questo, poi da qui costruiamo tutto quello che vogliamo, però dobbiamo potere contare su un qualche cosa che non prevede un atto di fede e cioè che è così necessariamente, tutto qui! a questo ci serve la logica, il potere dire che tutto ciò che affermiamo non è un discorso religioso, solo questo, però non è poco. Per dirla altrimenti: possiamo provare tutto ciò che affermiamo, provarlo in modo definitivo poi “il come” ci muoviamo questo è ovvio che utilizza la retorica perché è molto più potente, o meglio, più persuasiva della logica, come dicevamo la volta scorsa: argomentazioni prettamente logiche non persuadono nessuno, lei provi a dire in giro “qualunque cosa questa è necessariamente un atto linguistico” questo per il luogo comune non serve a niente. E invece la retorica sì, la retorica muove le azioni, muove le genti, muove tutto, la logica non muove niente, è solo un gioco costruire qualcosa che non sia un discorso religioso, tutto qui. Questo certo ci distingue da qualunque altro. La conferenza prossima ha come titolo “La grammatica delle passioni”, è già un modo per avviare la questione retorica, come si costruiscono le passioni e perché, che funzione hanno, a quali condizioni è possibile costruirle, questa è la grammatica… le leggi che ne governano la formazione, potremmo anche dire così. La sintassi è fatta delle leggi che ne governano “l’assemblaggio”.