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4-9-2013

 

La questione del significato è complicata perché non si è mai posta la questione in termini più efficaci, si è sempre inseguito il significato del significato come se il significato fosse un quid da qualche parte da trovare, da definire eccetera. Con queste premesse si va poco lontani, anche se proprio questa operazione avrebbe potuto in teoria fare venire il sospetto che la questione del significato sia un po’ più complessa, nel senso che accorgendosi, cercando di sapere che cos’è il significato e trovandosi di volta in volta sempre spostati su altre questioni, forse non c’è il significato in quanto tale, come in buona parte la filosofia analitica ha cercato di trovare, ma è qualcosa di semovente, di mobile, di incerto, nonostante il fatto che sia indispensabile per proseguire a parlare, e questo rende la questione interessante rispetto al modo in cui funziona il linguaggio perché ponendo il significato grosso modo come lo pone Wittgenstein, e cioè come l’uso, abbiamo che un termine ha un significato che è l’uso che se ne fa comunemente, cioè quello che fornisce il dizionario, il dizionario ci dice in che modo si usa generalmente un termine. Se si parla di un termine, nonostante anche lì la questione sia tutt’altro che semplice e tutt’altro che risolta, può apparire o potrebbe apparire più semplice, un vocabolo che nel caso invece di una proposizione complessa e qual è allora il significato di una proposizione? Una proposizione può essere abbastanza semplice e può anche essere molto complessa, e la teoria composizionale dice che il significato della proposizione è, per dirla in modo un po’ rozzo, la somma dei significati dei vari elementi che la compongono, quindi per comprendere una proposizione devo conoscere il significato degli elementi che compongono la proposizione, generalmente avviene così, generalmente, ma come abbiamo visto la volta scorsa non sempre, prendiamo per esempio una proposizione semplice ma complessa allo steso tempo, è la frase notissima che riporta Freud nel saggio sul diniego Die Verneinung. La frase che riporta Freud ci da l’occasione di intendere qualcosa di più sul significato di una proposizione, su che cosa interviene quando si parla di significato di una proposizione, perché se io affermo che “ho sognato una donna ma non era mia madre” è chiaro che questa proposizione è semplice e di facile comprensione perché ciascuno sa qual è il significato dei termini che la compongono, quindi qual è il significato di questa frase? Ovvio che il significato può essere generalmente o una descrizione oppure in questo caso potrebbe essere una parafrasi e cioè “durante l’attività onirica notturna mi è accaduto di vedere una donna ma questa donna non era colei che mi ha generato”, questa potrebbe essere una traduzione, una parafrasi più o meno corretta, più o meno accettabile, quindi chiunque capisce che questa persona ha sognato una donna ma quella donna non era sua madre. Fin qui niente di particolarmente difficile, ora il significato che probabilmente aveva per la persona che ha pronunciato questa affermazione, è lo stesso significato che ha ascoltato Freud quando l’ha sentita? Ovviamente no, anche se è Freud ha inteso un significato, Barthes lo chiamerebbe il grado zero, e cioè appunto la somma dei singoli significati dei singoli termini, che per altro è necessaria perché senza questa Freud non avrebbe potuto dare a questa frase un significato diverso da quello che ha dato, invece chi l’ha pronunciata, se chi l’ha pronunciata l’avesse detta in finlandese, Freud non avrebbe potuto dare a questa frase nessun significato. Dunque che cosa interviene a determinare il significato di questa proposizione per chi la pronuncia? Qui interviene qualche cosa che si aggiunge alla semplice somma dei significati dei termini e cioè l’intenzione, o l’intenzionalità, qual è l’intenzione di chi afferma una cosa del genere? Di fare intendere all’altro che quella particolare persona che ha sognato non era la mamma, poteva essere qualunque altra donna ma non quella lì, questa è l’intenzione, perché se io dicessi “l’altro giorno ho incontrato una ragazza ma non era Eleonora” uno si chiederebbe come mai devo fare questa precisazione, avrebbe un senso se io avessi avuto un appuntamento con Eleonora e invece di Eleonora ne avessi incontrata un’altra, allora sì avrebbe un senso “ho incontrato una ragazza ma non era Eleonora”, se no non avrebbe nessun senso questa precisazione. Il senso di questa precisazione viene fornito dall’intenzionalità e cioè dalla necessità di escludere che chi ascolta possa pensare che lui abbia sognato la mamma, per motivi suoi che adesso per in momento non ci interessano. Quindi era l’intenzione il significato di questa proposizione per chi l’ha pronunciata. Invece per Freud che l’ha ascoltata, che significato aveva? Freud capovolge la frase, toglie semplicemente il “non “ e la trasforma da negativa in affermativa, perché dice che comunque anche se negata questa presenza è comparsa, cioè nel suo discorso è comparso il significante “madre” che non era necessario per la comprensione della frase, invece questa negazione sottolinea la necessità di chi la pronuncia di evitare che chi lo ascolti pensi che sia sua madre, invece per Freud conferma che la persona che ha sognato in un modo o nell’altro era sua madre, o comunque aveva a che fare con sua madre. Il significato di questa frase per Freud è differente, cos’è che rende differente i due significati? Il gioco in cui è inserito, nel primo caso questa frase si inserisce all’interno di un gioco che deve per esempio negare un problema con la mamma, adesso la faccio breve; deve negare un problema con la mamma perché se questo problema con la mamma venisse alla luce che incontrerebbe altri problemi che per esempio lo mettono a disagio o comunque di cui non vuole parlare, il gioco invece che fa Freud muove dall’idea che se un termine compare all’interno di un discorso questo termine c’è, c’è e va preso sul serio, cioè questo termine indica effettivamente la presenza all’interno del discorso di quella cosa di cui il discorso sta parlando, nel caso specifico della madre. Dunque il gioco di Freud è differente, potremmo anche aggiungere che nel gioco di Freud c’è anche l’intenzione di trovare, trarre una conferma alla sua teoria, anche questo fa, però a questo punto abbiamo un significato che è quello che consente di comprendere la proposizione, e cioè effettivamente come dice la teoria della composizionalità che il significato è la somma dei significati delle singole parole, quello è ciò che consente di intendere che cosa sta dicendo, ma ciascuna volta in cui ciascuno parla c’è un motivo per cui si parla, c’è un motivo quindi la teoria composizionale dice qualcosa che è necessario che sia, ma non ci dice nulla del motivo perché si costruisce una proposizione. Ora se gli umani contrariamente alle macchine hanno un motivo ciascuna volta per costruire una proposizione, in che modo e fino a che punto questo motivo incide o determina il significato di ciò che dicono? Per esempio, come abbiamo detto in altre varie occasioni le macchine non hanno un motivo per dire, per fare delle cose, le fanno quando qualcuno glielo ordina se no non fanno assolutamente niente, mentre gli umani agiscono in modo differente e se non avessero un motivo per costruire proposizioni, per dire cose sarebbero inerti, dopo tutto anche gli animali quando hanno soddisfatte le loro esigenze primarie cosa fanno? Stanno lì, fanno niente, per lo più dormono e recuperano energie perché non hanno il motivo per fare qualcosa. Questo motivo per gli umani viene dalla struttura del linguaggio, è il linguaggio o meglio il suo funzionamento, il modo in cui funziona che produce dei motivi, degli scopi, delle intenzioni, degli obiettivi che altrimenti non ci sono. Qualcosa che li spinge a fare, a pensare, a risolvere cose e soltanto loro ce l’hanno. L’esigenza del linguaggio è quella di costruire sequenze di proposizioni che concludano con un’affermazione riconosciuta come vera dal sistema, e dicevamo che anche le macchine hanno questa esigenza e che la differenza sostanziale sta nel fatto che mentre le macchine verificano questa cosa all’interno delle regole che le fanno funzionare invece gli umani cercano all’esterno queste cose, nella realtà. Il problema è sempre, o quasi sempre, sempre la necessità di concludere con un’affermazione vera, laddove questa conclusione appare difficile per esempio, e quindi occorre ingegnarsi per trovare un metodo per verificare questa proposizione, il linguaggio fa solo questo? Tendenzialmente sì, dal momento in cui si avvia e cioè compaiono le prime informazioni insieme con le istruzioni per processarle, nel momento in cui è avviato, che cosa fa il linguaggio? Deve sì, costruire altre sequenze, ma ciascuna volta queste sequenze devono soddisfare un requisito fondamentale che è quello che ha avviato il sistema e cioè potere affermare qualcosa: questo è questo. Dicevamo tempo fa che gli umani per tutta la loro esistenza, da quando esistono non hanno fatto nient’altro che affermare “questo è questo” in modo sempre più complesso ovviamente, e articolato ed elaborato, però in modo da potere concludere “è così: questo è questo, le cose stanno così”. Dicevamo anche le macchine hanno questa caratteristica, e cioè ciascuna volta hanno la necessità di processare dei dati e concludere una sequenza in modo che questa sequenza soddisfi le richieste del programma, cioè le regole del programma che la fanno girare se no si arresta e quindi apparentemente non c’è una grande differenza se non quella differenza che rende gli umani tali e cioè la necessità di trovare la conferma fuori dalle regole stesse che li fanno funzionare, quindi una conferma dalla realtà, quindi anche da altre persone che devono confermare che è proprio così, per avere il potere sulla realtà e nella realtà ci si mettono anche le altre persone. È questo che rende gli umani, umani, la necessità di esercitare il potere, come diceva Nietzsche, il potere cioè il controllo sulle cose, avere il controllo sulle cose significa fare in modo che le cose vadano come voglio io, cioè che queste cose siano o diventino vere in base a ciò che io credo essere vero, e cioè si allineino con le mie verità, in modo che io possa affermare che è così. Ecco che torniamo alla questione di prima, perché ci sia un significato occorre che ci siano delle informazioni ovviamente ma anche delle istruzioni per processare queste informazioni, queste informazioni ci dicono quali sono i significati delle cose e cioè come utilizzare un certo termine, per esempio il termine “orologio” ha un suo significato che in questo caso più che una parafrasi è una descrizione e cioè uno strumento che serve a misurare l’ora, oppure il “tavolo” un piano orizzontale supportato da uno o più supporti, ecco questa è un’altra descrizione che dice qual è l’uso corrente di questa parola nella lingua italiana. Questo è necessario perché il tavolo o orologio o qualunque termine possa essere utilizzato per costruire sequenze più complesse, ma perché qualcuno abbia l’intenzione, la voglia, il desiderio di costruire sequenze più complesse occorre qualche altra cosa, cioè l’intenzionalità. Le macchine non hanno nessuna intenzione, da dove viene l’intenzione? Per Freud è qualcosa che è naturale, è la pulsione e bell’ e fatto. L’intenzione è qualcosa che muove gli umani, la fantasia di potere certo, ma questa fantasia di potere viene dal funzionamento del linguaggio degli umani, non delle macchine, noi umani abbiamo costruito le macchine immettendo il nostro modo di pensare ovviamente, ma non gli abbiamo messo dentro anche l’intenzionalità. Comunque sia non gli è stato immessa questa informazione, e cioè che la verifica delle loro proposizioni deve essere confermata da altri, dalla realtà per potere proseguire, e siccome nel linguaggio, così come funziona negli umani, non può non proseguire, nel senso che si autoalimenta allora ecco la necessità di trarre dalla realtà, adesso uso questo termine molto generico, la conferma per potere proseguire e finché non avviene questa conferma rimane come in sospeso, in standby. Ho detto un attimo fa “il linguaggio che si autoalimenta” che è una formulazione piuttosto barbara che vuole dire tutto e niente, in che modo? Cosa vuole dire questa cosa? Come fa ad autoalimentarsi? Una volta avviato sembra che non possa fermarsi in nessun modo, che cos’ha di particolare per cui non può fermarsi? Quali comandi, quali input riceve per trovarsi in quella condizione di non potere arrestarsi? Che in effetti un umano non può smettere di parlare anche volendo. L’intenzionalità non è che venga da nulla occorre, trovare quali sono i comandi, letteralmente, quali comandi rendono il linguaggio inarrestabile. Per cui dal momento in cui è avviato non c’è più possibilità di ritorno, è come un punto di non ritorno l’acquisizione del linguaggio. Ma stiamo chiedendo perché è costretto a proseguire, perché deve farlo? Perché non può non farlo? E come dicevo ci deve essere qualche cosa che viene trasmesso all’inizio insieme con i primi “rudimenti” chiamiamoli così, e cioè proprio con le prime informazioni che lo fanno funzionare. La prossima volta risponderemo a questa domanda.