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4-6-2003

 

Qualche accenno attorno alla realtà? E intorno alle cose che andavamo dicendo, nessuna considerazione? Avete mai pensato che le persone che ci ascoltano possano non credere alle cose che diciamo? Forse questo è il problema centrale il fatto che non vengano credute vere e non serve a nulla il fatto che noi possiamo dimostrarlo e lo facciamo, non avviene questo passo quindi questa cosa non viene creduta vera. Perché qualcosa che viene creduto vero funziona, come dire che modifica un sistema che da quel momento non è più lo stesso, invece appare che le cose che diciamo non modifichino nulla, quando qualcosa viene creduto vero da quel momento fa parte di una sorta di data base, facendo parte del data base interviene nel sistema operativo, (…) sì occorre un riconoscimento certo ma…

Intervento: se non accolgono quello che diciamo perché c’è qualcosa di molto ben fermo

Sì, non è coerente con le loro premesse ma è contraddittorio…

Intervento: o si interviene nelle premesse…

Il linguaggio riconosce, dice Sandro giustamente, delle proposizioni come vere quando sono coerenti con le premesse da cui muovono e, o confermano le suddette premesse oppure aggiungono un elemento che è deducibile dalle premesse. In che modo ciò che noi affermiamo non è coerente con le premesse del luogo comune, per cui non viene creduto vero? Ché non ha nessuna importanza che noi lo dimostriamo, la questione è che la nostra stessa dimostrazione appare come è, una petizione di principio e cioè utilizziamo il linguaggio stesso per dimostrare che qualsiasi cosa è un elemento linguistico, poco importa il fatto che non possiamo fare altrimenti, sia l’unica via per provare una cosa del genere e il linguaggio sia l’unico criterio utilizzabile per questo scopo come per qualunque altro…

Intervento: e nel luogo comune una tautologia non è considerata una dimostrazione

Esattamente e questo è un ostacolo…

Intervento: se una tautologia non è considerata valida…

Non è che non è considerata valida è considerata inutile, non serve a niente, dice la stessa cosa…

Intervento: allora perché la realtà…

Perché quella viene prima, è venuta prima e gli umani sono stati addestrati a pensare che quella è vera…

Intervento: l’obiezione è sì ma quando io sono disoccupato che me ne faccio dei discorsi?

Posta rozzamente, così come viene posta… beh potremmo decidere di occuparci almeno di quelle persone che hanno una curiosità intellettuale, uno che viene licenziato il giorno prima è difficile che venga ad ascoltare…

Intervento: e se va in analisi non è molto diverso dalla persona che va in analisi perché ha un problema…

In questi casi è preferibile una argomentazione retorica, cioè portare l’affermazione al paradosso in modo che non sia più sostenibile, certo occorre prepararsi in modo da potere ridurre al paradosso qualunque affermazione di questo tipo, cioè qualunque luogo comune, e questa è una via e anche un esercizio, uno immagina una obiezione e riflette come condurre questa obiezione al paradosso… (…) e in ogni caso anche questo pensiero non può modificare un gioco, se ci accettano le regole di quel gioco, non modifica il gioco del poker per esempio perché il gioco del poker ha quelle regole, bisogna inventarne un altro ma se si accolgono le regole di quel gioco non si può fare nient’altro per giocare quel gioco, questo non lo può fare, è il linguaggio stesso a proibirlo: se una persona fa un certo gioco e quindi ha accolto le regole di quel gioco, finché gioca quel gioco non può uscirne, cioè non vengono modificati i giochi in questo senso: date le premesse, date le regole del gioco il gioco è quello, come dicevo non possiamo modificare le regole del poker giocando a poker, non lo possiamo fare. Però prendiamo la questione di prima, cioè: quando una affermazione viene accolta come vera da un sistema operativo? Forse è necessario che avvenga perché questa cosa che noi diciamo, almeno teoricamente, dovrebbe falsificare ciò che la persona sa, necessariamente, la falsifica: se è vera questa allora è falsa quell’altra. Abbiamo provato in vari modi a falsificare un sistema di credenze, luoghi comuni ecc. e abbiamo considerato che quello a cui gli umani sono più fortemente ancorati è questa bizzarra nozione di realtà. Cesare prenda il Dir, o il Devoto e legga la definizione di realtà (…) Sì, potremmo dire che in definitiva nel luogo comune non è altro che l’esistere delle cose in sé e per sé, ed è quello che ci viene obiettato “le cose sono” indipendentemente da me che le so oppure no, però questa è una superstizione, è questo che noi andiamo dicendo da tempo, è una superstizione nel senso che non è possibile provarla, come dire che affermare l’esistenza della realtà e affermare l’esistenza di dio sono la stessa cosa. Sono due affermazioni che prevedono che io ci creda… (…) non devi porla così domani, almeno tenere conto che questo è così il luogo comune, con Gabriele oggi si discuteva rispetto alla sofferenza e io ponevo una domanda “se io prendo questo registratore, lo dispongo con sentimento sul tavolo e poi con estrema violenza gli do un cazzotto sopra, questo aggeggio qui soffre oppure no?” È ovvia la risposta immediata da parte di chiunque “No”. Al che io domandavo perché? Perché non soffre? È solo una mia decisione? A questo punto potrei anche decidere che soffre, oppure c’è qualche cos’altro?

Intervento: il registratore per definizione non soffre

E chi l’ha definito?

Intervento: il luogo comune

Certo, cioè è una credenza cioè io credo così ma potrei anche credere il contrario, naturalmente il fisiologo direbbe “ non soffre perché non ha un sistema nervoso che recepisca ecc.” però ha degli aggeggi che si rompono, il fatto che si rompano il registratore può avvertirlo come dolore, Cesare io posso spararle in pieno petto e dico che lei soffre quando la vedo per terra che si contorce, e se uno mi dà un cazzotto tremedissimo sulla testa, la testa si rompe, il fatto che mi si rompa la testa comporta che io affermi che soffro, se ho il tempo di farlo, e quindi la stessa cosa posso dirla di chiunque…

Intervento: dicevamo che il pappagallo è parlante, per definizione mentre il cane non lo è

Cosa c’entra il pappagallo?

Intervento: quando si parlava delle qualità

No, dovete trovarmi un motivo per cui è legittimo affermare che il registratore non soffre e cioè un qualche cosa che appartiene alla sofferenza e che non appartiene al registratore o a qualunque altro aggeggio, e che invece appartiene agli umani… (…) puoi essere ancora più preciso, non una proposizione ma qualcosa che il discorso riconosce come tale…

Intervento: al momento in cui qualcuno incomincia a dire che le piante parlano diventa un luogo comune utilizzano questa cosa, questa diventa una regola

Certo si rompono le cose, così una testa, così un bicchiere che cade per terra, se qualcuno mi dà una botta in testa la testa si rompe, esattamente come il bicchiere che cade per terra… (…) questo potremmo dire che è un problema suo…

Intervento: sono segni e quindi sono significanti

La rottura in un registratore non rinvia alla sofferenza, non necessariamente, se è la rottura di una gamba sì. Qualcuno potrebbe dirmi, mentre mi accendo la sigaretta “non faccia male a quella sigaretta”…

Intervento: può avvenire nel discorso comune qualcuno può trovarsi a dire che il registratore ha male come se queste regole che funzionano nella lingua, nel discorso non appartenessero a quella che è la norma, cioè il discorso occidentale ha come regola che queste affermazioni sono fuori dalla sua norma

Sì, in termini più precisi è quello che abbiamo detto prima e anche altre volte, cioè un conseguente segue sempre coerentemente l’antecedente, segue le regole di quel gioco, non può il conseguente essere incoerente con le premesse, non viene accolto dal gioco come elemento e viene scartato. Ora questo elemento funziona come segno ovviamente, sia la botta in testa, sia il bicchiere che si rompe è un segno, e come tale è l’antecedente di un conseguente, ora il conseguente non potrà che essere coerente con le regole del gioco che sta facendo, se riguardano per esempio la ferita di un essere umano ecco che il gioco che sta facendo prevede una serie di regole e cioè che se ferito allora soffre. Qualcuno potrebbe dire “sì ma io lo sento”certo, che lo sente, esattamente come il computer sente quando c’è un conflitto di file, lo sente, tant’è che si blocca, anch’io lo sento se uno mi spara in testa, anch’io mi blocco…

Intervento: come se la regola del gioco stabilisse quali tipi di rinvii e quali no

Sì, allora a quel punto o la persona deve ammettere che se io subisco una botta in testa la sento e soffro allora soffre anche il computer, oppure sono regole del gioco, non c’è via di uscita, e anche il computer si modifica, subisce un trauma, subisce un evento e lo segnala ma anche un bicchiere che cade subisce un trauma e lo segnala rompendosi andando in mille pezzi. Allora muovendo questa obiezione o ci si mette sulla stessa stregua di un bicchiere, ché anche lui di fronte a un evento si modifica, oppure l’altra via è quella che indichiamo noi e cioè è un segno per qualcuno e cioè è l’antecedente di un conseguente e questo conseguente non potrà che essere coerente con quelle regole del linguaggio di cui è l’antecedente…

Intervento: ora questo discorso che stiamo facendo sta affrontando le regole di un discorso…

È un gioco che ciascuno di noi conosce perfettamente…

Intervento: se non esiste la realtà allora esiste la follia

Qualcuno in effetti avvertiva questo: il timore che noi si affermasse che non esiste nessuna realtà, invece ciò che deve passare è che ciò che chiamiamo realtà non è altro che il linguaggio, non è che è costruito dal linguaggio, è il linguaggio che comunemente si chiama realtà, e cioè tutto ciò che mi circonda ha come condizione l’esistenza del linguaggio, è il linguaggio che costruisce proposizioni, verifica quelle che sono vere, le accoglie e una volta che le ha accolte sono così perché non può contraddirle, e quindi diventano vere e quindi reali, cioè c’è una sorta di scambio fra ciò che il linguaggio, il discorso, stabilisce essere vero, e il passaggio al reale che è il passaggio che comunemente dice che questa cosa non è più linguaggio. Non è nient’altro che questo la realtà, ciò che il linguaggio stabilisce come vero, con le regole che conosciamo, una volta che ha detto che è vero, cosa fa? Lo chiama realtà per distinguerlo da ciò che realtà non è e che cosa non è realtà per il linguaggio? Ciò che è falso rispetto alle regole del gioco che sta facendo. Tutto qui. Non è questione che esista o non esista la realtà, il linguaggio chiama realtà quell’insieme di proposizioni che sono diventate vere e quindi accolte dal sistema operativo e che lo fanno funzionare e sono quelle che mi fanno dire che questo esiste, quello non esiste, questo è bello quello è brutto…

Intervento: ovviamente non è così che la realtà è nel luogo comune

No, ma è così che dovrà essere…

Intervento: è colto come qualcosa che esiste o non esiste

È lei che ha fatta questa obiezione, però sì, va bene questa obiezione che ha fatto, in effetti ha ragione, noi non diciamo affatto che la realtà non esiste: la realtà è il linguaggio… (…) questo che il linguaggio chiama realtà è l’insieme di tutte le proposizioni che ha potuto affermare essere vere, tutto questo lo chiama realtà, poteva chiamarlo anche Pippo, l’ha chiamato realtà, va bene… (…) la realtà è il linguaggio, il linguaggio la chiama così per queste cose, una volta che ha stabilito che è vero rispetto a certe premesse allora afferma anche che esiste, ma sono affermazioni che fa il discorso, al di fuori di questo discorso significano niente…

Intervento: molto spesso affascinano i discorso e hanno molta presa…

Non hanno nulla a che fare con qualcosa che può essere provato come vero, semplicemente nascondono qualcosa che è creduto essere assolutamente vero, se no non avrebbero nessuna presa, le religioni per dirne una… è allora lì certo, non c’è nessuna realtà, però questo discorso che avevamo affrontato tempo fa in effetti non potendo dare nessuna prova di niente ecco che si va a cercare qualcosa che si crede possa dare, un po’ alla Popper, a lungo possa manifestare tutta la sua realtà, la sua verità dice “adesso non ce la facciamo ma un domani…” sì Cesare vada a prendere il vocabolario etimologico (…) sembra una strana coincidenza con res in latino, la cosa…

Intervento: il fatto stesso

Però forse un approccio di questo tipo potrebbe giungere a concludere che la realtà è il linguaggio, cioè le cose che si vedono, che si toccano eccetera, il linguaggio chiama realtà tutte quelle proposizioni che può considerare vere, l’insieme di tutte queste proposizioni che ha stabilito essere vere rispetto alle regole del gioco le chiama reali o esistenti, stessa cosa. Bene, incominciamo a riflettere sul modo di proseguire a ottobre, quando decideremo di riprendere il tutto…