4-3-2015
POTERE E LIBERTÀ 5
La volta scorsa Giovanni ci siamo lasciati con delle sue perplessità, delle questioni che ha incontrato nella lettura di qualche testo, vuole parlarcene per avere un riscontro di ciò che si sta facendo in generale?
Giovanni: purtroppo deve essere una cosa molto personale forse il rapporto che avevo con quel libro in quel momento … Sto leggendo Psicologia delle masse e analisi dell’Io e continuo con la Psicologia delle folle di Le Bon … mi stavo chiedendo perché lo leggevo visto che stavo continuamente scappando su altre questioni che venivano ogni volta poste dal libro … questioni che andavano a collassare con le questioni poste da Claudia la volta scorsa, quindi su quale canale può passare l’esercizio di un potere specialmente il canale del senso di manchevolezza di un individuo? quindi io mi sento mancante di un qualche cosa, sempre in perenne debito di qualche cosa e quindi l’esercizio di potere su di me passa attraverso quel canale, dico su di me, perché effettivamente posso avere vissuto determinate situazioni in cui si è esercitato su di me un potere o anche io ho esercitato un potere su altri, semplicemente intercettare una posizione, un senso di manchevolezza dell’individuo quindi debito, e quindi poter esercitare su quell’individuo una posizione di credito. Poi sono andato avanti a leggere sempre in parallelo Freud Le Bon, Freud smonta pezzo per pezzo nella parte in cui si parla di anima delle masse … ad un certo punto gli elementi che vengono estratti nel descrivere la massa sono molto interessanti perché sono elementi che potrei benissimo riprendere e riscrivere con la descrizione di un individuo, proprio perché non ho niente di particolarmente trascendentale rispetto alla posizione di partenza del libro perché si parte quasi subito dicendo che nella massa asservita o asservibile l’individuo si tuffa in questa grossa massa unitaria in qualche modo, e allora ho preso un po’ di questi elementi ed ero molto curioso, leggevo “nella massa svanisce il “concetto dell’impossibile” … io l’ho subito definito come delirio di onnipotenza, “né dubbi, né incertezze, le idee antitetiche possono convivere come nei nevrotici o nei bambini” e ridagli come individuo, dice “c’è una serie di illusioni, di irrealtà pronte soltanto a realtà, dice testualmente “ realtà psichica” non quella comune “oggettiva”… poi, nel chi può arrivare a dominare una massa, Le Bon dice che è un po’ carente ma gode del così detto “prestigio”, il prestigio è dato dal nome oppure da successi e quindi annullabile con gli insuccessi … Niente, mi sembra la descrizione di questo ente dipendente da prestigio di qualcun altro quindi da un “più” rispetto a lui, ente che non prende una posizione, le idee antitetiche possono convivere, il conflitto nevrotico al suo interno, senza più il senso del limite eccetera, mi sembrava veramente, tutti questi elementi sembravano la descrizione di una realtà nevrotica e quindi di una realtà appunto dove c’è questo senso di, si può dire così, di “complesso”, complesso, la butto lì perché non mi sta venendo la parola adatta, appunto dove c’è questo conflitto in qualche modo questa incapacità e questa rinuncia a prendere appunto una posizione, pertanto a lasciarsi dominare da tutto ciò che può parlare a questa mancanza di realtà, di mettersi in gioco individualmente nella realtà. Questo è un punto e non è niente che arrivi al fondo ….. ma mi sembrava uno dei canali attraverso il quale si può investigare la possibilità di esercitare un potere in questo caso su un individuo, questa massa continuo a vederla descritta come un individuo, è chiaro dipenderà dalla mia lettura però … Mi chiedevo se fosse questo l’abbandonarsi ad una massa a una massificazione … ho preso nota: è un ottima occasione per una non presa di responsabilità nei confronti anche del proprio inconscio e le sue manifestazioni … Si lascia che tutto ciò che è conflittuale rimanga lì agganciabile ed esercitabile dal primo che riesce a parlare quella lingua, in questo caso a me è venuto in mente quella del senso di colpa, i ragionamenti che avevamo fatto le volte scorse con Claudia, il non risolto, e non posizionato, che a questo punto consente a qualcuno, non necessariamente posizionato, non so, io che non riesco a prendere una posizione non so se quello che viene a parlare la mia lingua lo esercita verso di me e io allegramente glielo concedo, non so quanto lui abbia risolto la sua posizione, de factu però può esercitare questa dinamica su di me se gli concedo … ho posizionata la massa “sul non mi sta interessando” ma poi invece effettivamente …
Freud si è trovato a leggere il testo di Le Bon cercando delle connessioni tra il modo in cui si muove una massa e il modo in cui si muove il singolo, trovando effettivamente delle similitudini, anche se possono esserci eventualmente motivazioni differenti, ma dico “eventualmente” perché non è detto che sia così. Ciò che rileva, e anche lei ha rilevato, è il fatto che la massa toglie ogni responsabilità, togliendo la responsabilità è come se si scatenasse una fantasia di onnipotenza che oggi la tecnica in parte soddisfa, per esempio consentendo di intervenire in vari luoghi, mi riferisco alla rete, mantenendo il proprio anonimato e quindi è come guardare una scena senza essere visti. L’aspetto più interessante è che, come lei rilevava, l’idea di fare parte di una massa comporta anche, direi quasi necessariamente, l’idea di essere dalla parte del giusto, per un motivo molto semplice: se tutti o tanti pensano così allora quello che pensano non può essere sbagliato. Non è così, ma può accadere di pensare una cosa del genere, come dire “se tanti pensano questo, ci deve essere qualche cosa di vero” è uno dei luoghi comuni più diffusi, quindi entrare a fare parte di questo gruppo ben nutrito significa anche fare parte di un gruppo che ha la verità, o almeno una parte, e che comunque le cose che sostiene sono vere, sono vere nel senso che o si riconoscono come tali per qualche motivo, perché c’è qualcuno che ha la forza retorica di imporla come tale, oppure che ha la forza fisica per imporla come tale. Accade così nei gruppi di ragazzini per esempio, quello più grosso e più prepotente generalmente è quello che rappresenta il modello da seguire. Quindi si tratta di appoggiarsi a qualcuno che si suppone sappia quello che fa, sappia quello che dice, e in ogni caso abbia il potere di imporre le proprie idee. Nella seconda parte del saggio Freud parla moltissimo di questo e cioè della funzione del capo all’interno del gruppo o della massa o quello che è, perché il capo è colui che assume su di sé tutta la responsabilità, il capo ha una funzione precisa che non è soltanto quella di costituire il punto di aggregazione, ma soprattutto di sbarazzare tutti gli altri della responsabilità, è lui che risponde di tutto, perché questo è importante per ciascuno dei singoli? Essere responsabili di qualche cosa significa dovere rispondere di fronte a un errore, a una manchevolezza, a una qualunque cosa considerata negativa, trovarsi responsabili o colpevoli di questo comporta trovarsi in una posizione, all’interno di quel gruppo, di svantaggio, cioè si diventa una persona poco affidabile che ha sbagliato e quindi perde la sua pozione di potere all’interno del gruppo. Questo è uno dei motivi per cui è così facile seguire un “capo”, adesso chiamiamolo così, come l’ha chiamato Freud, “il capo del gruppo” ma Freud si attarda anche su altre questioni che hanno a che fare con l’identificazione, identificarsi con chi ha il potere, in questo La Boétie è abbastanza preciso, consente di “identificandosi con chi ha il potere” di trarne per sé un po’ di questo potere e questo è l’altro vantaggio; il primo abbiamo visto è quello di non essere sottoposto all’eliminazione dal gruppo, l’altro è immaginare che identificandosi con il capo si acquisisca parte del suo potere, questo è il motivo per cui si imita, anche il modo di fare, di parlare, di dire del capo. Se si diventa simili al capo allora anche il suo potere in qualche modo mi appartiene, vengo riconosciuto come qualcuno che fa parte di quel gruppo, e se il gruppo è importante allora sono importante anch’io. Ecco qui ovviamente la questione del potere direi che è fondamentale ed è il motivo per cui una persona si aggrega a un gruppo, tenga conto che questo gruppo è sempre nella fantasia, nell’idea un gruppo di potere comunque, cioè un gruppo che ha del potere, di qualsiasi tipo non importa, però questo gruppo è considerato come un gruppo che ha potere…
Stefania: posso aggiungere qualche cosa? perché mi prende molto questa cosa, cambia molto rispetto a delle situazioni che io vivo, allora a me sembra che questo discorso sia assolutamente importante e da far convergere con … rovesciando il calzino, nel senso che viene confermato solo quasi a rovescio ovvero che il tiranno di cui parla il discorso della “Servitù volontaria”, il tiranno, e a me sembra, faccio una parentesi, oggi nelle istituzioni si vive questa situazione di tirannide mascherata, il tiranno oggi applica il sistema dell’antica Roma ovvero “dividi e impera” cioè il gruppo, è quel gruppo che riesce ad avere forza non perché si impone … Tanti conigli che si sentono leoni solo nel momento … se ti guardi indietro ce ne sono altri cento, il potere oggi nelle istituzioni che cosa sa? Sa che, il capo laddove non riesce ad avere il seguito lavora creando brecce o rompendo gli argini o per usare una metafora militare “rompe la trincea” per potere entrare in questo gruppo vissuto da lui in modo …. E che quindi anche ai suoi occhi ha potere … e cerca di romperlo, di disgregarlo e giocare su che cosa? sulla necessità di riconoscimento individuale, a cui ovviamente figuriamoci chi non collude? con l’illusione di essere più importante o comunque il figlio prediletto ed è questo il modo per avere potere su quella massa di conigli in modo strumentale cioè questo è l’altro lato che secondo me bisogna fare vedere perché è la strategia che dall’antica Roma ad oggi mi sembra ben poco cambiata, il potere ce l’hai nel momento in cui fai confliggere le colonie … Roma non è mai scesa in campo … io sto in un’istituzione, sto vedendo esattamente questo processo qua e vedo tanti idioti che non hanno la lucidità di rendersi conto che l’illusione del riconoscimento del più bravo è solo strumentale a insinuarsi e ad accaparrarsi il potere. Giovanni: è un po’ differente da ciò che ho letto, pensavo alla definizione di massa che avevo letto, è quasi l’opposto anche se in realtà è un meccanismo creato per avere potere … la soddisfazione individuale non è il mezzo più forte, il motore più forte nelle masse a volte può essere percepita più forte quasi l’abnegazione che poi in realtà è l’annullamento entro questa massa … L’illusione di poter individuare in questo capo …
Stefania: secondo me la differenza posso dire la mia lettura … il pretesto … Freud fa riferimento a due masse artificiali che sono l’esercito e la chiesa d’accordo? Sono due masse compatte la chiesa che si muove con le sue dinamiche e l’esercito che si muove con le sue, se tu porti il potere nella società allargata delle istituzioni devi operare quell’altro meccanismo cioè quello del “dividi e impera” cioè voglio dire banalmente non è che io abbia una grande conoscenza politica ma quello che è successo nella fabbrica, quello che succede nelle istituzioni pubbliche “dividi e impera” cioè è più vicino a quel discorso di La Boétie, cioè del tiranno che seduce due o tre persone che diventano in qualche modo quelli che sostengono la sua forza cercando di dividere il piano del collettivo cioè ci sono due aspetti …
Stavo considerando uno dei due aspetti, e cioè l’aspetto della massa e dei motivi per cui la massa si lascia, diciamo, usiamo pure il termine “sedurre” da un capo, poi c’è l’altro versante, cioè come si ottiene e si mantiene il potere. Che è un altro discorso che va fatto ovviamente e che stavamo per fare: mantenere il potere. Visto che hai citato La Boétie: è vero occorre trovarsi alcune persone, anche poche, che siano disposte, obbedienti e amanti anche loro del potere e poi saranno loro a ripetere il meccanismo su altri sotto di loro. Il capo supremo di fatto non è mai a contatto diretto con la base, ma è una piramide dove ciascuno ha il suo posto, la sua collocazione e il suo potere perché sotto di lui ha delle persone, le quali persone dovranno amministrare il potere. Sandro: questo è il motivo per cui le rivoluzioni sono molto rare perché ciascuno ha delle cose da perdere. Ciò che a noi interessa è sapere, sì, come funziona, ma questo non è difficile da reperire, ma la cosa più interessante è sapere perché funziona in modo così efficace ed efficiente, praticamente da sempre, da quando gli umani esistono esiste il potere, cioè qualcuno che vuole imporre il proprio potere sull’altro, originariamente magari sì con la spada, sono più bravo con la spada e riesco ad ammazzare quell’altro che mi si oppone e gli altri per non essere uccisi diventeranno miei sudditi. È la tesi, detta in modo un po’ spiccio, di Laurent Dispot nel suo scritto La machine à terreur, secondo lui all’origine il potere nasce così, non sappiamo perché non c’era nessuno a testimoniare se sia andata così oppure no, ma è irrilevante, perché ciò che è più interessante e più importante non è tanto vedere come funziona, anche certo, ma perché funziona così, perfettamente e da sempre, cioè perché gli umani amano esercitare il potere a qualunque costo. Come dicevo qualche tempo fa, citando Nietzsche, il potere è l’unica cosa che gli umani vogliono realmente, non ci sono altre cose, qualunque altra cosa è come se fosse una delle configurazioni del potere, ma l’unica cosa che vogliono è questa, ora se in effetti funziona così e certo l’osservazione è fin troppo banale, chiunque può osservarlo ininterrottamente, chiunque vuole esercitare il potere sull’altro direttamente o indirettamente e, come diceva lei giustamente, anche accondiscendo a qualcuno, è comunque una forma di potere e delle volte anche più potente di quell’altra, facevo l’esempio, sempre sulla scorta di Nietzsche, del famoso gesto cristiano di porgere l’altra guancia che è un gesto, come dice Nietzsche, di una potenza infinita, perché pone la persona che sta porgendo l’altra guancia a un livello assolutamente superiore di quell’altro che non potrà mai più raggiungerlo, come se stesse dicendo “tu non sei niente”, è questo che gli sta dicendo porgendo l’altra guancia. Occorre soffermarsi sul perché per gli umani è così determinante avere il potere, perché non possono non cercarlo in tutti i modi…
Giovanni: una domanda rispetto a questa cosa qua “è perché lo vogliono avere o è perché hanno bisogno di stare in qualche dinamica di potere? Traduzione: perché hanno bisogno di subirlo? Perché sì ok esercitare …
Nessuno subisce un potere se non ha in cambio qualcosa …
Giovanni: esatto è questa la questione … Non riesco a capire forse non è soltanto una questione logica non sono capace … la domanda forse è “perché io voglio esercitare un potere a tutti i costi?” Perché in realtà perché qualcuno lo sta esercitando su di me? Perché voglio esercitare il potere a tutti i costi ok. Perché ho bisogno che qualcuno lo eserciti su di me? Non riesco a capire … la convenienza? Perché così io in qualche modo sono deresponsabilizzato …
C’è un altro aspetto che riguarda il controllo, avere il controllo su qualcosa o preferibilmente su qualcuno, perché avere potere su qualcuno è controllarlo, ora Freud non in questo saggio che lei sta leggendo ma in Pulsioni e loro vicissitudini si è trovato a pensare che il piacere fosse ciò che gli umani cercano, fosse la meta ultima, e in effetti è una considerazione abbastanza comune, ma poi si è trovato a riflettere meglio sulla cosa, in seguito agli eventi della prima guerra mondiale. Era appena finita la prima guerra mondiale e si è trovato di fronte a dei soldati che rientravano dal fronte più o meno maciullati con quelle che lui chiamò “nevrosi post traumatiche”. A uno che gli esplode una granata a mezzo metro, se riesce a sopravvivere, in alcuni casi, tra l’altro non sempre, in alcuni casi ciò che accade è l’insorgere di una nevrosi post traumatica, ora se gli umani cercassero effettivamente il piacere l’esplosione di una granata avvenuta a pochi metri di distanza non è considerata generalmente cosa piacevole, e allora si chiede se non ci sia qualche cos’altro, tant’è che anni dopo in un altro suo scritto Aldilà del principio di piacere elabora un’altra teoria o più propriamente corregge la prima, la corregge inserendo un altro elemento, e cioè il controllo, il controllo sulle cose, e allora rivivendo le nevrosi post traumatiche è come se ne facesse un economia, cioè letteralmente una gestione, un controllo di ciò che è accaduto. Questo è il motivo per cui si riproduce nel sogno ma anche nella veglia il panico dovuto alla suddetta granata, che non avrebbe motivo di ripetersi, è una cosa brutta, perché uno se la dovrebbe riprodurre? Si pensa generalmente che le cose brutte si cerchi di evitarle e si cerchino invece quelle buone, piacevoli, divertenti eccetera e Freud invece, in quella occasione, si accorge che non è esattamente così. Certo questa questione ha molti altri risvolti però intanto ha portato la sua attenzione sulla necessità di gestire l’evento, di controllarlo. Se torniamo alla questione di prima del potere, il potere non è altro che una forma di controllo, di gestione, letteralmente di economia, economia di ciò che si incontra, controllo di qualunque cosa, questa è un’ulteriore precisazione ma ancora non ci dice nulla del perché gli umani cerchino il potere: perché ha detto che vogliono avere il controllo? È una domanda fondamentale alla quale nessuno ha mai risposto. È stata considerata da sempre una cosa naturale, una cosa che appartiene alle persone indiscriminatamente e nessuno sa esattamente perché, e per rispondere a questa domanda occorre inserire degli elementi, occorre fare un altro tipo di considerazioni che a questo punto con Freud, con la psicanalisi hanno più poco a che fare, e cioè incominciare a riflettere su che cosa rende gli umani tali, e cioè sul fatto che sono continuamente presi in ciò che dicono, nella parola, nel loro discorso, nel loro racconto, tutte queste cose che abbiamo descritte prima, di fatto questo desiderio, questa volontà, partecipare a questo, essere all’interno di un gruppo, volere avere la compiacenza del capo massimo e supremo, tutte queste cose non vengono da niente, sono la conclusione di argomentazioni, non sono naturali, essendo la conclusione di argomentazioni ci riconducono a una questione sicuramente complessa ma a questo punto imprescindibile, e cioè di che cosa sono fatte queste argomentazioni e da dove vengono. Ed è per questo che ritengo imprescindibile a questo punto una riflessione intorno al funzionamento del linguaggio. Perché alla domanda “perché gli umani vogliono il potere?” potremmo rispondere immediatamente e semplicemente che lo vogliono perché sono parlanti, se non lo fossero il problema non si sarebbe mai posto, non sarebbe mai esistito. Questo dovrebbe fare riflettere sulla necessità di incominciare a occuparsi in modo forse più attento del modo in cui funziona il linguaggio, perché senza linguaggio non c’è né volontà, né desiderio di potenza, non c’è niente, perché nessuno può volerlo, nessuno ha nessun motivo per volerlo perché per avere un motivo occorre che ci sia argomentazione, occorre che ci sia una considerazione, un giudizio di esistenza prima e un giudizio di valore dopo, tutte queste cose in assenza di linguaggio non ci sono, non c’è niente, e allora la domanda “perché gli umani vogliono il potere?” occorre ricondurla, se vogliamo dare una risposta a questa domanda, ricondurla al funzionamento del linguaggio, lì troveremo la risposta, cioè nel modo in cui funziona.
Giovanni: non è una modalità, un mezzo? In origine non era solo un mezzo? Un mezzo per rendere tutto possibile in assenza del quale nulla si dà, … un mezzo per ottenere la rappresentazione a noi stessi e agli altri di che cosa, a questo punto? di ogni cosa però …
Ma da dove viene questo desiderio di volere il potere su ogni cosa? Perché torniamo al punto di partenza così facendo …
Giovanni: se mi rispondo “il linguaggio” non riesco a dirmi “ah, sì ecco” … perché lo abbiamo visto come un mezzo che consenta l’azione di un tutto ma non la sua origine …
Sì, lo vede come viene visto generalmente, cioè come uno strumento per conoscere il mondo, per esprimere pensieri, per esprimere sensazioni eccetera, forse occorre intenderci su questa nozione di “linguaggio” primariamente perché non è il modo in cui io lo intendo, cioè il modo di cui dicevo prima, uno strumento per la rappresentazione, per la conoscenza, per la manifestazione di cose, se fosse solo questo, cioè uno strumento, molte questioni non potrebbero venire intese. Allora posso darle due risposte, una retorica e una strutturale. Retoricamente potremmo dire così il linguaggio è ciò che consente agli umani di dirsi tali, di pensarsi tali e insieme con questo pensare qualunque altra cosa, l’altra definizione, posso renderla forse più semplice ponendola così: immagini il linguaggio, adesso le faccio una metafora informatica, lo immagini come un sistema operativo, un sistema operativo che consente la costruzione di sequenze, queste sequenze devono avere una certa forma ovviamente per essere riconosciute dal sistema, come in un computer, queste sequenze però sono sequenze particolari perché ciascuna di queste sequenze è sempre connessa con un'altra, connettendosi fra loro queste sequenze costruiscono quelle cose che possiamo chiamare scenari, immagini, sensazioni, ciascuno di questi elementi che intervengono ha un uso, un uso stabilito dalla consuetudine per lo più, cioè con “uso” intendo un significato, un rinvio, rinvia a qualche altra cosa, rinvia continuamente a qualche altra cosa e ciò che una persona pensa, qualunque cosa sia, è fatta di questo materiale, sono parole che rinviano ad altre parole continuamente. Lungo questi rinvii si costruiscono quelle cose che chiamiamo discorsi, un discorso è fatto in questo modo, generalmente si muove da una premessa che è ritenuta vera, e attraverso dei passaggi ritenuti coerenti tra loro si giunge a una conclusione. Questa operazione che è quella con cui le persone pensano generalmente è fatta di elementi linguistici, e sono questi elementi linguistici che consentono la costruzione di quelle sequenze che sono quelle che ciascuno utilizza per parlare, per pensare. Provi a immaginare che per incanto, il linguaggio scompaia, come se non ci fosse mai stato, allora le conseguenze che si traggono da questo è che gli umani non possono più pensare niente, non possono trarre nessuna considerazione, conclusione, nessuna congettura, non possono conoscere, non possono neanche esprimere qualcosa perché a quel punto non c’è nulla da esprimere, non c’è nulla da esprimere nel senso che perché qualcosa abbia l’opportunità, l’occasione per essere espressa occorre che abbia un valore, ma questo valore chi glielo dà? Ecco tutte queste cose rappresentano ciò che generalmente chiamo “linguaggio”, che è ciò che appunto, come dicevo prima, consente agli umani di pensarsi umani, per esempio, ecco perché non è soltanto uno strumento per fare cose, ma è ciò che consente di pensare che il linguaggio sia uno strumento per fare cose …
Giovanni: è una struttura?
Sì, infatti ho data una definizione strutturale prima, quando parlo di struttura mi riferisco generalmente alla definizione che dà Benveniste di struttura, e cioè una connessione di elementi linguistici ovviamente tale per cui se si modifica un elemento allora si modificano tutti gli altri, cioè si modifica la struttura, questa è la definizione che dà Benveniste, e mi sembra fra le più accettabili, e in effetti è così che funziona, lo dice Freud stesso, anche se ovviamente non conosceva Benveniste né lo strutturalismo, che il più delle volte anche modificare una sola parola, modifica l’intero discorso, cioè la struttura, può leggersi a questo proposito ciò che scrive rispetto alla Psicopatologia della vita quotidiana, il Motto di spirito, cioè il mutare di un elemento comporta il mutare di tutto il discorso. La semiotica ci è arrivata dopo di lui, in parte almeno, perché De Saussure diceva già qualche cosa di molto simile, però moltissime delle cose che lei trova in Freud, accennate o comunque soltanto indirizzate perché ovviamente non è né un linguista né un semiotico, le trova espresse in modo straordinario nei testi di semiotica. Quindi il linguaggio è qualcosa di più di uno strumento per fare delle cose, ma è quella cosa che consente anche di pensare che il linguaggio sia uno strumento …
Giovanni: sì ma non riesco veramente a collegare … a farmi un quadro di questo motore, come motore come ciò che dà non solo la possibilità ma dà l’impulso per “voglio esercitare il potere perché esiste il linguaggio, perché posso dirmi umano” ok questo permette al potere di esistere ma è un altro modo, sì è una condizione ma come motivazione?
Ha detto bene, la condizione perché possa esistere il potere e perché possa esistere la mia volontà di praticarlo, di esercitarlo e di imporlo …
Giovanni: sì, ma qual è il motore che lo mette al di sopra di tutto quanto?
È una struttura come ha detto giustamente lei, che costruisce delle sequenze, però occorre aggiungere anche un altro elemento. Nel funzionamento del linguaggio c’è un elemento particolare ed è quello che forse illustra meglio tutto quanto: parlando ciò che non si può evitare è di affermare delle cose, parlando muove da una premessa e attraverso argomentazioni giunge ad affermare qualche cosa, affermando questo qualche cosa lei fa una cosa importante, e cioè stabilisce quella cosa nel momento in cui l’afferma. È così che il linguaggio procede, perché se non giunge a una conclusione, cioè se non afferma qualche cosa non può proseguire per costruire altre sequenze, occorre che l’argomentazione concluda una certa cosa per poi proseguire, quindi affermare questo qualche cosa. Provi a pensarlo come un esercizio di potere, io affermo qualche cosa “le cose stanno così”, prenda la formulazione più semplice che si possa pensare “se a allora b, se b allora c, dunque se a allora c” questa affermazione conclusiva è qualche cosa che si stabilisce, viene imposto dal discorso e ogni volta che ciascuno afferma qualche cosa, se la afferma la crede anche vera, se no non l’affermerebbe. Questa è la manifestazione del potere a livello strutturale cioè di struttura di linguaggio. Questo non comporta necessariamente l’esercizio del potere in accezione folcloristica, come il volere imporre il mio potere sull’altro, comandare sull’altro, questo segue al fatto che non c’è la possibilità di sapere che ciò che sto dicendo, quindi sto imponendo, sto facendo esistere nel momento in cui lo dico, dicevo, non c’è la possibilità di sapere che questo è soltanto un atto linguistico, e cioè non manifesta uno stato di cose, non manifesta la realtà, ma semplicemente ha costruito una sequenza il cui unico scopo è di venire utilizzata per costruire altre sequenze. Se invece si immagina, come accade, perché questo è l’addestramento che ciascuno riceve da quando nasce, si immagina che ciò che si afferma sia vero e che questo vero corrisponda a un qualche cosa che esiste nella realtà allora sì, l’esercizio, l’imposizione del potere da parte di qualcuno su altri è assolutamente inevitabile, non può non farlo …
Stefania: vai molto vicino al comportamentismo linguistico, sto ragionando a voce alta, il comportamentismo linguistico parte da un analisi del linguaggio per derivare i comportamenti umani, riagganciandomi a quello che diceva lui che non c’è nessun altra motivazione se non quella determinata da ciò che si dice, dall’atto linguistico, dal fatto che si parla …
Il fatto che possa essere confuso con il comportamentismo non è rilevante, ciò che interessa intendere è come funziona e perché funziona nel modo in cui funziona, e ci sono alcune cose che non possono non essere considerate, non so quanto il comportamentismo sappia del funzionamento del linguaggio o della filosofia analitica o della semiotica …
Beatrice: soprattutto direi che qui il comportamento è considerato fuori dalla parola e quindi non è ciò che noi andiamo affermando quando parliamo di quella struttura che fa esistere la vita e insieme con la vita ciò che chiamiamo il “comportamento”
Stefania: non ho detto il comportamentismo in genere ma il comportamentismo logico, linguistico un pull di filosofi che partivano, mi sembrava, da queste considerazioni che fai tu …
Volendo si può parlare anche di Freud come un comportamentista logico e linguistico, basta considerare quello che dice nel Motto di spirito, nella Interpretazione dei sogni, nella Psicopatologia della vita quotidiana, dove il comportamento di una persona è determinato da una serie di accostamenti di parole, per esempio l’atto mancato classico: un tizio fa cascare la statuetta che va in mille pezzi, questo gesto procede da connessioni, questo lo dice lui stesso, da connessioni linguistiche, ora è facile da questo punto pensare che Freud fosse un comportamentista, il problema è che quando una certa cosa assume qualunque significato perde la specificità, e diventa nulla. La specificità di cui sto parlando rispetto al linguaggio è che il linguaggio costruisce delle proposizioni al solo scopo di costruirne altre, e non ha nessun altro fine, e qui la questione si fa ardua: qualunque cosa si dica è all’interno di un gioco linguistico. Gioco in accezione strutturale in quanto è determinato, come qualunque gioco, dal fatto che alcune mosse sono consentite e altre no, ma anche dall’aspetto ludico, divertente eventualmente, e cioè dal fatto che se so che parlando non posso fare altro che costruire giochi linguistici per esempio: in questo caso approccio a tutto ciò che si dice sarà totalmente differente perché nulla di ciò che si dice rappresenta una realtà. Mi rendo conto che non è semplicissimo, però è qui che conduce tutta la ricerca intorno al linguaggio, a considerare anche che il “comportamentismo” come un gioco linguistico al pari di qualunque altro, e cioè non definisce nessuno stato di cose, nessuna realtà. È un gioco fine a se stesso, e non spiega niente perché non c’è niente da spiegare. Si possono costruire giochi che aggiungono delle cose, che rendono delle cose che si sanno ancora più elaborate, ma tutta questa elaborazione non potrà mai giungere a dire come stanno le cose. Ecco qual è la portata di un’analisi del linguaggio, porta a considerare che questa stessa analisi del linguaggio è un gioco linguistico al pari di qualunque altro, lei provi ad applicare questo a qualunque discorso, che cosa succede? Succede che non potendo pensare che le cose che ha costruite il suo discorso abbiano un referente al di fuori del discorso stesso, allora il suo modo di approcciare le cose cambia completamente, potremmo addirittura dire che a queste condizioni, solo a queste, quella cosa che Freud chiamava “nevrosi” non sarebbe più possibile: perché si produca la nevrosi occorre un referente, un riferimento a una realtà e cioè all’idea che le cose stanno così, se no non c’è nessuna nevrosi. Questo potrebbe essere di qualche interesse. Ovviamente sovverte almeno in buona parte la teoria psicanalitica ma questo non mi preoccupa. Bene abbiamo aggiunto qualche riflessione giusto perché lei possa proseguire la sua lettura.