INDIETRO

 

 

4-2-2015

 

LIBERTÀ E POTERE

 

Ciò di cui mi sono occupato ultimamente è la questione del potere, per una serie di motivi che adesso vi dirò. Come presentazione farò una esposizione della mia posizione rispetto alla questione, in modo che ciascuno prenda atto e poi valuti la sua posizione e il modo di comprendere questo discorso. La questione del potere dicevo, l’ho trovata da qualche tempo di estremo interesse a partire in parte dal lavoro di Freud ma non soltanto. Freud, come sapete, si è occupato delle fantasie di potere, non frequentissimamente, e quando lo ha fatto lo ha fatto in modo indiretto, non era questa la sua questione centrale, mentre alcune considerazioni mi hanno invece condotto a considerare la questione del potere come assolutamente centrale, questo mi ha condotto a rivolgermi inizialmente più che a Freud a un altro personaggio che invece si è occupato della questione del potere in modo più determinato e anche esteticamente più bello: Nietzsche. A partire da alcuni aspetti che possiamo considerare più folcloristici la questione del potere in effetti ciascuno ce l’ha sottomano sempre e ininterrottamente, naturalmente qui dovete intendere “potere” nell’accezione più ampia possibile e cioè come, ve lo definisco per il momento così come lo intendo, e cioè come l’esercizio della propria volontà su qualcosa o su qualcuno. Dunque l’esercizio della volontà, della propria volontà su qualcun altro in genere che, come dicevo, trovate ovunque in qualunque relazione così detta umana, relazioni sociali, relazioni politiche economiche, familiari, sentimentali: imporre la propria volontà sull’altro in un modo o in un altro ma fare in modo che l’altro riconosca il mio potere, cioè il più delle volte la mia ragione, cioè che le cose che dico sono vere, se sono vere allora devono essere conosciute come tali ovviamente. Quindi il fatto di ritrovare, chiamiamola per il momento “fantasia di potere”, di trovarla ovunque in qualunque tipo di relazione, come dicevo anche nelle relazioni sentimentali, mi ha posto una domanda e cioè se questa modalità di porsi nei confronti del prossimo e cioè di fare valere la propria ragione, la propria verità, il proprio pensiero, non sia qualcosa di strutturale presso gli umani, gli umani cioè le persone, cioè coloro che parlano in definitiva. Nietzsche ha posta la questione proprio in questi termini, lui parlava di volontà di potenza, va benissimo, non è questo il problema, ma ha incominciato a considerare il fatto che da quando esistono gli umani tutta la loro storia, la storia del loro pensiero, quindi la filosofia prevalentemente, ma non solo perché poi dalla filosofia sono sorte altre discipline, è stata un percorso determinato dalla volontà di potenza. Questa volontà di potenza che si è avviata nel momento in cui gli umani hanno inaugurato la metafisica e cioè quel tipo di pensiero che per Nietzsche separa, a un certo punto, il soggetto dall’oggetto, questa è la prima mossa da compiere perché possa darsi, per esempio, la scienza, e cioè un oggetto occorre che sia determinato per poterne parlare, quindi allora ci sono io che parlo e lì l’oggetto di cui sto parlando. Questa divisione è operata, sempre secondo Nietzsche, da Platone con la divisione tra il “mondo sensibile” e il “mondo delle idee” dove ciò che è sensibile è soltanto un’apparenza di ciò che è reale altrove, ha innescato la necessità da parte degli umani di determinare l’oggetto cercando di saperne sempre di più, di conoscerlo sempre meglio, di potersi avvicinare a lui sempre di più, che è esattamente la posizione di Popper tra l’altro. La posizione di Nietzsche l’ho trovata di straordinario interesse perché mostra in prima istanza che in seguito a questo evento, e cioè la nascita della metafisica, quella che lui chiama la volontà di potenza appartiene, è incominciata ad appartenere a ciascuno necessariamente, cioè non è più possibile non pensare così, non pensare che c’è un qualche cosa da raggiungere, qualche cosa da determinare, da intendere, da stabilire, in una parola stabilire come stanno le cose. Questo per Nietzsche è l’effetto del pensare metafisico, certo lui articola molto bene la cosa e anche in modo molto piacevole, e ama ricordare che non è sempre stato così, a un certo punto l’uomo è diventato l’uomo metafisico, l’uomo cioè abitatore della metafisica cioè ha incominciato pensare in modo scientifico, cioè ha incominciato a obiettivare, a reificare l’ente cioè qualunque cosa. Per Nietzsche, e tra poco vi dirò perché faccio questo brevissimo excursus, prima dell’uomo metafisico, forse qualcuno lo ricorderà c’è l’uomo tragico, l’uomo tragico è, per farla molto breve, è l’uomo che non essendo ancora l’uomo metafisico non è ancora distaccato da tutto ciò che lo circonda, vive esattamente ciò che accade il quel momento per quel momento, e questo lo porta, a una posizione estetica straordinaria, sempre secondo Nietzsche, cioè tutto diventa bello, la freccia è bella, l’arco è bello, l’uomo è bello, anche la ferocia è bella, certo è un modo di pensare che per l’uomo metafisico di oggi è assolutamente improponibile, sempre ammesso che sia mai esistito un uomo del genere ovviamente, e questo uomo dunque una volta avviato il cammino della metafisica si è ritrovato a dovere inseguire sempre il sapere, cioè inseguire l’oggetto, l’ente, saperne, volerne sapere necessariamente di più ma non, e qui c’è un’altra posizione di Nietzsche di straordinario interesse, non come è stato fatto credere da sempre per un nobile intendimento di conoscenza, di sapere, di virtù, assolutamente no, è soltanto una volontà di potenza, tutto il resto non c’entrava niente. Una volontà di potenza che ha portato il pensiero fino al punto in cui si trova oggi e cioè alla tecnica, e non poteva non portarlo lì, la metafisica non poteva non portarlo lì. Freud è un uomo metafisico, un uomo che abita la metafisica, così gli uomini di cui parla sono uomini che abitano la metafisica necessariamente, però l’aspetto forse ancora più rilevante in tutto ciò è che ponendo la questione in questi termini Nietzsche mostra, almeno a me è parso, qualche cosa di straordinario interesse perché se, come dice lui, qualunque forma di volontà non può non essere, in seguito a ciò che lui intende come sviluppo metafisico del pensiero, non può non essere dunque che una volontà di potenza allora, proprio sulla scorta del principio di Nietzsche, non si può a questo punto non cogliere, non intendere, non considerare quanto meno tutto ciò che gli umani fanno, pensano, o non fanno o non pensano, a partire da questa idea e cioè che l’unico, il solo obiettivo, ma non perché è l’unico, perché non ci sono altri adatti alla stessa portata, no, perché non ne sono pensabili altri, l’unico obiettivo è la volontà di potenza, cioè la sua realizzazione. Se così è, allora forse è opportuno riconsiderare o leggere in un altro modo tutto ciò che Freud scrive. La psicanalisi e qui intendo con “psicanalisi” la teoria inventata da Freud, ha sempre posto le fantasie sessuali come causa e motivo dei problemi degli umani, le fantasie sessuali, consce oppure inconsce; come sapete una fantasia, un desiderio sessuale che non può essere realizzato perché urta, diciamola pure tutta, contro informazioni acquisite contrastanti quella fantasia, quel desiderio, e allora questo desiderio non può essere messo in atto ed essendo rimosso produce una formazione di compromesso e di conseguenza un sintomo. Questo è il percorso che secondo Freud gli umani hanno intrapreso, e la rinuncia alle pulsioni sessuali è il prezzo da pagare per la civiltà, però perché una cosa del genere possa funzionare, cioè ciò che Freud descrive possa funzionare, forse sono necessarie alcune condizioni: come faccio a sapere che se metto in atto un certo desiderio allora succede questo effetto, qualunque esso sia non ha importanza, però un effetto indesiderato, come l’ho saputo? Occorre cioè che perché la rimozione funzioni e cioè perché il “Super io” venga accolto in prima istanza, prima ancora di essere obbedito deve essere accolto, e per essere accolto, ciò che Freud chiama il “Super io” e che questo Super io dice, debba potere avere un effetto su chi lo ascolta perché se non ha nessun effetto non succede assolutamente niente, e com’è che ha un effetto? Com’è che questa chiamiamola “minaccia” tra virgolette riesce a produrre un effetto? Se io minaccio un serpente non produco nessun effetto, come mai? Che cosa occorre? Sarebbe certo anche facile, e volendo si può anche fare, ricondurre queste questioni alla volontà di potenza di Nietzsche, se io faccio questo, per riprendere quella metafora, quel mito di cui parla Freud, allora il papà mi punisce, ma il fatto che mi punisca non è altro che pormi in una condizione di inferiorità, è qualche cosa che sottolinea il suo potere nei miei confronti, ma è perché ha potere che può fare questo, se non ce lo avesse non potrebbe fare niente, quindi prima occorre che io glielo riconosca questo potere e allora a quel punto segue tutto ciò che segue. Non sto dicendo ovviamente che non ci sono fantasie sessuali, ci sono eccome e sono devastanti in molti casi, ma ciò che sto dicendo è che non sono originarie, c’è qualche cosa che ne è la condizione, e se c’è qualche cosa che ne è la condizione non sono originarie ma seguono, seguono qualche cosa che penso che Nietzsche abbia intuito bene e che è molto più radicale perché senza fantasie di potere o, per usare le parole di Nietzsche, senza “volontà di potenza” non c’è nessuna fantasia sessuale, mentre può benissimo accadere il contrario. A questo punto il passo da compiere è abbastanza breve nel senso che l’uomo posto in questo modo, cioè trovandosi necessariamente a pensare nel modo in cui pensa, che per Nietzsche è il pensiero metafisico, il pensiero della scienza, il pensiero della tecnica più propriamente ancora, sulla quale tecnica Heidegger si è soffermato parecchio, magari se volete potremmo anche più in là se la cosa vi interessa riprendere alcune cose che scrive Heidegger nel saggio sulla tecnica del 1953, dice cose interessanti su quanto la tecnica oggi costituisca la fine, il compimento del pensiero umano, perché se il pensiero degli umani necessariamente vuole realizzare la volontà di potenza, il fine ultimo è essere dio, come dicevano gli gnostici “eritis sicut dei”, “sarete come dei”, questa è la promessa della tecnica, costruire marchingegni in grado di fare tutto, cioè non c’è più nulla che non si possa fare. Questa è la fantasia della tecnica, ma in questo operare c’è un problema, cioè l’umano a questo punto è come costretto a essere sempre proiettato in avanti, in quella che Heidegger chiama la “dissennata furia della tecnica” che impedisce di fermarsi e di guardare indietro, impedisce di accogliere ciò che sta accadendo qui e adesso, perché tutto ciò che avviene è sempre per il domani, per un futuro migliore, per un mondo migliore, per qualunque altra cosa, che avverrà sempre domani, sempre domani, tutto ciò che accade oggi è sempre in funzione di domani. Allora la persona non è mai in quello che sta facendo, è sempre proiettata in avanti e c’è un bellissimo motto di Nietzsche a questo riguardo che dice “Ciò che fu, volli che fu” cioè tutto ciò che è stato non è che è stato cancellato in quella serie infinita di macerie che stanno alle spalle e dalle quali devo continuamente, questo è il compito della mia esistenza, cercare di affrancarmi, no, “Ciò che fu, volli che fu” e mi è piaciuto mettere questo motto di Nietzsche a fianco a quello di Freud “Wo Es war, soll Ich werden”. Questa frase di Freud si può tradurre, ed è stato fatto, in molti modi, questo “Es” è un pronome impersonale e lo usano i tedeschi in alcuni verbi come in “es regnet”, cioè piove. Il “qualcosa” è l’impersonale, e allora si potrebbe anche tradurre così, “dove qualcosa era, occorre che io avvenga” là dove qualcosa era occorre che io giunga, e cioè cessare di essere proiettati continuamente in avanti in questa “dissennata furia della tecnica” che non ha necessariamente nessun altro scopo alla fine se non riprodurre se stessa. Non è la macchina che serve a fare delle cose no, lo scopo della macchina è funzionare. Dicevo dunque “Ciò che fu volli che fu”, è un richiamo alla responsabilità: io sono responsabile di ciò che ho fatto ma anche di ciò che sto facendo, perché io sono qui, in ciò che sto facendo e in un certo senso, non è proprio così, però si potrebbe anche considerare che l’uomo tragico di Nietzsche in qualche modo è anche questo, uno che non è più proiettato soltanto e necessariamente verso un qualche cosa che è sempre da raggiungere, il sapere in generale, cioè l’oggetto. Una volta che il soggetto si è staccato dall’oggetto sono diventate due cose, con Platone è partita questa folle rincorsa a sapere come stanno le cose, a determinarle, a chiuderle, ecco la responsabilità dunque di ciò che sta accadendo ed essere lì in ciò che si fa, in ciò che si dice. Un altro esempio, il leone che corre nella savana, il leone non sa di essere un leone che corre nella savana, lui è tutte quello cose lì e fa quello fa perché è quello che è, c’è “qualche cosa” tra virgolette di simile anche se ovviamente l’uomo non può non tenere conto di quella cosa che comunemente si chiama “consapevolezza” che gli è fornita dal linguaggio, cioè dal fatto di essere parlante. Certo, la questione della metafisica è interessante in Nietzsche, ma è interessante perché apre a una questione e cioè che questa divisione possibile fra il parlante e ciò di cui sta parlando, qualunque cosa sia, è possibile e inizia nel momento in cui inizia il linguaggio, prima non c’è e non può esserci in nessun modo, ma da quel momento in cui inizia, da quel momento in poi non potrà più non esserci, da quel momento cioè l’uomo ha preso le distanze da qualunque cosa e ha potuto incominciare a fare tutto ciò che ha fatto. A questo punto risulta spero un pochino più chiara la questione del potere, al quale penso non solo nelle forme più folcloristiche, cioè il potere delle multinazionali, delle banche, delle finanziarie, delle compagnie petrolifere eccetera, sì questo è un aspetto ovviamente, è un aspetto folcloristico ma c’è qualche cosa che riguarda ciascuno, riguarda non solo delle istituzioni che sono potenti, ovviamente sono potenti, le compagnie petrolifere hanno il potere di imporre il petrolio come fonte di energia su tutto il pianeta, lo possono fare e lo fanno, va bene, però non è questo il “potere” di cui sto parlando, ma del potere che ciascuno mette in atto ogni volta che apre bocca, c’è un solo modo per evitare questo: cessare di parlare. Solo a questa condizione non si pone in essere quella che Nietzsche chiamava “volontà di potenza”, perché ogni volta che io parlo affermo qualcosa, e come lo affermo? Sotto forma dubitativa? Sì posso farlo ma è un artificio retorico, se io affermo qualche cosa è perché questo qualche cosa è quello che è, se non lo fosse non potrei utilizzare questa affermazione per costruire altre proposizioni, quindi quando affermo qualche cosa è come se lo affermassi sotto forma di universale, non che creda che sia un universale, no, è semplicemente posto come universale per continuare a parlare perché se no non lo posso fare, perché se io affermo qualche cosa e questo qualche cosa può essere qualunque altra cosa, come proseguo? In che modo? In quale direzione vado? Non è a questo punto una questione né ideologica né di altro, è semplicemente il modo in cui il linguaggio ha iniziato e continua a funzionare, e allora ci sono due possibilità, siccome non posso non “imporre” diciamola così, la volontà nel momento stesso in cui si parla, le possibilità sono queste: o lo so, o non lo so. Se non lo so allora continuo a pensare che tutto quello che mi passa per la testa sia vero, e allora se è vero devo imporlo a chi mi ascolta necessariamente, ecco le fantasie di divulgazione, le fantasie missionarie, la missione, il pontificato, quindi si passa a pontificare, cioè le cose “stanno così”, e questo non può non essere imposto, ma se invece so una cosa del genere anche non potendo evitare di farla, ecco che la posizione è differente perché so quello che sto facendo, a questo punto viene meno la necessità di imporre ad altri ciò che sto pensando, anche se non evita la fantasia di potere, la volontà di potenza, non lo può evitare, ma so quello che sto facendo. Ecco per questo mi è parso importante da tempo, la questione connessa con il potere, perché appare qualcosa in condizione di mostrare il perché gli umani si trovano a fare ciò che fanno da sempre, e soprattutto ciò che fanno e ogni volta che aprono bocca. Ogni volta in cui una persona fa una qualunque cosa mette in atto questo, naturalmente la questione è molto complessa, adesso io sono stato costretto a tratteggiarvela per sommi capi, ovviamente ci sono molti altri aspetti, molti altri risvolti, di notevole entità e portata, potremmo eventualmente più in là approfondire. Oggi ho accennato al modo in cui ho posto la questione del potere in questi ultimi tempi e come ho in animo di proseguire a fare. A questo punta detta la mia posizione potete ciascuno di voi e se ci ha già riflettuto proporre un progetto di lavoro o anche soltanto dire come sta pensando la questione, come pensa di articolarla, di svolgerla, di approcciarla. Chiunque abbia questa idea può dirla siamo qui per questo, per dire quali sono i progetti di ciascuno, progetto che dovrà concludersi con uno scritto. Immagino che ciascuno abbia un idea del “potere”, ma c’è anche la “libertà” naturalmente, libertà della quale cosa non ho detto nulla, ho qualche perplessità intorno a questo concetto, ritengo che a questo proposito tanto Spinoza quanto Freud non siano andati molto lontani dal cogliere la questione, e cioè che questa libertà di cui si parla è molto difficile da determinare perché ciascuno è mosso ininterrottamente da fantasie, intendo con “fantasie” i pensieri in generale, fantasie di cui per lo più ignora la provenienza, per un serie di motivi legati con ciò che dicevo prima. Claudia, qual è la sua idea di potere?

Intervento: Quello che mi chiedevo io, visto che il potere, io sono medico e utilizzo il potere, questa cosa che ci accomuna tutti, possa essere utilizzata senza creare uno squilibrio nel rapporto con l’altra persona, ché poi per forza per come li conosco io i rapporti di potere uno comanda e uno viene comandato, per cui se tutti possediamo la volontà di potenza e quindi di ricerca da portare avanti e quindi abbiamo tutti questa spinta poi al miglioramento, alla conoscenza…

Non tutti, solo coloro che parlano, è una specificazione che sembra assolutamente ridicola e irrisoria ma ha la sua funzione in effetti, perché sottolinea il parlante, è perché si parla che c’è questa che chiamavo, riprendendo Nietzsche, “volontà di potenza” solo per questo…

Intervento: è allora necessaria una certa consapevolezza di parlare…

Sì esatto, infatti una delle ipotesi che stavo formulando con voi riguarda proprio questo, incominciare a rendersi conto di ciò che sta accadendo mentre si parla, prenderne atto e assumere la responsabilità di ciò che sta accadendo, di ciò che si sta dicendo, è il famoso motto di Nietzsche, lo ricordavo prima “Ciò che fu, io lo volli” tutto ciò che è stato io l’ho voluto, si tratta di incominciare a tenerne conto. Lei si chiede come muoversi, anche quando una persona rinuncia a qualche cosa che è importante lì c’è una straordinaria volontà di potenza. A questo proposito Nietzsche parla del cristianesimo: qual è il gesto più emblematico del cristianesimo, che si pensa una religione della pace, dell’amore, della fratellanza eccetera? Il “porgi l’altra guancia”. Ma, dice Nietzsche, quale gesto è mai stato più potente di quello? Perché se di fronte a uno schiaffo lei dà uno schiaffo ancora più forte, tornate in pari, ma se lei non reagisce, allora si pone in una posizione assolutamente inarrivabile per l’altra persona, è una manifestazione secondo Nietzsche della più alta e più straordinaria forma di potere, cioè decidere di abbandonare il proprio potere per l’altro, più potente di così, come dire io ti autorizzo ad avere potere su di me…

Intervento: Però nel cristianesimo c’è molta forza, io rinuncio ad avere il mio potere su di te…

È per questo che viene fatto, perché a quel punto lei guarda l’altro dall’alto in basso “tu non sei niente, io ho il controllo di tutto”.

Intervento: è un po’ quello che accade anche nelle relazioni sentimentali per cui poi grossi contraccolpi, per esempio l’uomo che nei confronti della donna “concede” che sia lei, le lascia fare qualsiasi cosa perché tu sei “piccolina” …

Dicevo tempo fa, un po’ per gioco, che ciò che l’uomo desidera è conquistare il mondo per essere il più importante fra tutti gli uomini, mentre una donna vuole conquistare l’uomo che ha conquistato il mondo per essere la più importante fra tutte le donne. Però avete notato, poi le restituisco subito la parola, che tutto il mio discorso è giunto alla questione del linguaggio, della parola, è perché gli umani parlano che tutto ciò accade e può accadere, se gli umani non parlassero, per assurdo, tutto questo non sarebbe mai accaduto, né avrebbe alcuna possibilità di accadere, saremmo esattamente proprio quel leone che corre nella savana, per il quale non c’è né il leone, né la savana, perché lui è tutte quelle cose indistintamente.

Intervento: quello che incuriosisce me, è per quale motivo una persona decida volontariamente di lasciare il potere ma non per averne dell’altro sarebbe “comandato” Forse avviene inconsapevolmente.

A questo riguardo mi permetto di suggerirle un bellissimo saggio di un francese, tale Etienne de la Boétie…

Intervento: l’ho letto, interessante, si pone il problema ma non arriva poi alla soluzione fa delle ipotesi ma…

Neanche Nietzsche arriva alla soluzione, neanche Heidegger, perché a un certo punto ci si arresta se non si intende che cosa di fatto determina tutto questo, e cioè il fatto che gli umani sono parlanti, ci si blocca di lì non si va da nessuna parte. Si può considerare il “potere” nel testo di Freud, nella Psicologia delle masse e analisi dell’Io non ne parla in modo diretto, perché Freud è orientato verso un’altra cosa ma si può evincere anche da lì la questione del potere, parla del capo e poi ritorna alle sue questioni psicanalitiche per lui irrinunciabili, oppure altri testi, oppure proprie considerazioni, riflessioni, in modo che possa costruirsi un pensiero del gruppo che ha riflettuto intorno alla questione del potere. Da dove viene, come si configura, perché si manifesta in certi modi, perché appare irrinunciabile, perché tutto questo? Facciamo come ci insegna la metafisica, chiediamoci perché? La domanda classica della metafisica è “τί ἐστί” “che cos’è?” visto che non possiamo farlo, se vogliamo dire e parlare di qualcosa occorre che ci sia un parlare e che ci sia un qualcosa di cui parlare. Perché gli umani sono attratti dal potere irresistibilmente anziché no? Questa è una domanda. O se si volesse ripercorrere uno dei temi filosofici più recenti, perché la tecnica si è posta come la manifestazione, la posizione somma del potere?

Stefania: scusa forse dovremmo articolare intorno a questa questione una serie di domande in modo tale che la domanda costituisce il filone per sviluppare il pensiero perché se no il tema è talmente vasto che si rischia di divagare troppo, quali sono le forme di godimento del potere, perché se il potere attrae così tanto è perché intorno ad esso si strutturano delle forme di godimento. Intorno alla dimensione sessuale si giocano molti aspetti e quindi c’è una grande connessione fra la sfera sessuale e il potere ad esempio ma non solo, c’è il godere attivo e passivo, Claudia diceva ci sono delle forme straordinarie di godimento passivo. A me piacerebbe sviluppare l’aspetto del godimento del potere perché è un chiaro risvolto intorno alla clinica, perché noi siamo proprio lì con quella persona che quando viene ci racconta tutte queste questioni e come esercita il suo potere anche su di noi, come “godiamo”, addirittura del potere tra noi e noi, il nostro piccolo “io” che dice Freud “non è padrone in casa sua”, si crede illusoriamente che sia padrone. Se uno facesse l’analisi di quelle che sono le forme di potere a livello istituzionale avrebbe veramente di che sollazzarsi… mentre tu puoi andare incontro al tuo destino e accoglierlo come interrogazione, questo che dice Nietzsche “questo che fu io in realtà lo volli” lo assumi come punto critico perché quello che ti è successo in qualche modo era implicato. La tragicità io la vedo come il fatto che l’uomo non è padrone in casa sua. L’uomo tragico è un uomo che non può governare tutto, che non è padrone di tutto e allora si riesce a cogliere la questione che “tu non sei padrone a casa tua” non sei padrone di tutto…

Intervento: dire che l’uomo non è padrone a casa sua rischia di essere un’affermazione fatta in funzione di una fantasia di potere, come se stesse funzionando la fantasia di potere, come dire “purtroppo non sono padrone a casa mia” però purtroppo!

Stefania: però dipende da come interpreti quella roba lì … al momento che puoi accettare un cedimento del tuo potere quindi non “purtroppo”. Forse è un piacere diverso, sta lì la questione. Guarda i bambini c’è un’esigenza di godere nell’uomo … io parto proprio da questo presupposto.

Hai detto bene, è un presupposto, e forse come tale occorrerebbe interrogarlo, potrebbe essere una pre-supposizione, meriterebbe di essere considerato, quando tu parli di godimento del potere, quale sarebbe il godimento del potere? Perché ci sarebbe un godimento nel potere? In che cosa consiste questo godimento? È una domanda che mi sono posto qualche volta. In effetti Freud ci costruisce parecchio su questa questione, però poi di fatto non dice assolutamente né da dove arriva, né che funzione abbia esattamente. C’è. Questa è una posizione prettamente metafisica, questa cosa c’è. È così, e a partire da questo si incomincia a considerare, e se non ci fosse? C’è anche questa eventualità, cioè voglio dire quando parliamo di “godimento” abbiamo la più pallida idea di che cosa stiamo dicendo oppure no? È una domanda, non sto dicendo che non ci sono le risposte, possiamo inventarci tutte quelle che vogliamo e anche contrarie tra loro, questo potrebbe essere anche uno dei modi di approcciare questo gruppo. Dicevi giustamente Stefania, “porre domande” sì certo per esempio quella frase che prendevi da Freud “l’Io non è padrone neanche in casa sua” perché dovrebbe esserlo? Da dove gli viene l’idea di poterlo essere? Da dove arriva, perché ha questa fantasia? A che scopo? Come gli è venuto in mente una cosa del genere? Nietzsche risponde che è dal momento in cui gli umani hanno incominciato, con Platone, a pensare metafisicamente che sono state possibili queste domande, però potremmo dire forse in modo più appropriato, da quando hanno incominciato a parlare, lì è avvenuto un qualche cosa, lì hanno incominciato a dividersi, dividere ciò di cui stavano parlando da ciò o dal discorso che ne sta parlando. Voglio dire che questo modo di porre domande, di procedere, potrebbe anche costituire una sorta di metodo, di procedura in questo gruppo, e cioè interrogare i pre-supposti connessi con la questione di potere. Quali sono tutte le cose che si danno per scontate, per acquisite? Perché lette, perché imparate, perché acquisite per esperienza, che è la stessa cosa di una fantasia, tutte queste cose possono essere, come dicevi tu giustamente, messe in crisi, essere sottoposte a una interrogazione, a una domanda, e vediamo che cosa rispondono. Tra l’altro molti hanno accostato Nietzsche a Freud, che forse sono i due personaggi che più fortemente di altri hanno scosso l’idea degli umani di essere padroni dell’universo, cosa che invece la tecnica sta offrendo a piene mani. Perché sono tutti affascinati dalle macchine? Perché l’idea è di avere il controllo, cioè un’informazione totale e attraverso l’informazione totale, il controllo totale di tutto e di tutti. Questo Heidegger l’aveva già inteso a suo tempo, il pensiero già andava in quella direzione in modo molto preciso. Sarebbe bello che ciascuno prendesse un aspetto di questo e incominciasse a pensarlo, a svilupparlo, a porgli delle domande e poi incontrandoci ciascuno dice quello che sta facendo e vediamo di costruire un discorso che coglie i vari aspetti della questione per giungere alla formulazione di domande che a tutt’oggi non sono state formulate, perché no? Potrebbe anche accadere. Non è facile, ma non impossibile.

Intervento: libertà e potere … il potere della logica nella quale l’uomo deve essere dentro, il potere precedente del bambino e il potere seguente…

Parlare di “libertà” è complesso, come dicevo prima noi vediamo il leone che corre nella savana e diciamo che corre “libero” nella savana, ma per il leone non c’è nessuna libertà in realtà, non è né libero né vincolato, è quello che è…

Intervento: bisogna tenere conto che Nietzsche non conobbe il padre, la volontà di potenza …

Sì, però occorrerebbe avere i termini per potere affermare che se avesse avuto il padre allora sarebbe stato diverso, e questi termini è difficile averli…

Intervento: poi ha avuto dei problemi…

Non è stato l’unico ad avere avuto dei problemi con i docenti universitari…

Intervento: sulla linea della morale è un po’ fuori dalle regole…

Proprio così…

Intervento: manca questo principio di realtà che tutti sappiamo…

Sì, anche se io andrei più cauto con certe affermazioni, ma in effetti ha avuto una vita un po’ tribolata e il suo scritto non è organico, infatti molti non lo considerano neanche un filosofo, ciò non di meno la potenza del suo pensiero è notevole e a tutt’oggi molte questioni possono essere considerate, riconsiderate, anche tenendo conto di Freud. Certo, Freud, senza Freud, e bisogna sempre tenerlo presente, noi oggi non saremmo qui. Siamo qui perché c’è stato Freud, perché c’è stato un pensiero che ha ripreso un gesto che era antico, molto più antico di Freud ovviamente, questo gesto del domandare, del porre la domanda, del domandare intorno a ciò che si sta facendo, che è ciò che dovrebbe fare una psicanalisi in effetti, cioè rilanciare la domanda. Se qualcuno volesse chiedere che cosa fa uno psicanalista: rilanciare la domanda, impedire che il discorso dell’analizzante si attesti su una certezza, si attesti su un qualche cosa che per l’analizzante, da quel momento, è quello che è, il compito dell’analista è fare in modo che questa attestazione incontri un rilancio, un rinvio, non verso qualche cosa che è meglio o peggio, semplicemente verso un’altra direzione, un’altra direzione che può consentire, aprendosi la domanda, parafrasando Heidegger, l’apparire di nuovi elementi, l’apparire di nuove domande, l’apparire di nuovi interrogativi. E Giovanni invece? Per quale via la questione del potere la interessa?

Intervento: lavorando all’università sto dicendo che senza potere non esisterebbe la struttura di cui vado dicendo…

Come qualunque struttura certo, come diceva sempre Nietzsche, anche il facchino vuole i suoi estimatori.

Intervento: seguendo questo ragionamento che si faceva sull’esercitare o volere esercitare il potere al momento in cui si parla, lei diceva appunto il saperlo o non saperlo cioè la consapevolezza. La prima domanda è legata proprio a questo: una volta che questa consapevolezza compare, quando si è in una condizione di consapevolezza di un esercizio di potere o almeno in un tentativo di un esercizio di potere…

Sì, può essere anche un tentativo, non è che riesca sempre anzi, il più delle volte fallisce miseramente perché anche l’altro vuole la stessa cosa…

Intervento: una volta che c’è la consapevolezza…

Non è che non lo fa, se vuole può farlo, può imporre la sua volontà sul mondo intero pur sapendo esattamente quello che sta facendo, la questione è che se lo sa magari perde l’interesse per fare una cosa del genere eventualmente, però tecnicamente potrebbe farlo…

Intervento: questa cosa potrebbe condurre a una convenzione? Come diceva prima Claudia una accettazione dell’esercizio di un potere oppure …

È come se lei dicesse: “se io voglio parlare con qualcuno devo accettare di parlare”, la ritiene una accettazione?

Intervento: è una accettazione!

Sì, ma potrebbe non farlo? Se vuole parlare con qualcuno, potrebbe non parlare? No. Allora a questo punto che significato diamo alla parola “accettazione”? Si tratta forse di metterla in gioco, ed è questo che dovremmo fare qui, rimettere in gioco dei termini, ridefinire anche certi termini, certi concetti che possono apparire a un certo punto anche insoddisfacenti. Certe volte modificare la definizione di alcuni termini può consentire di procedere in una direzione che magari poteva apparire inapprocciabile con quegli elementi, tant’è che meglio si parla, come diceva Cicerone, meglio si pensa, perché si hanno più strumenti per pensare, il pensiero diventa meno ingenuo, diventa più produttivo, più attento, più veloce, non si fa mettere le pastoie da superstizioni come può accadere quando uno si sofferma su un termine immaginando che quel termine debba avere proprio quella accezione, quel significato, chi glielo ha detto che ha quel significato? Pare a lui in quel momento certo, ma immaginare che un termine abbia “quel” significato necessariamente, è come a dire che quel termine è identico a sé, immutabile, ed è quello che è fino alla fine dei tempi. Ma un termine si evolve, la lingua si evolve ininterrottamente, molto lentamente certo, ma è in una continua evoluzione, per cui la possibilità di modificare dei termini è sempre presente. Naturalmente devono essere accolti dalle persone che lo stanno utilizzando ovviamente, perché se io utilizzo un termine in un modo che nessuno conosce è come se qui, anziché avere parlato l’italiano, che tutti conoscete, avessi parlato in finlandese. La lingua è una questione molto complessa di cui non abbiamo neanche parlato, l’abbiamo solo menzionata a margine. Sono tantissime le cose su cui si può lavorare, anche la questione della domanda, come faccio a sapere che una certa cosa è una domanda? Perché c’è il punto interrogativo alla fine o perché il tono di voce va ascendendo? Che cosa mi consente di stabilire che una certa cosa è una domanda e riconoscere una certa altra come una risposta? Cos’è che mi permette di fare tutte queste cose? Da dove viene il fatto di domandare qualcosa? Perché gli umani domandano? Per sapere? E se fosse dovremmo a questo punto interrogare il “sapere”, perché lo cercano tutti così tanto? Che se ne fanno? E lì Nietzsche ha aperto una direzione, ma ha aperto una direzione che bisogna accogliere e proseguire. Dal momento in cui gli umani si sono trovati ad abitare la metafisica non hanno potuto fare altro che continuare a domandare, a porsi nei confronti dell’oggetto come soggetti interroganti, ma soggetto proprio nell’accezione greca di poceίmenon, cioè di soggiacenza che si contrappone all’oggetto. Non come “Gegenstand” che è ciò che mi si pone lì come ciò che appare, ma come “Object” ciò che sta lì, ciò che è fermo dinanzi a me. Una delle cose che mi piace di più di Freud, non è ciò cui si giunge, ma il percorso, il cammino che si compie, un po’ alla Borges, ciò che importa non è la meta del cammino ma il cammino stesso, ciò che si incontra in questo viaggio, ciò che appare lungo questo camminare, l’obiettivo è solo lo scopo, l’esca, l’occasione per compiere questo cammino, anche perché una volta arrivati lì non è che succede chissà che cosa, mentre durante il viaggio possono accadere infinite cose, trovare infiniti compagni di viaggio, trovare nuove domande, nuovi accadimenti.

Intervento: una domanda, che poi è ciò su cui sto lavorando nella tesi di dottorato sulla nozione di habitat, rispetto a quella di casa …. Mi è capitato di lavorare sulla questione dell’individuo questa figura che specie nell’architettura del 900 sparisce. Il tema è la collettività eccetera … si tratta di far stare gli individui dentro un enorme individuo, questa collettività cui oggi siamo chiamati …. in questo caso le implicazioni, naturalmente le progettazioni io architetto che progetto alla fin fine disegno l’habitat di qualcuno che si troverà in ciò che io ho fatto, volente o nolente … io ho disegnato uno spazio e questo spazio sta influenzando, in proporzioni maggiori o minori impone una vita …

Accade continuamente Giovanni, anche chi disegna un’automobile, la stessa automobile sarà utilizzata da milioni di persone sempre la stessa, con quel fanale eccetera e qualunque cosa, anche il cellulare, e chiunque faccia una qualche cosa, ciò che fa ha degli effetti che si ripercuotono su un certo numero di persone, magari non su tutti ma un certo numero di persone ovviamente, è un esercizio di potere? Sì, indirettamente sì certo, però la questione più interessante rispetto al potere è non tanto la sua esecuzione materiale, come per esempio un generale dell’esercito di fare muovere gli eserciti ma del potere che si manifesta, che accade parlando ciascuna volta che si apre bocca, è questa la questione su cui stavo ponendo l’accento, poi dicevo prima ci sono forme di potere istituzionali di enorme potere, l’economia finanziaria o facevo l’esempio della compagnie petrolifere, hanno potere? Sì, certamente. Vede, questo è interessante perché se si cambia una parola, si usa un’altra parola, questa parola evoca altre connessioni, altre connessioni che sono strutturate dalla società che utilizza queste parole, e cambiando questa parola si modifica il modo in cui la persona vede ciò che quella parola evoca, è quell’operazione che oggi tenta di fare quella branca della scienza che oggi è nota come marketing: usare le parole giuste in modo da evocare immagini adatte e seducenti. Ciascuno occorre che formuli il suo intervento, se qualcuno vuole farmi domande, può farmi domande, ma non sono qui per questo, quanto per trovare il modo per coordinare il lavoro di varie persone in modo da giungere a delle considerazioni o a delle migliori e più attente formulazioni di domande intorno al potere.