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4-2-1999

 

Questioni

Definizioni

 

 

Necessità logica: qualunque affermazione che si imponesse in quanto il negandola costituire una autocontraddizione .

Necessità retorica: la necessità che ciascun elemento che interviene si attenga alle regole del gioco che si sta facendo, pena l’impossibilità di proseguire a giocare.

Se non vi è alcunché che impedisce l’uso del linguaggio allora è quanto meno improprio affermare che una proposizione autocontraddittoria  impedisce l’uso del linguaggio.

Con utilizzo del linguaggio intendiamo il suo farsi il suo prodursi

 

Allora proseguiamo intorno ai giochi linguistici e anche intorno alla questione che ha posta Roberto giovedì scorso, intorno alla quale ciascuno di voi ha riflettuto…perché come dicevamo già giovedì scorso è una questione legittima, che ha molto a che fare a ciò che andiamo dicendo intorno ai giochi linguistici e proprio a partire dall’obiezione di Roberto ho considerato alcune cose:

O l’ente è la condizione dell’esistenza di qualunque cosa oppure è l’effetto di altro, se è effetto di altro allora altro lo precede, se invece ne è la condizione allora il linguaggio procede dall’ente. Il linguaggio è un ente e senza l’ente non può esistere, ma a quali condizioni posso parlare di esistenza? Che l’esistenza sia un ente ma l’ente esiste oppure no? Se sì o è condizionato oppure non lo è. Se è condizionato allora segue qualche altra cosa, se è incondizionato allora precede l’esistenza stessa e lo stesso linguaggio. Il linguaggio è un ente, posso negare questa affermazione in quanto arbitraria, negandola non c’è nessun arresto della struttura, se nego l’esistenza del linguaggio mi autocontraddico, negando l’esistenza dell’ente no. Se affermo che l’ente precede il linguaggio, compio un’affermazione falsa poiché è il linguaggio che mi consente di affermare la proposizione “l’ente precede il linguaggio” se affermo che il linguaggio precede l’ente,  affermo che ciò attraverso cui affermo ciò che ho affermato è ciò stesso che mi consente di affermare questa  come qualunque altra cosa e la struttura non è bloccata da nessuna contraddizione. Se l’ente fosse la condizione del linguaggio allora sarebbe la struttura che mi consente di fare questa affermazione e cioè il linguaggio, in quanto l’ente sarebbe il linguaggio. Allora affermo che l’ente è il linguaggio, questa affermazione è necessaria? Cioè posso negarla? Voglio dire ancora posso farlo senza cadere in contraddizione? Ma supponiamo da ultimo che l’ente sia ciò che consente di fare questa come qualunque altra affermazione, quindi l’ente è una struttura sintattica, grammaticale identificata da una serie di procedure e di regole che la fanno funzionare, in questo caso l’ente è questo e non può essere nient’altro da ciò che abbiamo  indicato, a questo punto è possibile utilizzare il significante linguaggio oppure no? Possiamo definirlo come lo strumento di cui si avvale l’ente per porsi in atto quindi uno strumento dell’ente, se è uno strumento dell’ente come funziona? Attraverso una struttura sintattico grammaticale o in altro modo, se funziona attraverso una struttura sintattico grammaticale come si distinguerà dall’ente? Saranno esattamente la stessa cosa e in questo caso la sola cosa che potrà affermarsi è che il solo modo per potere parlare di ente è affermare che l’unico ente è necessariamente il linguaggio, in caso contrario occorre affermare che l’ente è la condizione di ciò stesso, il linguaggio, che consente di affermare che l’ente è la condizione del linguaggio, come dire che l’ente sarebbe la condizione del linguaggio, che è la condizione dell’ente. Concludiamo pertanto che affermare che l’ente è la condizione del linguaggio è non senso….mentre affermare che l’unico ente di cui possa dirsi è il linguaggio risulta necessario…

Intervento: allora in realtà …io condivido che l’essere e l’ente siano il linguaggio io condivido che si possano fare delle variazioni semantiche, io ritengo che come lei stesso ha accennato più volte si possano fare delle considerazioni tali da portare… lei quando parla di linguaggio non si limita alla semplice verbalizzazione, significa la considerazione di una struttura, il problema  è che avrei potuto mettere qualsiasi cosa e questo risulta negabile per il fatto che sia retorico e io ritengo che se retoricamente questo discorso non (il linguaggio e la parola) non avesse possibili commutazioni  sarebbe un non senso, una contraddizione logica a ciò che andiamo dicendo, quello che …..è che il discorso rimane assolutamente intatto partendo da considerazioni retoricamente differenti perché io posso dire che l’ente è la sola condizione per cui le cose siano se no non sarebbero e non potrebbero neanche dirsi tali perché non sarebbero, il fatto che io possa dire è indice del fatto che io sia, se io non fossi non potrei neanche dire di essere o non essere e potrei giocando con questa affermazione, stabilire una sorta di priorità dell’essere rispetto a qualsiasi altra cosa, semplicemente dicendo che per potere considerare, per poter parlare, per pensare devo… comunque potrei stabilire delle considerazioni…ora ritengo che da un punto di vista pratico il nostro discorso sia (sì il mio e il suo) sia quasi più utile, riesce a stabilire forse meglio il rapporto fra logica e retorica, però non ritengo che a questo livello ci siano delle altre argomentazioni così logicamente inattaccabili da non poter fare discorsi di altro tipo, e ritengo che la possibilità di fare discorsi di altro tipo è proprio indice del fatto di essere sofisti, se noi non fossimo dei sofisti, non riusciremmo neanche a negare quello che diciamo…

Ho inteso quello che dici, la questione porta a considerare un’altra questione di cui occorre che parliamo questa sera e cioè connessa con i giochi linguistici, riguardo alle regole che li governano per così dire. Ho detto varie volte che le regole non sono altro che dei divieti per cui cambiare le regole di un gioco è variare rispetto ad alcuni elementi la possibilità di accoglierli oppure no, per esempio, in un gioco io posso accogliere il rinvio, cioè se A allora B, nell’altro invece se A allora B è vietato ed è concesso soltanto se A allora C, per esempio. Ciò che avviene in un discorso, in un qualunque discorso e questa è una questione fondamentale soprattutto per quanto riguarda anche la pratica, voi potete considerare che questo discorso qualunque sia muove da un assioma qualunque, non ha importanza, facciamo un esempio, prendiamo uno dei luoghi comuni più accreditati “la vita è un bene” è abbastanza diffuso, quindi questa enunciazione diciamo che si ponga come assioma da cui muove un’argomentazione, ora c’è l’eventualità che questa enunciazione di per sé non sia sottoponibile a un criterio verofunzionale e cioè sia posta come una frase anziché come una proposizione, per usare di una distinzione che fanno i logici, una frase e quindi enunciare qualcosa che non ha da essere né vera né falsa, esattamente come dire “la marmellata di castagne è buona” vera o falsa? Diciamo che non ha molto senso porsi questa domanda, ciò che segue all’assioma  che la vita è un bene, ma solo ciò che segue, cioè ciò che è dedotto o comunque inferito da questo assioma, allora,  diventa sottoponibile a un criterio verofunzionale  “se la vita è un bene allora questo bene va conservato” il passaggio che interviene qui fra la frase e la proposizione non è altro che questa inferenza che si aggiunge muovendo dall’assioma  che afferma un  qualche cosa che viene dato come vero, perché viene dato come vero l’assioma. Una buona parte dei discorsi che vi capita di ascoltare funziona così cioè è vera la proposizione, diciamo l’inferenza, perché si considera vero l’assioma, ma se l’assioma non è sottoponibile a nessun criterio verofunzionale, ciò che segue all’assioma, non sarà neppure lui sottoponibile a un criterio verofunzionale, questo induce a riflettere sul fatto che retoricamente e qui mi aggancio a ciò che diceva Roberto, qualunque affermazione si faccia non è sottoponibile a un criterio verofunzionale, cioè non è né vera né falsa, non è sottoponibile in quanto manca un parametro, manca appunto il criterio verofunzionale e in ogni caso se lo trovassimo saremmo punto da capo, ciò che caratterizza buona parte dei discorsi che andate ascoltando è la sovrapposizione fra l’assioma, che abbiamo indicato che è una frase e la proposizione cioè viene scambiata una frase con una proposizione, in questo scambio non soltanto l’assioma viene richiesto di essere verofunzionale ma viene affermato come vero. Lungo, per esempio, una conversazione analitica il discorso che viene fatto è una serie di inferenze che muove dalla considerazione iniziale cioè dall’assioma iniziale, il più delle volte questo discorso è posto in atto unicamente allo scopo di confermare l’assioma di partenza, è chiaro che potendo giungere a considerare che questo assioma qualunque esso sia, come una frase anziché una proposizione, sbarazzerebbe immediatamente dalla necessità di provarlo vero o falso. Come dire ciò che sto dicendo è vero o falso? Così come è avvenuto per una parte della matematica, rimane indecidibile, indecidibile nel senso che non c’è un criterio tale per potere stabilire una cosa del genere e quindi possiamo situare questa domanda nella categoria, come direbbe Wittgenstein,   dei  non sensi, ma dicendo che è un non senso questo non significa affatto che non si attenga a delle regole, se io dico che quattro assi battono i famosi due sette di Roberto,  e che questo è assolutamente vero soprattutto se il piatto è abbondante, dico che è vero anziché dire che è un nonsenso, (perché Roberto potrebbe ribattermi che è un non senso, visto che lui ha due sette) ma quindi possiamo affermare che qualunque affermazione è un non senso rispetto a che cosa? Visto che invece rispetto alle regole del gioco che sto giocando ha un senso fortissimo, è un non senso laddove evidentemente si imponga questo senso come necessario, come necessario in quanto logico, potremmo dirla così. C’è un problema qui rispetto alla logica e alla retorica, problema che è ancora da risolvere, abbiamo distinto varie volte fra necessità logica e necessità retorica, con necessità logica abbiamo inteso qualunque affermazione che si imponesse in quanto il negandola costituirebbe una contraddizione, mentre con necessità retorica la necessità che ciascun elemento che interviene si attenga alle regole del gioco che si sta facendo, pena l’impossibilità di proseguire a giocare. Se giocando a carte non mi attengo alle regole del gioco che sto giocando cesso di giocare a  carte… (…) quindi abbiamo detto due nozioni di necessità.  Però, però qui c’è uno scivolamento perché nel primo caso la necessità logica mi impedisce di affermare per esempio di essere fuori dal linguaggio, ché  in caso contrario potrebbe cessare l’uso del linguaggio, in quanto io potrei accogliere questo come qualunque altra affermazione autocontraddittoria. È possibile accogliere affermazioni autocontraddittorie? Logicamente no, retoricamente sì, ma retoricamente sì perché la logica ci vieta di farlo cioè non lo potremmo fare, pensate a un discorso tutto fatto di frasi che negano se stesse, qual è un utilizzo di un discorso del genere? Di nuovo in ambito retorico potrebbe averne uno se viene specificato, se no, no, il famoso esempio che facevo “per andare a Milano da che parte vado?” e indicavo due direzioni, non è utilizzabile, dunque pare che la necessità logica proceda dal trovarsi di fronte a una non utilizzabilità del linguaggio in caso contrario; posso affermare che il linguaggio non esiste?  sì lo posso affermare se lo utilizzo senza niente, se no, non lo posso fare….forse per procedere meglio in questa teoria dei giochi linguistici che stiamo inventando, occorre riflettere ulteriormente sulla questione dell’utilizzo del linguaggio, cosa intendiamo con utilizzo?  Wittgenstein come sapete ha insistito molto su questo aspetto, probabilmente non a torto, cosa intendiamo quando parliamo di utilizzo del linguaggio? Intanto stiamo affermando qualcosa che è già in atto ovviamente, visto che lo stiamo utilizzando, è possibile non utilizzarlo? Cioè è possibile che il linguaggio sia fuori dal suo uso? Parrebbe di no. Potrebbe darsi un linguaggio senza l’uso, difficile da pensarsi una cosa del genere, accogliamo per il momento questa proposizione che afferma che il linguaggio necessariamente prevede il suo uso, anzi consta anche del suo uso, poi vedremo meglio, quindi parlando di uso del linguaggio, non parliamo di nient’altro che della sua esecuzione,  e l’esecuzione  del linguaggio, come abbiamo detto mille volte, è fatta della logica e delle regole della retorica, cioè di tutta quella struttura di cui è fatto e del software che lo fa girare, (hardware o il software?) l’hardware come le procedure, la struttura, l’hardware sono quelle cose che si avvitano o si appiccicano a seconda dei casi…affermare che il linguaggio non esiste senza il suo uso ci porta a considerare che non è possibile non utilizzarlo, non è possibile che si dia senza l’uso, prima affermavamo che…qualcosa intorno all’uso del linguaggio e cioè dicevamo che delle proposizioni autocontraddittorie ne impediscono l’uso, una affermazione abbastanza pesante, occorre verificare se è proprio così, la questione si fa complicata dal momento che qualunque cosa io dica dicendola ovviamente è nel linguaggio e se è nel linguaggio, il linguaggio è lungo il suo utilizzo necessariamente (…) potrebbe darsi a questo punto che l’affermare che un qualche cosa impedisce l’uso del linguaggio non possa farsi, perché nulla impedisce l’uso del linguaggio così come nulla è fuori dal linguaggio, se non vi è alcunché che impedisce l’uso del linguaggio allora è quanto meno improprio affermare che una proposizione autocontraddittoria impedisce l’uso del linguaggio, o forse va precisata, ecco le regole sì, le regole, sì, stabiliscono in quale direzione posso andare e in quale no, ma non per l’utilizzo del linguaggio, soltanto per potere giocare. C’è l’eventualità che affermare che qualcosa non è utilizzabile dal linguaggio sia un non senso, così come in un certo qual modo affermare che qualcosa è fuori dal linguaggio è un non senso, ma potremmo così d’acchito dire che, o intendendo qualcosa che abbiamo detto prima,  che il linguaggio comporta un utilizzo necessariamente, e che pertanto non c’è nulla che possa impedirne l’utilizzo, allora una proposizione autocontraddittoria come la proponiamo, visto che parrebbe non impedire il linguaggio comunque, che fa esattamente? Non ho affrontato la questione nella Seconda Sofistica? (…) no ? Peccato va bene…cosa fa una proposizione autocontraddittoria? Possiamo dire che è un non senso ma il non senso parrebbe non impedire l’uso del linguaggio, il che potrebbe essere un ulteriore non senso (instaura la stessa direzione) però più di una volta ci siamo trovati affrettatamente ad affermare che la direzione è necessaria per l’uso del linguaggio, e adesso come la mettiamo? (questo costruire proposizione contraddittorie comunque costruisco qualcosa necessariamente anche perché per giudicare se è una proposizione contraddittoria devo dirla, e nel dirla ho fatto qualcosa che può costruire altre proposizioni contraddittorie magari, che costruiscono quel gioco che io proseguo sempre) sì,  sicuro? (io posso contraddire qualsiasi cosa, perché se questo mi piace che sia bianco) questa è un’altra questione, altra invece adesso faccio un esempio banale affermare che questo è un orologio e non è un orologio, oppure questa cosa è bianca ed è nera (però posso farlo) lo so che si può fare lo abbiamo appena detto (…) abbiamo affermato varie volte che una proposizione del genere non ha utilizzo, adesso invece abbiamo detto che invece ce l’ha, perché è nel linguaggio ed essendo il linguaggio definito dal suo utilizzo, questa proposizione pertanto ha un utilizzo (ha un utilizzo logico) il problema è che io sto parlando in ambito logico, non retorico (…..) ecco non ha nessun utilizzo ma abbiamo considerato che se è nel linguaggio, e se il linguaggio prevede per la sua stessa esistenza l’utilizzo, questa proposizione ha un utilizzo (ma con utilizzo cosa si intende? Perché sembrerebbe quasi che l’utilizzo del linguaggio comporti la questione del rinvio, che può rinviare….invece sembrerebbe l’utilizzo del linguaggio non rinviare a nulla…in questo senso sembrerebbe non utilizzabile…a volte accade di ascoltare un discorso che non dice nulla, senza senso che rimane chiuso in se stesso) (a questo punto anche il significante senso…) (dal momento che produciamo anche delle cose dal punto di vista retorico noi un discorso dal punto di vista logico non possiamo farlo) sì, sì questo lo abbiamo detto varie volte (la contraddizione logica è come un più o un meno, un sì e un no, è come se intervenendo la contraddizione logica instaurasse un percorso di sogno, di immaginazione tanto che gli elementi che intervengono sono gli stessi ma con una funzione particolare che è quella di appartenere ad un’altra realtà per cui si reinstaura  il percorso, si mantengono gli stessi elementi o meglio è la realtà che si instaura che permette la costruzione delle regole di quel gioco, come dire che il gioco permane ciò che varia è l’ambito del gioco, cambia la classe di ciò che significa realtà, come se la realtà non fosse più vera ma funzionale a quel gioco, dicendo che sogno (o anche gioco) o immagino o ciò che dico è svincolato propriamente dal consenso altrui, può essere senza senso, ma dicendolo chiamandolo così mi permette di proporre quegli elementi e di affermarne un senso, dalla contraddizione in poi intervengono degli elementi che non posso prendere in considerazione perché varia il contesto e riporta alla contraddizione esattamente è come diceva Sandro è come ascoltare un sogno) non sono esattamente la stessa cosa, questo inghippo in cui ci troviamo e cioè formulare una questione, abbiamo detto che il linguaggio comporta il suo utilizzo, il suo utilizzo… (comporta un fraintendimento) sì legittima la domanda di Sandro e cioè cosa intendiamo con utilizzo, con utilizzo del linguaggio potremmo dire che intendiamo semplicemente il suo farsi, il suo prodursi (la produzione è sempre produzione retorica) sì (in questo caso parlare di utilizzo in termini logici, è come se stessimo parlando di due registri differenti, la complicazione…) eppure, eppure c’è qualche cosa che vincola il linguaggio quando abbiamo costruito la Seconda Sofistica abbiamo deciso di adottare regole che  reggono il linguaggio stesso e cioè quelle che vietano, già Aristotele aveva stabilito, alcune direzioni (il terzo escluso, identità, non contraddizione) cioè non posso affermare e negare simultaneamente la stessa cosa, ora è ovvio che questo si fa ininterrottamente in ambito retorico, però in ambito logico no, certo rimane questa sorta di ambiguità talvolta tra questi due aspetti, è vero che per descrivere la logica utilizzo la retorica e questo è un intoppo è anche vero che non posso dire la logica cioè fare in modo che si dica in quanto è già in ciò che sto dicendo (non può controllare l’hardware) si può fare anche questo, prendere una scheda all’esterno… (…) fornire una descrizione delle procedure linguistiche se non utilizzi la retorica certo non è possibile, dovrei contraddire buona parte di tutto ciò che ho detto nella Seconda Sofistica (mi fa ridere, posso?) si può ridere ma si può anche dire il motivo (…) adesso bisogna  vedere se mi conviene di più contraddire buona parte di quello che ho detto o se è più conveniente…sì l’annosa questione del limite,  chiamiamolo così  provvisoriamente fra logica e retorica, (il limite non c’è) no, no  è un limite descrittivo chiaramente perché se prendiamo la cosa in termini molto rigorosi come siamo usi fare tutto ciò che diciamo intorno alle procedure linguistiche sono non sensi, il che ci induce a quale riflessione Cesare? (…) visto che tutto ciò che abbiamo detto intorno alle procedure linguistiche (…) …se come stiamo affermando, si tratta di verificare se ciò che stiamo affermando è utilizzabile oppure no,  però prima dobbiamo dire che cosa intendiamo con utilizzabile ma al di là di questo piccolo dettaglio (stavamo dicendo)  che tutto ciò che abbiamo detto intorno alle procedure linguistiche lo abbiamo detto chiaramente utilizzando un sistema retorico (…) allora tutto ciò che abbiamo affermato intorno alle procedure linguistiche essendo stato affermato utilizzando un sistema retorico, che come tale prevede per definizione, lo abbiamo detto prima, che tutto ciò che si afferma è un non senso e quindi tutto ciò che abbiamo affermato intorno alle procedure linguistiche è un non senso, questo non senso è utilizzabile oppure no? Se sì come e perché? (…) sì dobbiamo ancora stabilire che cosa è utilizzabile ma al di là di questo dettaglio, supponendo di averlo definito, però giustamente Roberto mi richiama all’ordine già risulta imprescindibile al punto in cui ci troviamo definire (definire in modo inconfutabile credo non ci sia….questa definizione di linguaggio non è inattaccabile…) la definizione di linguaggio che abbiamo stabilita cioè la struttura che mi permette di fare questa come qualunque altra operazione in accezione più ampia possibile, è una affermazione non negabile però (non negabile rispetto a quella definizione) (…)è il problema della definizione certo (…)  in effetti qualunque controversia attorno a questo è stata sempre risolta in termini eristici cioè una costrizione all’altro ad ammettere che sta parlando ma logicamente non regge, questa è una questione che dobbiamo risolvere in qualche modo (…) già quando si mettevano in gioco delle proposizioni della Seconda Sofistica, laddove si inizia a far funzionare delle definizioni cominciano i problemi…da risolvere questa questione e poi in altri termini è la questione di prima cioè questo confine fra logica e retorica ed è l’intoppo che ci siamo trovati di fronte ha la stessa struttura, bella questione  (il problema è se noi definissimo qualche cosa avremmo trovato una sorta di realtà, se la definizione non fosse autocontraddittoria noi avremmo trovato l’ultima  parola) perché no? (D’accordo però contravverrebbe a tutto l’impianto logico che abbiamo fatto, allora o ci inventiamo una bella religioncina, oppure accettiamo il fatto che qualsiasi definizione è retoricamente attaccabile, però a quel punto il nostro discorso il nostro discorso non esisterebbe) già. Sì esattamente questo è il problema che dobbiamo risolvere molto in fretta (e se il mondo fosse nato dal caos e il linguaggio non avesse nessun limite, nessuna regola, se non quel che uno ha per dialogare,  per parlare, nessuna definizione né logica né retorica solo….) senza né arte né parte. Occorre definire due cose in modo molto preciso, il linguaggio e il suo utilizzo (trovarci a questo punto in una contraddizione) non è la prima volta ne sarà l’ultima (intanto occorre definire prima la possibilità della definizione….cioè che cosa ce ne facciamo della definizione?) qual è il suo utilizzo? (dal punto di vista linguistico) certo è un gatto che si morde la coda…intanto cominceremo ad attenerci al criterio di costruire proposizioni non negabili poi vediamo, ha combinato un bel guaio lei Cesare. Qualche idea? (il lato pessimistico è se trovassimo qualcosa di non negabile inventeremmo una nuova religione) perché no? (trovare proposizioni non negabili è difficile) sì questo io lo sapevo già,  si urta contro uno scoglio che pare insuperabile (non poter aggiungere nessuna cosa) sì dovremmo inventare una teoria dell’emanazione, da tanto tempo già inventata… abbiamo un mesetto per risolvere… il linguaggio e l’utilizzo,  che è poi  il problema che viene enunciato quasi all’inizio, tutto ciò che abbiamo affermato intorno alle procedure, l’abbiamo affermato retoricamente, abbiamo detto che ciò che si afferma retoricamente è un non senso, certo potremmo capovolgere questa storia e bell’è fatto, però… (Wittgenstein  si trovava ad affermare dei non sensi in effetti di fronte all’ impianto logico, laddove per esempio si poneva una questione di regole, per esempio nel gioco numerico, tanto che l’utilizzabilità di questi elementi poteva  essere messa fuori gioco, a questo punto lui non parlava più di non senso, inventava di lì un nuovo modo di considerare la questione) una bella escamotage (già però è una bella distinzione) Wittgenstein ha dato un buon contributo… occorre che mi diate una mano e quindi non perdete più tempo cessate di dormire, di mangiare, di esistere di fare qualunque cosa, per trasformarvi in macchine per pensare.