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3-9-2014

 

Vediamo di concludere questa passeggiata teorica con Łukasiewicz. Siccome Eleonora è stata assente farò un riassunto in poche parole di ciò che abbiamo detto. Łukasiewicz si è impegnato a rileggere il IV libro della Metafisica di Aristotele che è quello in cui Aristotele parla del principio di non contraddizione e rileva alcune cose. La prima cosa singolare che rileva è che del principio di non contraddizione che Aristotele pone come il principio più saldo di tutti, la famosa “bebaiotate arké”, di fatto non si dà dimostrazione anzi, da una parte Aristotele dice che questo principio è un principio primo e ultimo e non è possibile farne a meno, dall’altra parte però si ingegna per dimostrarlo, quindi è curioso che proprio a riguardo del principio di non contraddizione Aristotele si contraddica. Distingue il principio ontologico, quello logico e quello psicologico, il principio ontologico è quello che riguarda l’ente, dice che un oggetto possiede o non possiede una certa proprietà, il principio logico dice che un giudizio non può essere vero o falso simultaneamente nello stesso rispetto, il principio psicologico dice che le persone non possono essere convinte simultaneamente di due cose opposte. Ora siccome devo farla molto breve perché ci sono ancora molte cose da dire la questione essenziale sono i tentativi di Aristotele di fornire una prova del principio di non contraddizione e usa due prove fondamentalmente: la prova elenctica e quella apagogica. La prova elenctica è il modus ponens, cioè la vera e propria dimostrazione e sarebbe il sillogismo: se a allora b (inferenza) ma a, quindi se a allora b allora b. Questa modalità però, dice Łukasiewicz, di fatto non prova alcunché per il motivo che compiendo questa operazione di fatto non si dimostra per nulla il principio di non contraddizione, perché un sillogismo può benissimo non utilizzare il principio di non contraddizione. Però per Aristotele diciamola così molto rapidamente, se qualcuno dice qualche cosa allora questo qualche cosa è determinato, se questo qualche cosa è determinato allora non è in contraddizione. Łukasiewicz  non è molto soddisfatto di questa conclusione perché secondo lui non coglie la questione centrale e cioè il fatto che occorre una dimostrazione che dia una prova della necessità del principio di non contraddizione, mentre il sillogismo per esempio direbbe il contrario, perché il sillogismo funziona perfettamente senza il principio di non contraddizione infatti non compare nel modus ponens, mentre invece l’altra prova che utilizza sempre Aristotele, è la prova apagogica cioè la reductio ab absurdum, la prova per assurdo e cioè il modus tollens: se a allora b ma non b dunque non a, questo è il modus tollens. Però secondo Łukasiewicz anche questa modalità non è utile perché il modus tollens funziona se è già implicito il principio di non contraddizione quindi sarebbe una petizione di principio e quindi non prova niente. E quindi né la prova elenctica né la prova apagogica mostrano la verità del principio di non contraddizione. Poi c’erano altri aspetti cioè il fatto di riflettere sugli oggetti cioè se l’oggetto è contraddittorio oppure no, anche perché per molti la contraddizione, alcuni considerano che la contraddizione venga dalle cose, come i sensisti o anche i megarici, lo stesso Eraclito, consideravano che le cose stesse fossero contraddittorie per arrivare poi fino a Hegel; altri considerano anche gli oggetti creati dalla mente come contraddittori, come per esempio ha mostrato recentemente Cantor con la teoria del transfinito, mostrando per esempio la sequenza dei numeri naturali 1,2,3, 4 eccetera e poi mettiamo a fianco la sequenza dei numeri pari 2,4,6,8 eccetera, ora questo comporta che entrambe queste sequenze non hanno un termine ovviamente, i numeri non hanno l’ultimo numero, questo cosa induce a pensare che la parte è uguale al tutto, perché la seconda sequenza è una parte della prima, e quindi anche gli oggetti della mente di fatto possono essere contraddittori. Łukasiewicz a questo punto si pone  la questione dell’oggetto, per verificare se gli oggetti che lui distingue in oggetti che esistono e oggetti non contraddittori, la domanda che si pone è che se queste due parti corrispondono fra loro cioè se tutti gli oggetti sono non contraddittori oppure esistono oggetti contraddittori, quindi in realtà il principio di non contraddizione risulta non fondato ecco dunque: La suddivisione degli oggetti e quindi la classificazione delle scienze sono tra i più ardui problemi logici /…/ questa suddivisione basata sul diverso rapporto che lega gli oggetti con i loro attributi. Si possono distinguere due tipi di oggetti a uno appartengono quegli oggetti per i quali ogni constatazione di un determinato attributo dà giudizio vero oppure falso, sull’esempio di Meinong chiamiamo questi oggetti “completi”, al secondo tipo gli oggetti privi di questa proprietà e li chiamiamo “incompleti”. Se per esempio si prende un oggetto concreto, come la colonna di Mickiewicz a Leopoli, qualsiasi attributo di essa, qualunque cosa dica pronuncerò sempre un giudizio vero o falso, se dicessi che la colonna che sta in piazza Mariacki è di granito, a Cracovia eccetera allora annuncerei dei giudizi veri, quindi questo sarebbe l’oggetto concreto per cui è possibile dire se è vero o falso. Però se parliamo della colonna in generale senza alcuna specificazione precisa allora di questo oggetto è possibile dare una serie di giudizi veri o falsi, è possibile dire che la colonna occupa uno spazio, è possibile dire che è una cosa materiale, eccetera ma un giudizio come la colonna è di ferro bisogna considerarlo vero o falso? Alcune sono di ferro altre no quindi la colonna in generale non è definita sotto questo aspetto, quindi dire che la colonna è di ferro in questo caso non è né vero né falso. Non è difficile notare che gli oggetti concreti sono completi e quelli astratti ossia gli oggetti concettuali incompleti. Nulla di strano di solito gli oggetti astratti si formano confrontando una serie di oggetti concreti da cui vengono selezionati gli attributi comuni e scartati gli altri. (è così che si forma un concetto) gli oggetti incompleti ovvero astratti non esistono nella realtà sono delle creazioni della mente umana, concetti appunto, alcuni di essi che vengono formati per conoscere degli oggetti concreti possono diventare a loro volta completi in seguito ad adeguato completamento, sono gli oggetti dei concetti empirici come uomo, pianta, cristallo, raggio eccetera (e questi li chiama “ricostruttivi” invece chiama “costruttivi” gli oggetti dei concetti a priori di cui si occupano soprattutto la matematica e la logica. Adesso dice perché ha fatto questa divisione): gli oggetti costruttivi ai quali per altro appartengono i numeri e le figure geometriche sono indubbiamente oggetti nella prima accezione ovvero sono qualcosa e non un niente e lo testimoniano il ruolo che generano nella scienza e nella prassi, questi oggetti non esistono realmente e non dipendono dall’esperienza si può dire di essi usando l’espressione di Dedekind “sono delle libere creazioni della mente umana” eppure anche nell’ambito di questi oggetti si verificano delle contraddizioni, basta ricordare il massimo numero primo e poi il(famoso) quadrato costruito con regolo e compasso eccetera /…/ è possibile comunque rispondere che questi oggetti contraddittori i quali ovviamente non sono degli oggetti si sono trovati tra le altre costruzioni soltanto per caso in quanto la nostra debole mente non è sempre in grado di cogliere subito gli innumerevoli attributi e relazioni di un oggetto e non riesce subito a vederne la contraddizione (questo gli servirà per dire che anche gli oggetti che apparentemente appaiono in non contraddizione in realtà potrebbero contenerne ma in realtà non le hanno ancora viste) infatti tuttavia un dubbio rimane se non ci è possibile discernere immediatamente e ovunque una contraddizione come facciamo a sapere che le costruzioni ritenute non contraddittorie non contengono la contraddizione? Forse questa c’è ma non l’abbiamo ancora scoperta, questo dubbio può generare una domanda ancora più radicale “che cosa ci garantisce che esistono gli oggetti costruttivi non contraddittori?” (i concetti): nell’associazione di numeri naturali che sono gli oggetti matematici basilari si celano delle contraddizioni in apparenza strane, questi numeri sono tanti per cui sarà consentito chiedersi quanti sono, la risposta è “sono tanti quanti sono, ad esempio i numeri pari” (ecco qui fa l’esempio di cui dicevo prima): la successione naturale dei numeri e la successione dei numeri pari è infatti possibile stabilire una corrispondenza biunivoca tra queste due cose, una correlazione tale per cui si conclude che la parte è uguale al tutto, già Leibniz notò questa contraddizione eccetera (di fatti adesso cita Cantor) il numero transfinito infatti è un numero che ha una parte uguale al tutto, il famoso À0 eccetera (tutto questo per dire che di fatto non sappiamo, anche degli oggetti che appaiono non contraddittori se questi oggetti sono contraddittori oppure no, non lo possiamo sapere): ho voluto illustrare tutta quanta questa questione per mostrare che la contraddizione è causata da un concetto apparentemente innocuo che si è formato attraverso un ragionamento assolutamente preciso e corretto cioè senza contraddizione, non siamo perciò in presenza di un sofisma o di un artificio dialettico questa contraddizione poi (si riferisce a quella dei numeri primi e numeri pari) merita un’attenzione particolare anche perché non si lascia risolvere altrettanto facilmente quanto le altre contraddizioni matematiche (e poi passa a citare il problema di Russell, il famoso paradosso di Russell degli insiemi che non contengono se stessi, che è un problema che non ha soluzione e se sia possibile eliminarla ovunque appunto la contraddizione “è una questione la cui soluzione oltrepassa i confini della conoscenza umana”. Ora passa a parlare del principio di contraddizione della realtà): Gli oggetti ricostruttivi (vi ricordate? sono quelli come l’albero, l’uomo eccetera) correttamente formati racchiudono una sorta di contraddizione, questa in quanto espressione o ricreazione degli attributi contraddittori esistente realmente deriverebbe naturalmente da questi, cioè da qualche cosa di contraddittorio che esiste in natura, nella realtà, ora invece di studiare le ricostruzioni della mente è meglio rivolgersi subito alla realtà e chiedersi se gli oggetti concreti in quanto cose, proprietà, fenomeni, eventi possiedano o no degli attributi contraddittori ovvero se essi sono o no degli oggetti nella seconda accezione del termine cioè oggetti non contraddittori, nessuno infatti dubita che siano degli oggetti della prima accezione ovvero siano qualcosa e non un niente, vorrei anche far notare che per “realtà” non intendo affatto una cosa in sé ma uso questa parola nel senso corrente chiamando “reali” tutti gli oggetti che vedo intorno a me e che in generale percepisco con i sensi oppure che sento dentro di me in quanto sentimenti, convinzioni eccetera, eccetera. (qui dice cosa intende con “realtà” cioè la definizione più comune che si possa immaginare, naturalmente gli si potrebbe chiedere perché utilizza questa definizione anziché un’altra però non lo facciamo e lui non lo dice): se c’è qualche cosa che non dovrebbe suscitare dubbi questo è il fatto che i fenomeni, le cose e le loro proprietà realmente esistenti non possiedono attributi contraddittori (tra l’altro per inciso non definisce mai che cosa intende con “esistenza”): se ora sto seduto alla scrivania e sto scrivendo allora non può essere vero nello stesso tempo che non sono seduto e che non sto scrivendo ma che magari sto girando per la città e chiacchierando con un amico eccetera (poi dice): queste simili riflessioni della vita quotidiana costituiscono le prove più forti del principio di contraddizione (cioè l’esperienza) né la presunta evidenza di questo principio, né le dimostrazioni astratte dei logici hanno il potere persuasivo di questi fatti che incontriamo continuamente nell’esperienza quotidiana. Basta soltanto non analizzarli ma prenderli semplicemente per quel che sono e non nascerà allora nessun dubbio sul principio di contraddizione. I dubbi nascono quando non ci si accontenta più di una valutazione superficiale dei fenomeni ma li si vuole analizzare più dettagliatamente, chi fa così si allontana dal sano senso comune e dovrebbe incolpare solo se stesso se si ingarbuglia nella contraddizione, come molto scoraggiante sarà sempre ricordato Zenone di Elea, il quale secoli fa tormentò la Grecia intera con i suoi paradossi e finì per tagliarsi la lingua a morsi terminando miseramente la sua vita. Tutte le obiezioni d'altronde non troppo numerose apparse nel corso dei secoli contro il principio di contraddizione non sono però scaturite dall’analisi dello stesso principio o di qualche oggetto astratto bensì dall’analisi dei fatti di esperienza, Zenone ad esempio non si opponeva al principio di contraddizione che per altro Aristotele non aveva ancora formulato ma tentava di provare l’illusorietà e la non esistenza del mondo mostrando delle contraddizioni reali o apparenti che fossero (poi accenna ad Hegel): il punto più debole del principio di contraddizione, il suo tallone di Achille è una piccola parola greca “ama” che significa nello “stesso tempo” se si tratta di oggetti astratti allora essa significa il concetto di moltiplicazione logica (sapete cos’è il principio di moltiplicazione logica? È la “end” dell’informatica. Quando abbiamo accennato a Boole e all’algebra booleana uno degli elementi più importanti e risolutivi della costruzione dei calcolatori è stata proprio l’algebra di Boole, che è quella che ha consentito di trasformare le proposizioni logiche in operazioni aritmetiche, per esempio la congiunzione “a e b”, è vera se e soltanto se a e b sono vere; come fare in modo che una macchina possa compiere la stessa operazione, senza avere delle proposizioni? Con un’operazione aritmetica, e cioè il prodotto, il prodotto logico. Sapete che Boole usava 1 per indicare il vero e 0 per il falso, cosa che poi ha avuto molto successo in seguito, ora il colpo di genio è stato di utilizzare questo per far fare alla macchina dei calcoli logici senza usare le proposizioni appunto un’operazione aritmetica: 1 x 0 = 0, 0x1 = 0, 0x0 = 0, 1x1=1 cioè è vera se e soltanto se entrambi sono veri. Così la somma logica, che sarebbe l’oppure (or), la somma logica fa la stessa operazione usando naturalmente soltanto 0 1 per cui 1+0 = 1 0+1 = 1 0+0 = 0 1+1 = 1 perché nella logica booleana c’è soltanto vero/falso, non c’è il 2, questo significa che la proposizione “oppure” cioè la disgiunzione è vera a condizione che ci sia almeno uno dei due veri, ed è falsa quando uno o entrambi sono falsi, ecco questo viene trasformato attraverso un’operazione aritmetica che è appunto la somma logica. (ama) “nello stesso tempo”, ormai sappiamo che per via di questa parola non è possibile dedurre il principio di contraddizione né dal principio di identità, né dal principio di doppia negazione, né dalla definizione di giudizio falso (perché nessuno di questi utilizza il prodotto logico mentre perché ci sia principio di non contraddizione è necessario il prodotto logico, e cioè una e: “a e non a” è falso, perché è un prodotto logico cioè c’è una “e” di congiunzione). Applicati agli oggetti concreti questa parola acquista un senso temporale “nello stesso tempo” la “e” dice: nello stesso tempo, per cui è un prodotto logico, gli oggetti concreti possono avere attributi contraddittori ma non nello stesso tempo. Questa è l’idea generale perché gli oggetti concreti non possono essere contraddittori (cioè) io posso stare seduto e non starci, il raggio può riflettersi nel vetro e non riflettersi, ma non nello stesso tempo, si potrebbe dire che il tempo esiste solo affinché le cose e i fenomeni possano avere attributi contraddittori, senza tuttavia danneggiare il principio di contraddizione. Esse infatti devono avere delle proprietà contraddittorie perché altrimenti il mondo sarebbe morto, infatti ogni movimento e ogni mutazione che non sono soltanto una misura del tempo ma sembrano anche la condizione del suo esistere avvengono in questo modo: un oggetto nel mutare perde alcuni attributi che aveva e ne acquisisce alcuni nuovi che non aveva, sia nell’uno che nell’altro caso nascerebbe una contraddizione se esistessero differenti determinazioni temporali (cioè un oggetto non può avere simultaneamente una proprietà e non averla, ma c’è il tempo e il tempo che cosa fa? Fa una cosa importante e cioè sposta, per cui questa cosa ha un attributo “a” e dopo un po’ ha l’attributo “non a”, ma dopo, e non nello stesso tempo. Se il mutamento è continuo, come per esempio il movimento della freccia lanciata dall’arco allora in ogni minimo lasso di tempo l’oggetto soggetto al mutamento perde successivamente alcuni attributi acquisendone altri, la freccia perde l’attributo di “essere qui” ma acquista quello di “essere altrove”, per esempio) una freccia in movimento è in ogni momento in posti diversi, anche se supponessimo che il lasso in questi momenti fosse minore di una misura piccola a piacere, finché questo lasso è finito e non è uguale allo zero (all’esistenza delle misure infinitamente piccole oggi non credono nemmeno più i matematici) allora la freccia si troverà in posti diversi. Che cosa dunque accadrà quando questo lasso di tempo diminuirà fino a zero ovvero quando prenderemo in considerazione un solo “istante” quasi fosse un punto discontinuo della linea del tempo? (cioè individuato un punto preciso) una favola racconta che una principessa dopo essersi punta un dito cadde per cent’anni in un sonno profondo e insieme a lei si addormentò qualsiasi cosa le vivesse accanto, in questa sezione, in questa superficie congelata, non ci sarebbe più nessun cambiamento né tempo e la freccia dovrebbe stare immobile in un dato luogo (…) come facciamo a sapere che la freccia starebbe in un posto solo? Infatti finché si muoveva cambiava continuamente la sua posizione nello spazio e in ogni minimo attimo di tempo era in più posti, perché in un atto discontinuo, in un punto temporale della sezione essa non potrebbe essere almeno in due posti diversi e cioè essere in un posto e non esserci nello stesso tempo? (nei “quanti” di Planck appare che sia così, ma questo è un altro discorso) come facciamo a sapere che una contraddizione simile non è contenuta in ogni oggetto sottoposto a qual si voglia trasformazione? (cioè lui dice la freccia la immobilizziamo ma come facciamo a sapere che è proprio lì? Perché la vediamo? Beh questo non è che ci dica un granché) e poiché tutto cambia continuamente e scorre, non potrebbe l’intero mondo sensoriale essere pieno di quelle contraddizioni rivelate dalla nostra sezione? Le risposte a queste domande non ci sono. Un ragionamento a priori non può aiutarci perché bisognerebbe già basarsi sul principio di contraddizione che invece non vogliamo appunto provare, ma anche l’esperienza è muta a proposito perché un punto discontinuo del tempo non è oggetto dell’esperienza, tutti i fenomeni che percepiamo hanno una loro durata e per essere notati devono durare per un minimo lasso di tempo per quanto piccolo possa essere, che cosa accade in un istante puntiforme non lo sappiamo, eppure è proprio a quell’attimo che si riferisce il principio di contraddizione, infatti se diciamo che lo strale non può nello stesso tempo essere e non essere nel medesimo posto allora l’espressione “nello stesso tempo” riguarda anche quell’unico attimo discontinuo, che però non possiamo percepire, quindi come facciamo a sapere? (il “punto” non ha dimensione?) (può non averla però questo punto non è altro che l’istante in cui un certo oggetto si trova in quell’istante, in quella posizione, quello è il punto. Łukasiewicz non parla del “punto” come entità ontologica, cioè come un qualche cosa che esiste, che quindi può avere dimensioni, occupare spazio eccetera) (mi sembrava che fosse come il “tempo”) (beh il tempo comunemente è inteso come una successione di eventi. Il “tempo” poi lo si può intendere in molti modi e questo costituirà fra breve uno dei problemi: il fatto che ciascuna cosa può essere intesa in modi differenti, ma lo vediamo fra un attimo) dunque queste riflessioni ci portano alle stesse conclusioni delle ricerche precedenti cioè come non possiamo dire con certezza che esistono gli oggetti “costruttivi non contraddittori” così anche non abbiamo nessuna garanzia che esistano degli oggetti “concreti non contraddittori”. (Questo oggetto, un qualunque oggetto per poterlo vedere deve essere in movimento, dice lui, se noi togliamo il movimento cessiamo di vedere questo oggetto, quindi non possiamo sapere dov’è se non lo vediamo): questo risultato d’altronde era prevedibile perché se non riusciamo ad afferrare tutti gli infiniti attributi e relazioni di quegli oggetti che sono libere creazioni intellettuali e che quindi sembrano dipendere soltanto da noi, questa proposizione si accorda con quanto la logica da sempre ci insegna sulle leggi della realtà non ci sono leggi empiriche a priori ovvero necessarie e sicure anche se potessimo penetrare completamente tutti i fenomeni percepibili e non vi scorgessimo nessuna contraddizione rimarrebbe sempre il dubbio che magari non è stato così o non sarà sempre così, le leggi a priori si fondano sulle definizioni per questo sono certe e per questo sono dogmatiche ma che le nostre definizioni corrispondano alla realtà non è un dogma scientifico bensì solo un’ipotesi la quale mai sarà verificata con certezza. Eppure il principio di contraddizione sembra più fondato nell’ambito degli oggetti reali che non nella sfera delle costruzioni mentali, là infatti abbiamo visto dei casi effettivi di contraddizione la cui risoluzione non è per niente facile qui, invece, l’esistenza di oggetti contraddittori è solo una possibilità (ci ha detto che gli oggetti concreti possono essere contradditori e possono non esserlo non sappiamo alcuni lo sono altri no, e quelli che non lo sono potrebbero esserlo un giorno o potrebbero esserlo stati, oppure nessuno potrebbe essersene mai accorto, per esempio) anche se incontrassimo nell’esperienza un oggetto apparentemente o veramente contraddittorio tuttavia non sarebbe difficile eliminare questa contraddizione attraverso un’ “adeguata” interpretazione, si cambia l’interpretazione e (sì, cambia tutto quanto) supponiamo che un punto materiale in continuo movimento si trovi veramente in due posti diversi in un unico attimo e che noi potessimo coglierlo in questo stato, prima di tutto (è il principio di “indeterminazione”) prima di tutto si potrebbe dire che non è un solo punto bensì due punti i quali non possono ma non devono stare in due posizioni diverse e anche se poi per qualche motivo questa interpretazione si rivelasse errata si potrebbe sempre sostenere che quando un punto si trovava in due posti nello stesso tempo non c’era nessuna contraddizione (cioè io decido che se un punto si trova nello stesso tempo in due posti diversi non è una contraddizione. Perché? Perché sì. A meno che qualcuno, lui non lo dice ma è implicito, qualcuno non sia in condizioni di dimostrare la necessità del principio di non contraddizione. Si può fare? No): la contraddizione sorgerebbe solo quando un punto fosse e non fosse nello stesso luogo infatti è perché supponiamo che un oggetto in un certo luogo non può nello stesso tempo stare in un altro che sospettiamo una contraddizione celata quando un punto sta simultaneamente in due posti diversi, supponiamo, che un oggetto in un certo luogo può stare nello stesso tempo e anche in un altro, (è una supposizione non è una certezza, anche se comunemente è una certezza, ma è una certezza che si fonda sul principio di non contraddizione, principio di contraddizione che non ha nessuna dimostrazione. Qui la cosa si potrebbe anche complicare volendolo, vi ricordate quello che dicevamo della dimostrazione vedendo qualche brano di Lolli?) ma questa supposizione si fonda sull’esperienza per cui se apprendessimo dall’esperienza dei fatti contrari quella supposizione dovrebbe cadere e potremmo ammettere senza contraddirci che lo stesso oggetto può stare in posti diversi nello stesso tempo eccetera. L’esperienza infatti non attesta mai una pura negazione ma unisce sempre il negativo al positivo, se un pomello non è nero allora deve avere un altro colore ossia deve essere bianco o quello che vi pare ma se fosse contemporaneamente anche nero non diremmo che c’è una contraddizione ma che lo stesso oggetto può essere nello stesso tempo bianco e nero, in questo caso manterremmo l’affermazione di uno stato bianco respingendone la relazione con la negazione “non nero”, mi sembra che procedendo così in tutti i casi di contraddizioni, apparenti o reali che siano, non incontreremmo mai degli oggetti concreti che siano irrevocabilmente contraddittori (questo ci evoca il complemento booleano di cui dicevamo tempo fa a proposito di Hegel, il complemento booleano dice che se poniamo Eleonora e non Eleonora, tutto ciò che non è Eleonora è tutto il resto dell’universo. Fra tutti questi elementi potrebbe esserci qualcosa di contraddittorio. Quindi conclude): non è possibile dimostrare con certezza che esistono degli oggetti non contraddittori. (qui pone la sua conclusione, cioè ci dice quello che in realtà pensa lui di tutto ciò e cioè la soluzione che propone a una cosa del genere): chi si aspettava di trovare in quest’ultima parte del lavoro una prova esauriente e definitiva del principio di contraddizione resterà deluso, abbiamo infatti capito che non c’è una prova concreta del principio e che l’unica prova possibile è una dimostrazione formale a priori. Ora il principio di contraddizione è stato considerato una legge ontologica suprema e assoluta, non sappiamo se la definizione dello spazio euclideo corrisponda allo spazio reale né abbiamo la garanzia che la definizione di oggetto corrisponda a oggetti reali ma siccome nell’applicare queste leggi alla realtà non incontriamo nessun ostacolo le usiamo senza scrupoli e lo faremo fin tanto che sarà possibile. Ma allora perché dopo tutto ciò che abbiamo detto del principio di non contraddizione è stato posto per secoli, per millenni come qualcosa di assolutamente sicuro e incrollabile, perché? (si pone due domande): perché crediamo in un principio la cui verità non è dimostrabile e come mai gli assegniamo un valore addirittura maggiore di quello dei giudizi certamente veri? Primo, l’autorità di Aristotele poi gli esempi della vita quotidiana che non lo negano, non lo negano perché siamo abituati a considerarli così /…/ ci eravamo chiesti come mai questo principio ha un valore addirittura maggiore dei giudizi certamente veri, la verità è un valore logico apprezzeremmo la verità anche se non ne traessimo un profitto così come apprezziamo la bellezza e la virtù, i giudizi veri sono un valore logico, sono un bene logico, i giudizi falsi sono un male logico così come un misfatto costituisce un male morale. I giudizi di cui non sappiamo se sono veri o falsi non hanno un valore logico finché non sia determinato o meno la loro verità, a questo serve la logica generalmente. /…/ Esistono dei giudizi logicamente privi di valore ma preziosi sul piano pratico appartengono ad essi quasi tutte le leggi empiriche, le teorie, le ipotesi fisiche non è possibile dimostrare il principio di conservazione dell’energia, la teoria dell’evoluzione, l’ipotesi dell’etere o degli elettroni, esiste una corrispondenza apparente tra tutti i fatti finora noti a queste leggi e teorie ma non sappiamo se questa ci sarà sempre, ma se anche quei giudizi non sono altrettanto veri come ad esempio l’asserzione della matematica, essi hanno tuttavia un grande valore pratico e (qui arriviamo alla questione su cui si appunta) quindi anche se un giorno si incrinassero le leggi del moto di Newton e se si scoprisse che queste fondamentali leggi della meccanica non corrispondono perfettamente alla realtà tuttavia anche se false continuerebbero a ordinare l’insieme topico dei fenomeni e delle formule quindi non cesserebbero di avere un grande valore pratico. Un simile valore pratico spetta forse anche al principio di contraddizione? (dice che a questa domanda bisogna rispondere negativamente): il principio di contraddizione non riunisce in un unico insieme né i diversi fenomeni né diverse leggi né ordina i fatti né serve per prevedere dei fenomeni futuri (cioè serve a niente apparentemente) se questo principio ha un significato pratico esso deve risiedere altrove (e qui torna ad Aristotele il quale dice) andò molto vicino alla questione, il valore del principio di contraddizione non è di natura logica bensì di natura pratico etica, ma questo valore pratico etico è talmente rilevante che la mancanza di valore logico non risulta avere alcuna importanza. Ipotizziamo dice di vivere in una società la quale non accetta o addirittura non conosce il principio di contraddizione ecco che mi avvicina il Signor X e dice di avermi visto in una strada, io mi ricordo molto bene che ieri sera sono rimasto a casa e dispongo di molti testimoni che hanno trascorso la serata con me eccetera, il Signor X o sbaglia o mente, ma come possiamo dimostrarglielo? Non posso chiedergli di dimostrare la sua affermazione perché simili giudizi sono indimostrabili e vengono garantiti solo dalla memoria e dalla sincerità del parlante o dei testimoni eventuali, potrei al massimo attraverso più testimonianze concordi con la mia di rendere più probabile la mia affermazione di essere rimasto a casa ma se il principio di contraddizione non esiste i miei tentativi non hanno nessun senso, il mio oppositore mi darà ragione pur non cambiando la sua convinzione mi dirà “è vero che eri a casa” così come è vero che eri qui, infatti entrambi i giudizi possono essere contemporaneamente veri sia che ero a casa sia che non c’ero, in che modo potrei respingere l’affermazione dell’avversario? Prendiamo in considerazione l’esempio più drastico, qualcuno viene accusato ingiustamente di aver ucciso un amico, si presentando dei falsi testimoni che giurano di aver visto l’accusato nel giorno dell’omicidio nella casa della vittima e di aver osservato da lontano lo svolgimento della lite fino alla sua tragica scena finale, l’accusato protesta solennemente la propria innocenza, si richiama alla propria vita irreprensibile, al proprio carattere tranquillo e conciliante, la lunga amicizia che aveva con il defunto e a una serie di testimoni affidabili i quali in modo concorde e incontestabile provano il suo alibi, ma a che cosa servirà tutto ciò al condannato? Tuttavia egli può dimostrare al massimo l’asserzione di non aver ucciso l’amico tuttavia se il principio di contraddizione non esiste la verità di questo giudizio non esclude la verità del giudizio contrario il quale afferma che egli ha ucciso l’amico, dunque la testimonianza falsa delle persone inique non può essere respinta in nessun modo così che il giudice deve riconoscere che l’accusato non ha ucciso ma anche che ha ucciso e quindi verrà emessa la condanna. Questi esempi dimostrano l’importanza pratica ed etica del principio di contraddizione questo principio è l’unica arma contro gli errori e la menzogna, se i giudizi contraddittori non si escludessero a vicenda, se l’affermazione non sopprimesse la negazione ma l’una potesse vivere accanto all’altra allora non avremmo a disposizione nessun mezzo per debellare la falsità o per smascherare la menzogna, pertanto in ogni ragionamento in cui ci serviamo di questo principio come nelle prove apagogiche (modus tollens) è la reductio ab absurdum (la menzogna è successiva al principio di contraddizione, se non esistesse il principio di contraddizione non esisterebbe neanche la menzogna) (no, infatti perché non c’è nessun criterio per definire il vero e il falso, infatti dice qui, conclude “soltanto il principio di contraddizione che può vittoriosamente lottare contro qualsiasi genere di falsità e in questo sta tutta la sua importanza, solo che per stabilire che qualche cosa è falso ci occorre pure un criterio. Dice che in assenza del principio di contraddizione): sarebbe definire i confini entro cui esso vale cioè le dispute per esempio così che smetteremmo pian piano di adottarlo e quindi si diffonderebbe non tanto lo scetticismo quanto piuttosto una credenza immotivata in qualsiasi giudizio (ma se uno crede in un giudizio lo crede vero quindi ha già un criterio per sapere se è vero oppure se è falso. E questo che leggo lo leggo solo così per gioco): Aristotele capì che in futuro per i greci l’unico territorio libero per agire sarebbe stato quello della cultura, e lui stesso partecipava instancabilmente a quel lavoro ponendo poderose basi alla conoscenza scientifica attraverso la raccolta delle proprie e altrui ricerche e la creazione di tanti nuovi rami del sapere. I nemici di quel lavoro sistematico erano appunto i sofisti, non quelli antichi i maestri itineranti quali Protagora o Prodico che Aristotele ricorda sempre con grande rispetto ma i giovani eristici di Megara, i cinici della scuola di Antistene, gli scettici come Cratilo, i loro sofismi, i loro paradossi erano noti in tutta la Grecia probabilmente nessuno prendeva completamente sul serie quei pensieri bizzarri e contorti tuttavia i sofisti mettevano in ridicolo la scienza al cospetto dell’opinione pubblica e generavano grave confusione nelle coscienze, costoro negavano anche il principio di contraddizione, le loro obiezioni erano ovviamente insussistenti tuttavia la prova positiva di quel principio non era possibile e ormai anche a noi è noto nel corso di questa dissertazione, abbiamo potuto constatare che lo stesso Aristotele avvertiva l’insufficienza dei propri argomenti. Già lo stesso accettare la discussione era pericoloso perché così facendo Aristotele ingaggiava la lotta sul campo proprio degli avversari per ogni prova c’è sempre una contro prova e i sofisti erano dialettici proprio di professione non si poteva fare altro che enunciare il principio di contraddizione come un dogma e in maniera autoritaria porre fine una volta per tutte a ogni opera distruttiva, era questo l’unico modo con cui lo stagirita poteva forgiare per sé e per gli altri un’arma efficace contro i sofismi e le falsità aprendo la strada a un lavoro scientifico costruttivo. La prossima volta considereremo le obiezioni di Severino a questo testo di Łukasiewicz.