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3-9-2008

 

Abbiamo parlato prevalentemente della responsabilità la volta scorsa, che è la questione principale ma anche la più difficile da accogliere, vi siete mai chiesti perché è così difficile da accogliere la questione della responsabilità dagli umani in generale?

Intervento: il fatto che si deve mettere in gioco quello che si crede … se io credo che è colpa mia significherebbe prendere in considerazione tante componenti … componenti che non sono apparenti cioè la persona magari non se ne è neanche resa conto … però non so perché è così difficile …

Perché accogliendo la responsabilità cessa la possibilità di legiferare sul mondo, se le cose accadono per via di quella realtà esterna allora stanno in un certo modo e io posso legiferare su questo, nel senso che posso imporre questa realtà sugli altri, se invece procede da me, dal mio discorso, allora essendo una mia responsabilità non posso imporre il mio pensiero se non è avvallato da una realtà esterna perché se no di questo pensiero sono responsabile, l’ho prodotto io in base ai miei pensieri quindi con che cosa lo impongo? Lo posso imporre se quello che io penso non è altro che la rappresentazione di una realtà così come è allora sì, le cose stanno così quindi tutti si devono adeguare, questo è il motivo principale del perché è così difficile accogliere la responsabilità, se sono io non posso più legiferare sul prossimo e se non posso fare questo, che faccio? Come se l’esistenza a quel punto non avesse più senso, però occorre trovare il modo perché invece la responsabilità possa accogliersi, la responsabilità è ciò su cui si fonda l’analisi …

Intervento: che legame c’è tra la realtà e gli altri?

Eleonora, se io volessi importi qualche cosa, qualunque cosa non ha importanza, per importela occorre che io mi aggrappi a una necessità cioè tu devi fare così perché le cose stanno così, non perché lo dico io se no è un’imposizione alla quale tu puoi opporre il tuo modo di pensare ma se io invece ti dico che devi fare questo perché le cose stanno in questo modo …

Intervento: stai parlando della morale?

Di qualunque cosa, anche la morale certo, sì posso appellarmi a una legge morale universale, posso appellarmi a uno stato di cose, per esempio “devi metterti la maglia di lana” ché se no esci e ti prendi un accidente, senza la maglia della salute ci si ammala quindi devi mettere la maglia della salute però io posso importelo in base a questa considerazione “reale” tra virgolette e cioè che senza la maglia di lana tu ti ammalerai, non è un mio ghiribizzo importi questo ma te lo impongo per il tuo bene, te lo impongo perché le cose stanno così e quindi devi fare così. Se io invece ti dicessi “devi metterti la maglia di lana perché a me piace così” tu non ubbidirai sicuramente, se invece faccio appello a una constatazione di un dato di fatto, cioè che senza la maglia della salute ci si prendono gli acciacchi ecco che non sono io che lo voglio, è la realtà delle cose che impone questa cosa, io faccio solo il portavoce della realtà, ecco perché assumere la responsabilità del proprio discorso quindi la responsabilità di ciò che si dice, si pensa, toglie la possibilità di legiferare sul prossimo …

Intervento: toglie anche le certezze … da che mondo e mondo si dice così, tutti fanno così, c’è un punto fermo al quale io mi devo attenere non è colpa mia, sono le cose che stanno così …

Ciascuno ha la sua personalissima idea della realtà e ciascuno pensa che la sua idea corrisponda alle cose come stanno necessariamente, quindi quello che io penso corrisponde alla realtà e quindi per definizione è vero, se altri pensano differentemente è perché o sono in mala fede o non si sono accorti di come stanno le cose …

Intervento: forse è per questo che è così difficile accettare perché è qualche cosa di oggettivamente vero e non è neanche confrontabile con la relatività dei propri pensieri, i pensieri cambiano …

Ci sono alcune cose sulle quali ciascuna persona è irremovibile senza rendersi conto di questa cosa naturalmente, e non se ne rende conto perché viene immediatamente accostata anzi agganciata alla realtà delle cose, passa in genere attraverso alle cose più banali, vi faccio un esempio: qualcuno vede passare quell’altra persona e dice “guarda quella tizia come si è conciata” questa stessa persona invece in altre circostanze si fa fautrice e portavoce del diritto di ciascuno di fare quello che vuole e ritiene di sé di essere una persona assolutamente liberale e di non avere alcun pregiudizio, e allora perché allora ad un certo punto dice una cosa del genere? Tu che ritieni di te di essere una ragazza aperta libera e liberale nei tuoi concetti fondamentali, dici ad un certo punto di un’altra ragazza che passa lì vicino “guarda quella com’è conciata” cosa apparentemente insignificante e banale che potrebbe essere considerata di nessun conto, però potrebbe non essere così, anche questa assoluta banalità ci dice qualche cosa, come dire che ci sono alcune situazioni in cui questa assoluta liberalità è come venisse sospesa, magari solo in quel caso però in quel caso viene sospesa, perché? Perché interviene un altro elemento, per esempio l’invidia, magari quell’altra è più carina e allora che cosa è intervenuto? È intervenuta un’altra considerazione però possiamo senz’altro dire che tale liberalità ha un limite perché in quel caso è stata limitata cioè qualche cosa che impedisce in quel caso di procedere in quella assoluta liberalità e ampiezza di vedute di cui la persona tendenzialmente si vanta …

Intervento: ma questa cosa ha a che fare con la responsabilità?La responsabilità di ammettere che si è limitati certe volte?

Indirettamente, la responsabilità di accogliere che questa notazione che hai nei confronti della fanciulla che passa dice qualche cosa di importante e cioè che in quel caso l’ampiezza di vedute, la liberalità della quale ti vanti viene sospesa, non c’è in quel caso, e di questo sei responsabile. La questione interessante è che il più delle volte sono proprio delle quisquiglie, delle banalità, sono proprio queste cose a intervenire e a essere considerate appunto talmente banali da non dovere essere prese in considerazione, una sciocchezza del genere non interessa nessuno e invece interessa a chiunque abbia intenzione di ascoltare il suo discorso, come dire che queste cose apparentemente banali pilotano altre cose che invece banali non sono ma possono determinare anche la vita e l’esistenza della persona in quanto decidono di scelte importanti, ogni scelta, ogni decisione è sempre estetica, come dire che si prende perché piace così, compresa quella di continuare a vivere per esempio, perché Cesare continua a vivere? Perché gli piace così, non c’è nessun altro motivo, perché al di là di quella le altre seguono a cascata, io ho parlato di quella perché sono sempre eccessivo, ma a scendere poi tutte le decisioni sono decisioni estetiche, come dire che di ciascuna decisione ciascuno potrebbe concludere che ho deciso questo perché mi piace così, non perché le cose mi costringono a prendere questa decisione ma perché a me piace così, non c’è nulla che costringa a fare nulla nemmeno vivere come dicevamo prima, non è obbligatorio …

Intervento: lei parla di questione estetica però a me viene da pensare che possa anche “non piacere” tra virgolette ciò che mi impone il mio discorso, un certo proseguire, mi possa trovare in una situazione tale in cui la cosa non mi piace ma è così proprio perché in qualche modo è il mio discorso che mi impone questo … cioè il fatto che io abbia assunto quelle premesse perché mi piaceva qualcosa, che mi piaceva decidere in quel modo lì ma questo comporti nel proseguimento altre decisioni che comunque sono determinate da quella premessa …

Ma dal raggiungimento dell’obiettivo? Ché se una persona fa una cosa che non gli piace di per sé ma deve farla per raggiungere quell’obiettivo, per esempio, io voglio andare al mare, non mi piace stare tre ore in fila sull’autostrada però per andare al mare devo fare questo …

Intervento: c’è una sorta di equivoco sul termine piacere è facile collegare la questione del piacere a una sorta di emozione … mentre invece mi piace così mentre potrebbe semplicemente “deciso” così senza che la cosa ottenga quell’aspetto emotivo particolare … la questione è quello che è al di là di come far intendere nelle conferenze, la questione estetica cioè perché “mi piace così” può essere in qualche modo non intesa ...

Adesso io non sto facendo una conferenza ma sto parlando a voi …

Intervento: dicevo è una questione puramente retorica …

Sì, trovare i modi retorici questo sta a voi …

Intervento: in effetti non era un’obiezione la decisione collegata a una questione estetica non riesce ad essere …

No, non riesce affatto, se è posta in questi termini non riesce assolutamente no, certo …

Intervento: le persone sono abituate a qualche cosa … in questo caso …

No, infatti per questo non c’è possibilità di accogliere la responsabilità del proprio discorso se non si intende qualcosa del funzionamento del linguaggio, non c’è nessuna possibilità, non c’è possibilità perché in cambio non ha niente apparentemente, anzi perde come dicevo all’inizio la possibilità di legiferare sul prossimo, perdendo questo perde l’unico senso che ha la sua esistenza …

Intervento: la possibilità di costruire proposizioni … la questione che potere legiferare sul prossimo passa talvolta su questo divieto di potenza …

Di fronte alla realtà tutti devono adeguarsi, quindi posso legiferare sul prossimo, certo la responsabilità senza intendere qualcosa sul funzionamento del linguaggio, dicevo, è improbabile poiché la responsabilità comporta necessariamente l’intendimento che ciò che io dico è costruito dal linguaggio e se non so nulla di tutto questo è difficile che vada da qualche parte …

Intervento: è la responsabilità degli altri oppure è colpa mia, non cambia la questione …

L’assunzione della colpa toglie la responsabilità di fatto, se per esempio Stefania si assume la colpa di qualche cosa, e si assume la colpa più che la responsabilità perché è un modo per chiudere comunque la questione “è colpa mia”, una volta detto questo c’è un punto e quindi non si accoglie la responsabilità, la responsabilità non è di qualcuno ma è del linguaggio, è il linguaggio che risponde, perché è il linguaggio che ha costruito qualche cosa e quindi soltanto lui può risponderne, assumersi la colpa è il modo per eliminare totalmente la responsabilità e cioè la possibilità di interrogare ciò che si è detto, ciò che si è fatto, ciò che si è pensato perché l’ammissione della colpa chiude la questione, mette un punto definitivo, non se ne parla più, poi magari ci saranno delle conseguenze ma in ogni caso non ci sarà nessuna responsabilità, nessuna interrogazione su ciò che è avvenuto, sul proprio discorso che ha costruito una certa sequenza che poi ha portato a una certa azione, per esempio, tutto ciò non esiste, è cancellato. Quindi cosa diresti tu Eleonora intorno alla psicanalisi?

Intervento:  …

La psicanalisi è un percorso, un percorso intellettuale il cui obiettivo è accogliere la responsabilità del proprio pensiero, quindi di ciò che si dice, di conseguenza di ciò che si fa, non è nient’altro che questo poi certo si tratta ciascuna volta di trovare i modi e i termini perché questo possa verificarsi, però è questo la psicanalisi, se non è questo non è niente, non è sicuramente un metodo o un modo per tradurre ciò che una persona dice in qualche altra cosa, né per correggere qualche cosa di sbagliato. La psicanalisi per essere tale deve essere totalmente amorale, perché non è contro la morale è senza, è totalmente priva di morale e totalmente priva di giudizi estetici dei quali non si occupa minimamente quindi non c’è il bene, il male non esiste, il bello, il brutto, sono delle figure attraverso le quali la persona che sta parlando enuncia dei suoi pensieri, il modo, nient’altro che questo. D’altra parte se il suo obiettivo è porre le condizioni perché una persona si assuma, accolga la responsabilità del proprio pensiero allora non può in nessun modo essere pilotata da altro se non dalla struttura del linguaggio, dal suo funzionamento il quale è totalmente amorale perché è al di qua di ogni possibile morale, in quanto è la condizione per potere costruire in seguito, se uno ha voglia di farlo, anche una morale, è uno dei possibili infiniti giochi linguistici che il linguaggio può costruire, un gioco linguistico neanche dei più interessanti per altro, la quale morale stabilisce quelle regole di comportamento, per farlo naturalmente deve stabilire ciò che è bene e ciò che è male in base a criteri estetici: ciò che mi piace è bene, ciò che non mi piace è male, questo è il criterio fondamentale di ciascuno peraltro, però la psicanalisi è qualcosa che è al di qua di qualunque altra considerazione perché l’unico criterio che utilizza, come dicevo prima è il funzionamento del linguaggio, è l’unico riferimento, l’unico parametro e deve fare in modo che la persona che intraprende questo percorso giunga a intendere che è l’unica cosa, la sola cosa per la quale e della quale vive: questa struttura nota come linguaggio, e di conseguenza tutto ciò che fa, che pensa, che agisce è l’effetto di sequenze, di argomentazioni, di parole, di atti linguistici perché ciascuna persona si muove in conseguenza di ciò che ritiene essere vero e ritiene qualcosa essere vero in conseguenza di sue argomentazioni, di sue decisioni che sono atti linguistici né più né meno. In definitiva una analisi riconduce il discorso là da dove arriva e cioè al linguaggio, al discorso quindi la persona, che è fatta di discorso ovviamente la riporta là da dove arriva, là dove ogni cosa si costruisce e cioè alla struttura del linguaggio, compie quell’operazione che per il momento non ci è consentito fare in brevissimo termine perché ci manca ancora il virus, ciò che consente al discorso l’accesso a ciò che lo costruisce, al linguaggio, accesso che comunemente è totalmente impedito …

Intervento: da cosa?

È impedito da una serie di giochi linguistici che si sono appresi, i quali giochi linguistici per funzionare non necessitano affatto di sapere perché funzionano, per questo nessuna persona si è mai posta in realtà la questione in termini radicali e cioè qual è la condizione perché tutto possa esistere, perché possa darsi perché qualunque cosa io faccia o pensi, comunque funziona lo stesso, per parlare le persone non hanno bisogno di sapere come funziona il linguaggio, parlano e basta, poi che cosa dicano questo è un altro discorso, però le persone parlano da sempre ininterrottamente, dicono cose continuamente eppure non sanno assolutamente quale ne sia la condizione, quindi non c’è propriamente qualche cosa che lo impedisce se non ciò che dicevo prima e cioè il fatto che togliendo, immettendo la responsabilità di ciò che si dice si perde la possibilità di legiferare sul prossimo, però di fatto non c’è un impedimento all’analisi se no l’analisi sarebbe un fallimento totale, se questa non fosse possibile allora la psicanalisi non sarebbe possibile …

Intervento: sembrerebbe quindi essere il proprio discorso …

Sì certo, nient’altro al mondo, non c’è un divieto, lo proibisce invece l’istituzione, la santa istituzione la quale non ha nessun interesse che una cosa del genere si pratichi perché come dicevamo qualche tempo fa la psicanalisi è sovversiva, sovverte ogni possibile ordinamento perché sovverte e modifica totalmente il modo di pensare cioè rende le persone non più ricattabili e questa è la cosa peggiore che possa accadere a qualunque istituzione. Sì, è il proprio discorso che lo impedisce, non c’è nient’altro al mondo, il proprio discorso ha dei meccanismi di difesa come dire che quelle cose che sono state ritenute vere e sulle quali è stato costruito tutto il discorso, tutta la vita della persona, cioè queste verità su cui si è costruita l’esistenza della persona sono protette e devono essere protette all’interno del discorso perché costituiscono il fondamento su cui tutto si è costruito, togliete quello e crolla tutto, come avviene in un’analisi, solo che lungo l’analisi la persona mano a mano acquisisce gli strumenti per potere fare fronte a una tragedia del genere, ma per arrivare ad accorgersi che non c’è nessuna tragedia in realtà, però tutte queste certezze, questi fondamenti, questi pilastri sono ben protetti dal discorso e spesso come dicevamo all’inizio ciò che li protegge sono proprio delle banalità che pertanto risultano invece essere di grande interesse, ché sono quelle cose che passano inosservate, talmente banali da non destare la minima attenzione e invece molte volte illustrano con estrema precisione e chiarezza come funziona il proprio discorso, quali sono i limiti che il proprio discorso non intende per nulla al mondo valicare e che invece lungo l’analisi occorre valicare …

Intervento: sembra appunto che effettivamente ha saputo cancellare i file per potere … cioè toglie quelle etichette che le persone si mettono per potere andare avanti e può essere un’etichetta di qualsiasi tipo, però fondamentalmente è come se bisognasse superare questa arroganza personale, uno non si rende conto però effettivamente è difficile perché appunto una banalità però è la propria verità e le proprie verità sono fondamentali, si vedono, come diceva Freud, quelle degli altri …

È una cosa antica, è saputa da sempre, la questione è che non è praticabile, non è praticabile se non si pongono delle condizioni precise se no si continua a ripetere il ritornello e non si va da nessuna parte, le sapeva anche mia nonna tutte queste cose ma non per questo era una psicanalista … Intervento: chi è causa del suo mal pianga se stesso, questo diceva la nonna di Faioni …

Anche questa certo, se una persona si lamenta di qualche cosa badi che è lui che si è prodotta questa cosa, ecco, ma perché nonostante questi proverbi siano noti da sempre non sortiscono nessun effetto?

Intervento: perché nessuno mai ha considerato il linguaggio come la condizione e la “causa” del pensiero e quindi di tutte le cose che pensa e che costruisce …

Già, eppure sono cose che tutti sanno fin dall’infanzia …

Intervento: …

Sì, si enuncia una verità e tanto basta, come anche affermare che qualunque cosa è un elemento linguistico, detta così potrebbe anche non significare niente se non si accolgono tutte le sue implicazioni e non si applica soprattutto a ciò che si sta dicendo, quindi anche quello che ho detto è un elemento linguistico l’affermare che qualunque cosa è un elemento linguistico, quindi è una verità a questo punto al pari di qualunque altra cioè costruita dal linguaggio, se è più vera di altre occorre vedere cioè occorre verificare se è un’affermazione necessaria oppure no, se no è un’affermazione al pari di qualunque altra e la pari di qualunque altra di nessun interessa.