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3 agosto 2022

 

I Presocratici di Diels-Kranz.

 

Questa sera considereremo Anassagora. Intanto, due notizie su di lui. A pag. 1001. Anassagora, figlio di Egesibulo o di Eubulo, fu di Clazomene. Fu allievo di Anassimene. Per primo pose un’Intelligenza al di sopra della materia. L’inizio del suo scritto, dal tono piacevole ed elevato, è questo: “Tutte le cose erano insieme, poi l’Intelligenza intervenne e le ordinò”. Perciò gli venne il nomignolo di Intelligenza, e Timone nei Silli ne parla così: E dicono che c’è Anassagora, celebre eroe, / Intelligenza, dato che aveva un’Intelligenza che, sorta d’un tratto, / tutte le cose, che prima erano confusamente sparse, / compose in saldo ordine. Tenete a mente bene questo: “Tutte le cose erano insieme, poi l’Intelligenza intervenne e le ordinò”. A pag. 1013. …fu il primo ad avere posto come principio dell’ordinamento del tutto non il caso o la necessità, ma la pura e non mescolata Intelligenza che, fra tutte le altre cose mescolate, separa le omeomerie. Omeomeria: μοιος, stesso, μέρος, parte, quindi, parti uguali, parti dello stesso. A pag. 1019. Apoftegmatica. Gli apoftegmi sono brevi detti generalmente di carattere morale, ma non necessariamente. Di Anassagora si ricorda anche una affermazione fatta ad alcuni suoi discepoli, secondo la quale le cose erano per loro così come essi ritenevano che fossero. È la cosa più ovvia, più banale, ma detta ventisei secoli fa. A pag. 1025. …Democrito e Anassagora scrissero sullo stesso argomento: come cioè sia necessario, una volta stabilito il centro in un determinato punto, far corrispondere le linee, per una legge di natura, all’angolo visivo e alla direzione dei raggi, affinché le immagini formate da linee incorporee creino sulla scena l’apparenza di edifici, e ciò ch’è raffigurato su pareti piatte e diritte sembri essere ora rientrante ora sporgente. Era la prima idea della prospettiva. A pag. 1027. Egli disse che il principio del tutto è l’Intelligenza e la materia: l’Intelligenza in quanto agisce, la materia in quanto diveniente. Infatti, tutte le cose sono insieme, e l’Intelligenza, intervenendo, le ha ordinate. Qui è abbastanza chiaro il riferimento a ciò che dicevamo la volta scorsa rispetto al numero dei pitagorici, al numero come ordine, al numero come ciò che ordina il cosmo. A pag. 1033. Perciò iniziò così il suo scritto in questo modo: “Insieme erano tutte le cose” e quindi ciascuna cosa, come questo pane, è una mescolanza di questa carne e di quest’osso, ossia è una mescolanza simile al tutto. Uno mangia il pane e questo pane si trasforma… Quindi, secondo lui, nel pane c’erano già i muscoli, la carne, ecc. …pareva dunque che Anassagora dicesse che, essendo insieme tutte le cose e stando ferme, per un tempo anteriore infinito, volendo l’Intelligenza ordinatrice distinguere le forme, che egli chiama omeomerie, impresse in loro il movimento. A pag. 1039. “Tutte le cose erano insieme” e “diventare una determinata cosa consiste in una trasformazione”. – Ma quanti ritengono che la materia sia costituita da parecchi elementi, come Empedocle, Anassagora e Leucippo, dovrebbero trattare del mutamento e della generazione come di due cose diverse; Anassagora, però, non è stato chiaro nelle sue asserzioni: egli dice infatti che nascere e morire sono la stessa cosa che il trasformarsi. – Delle cose che sono, dunque, niente si disgrega né si genera che già prima non fosse; ma mescolandosi e separandosi si trasformano. Che cosa ci sta dicendo qui Anassagora? Su che cosa stava riflettendo? Intanto, come abbiamo visto, è stato il primo a introdurre l’Intelligenza, ed è questa Intelligenza che mette ordine nelle cose. Ora, introdurre l’Intelligenza anziché il caos, il caso, la fortuna, ecc., è stato un passo importate, perché l’Intelligenza è qualcosa che appartiene all’uomo, anche se poi lui è incerto se attribuirla a un dio, però l’intelligenza è qualche cosa che propriamente appartiene agli umani. Anassagora è stato il primo ad accorgersi che è l’Intelligenza che ordina le cose. Ma che cosa significa che le ordina? Non è una questione semplicissima perché ordinare le cose significa poterle conoscere, anzi, la conoscenza è già ordinamento delle cose. Infatti, la questione che poneva Platone se è possibile o non possibile la conoscenza è una domanda che ha già insita la risposta. Se io mi pongo questa domanda, se la conoscenza è possibile oppure no, tutto questo procede già da una conoscenza che mi fa chiedere questo. Quindi, se mi pongo questa domanda è perché la conoscenza è già in atto; quindi, non solo è possibile ma è necessaria per chiedermi se la conoscenza è possibile oppure no. Ma la conoscenza, come sappiamo, è ordine. Qui c’è una cosa che Anassagora chiaramente non dice, però, quasi traluce qua e là nei suoi scritti – nelle testimonianze, perché di lui non abbiamo niente – che le cose sorgono nel momento in cui vengono determinate, nel momento in cui vengono conosciute, e solo allora sorgono. Ma perché soltanto allora sorgono? Perché nel conoscere queste cose io le determino, le separo, le ordino, e allora a questo punto, non è tanto che l’Intelligenza metta ordine nelle cose, ma potremmo quasi dire che l’Intelligenza crea l’ordine e quindi le cose; perché senza ordine non ci sono cose, senza ordine non c’è conoscenza, senza conoscenza le cose non ci sono, oltre al fatto che le cose sono enti e gli enti sono parole. Quindi, la portata notevole di Anassagora consiste proprio nell’avere inserito l’Intelligenza, cioè, il pensiero. È chiaro che lui non dice mai – non poteva farlo – che l’Intelligenza non è altro che il linguaggio in atto. A pag. 1039. Anassagora dice bene, affermando che l’Intelligenza è impassibile e priva di mescolanza, dato che la pone come principio del movimento. Infatti, potrebbe muovere solo se non fosse mossa, e avere potere solo essendo priva di mescolanza. A pag. 1041. Da questo risulta che Anassagora viene ad affermare come principio l’Uno (questo, infatti, è puro e senza mescolanza)… Cosa che ci rimanda al pensiero puro di cui parlava Gentile, cioè un pensiero non contaminato da altro che non sia se stesso, è il pensiero che pensa se stesso. …e il diverso, che corrisponde all’elemento che noi poniamo come indeterminato, prima che sia determinato e partecipi di qualche forma. Tutto questo non fa che riprendere ciò che dicevo riguardo al fatto che l’Intelligenza, cioè il linguaggio, appare come ciò che ordinando crea ciò che ordina. L’intelligenza, cioè, il pensiero: il pensiero è già ordine, ed essendo ordine inserisce tutto quanto, cioè tutte le altre parole, i discorsi, in un ordinamento, potremmo dire, numerico, logico, ciò di cui è fatto il linguaggio, cioè, le pone in una determinata successione e in questo senso le ordina. Soltanto ordinandole queste cose hanno la possibilità di essere conosciute e, quindi, di esistere. Perché l’πείρων di Anassimandro è inconoscibile? Perché non è ordinato, è indeterminato. Ma la cosa che a noi interessa è che il pensiero ordinando – il pensiero è ordine, ordina le cose, le dispone in un certo modo – crea le cose, letteralmente le fa esistere, cioè, le pone come conoscibili in quanto ordinate. Questa questione non è del tutto nuova, però, ci pone una questione importante perché – ovviamente stiamo andando oltre ciò che intendeva Anassagora – questa intuizione, questa idea che lui ha avuto, e cioè che l’Intelligenza mette ordine nelle cose e, quindi, consente la conoscenza, non è un procedimento che avviene passo dopo passo ma è tutto simultaneo: se c’è Intelligenza, se c’è pensiero, c’è già ordine, perché l’Intelligenza, il pensiero, sono già questo, sono ordine, sono numeri, sono proposizioni logiche. È chiaro che qui stiamo andando oltre Anassagora, a noi Anassagora serve per pensare, per potere confrontarci con il pensiero. Quello che lui ci invita a pensare qui, volente o nolente, è che pensando le cose queste cose esistono, ma esistono perché pensandole le ordino, le rendo conoscibili. In fondo, è ciò a cui è giunto Gentile: è il pensiero pensante che fa esistere le cose, perché dice che qualunque cosa io pensi, in realtà sto pensando il mio pensiero. È il mio pensiero che ordina e quindi crea, perché solo ordinando posso conoscere. Conoscere e creare a questo punto appaiono come lo stesso. Questa è, in effetti, un’affermazione abbastanza forte, però Anassagora a me piace pensare che andasse in questa direzione, e cioè che conoscere e creare sono lo stesso: è conoscendo che creo. A pag. 1059. Ogni sensazione implica sofferenza, e questo può sembrare connesso al suo presupposto, dato che ogni dissimile, venendo a contatto, infastidisce. Ogni sensazione implica sofferenza, nel senso che ogni sensazione è un mutamento di stato. Sofferenza in questo senso e non necessariamente come dolore. Potremmo indicare la sofferenza come l’avvertire un mutamento di stato. Ma queste sono amenità. A pag. 1063. Qui c’è una cosa interessante. Solo Anassagora sostiene che l’Intelligenza è impassibile e che nulla ha in comune con nessun’altra cosa. – È necessario, quindi, dato che conosce ogni cosa, che sia non mescolata, come sostiene Anassagora, affinché domini, ossia conosca. Anassagora ha inserito questo elemento che, come dicevamo prima, non c’era prima di lui, cioè, c’era ma sotto altra veste, era il caso, la necessità, ecc. No, dice lui, è l’Intelligenza. Non poteva dire che era il linguaggio, ma lo pone in questo modo: è l’Intelligenza che ordina le cose, è il linguaggio che le ordina dicendole, pensandole, che è lo stesso, e pensandole le crea in quanto le conosce. Come dicevo, conoscere e creare è lo stesso. A pag. 1067. Anassagora afferma che l’aria porta seco i semi di tutto, e che questi, precipitando insieme all’acqua piovana, danno vita alle piante. Dunque, Anassagora e… dicono che “le piante” sono mosse dal desiderio, e garantiscono che esse sono anche dotate di sensibilità, e quindi si rattristano e si rallegrano. Questo l’ho letto perché ogni tanto viene fuori che anche le piante sentono, hanno dei sentimenti, emozioni, si arrabbiano, discutono tra loro. A pag. 1071. “Infatti, né c’è il minimo del piccolo, ma sempre un minore (ciò che è, infatti, non è possibile che non sia), ma anche del grande c’è sempre un maggiore. Ed è uguale al piccolo in quantità. Di per sé in effetti ogni cosa è sia grande che piccola”. Qui c’è in pratica tutta la teoria dell’infinito. A pag. 1073. “Separatesi così queste cose, si deve ammettere che esse nel loro insieme non sono affatto né minori né maggiori (non è possibile infatti esser più di tutte le cose), ma tutte complessivamente sono sempre uguali”. Un’altra questione di cui si può parlare è quella della separazione, di come l’Intelligenza opera separando. Divide et impera, dirà Tommaso d’Aquino. Separare è esattamente ciò che fa il linguaggio. Naturalmente, la separazione dei due momenti non è l’esclusione dell’uno a vantaggio dell’altro, ma è una separazione che è necessaria per la comprensione. Se vogliamo comprendere qualunque cosa, dobbiamo separare, pur sapendo che non è possibile, pur sapendo che questa separazione è fatta, come dicevamo tempo fa, come se fosse un’autentica separazione, ma non lo è né può esserlo. E l’intelligenza, dice Anassagora, fa questo, separa. A pag. 1075. Questo intende, infatti, quando dice: “Delle cose che si formano separandosi la quantità non è nota né a parole né di fatto”. Che, poi, le considerasse limitate riguardo alla forma, lo dimostra dicendo che l’intelletto le conosce tutte. Comunque, se fossero davvero infinite, sarebbero del tutto inconoscibili; la conoscenza, infatti, delimita e definisce il conosciuto. Dice che “Le cose che si formavano per mescolanza … e quelle che erano”. È la questione che si porrà tempo dopo Platone, riguardo alle cose che sono illimitate: se fossero soltanto illimitate non ci sarebbe conoscenza, perché la conoscenza è limitazione. Anche nel caso fossero tutte limitate non ci sarebbe conoscenza, perché una cosa limitata non avrebbe connessione con nessun altro, cioè, non rinvierebbe ad altro, non sarebbe in relazione con altro. Quindi, in ogni caso, né l’una né l’altra cosa potrebbero consentire la conoscenza; pertanto, ci deve essere l’uno e l’altro, devono esserci due momenti. Bisognerà attendere fino ad Hegel perché si prenda sul serio questa questione. Questi due momenti devono esserci perché sono inseparabili, perché garantiscono il funzionamento del linguaggio. A pag. 1079. Ma perché non si avvale dell’Intelligenza, è chiaro, se è vero quanto egli dice: che la generazione non è altro che una separazione, e la separazione avviene per il movimento, e causa del movimento è l’Intelligenza. Questo passo è importante. La generazione non è altro che una separazione: suppongo che generazione qui sia da intendersi come γένεσις. Ma la generazione di che? Proviamo a pensare alla generazione di qualunque cosa, ad esempio il pensiero, che è la cosa più interessante. D’altra parte, lui ci sta parlando dell’Intelligenza e, quindi, siamo autorizzati a pensare così. La generazione non è altro che una separazione e la separazione avviene per il movimento, e causa del movimento è l’Intelligenza. Qui è come se riassumesse quanto detto prima, e cioè che è l’Intelligenza che genera le cose, gli enti, le parole. Attraverso questa generazione è il movimento, di cui l’Intelligenza è causa, cioè, il linguaggio è causa del movimento, il linguaggio è fatto di movimento, di relazione. Quindi, possiamo di nuovo considerare che Anassagora ha indicata una direzione che per noi è molto importante. Ci sta dicendo che l’intelligenza, cioè il linguaggio, è ciò che genera, è il linguaggio che genera le cose. E come le genera? Attraverso la divisione e il movimento in cui si trova questa divisione. Ci vorrà Hegel molti secoli dopo a dire che questo movimento, che lui chiama dialettica, è il movimento tra l’in sé e il per sé. Quindi, separazione e movimento. A pag. 1085. “Le cose visibili che si vedono sono l’aspetto visibile di quelle che non si vedono”. Come sappiamo, per i Greci la vista ha la priorità su tutto, ma potremmo anche dire che le cose che si odono sono l’aspetto uditivo di quelle che non si odono: il significante lo si ascolta, il significato no, non è percepito, è compreso ma non si sente. In pratica, abbiamo concluso con Anassagora. Poi c’è Archelao, che ha preso delle cose da Anassagora ma le ha prese malamente. Anassagora aveva considerato l’Intelligenza come l’aria, nel senso che pervade tutto; invece, Archelao lo ha preso troppo sul serio. A pag. 1091. Archelao di Atene o di Mileto, figlio di Apollodoro, a detta di alcuni invece di Midone, fu discepolo di Anassagora, maestro di Socrate. Costui fu il primo che trasferì dalla Ionia ad Atene la filosofia della natura. Fu detto filosofo della natura, dato che con lui ebbe termine la filosofia della natura, in quanto Socrate aveva diffuso la filosofia morale. Sembra, però, che si sia occupato egli pure di filosofia morale; e in effetti filosofò sulle leggi, sul bello sul giusto. Si è creduto che l’inventore della filosofia morale fosse stato Socrate, il quale, però, dopo averla appresa da lui, la portò al massimo sviluppo. Sosteneva che le cause del divenire sono due, il caldo e il freddo; che gli esseri viventi nascono dal fango, e che l’esistenza del giusto e del brutto si deve non alla natura ma alla legge. La sua dottrina è la seguente. Sostiene che l’acqua disciolta dal caldo, raccogliendosi al centro, sotto l’azione dell’elemento igneo, genera la terra, invece in quanto esala tutt’intorno alla terra genera l’aria. Per questo motivo la terra è dominata dall’aria, e l’aria poi dal fuoco, che rotea intorno ad essa. Sostiene che gli esseri viventi sono generati dalla terra ancora calda, che produce come cibo un fango simile al latte; e così la terra ha generato anche gli uomini. Fu inoltre il primo a dire che la voce è causata dalla vibrazione dell’aria, che il mare si raccoglie negli avvallamenti, entrandovi attraverso la terra, che la stella più grande è il sole, e che tutto è infinito. Pensavano così allora, ma non c’è nulla in Archelao della profondità e dell’attenzione di Anassagora nella questione dell’intelligenza. Archelao è stato il maestro di Socrate, pare anche l’amante. Passiamo a Cratilo. A pag. 1149. Inoltre, costoro, vedendo che tutta quanta la realtà sensibile è in movimento e che di ciò che muta non si può dire nulla di vero, conchiusero che non è possibile dire il vero su ciò che muta in ogni senso e in ogni maniera. Da questa convinzione derivò la più radicale delle dottrine menzionate: quella, cioè, che professano coloro che si dicono seguaci di Eraclito e che anche Cratilo condivideva. Costui finì con il convincersi che non si dovesse neppure parlare, e si limitava a muovere semplicemente il dito, rimproverando perfino Eraclito di aver detto che non è possibile bagnarsi due volte nello stesso fiume. Cratilo, infatti, pensava che non fosse possibile neppure una volta. Non aveva neanche tutti i torti; in effetti, è così. Ma questo accade quando si separano i due momenti e del momento dell’indeterminato se ne fa la priorità e ci si dimentica bellamente del determinato, senza il quale l’indeterminato non può darsi né dirsi. Se poco ci avesse pensato, anche lui, Cratilo, non avrebbe potuto esimersi dal considerare che poteva fare queste considerazioni perché usava ciascuna volta delle parole con un senso finito, sennò non avrebbe potuto parlare, neanche indicare con il dito, che non avrebbe significato niente. Quindi, sono questi due momenti che spesso nella filosofia vengono separati e si dà la priorità all’uno o all’altro. Vedremo nel prosieguo Leucippo e Democrito. Di Leucippo non c’è un granché, alcuni dicono che non sia mai esistito, alcuni pitagorici sostengono che Leucippo fosse il nome che da giovane aveva Democrito. Ma questo non lo sapremo mai. Di Democrito ci sono tantissime testimonianze, soprattutto da parte di Sesto Empirico. Democrito ha detto cose di grande interesse, ma anche lui ha privilegiato l’πείρων, l’indeterminato rispetto al determinato, dicendo anche cose acutissime e straordinarie, ma il punto su cui occorre insistere è quello che a modo suo anche Anassagora aveva colto, e cioè che l’Intelligenza, il linguaggio, domina su tutto, è ciò che separa ma, separando, consente la conoscenza, che è unificazione. Sono i due famosi aspetti della διαίρεσις e della σνθεσις, divisione e congiunzione, che non possono stare l’uno senza l’altro, in nessun modo. Se dessimo la priorità all’πείρων di Anassimandro, all’indeterminato, ecco che c’è la teoria di Democrito: le cose si mescolano a caso, non c’è nessuna possibilità di ordinare alcunché. Il che è vero, ma va tenuto conto che questo è un momento di un tutto, anche perché lo stesso Democrito e Leucippo non avrebbero potuto affermare nulla di tutto ciò se non ci fosse anche quel momento in cui qualcosa si determina. Per poterlo pensare questo infinito, questo indeterminato, questo πείρων, devo fissarlo come determinato: sta qui il problema del linguaggio. Il problema, torno a dire, è quello dell’uno e dei molti: se l’ente è un ente è perché è determinato e, infatti, dicendo che l’ente è un ente, lo determino in quanto ente. Quindi, determinandolo, lo nego, dico che l’ente è un’altra cosa, perché, per dirla banalmente, il secondo ente, come significante, che interviene ha un’altra accezione, un’altra funzione rispetto al primo: il primo stabilisce, nomina qualcosa, il secondo dice che cos’è il primo che sta nominando. Quindi, per determinare qualcosa – questo Hegel lo aveva capito benissimo – devo negarlo, oppure non lo determino e allora non esiste, e bell’e fatto, perché se non è determinato non posso dirne niente. Anche se dico che qualcosa è indeterminato, lo sto comunque determinando in quanto indeterminato, è sempre una determinazione, un predicato, una categoria. Quindi, vedete come già allora la questione del linguaggio fosse presente e come fosse l’ostacolo di tutti i pensatori, ciò con cui vanno a scontrarsi inesorabilmente. Ancor di più poi con Platone e Aristotele: Platone vuole a tutti i costi che l’ente sia conoscibile per sé, senza determinazioni. Perché Platone l’aveva a morte con Democrito? Perché Democrito, mostrando la priorità dell’πείρων, dell’indeterminato, negava la possibilità della conoscenza. A Platone non è mai venuto in mente di dire a Democrito “guarda che negando la possibilità della conoscenza la confermi”; no, voleva bruciargli i libri, ma lo hanno fermato. Sono comunque andati distrutti tutti, quello che c’è di Democrito, infatti, sono solo testimonianze. L’impossibilità della conoscenza è stata comunque un passo importante nel pensiero, anche perché ha costretto a riflettere di che cosa si stesse parlando, parlando di conoscenza: di cosa parliamo quando parliamo di conoscenza o di possibilità della conoscenza? Anassagora inserisce l’Intelligenza, cioè il linguaggio, e la inserisce in modo preciso dicendo che è l’Intelligenza che separa le cose e, quindi, le rende conoscibili e, di conseguenza, le fa esistere, perché se non sono conoscibili posso anche dire che esistono ma in realtà sto dicendo niente. In fondo, conoscere è determinare e, viceversa, determinare è conoscere. Non è certo una sorpresa che ventisei secoli fa alcuni abbiano avute queste intuizioni, questi lampi di pensiero. Soprattutto, è interessante il fatto che questa Intelligenza, di cui parla Anassagora, dopo non sia stata più ripresa da altri nei suoi termini, cioè come ciò che consente la conoscenza e, quindi, porta a concludere che la conoscenza e la creazione sono lo stesso. Platone conosceva Anassagora, e sicuramente c’erano ancora gli scritti di Anassagora che circolavano, forse anche quelli di Democrito, prima che Platone li incendiasse. Però, è una questione che non è più stata ripresa, perché l’accostamento di conoscenza e creazione li rende praticamente come la stessa cosa, il che avrebbe creato un grossissimo problema a Platone, che voleva una conoscenza assolutamente pura dell’ente così com’è, in modo da poterlo poi esibire, perché la volontà di potenza è questo, non è che gli interessasse l’ente in quanto tale; gli interessa per poterlo esibire, per potere dire “guardate, questo è l’ente, quindi, dovete adeguarvi”, quindi, per potere dominare. In questi frammenti Leucippo dice anche che questo intelletto è ciò che consente di dominare, perché consente di conoscere e conoscere è dominare. È volontà di potenza.