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3-8-2016

 

HEIDEGGER: La questione della cosa (1935-1936).

L’io in quanto “Io penso” è il fondamento su cui d’ora in poi è posta ogni certezza e ogni verità” (questo nel pensiero occidentale, dopo Cartesio è avvenuto così) ma il pensare l’enunciato, il λόγος, è insieme il criterio guida delle determinazioni dell’essere “Le Categorie”. (ricordate che per esempio per Aristotele l’essere è determinato dalle dieci categorie) Queste vengono scoperte seguendo il filo conduttore dell’Io penso avendo di mira l’Io (a questo punto è l’Io penso che determina le categorie, in base all’Io penso vengono stabilite le categorie) così l’Io, in virtù di questa sua fondamentale importanza e per la fondazione dell’intero sapere, diviene la determinazione preminente ed essenziale dell’uomo. (sta dicendo che la filosofia con Cartesio praticamente ha posto l’Io come la direttrice da cui si diparte ogni sapere, su cui è fondabile ogni sapere) Questi era stato concepito sino da allora e lo sarà anche in seguito come animal rationale, il particolare rilievo dato all’Io cioè all’Io penso, conferisce al razionale e alla ragione un ruolo preminente, pensare è infatti l’atto fondamentale della ragione, ed ora la ragione, mediante il “cogito sum”, viene posta esplicitamente secondo la sua propria pretesa come fondamento primo di tutto il sapere come filo conduttore di ogni determinazione delle cose in generale (il passaggio che fa Cartesio: “Io penso dunque sono” questo “Io penso”, come ci ha illustrato Heidegger, diventa obiettivato, diventa l’oggetto a partire dal quale si dà l’essere, per questo Heidegger diceva prima che l’Io penso a un certo punto diviene il punto di avvio delle categorie, cioè dell’essere. L’essere si fonda sull’Io penso e questo ovviamente è importante, è importante perché da quel momento in poi la ragione, cioè l’Io penso, viene posta come il criterio fondamentale e principio di ogni sapere, cosa che per il greco antico non era per esempio, dice) Già in Aristotele l’enunciato, il λόγος fungeva da filo conduttore nella determinazione delle categorie (cioè dell’essere dell’ente) ma il luogo di questo filo conduttore la ragione umana, la ragione in generale, non era definito con i caratteri della soggettività del soggetto (perché non c’era ancora la nozione di soggetto così come è stata pensata da Cartesio in poi, cioè come contrapposizione tra il soggetto “io sono il soggetto” e l’oggetto è lì, separati) ora invece la ragione, in quanto Io penso, è espressamente posta nella prima proposizione fondamentale e supremo principio guida e giudice di ogni determinazione ontologica (cogito ergo sum, come dire che il passaggio è stato che da Cartesio in poi la ragione è diventata il fondamento dell’essere) Il principio supremo è il principio o proposizione dell’Io, (cogito ergo sum) esso è l’assioma fondamentale di ogni sapere ma non l’unico, per il semplice motivo che nel principio dell’Io è contenuto ancora un altro principio, che posto insieme col primo si trova in ogni proposizione, dicendo “cogito-sum enunciamo ciò che è nel soggetto (ego cogito ego sum) l’enunciato in quanto tale deve, per essere un enunciato, porre sempre ciò che è nel subiectum, ciò che è posto e detto nel predicato non può contraddire il soggetto, la κατάφασις deve sempre evitare l’ντίφασις (l’affermazione deve sempre evitare la contraddizione) il dire nel senso del contraddire, della contraddizione (cioè sta dicendo che comunque sia anche in Cartesio il principio di non contraddizione, il principio primo rimane fondante) Nella proposizione in quanto tale e conseguentemente nella suprema proposizione fondamentale il principio dell’Io (cogito ergo sum) è posta insieme, come cooriginariamente valida, il principio della contraddizione da evitare (quindi dice sempre Heidegger) mentre il progetto assiomatico della μθησις si pone quale principio normativo del sapere, il porre, il pensare si costituisce come Io penso come principio dell’Io, Io penso dice: Io evito la contraddizione, io seguo il principio di contraddizione. (questo Io penso che è posto a fondamento dell’essere dice “io evito la contraddizione”) Il principio dell’Io e il principio di contraddizione derivano dall’essenza del pensare stesso, in quanto si considera esclusivamente l’essenza dell’Io penso e ciò che in lui e soltanto in lui c’è, l’Io penso è la ragione, il suo atto fondamentale, ciò che si ricava unicamente dall’Io penso lo si ottiene soltanto mediante la ragione, la ragione così intesa è puramente se stessa è pura ragione. (Se dico Io penso, ciò che io penso esclude ovviamente Io non penso, che sarebbe la contraddizione, e se dice “Io penso dunque sono” significa che questo Io penso è al riparo dalla contraddizione cioè afferma, certifica qualcosa che necessariamente è, se io dico io penso lo sto pensando e quindi non c’è contraddizione, non posso dire una cosa e contraddire mentre la dico) I principi che scaturiscono puramente dalla ragione, dire io penso è la ragione pura. Secondo i caratteri fondamentali del pensiero moderno la μθησις formano le proposizioni fondamentali del vero e proprio sapere della filosofia prima, della metafisica, i principi ricavati dalla sola ragione sono gli assiomi della Ragion Pura (perché non c’è esperienza non c’è niente, c’è solo la pura ragione, dice “Io penso” se io penso allora sono, necessariamente) La Ragion pura, il λόγος così inteso, la proposizione in questa forma rappresenta il filo conduttore e la norma regolatrice della metafisica cioè il tribunale che decide l’essere dell’ente, dell’esser cosa della cosa “Io la penso dunque è” (semplicemente) Il problema della cosa è adesso ancorato alla ragion pura e cioè all’esplicazione matematica dei suoi principi o proposizioni fondamentali, nel titolo “Ragion Pura” vi sono il λόγος di Aristotele e in particolare nel “pura” una determinata configurazione della μθησις (l’idea di Cartesio è che la ragione possa essere a fondamento di tutto, a fondamento dell’essere, la ragione pura, cioè fuori da ogni esperienza, fuori da ogni altra questione, la ragione pura che dice “se io penso allora sono” . ovviamente si potrebbero anche muovere delle obiezioni se io dico “io penso” questo potrebbe anche non comportare così automaticamente la conclusione “allora sono” ma questo lo vedremo. Quindi a questo punto la “cosa” procede dalla ragione, è un prodotto di ragione, è un ente di ragione anziché un ente di natura) Il primo periodo della storia del problema della cosa è caratterizzato dal rapporto di reciprocità tra la cosa e l’enunciato λόγος, per cui seguendo quest’ultimo come filo conduttore si ottengono le determinazioni ontologiche universali le categorie. (quindi abbiamo un primo periodo in cui la cosa è connessa con il λόγος, strettamente connessa con il λόγος, con il discorso) Nel secondo periodo l’enunciato, la proposizione viene concepita come proposizione fondamentale o principio, nel senso della μθησις e conseguentemente vengono posti in evidenza i principi impliciti nell’essenza del pensare e della proposizione come tale, il principio dell’Io e il principio di contraddizione (come dire che a un certo punto il principio dell’Io insieme con il principio di non contraddizione diventa il fondamento di tutto, da Cartesio in poi in effetti è accaduto così) Su questi si aggiunge in seguito, con Leibniz, il Principio di ragione che è già implicitamente posto nell’essenza della proposizione fondamentale (il Principio di ragione “nihil est sine ratione”, nulla è senza ragione, quindi occorre la ragione perché ci sia qualcosa, quindi aveva ragione Cartesio a dire: se penso dunque sono. Perché io sono qualcosa a condizione che pensi quindi a condizione che la ragione mi dica che Io sono, perché è la ragione che dice che Io sono, solo la ragione pura) Questi principi derivano dalla pura ragione, unicamente da questa, senza bisogno di riferirsi a qualcosa che sia pre-dato. Con essi il pensiero si dà ciò che nella sua essenza ha già in sé. (con questo passaggio che fa Cartesio si arriva a Kant “il pensiero si dà ciò che nella sua essenza ha già in sé” che cosa ha già in sé il pensiero? Il fatto di esistere, il fatto di essere quindi il pensiero si dà l’essere che di fatto ha già perché se pensa vuole dire che già sussiste, quindi questa cosa che aggiunge “cogito ergo sum” questo “sum” è già presente nel cogito, perché se penso in questo pensare c’è già qualcosa che è, in questo caso il pensiero) Pag. 136: Secondo i tre orientamenti fondamentali dell’interrogare metafisico in questione è sempre un ente: Dio, il mondo, l’uomo (sono i tre orientamenti fondamentali della metafisica su dio, l’uomo e il mondo) Ogni volta si deve decidere dell’essenza e della possibilità di uno di questi enti e in modo razionale cioè muovendo dalla pura ragione, dai concetti che si ottengono dal pensiero puro (cioè questi concetti devono essere derivabili unicamente dal pensiero, non dall’esperienza) ma se unicamente nel e col puro pensiero è possibile stabilire che è e come è l’ente, è chiaro allora che per determinare l’ente come dio, come mondo, come uomo c’è bisogno di un concetto preliminare dell’ente in generale, di un pre-concetto che funga da (per dirla in breve devo già sapere che cosa è l’ente) specialmente quando questo pensiero si concepisce mateticamente e fonda se stesso come pensiero matematico esso va posto esplicitamente a fondamento di tutto il progetto, di tutto ciò che l’ente in generale è in quanto ente, sicché all’interrogare che si volge a una regione particolare dell’ente va anteposto quello che si interroga sull’ente in generale cioè la metafisica generalis (cioè per parlare dell’ente, per vedere se dio è un ente, se l’uomo è un ente, se il mondo è un ente devo già sapere che cos’è l’ente, quindi devo già dare per acquisita l’esistenza dell’ente, dell’ente in generale e di questo giustamente, come dice Heidegger, si occupa la metafisica generalis) Considerata dalla prospettiva di questa, la teologia, la cosmologia, la psicologia da che si interrogano su ambiti particolari dell’ente, costituiscono la metafisica specialis (cioè generalis quando di occupa di enti in generale e specialis quando si occupa di enti specifici, appunto come la cosmologia eccetera) Ma poiché ora la metafisica ha carattere matematico l’universale non può stare, per dir così, steso sul particolare, il particolare anzi, proprio in quanto particolare, deve essere riparato secondo dei principi dall’universale, ossia dall’assioma (cioè siccome la metafisica ha carattere matematico, ha il carattere matematico nell’accezione della μθησις e cioè dell’insegnamento, cioè di ciò che è possibile insegnare, cioè del vero e proprio oggetto dell’insegnamento del μθημα, dice Heidegger che non può stare sospeso nel particolare questo universale, non deve dipendere dal particolare che deve avere una sua dignità ed essere posto in modo tale da consentire il suo utilizzo in generale, appunto, il particolare deve essere desumibile dall’universale) Questo implica che nella metafisica generalis si deve per principio stabilire sulla base di assiomi, anzi del primo assioma, dello schema del porre e del pensare in genere, che cosa appartiene in generale all’ente in quanto tale, che cosa in generale determina e delimita l’esser cosa di una cosa (cioè che cosa fa sì che un ente sia un ente) Che è una cosa? questo deve essere preliminarmente deciso muovendo dai principi supremi di tutte le proposizioni e della proposizione in generale, muovendo cioè dalla pura ragione prima che si possa trattare razionalmente delle cose divine, delle cose mondane, prima occorre che la ragione ci dica che è così, ci dica per quale motivo un ente è un ente, la ragione, non possiamo desumerlo da altro ma solo e soltanto dalla ragione. Questo preliminare e universale chiarimento di tutte le cose quanto al loro esser cosa operato dalla pura ragione che guida il pensare razionale e in genere, questa illuminazione, questo preliminare far luce su tutte le cose è l’Illuminismo spirito del XVIII. Solo in questo secolo la filosofia moderna consegue la sua vera forma entro la quale si sviluppa il pensiero di Kant da esso sorretto e determinato dal suo autentico e nuovo interrogare, quella forma senza di cui la metafisica del secolo XIX sarebbe impensabile e cioè la metafisica di Kant appunto (che adesso andremo a vedere. Qui dice che la Critica della Ragion pura di Kant “è l’autocoscienza della ragione posta innanzi a se stessa e su se stessa” la ragione che deve potere conoscere se stessa senza bisogno di altro perché se no la ragione non sarebbe più il principio primo “cogito ergo sum” ma sarebbe derivata da qualche cos’altro che quindi precede la ragione, mentre tutti i principi devo essere desunti unicamente dalla ragione, questo in particolare nell’Illuminismo) È l’attuazione della più profonda razionalità della ragione (tutto procede dalla ratio) il compimento del processo di chiarificazione della ragione, questa è il sapere che procede da principi e quindi anche la facoltà dei principi e delle proposizioni fondamentali, una critica della ragione in senso positivo deve perciò esporre i principi della pura ragione nella loro interna unità e compiutezza cioè nel loro sistema (questo è il programma di Kant, cioè se la ragione a partire da Cartesio diventa il principio primo, anche se il principio primo rimane sempre il principio di non contraddizione, il principio fondante di ogni cosa, se tutto procede dalla ragione allora occorre esporre i principi della ragione pura nella sua unità e completezza, cioè nel suo sistema per sapere di che cosa è fatta la ragione pura e quindi qui arriviamo a Kant, il quale dice ad un certo punto) pag. 160: Conosco un oggetto, quale che sia, non semplicemente perché lo penso, questo è detto contro la metafisica, piuttosto solo in quanto determino un’intuizione data in riferimento all’unità dell’autocoscienza in cui consiste ogni pensiero posso conoscere un qualsiasi oggetto (dunque dice qui  che conosco qualunque oggetto non semplicemente perché lo penso, non è il pensarlo che mi consente di conoscere un oggetto in quanto determino un’intuizione data in riferimento all’unità dall’autocoscienza, cioè determino un riferimento a qualche cosa che deve essere già presente, ci deve essere un qualche cosa, che poi sarà il giudizio analitico a priori, ci deve essere qualche cosa, un’intuizione, pura, dirà dopo, che mi consente di approcciare l’oggetto sapendo che è un oggetto. Questo sapere che non viene dall’esperienza perché viene dal puro pensiero, mi dice che questa cosa è un qualche cosa, in che modo me lo dice? Attraverso l’intuizione pura, intuisco che se questo è un corpo allora ha un estensione, per Kant, questa è l’intuizione pura) Ogni nostra conoscenza (qui cita Kant) “si riferisce da ultimo a possibili intuizioni poiché solo mediante queste è dato un oggetto” (solo mediante queste, cioè solo l’intuizione pura, cosa vuole dire che è intuizione pura? Che non è vincolata, quindi non procede da altro, non è vincolata a altro, non ha altro in sé che la vizi, pura come il giudizio analitico a priori. Dice:) Questo da ultimo sta a significare nell’ordine della struttura essenziale della conoscenza non altro che prima (in primo luogo, quando Kant dice “da ultimo” per Heidegger è inteso in primo luogo, in primo luogo c’è l’intuizione) senza intuizione non c’è conoscenza (e l’intuizione fa parte del pensiero puro) La conoscenza umana è in sé doppia (questo è Heidegger) lo mostra la duplicità degli elementi che la costituiscono, essi sono qui definiti “intuizione” e “pensiero”, ma come è essenziale questa duplicità rispetto alla semplicità, così è essenziale il modo in cui essa, per dir così, si raccoglie e si articola, in quanto solo l’unione di intuizione e pensiero definisce la conoscenza umana (l’intuizione, il giudizio analitico a priori, perché gli altri sono giudizi sintetici, solo questi due elementi costituiscono la possibilità della conoscenza per Kant, non c’è altro, in quanto solo appunto solo l’unione di intuizione e pensiero definisce la conoscenza umana) I due elementi debbono avere una qualche affinità o comunanza tra loro per poter essere uniti, questa affinità consiste nel fatto che entrambi l’intuizione e il pensiero sono rappresentazioni. Però pre-sentare significa e avere qualcosa innanzi a sé, avere qualcosa presente a sé in quanto soggetto, qualcosa che sul sé, sul soggetto ritorna “re-presentare” (la definizione più comune e anche filosoficamente più corretta di “rappresentare” è portare qualcosa innanzi a sé in quanto soggetto, qualcosa che sul sé, cioè sul soggetto, per cui quella cosa è una rappresentazione, si ri-presenta, si presenta di nuovo, ritorna) Ma come si distinguono nell’ambito della rappresentazione l’intuire e il pensare in quanto modalità del rappresentare? Possiamo ora chiarire questo punto solo ricorrendo a un esempio: “questa lavagna” volgiamoci quindi a ciò che ci sta davanti che è posta presente innanzi a noi, abbiamo davanti rap-presentata questa determinata estensione piana, con questa tinta illuminazione, questa durezza e consistenza ecc. ciò che abbiamo adesso elencato ci è dato “immediatamente” (la lavagna, posso dire questo tavolo, mi è dato immediatamente il fatto che è solido, che è sostenuto da quattro gambe ,che è marrone con venature eccetera, tutte queste cose sono date “immediatamente” però lo scrive in corsivo, quando scrive qualcosa in corsivo vuole dire che c’è da riflettere ancora) noi vediamo e tocchiamo subito quello che si è nominato (io sto toccando il tavolo) noi tocchiamo questa estensione, vediamo questa tinta, questa illuminazione, ciò che è immediatamente rappresentato è sempre un “questo” , sempre un singolo tale o talaltro, non importa ma è sempre un questo, il rappresentare che immediatamente pone davanti sempre un singolo questo è l’intuire, (quindi questo immediato rappresentare, ciò che mi si presenta immediatamente ai sensi, anche se sarebbe da discutere ma tanto per dire che questo è ciò che lui intende, Heidegger che sta parlando di Kant ma è sempre Heidegger che parla, ciò che è immediatamente rappresentato è questo e ciò che io chiamo “questo” è intuizione, cioè intuisco che questo, per esempio, è un qualcosa) La sua essenza viene ulteriormente chiarita mediante il confronto con l’altro modo del rappresentare il pensiero, il pensiero non è un rappresentare immediato ma mediato (ecco il giudizio sintetico che non è più analitico a priori, sintetico cioè viene dopo, fa una sintesi di altri elementi l’analitico no, analizza, prende quello che c’è, prende quello che c’è nel dato immediato) ciò che rappresentando pensa non è un singolo, un questo ma un universale (qui vediamo la differenza tra “questo”, l’intuizione pura che per me si dà nell’immediato perché lo vedo, perché è qui, e un questo che invece interviene nel pensiero, ciò che interviene dopo comporta il pensiero non più l’intuizione ma il pensiero, cioè un lavoro che mi dice che questo è un tavolo perché posso generalizzarlo, appartiene alla categoria dei tavoli. Il pensiero ha bisogno di generalizzazioni per procedere mentre l’intuizione pura no, l’intuizione pura considera questo, il singolo, l’immediato percepito) Dicendo “lavagna” il dato intuitivo è compreso, concepito come lavagna. (il dato intuitivo, il tavolo per esempio) “Lavagna” così dicendo io rappresento qualcosa che vale anche per altro, anzi tutto per il dato che in un'altra aula corrisponde a questo (il tavolo, dicendo “tavolo” dico qualcosa che corrisponde anche ad altre cose come un qualunque altro tavolo del mondo) rappresentare ciò che vale per molti che è onnivalente, significa rappresentare qualcosa di universale. Questo universale “uno” che è comune ad ogni cosa che abbia con esso attinenza, è il concetto (ciò che immediatamente mi appare, questo tavolo è solo questo qui, però c’è il pensiero che universalizza: questo qui è simile a quello là e diventa una sintesi che giunge all’universale, questo giungere, ciò cui si giunge universalizzando è il concetto appunto) Pensare è rappresentare qualcosa in universale cioè secondo concetti, i concetti però non ce li troviamo immediatamente davanti perché i concetti non vengono dall’intuizione pura, è necessario formarli mediate un determinato procedimento cioè il pensare è un rappresentare mediato (dicevo che è interessante perché pensare, però sappiamo che il pensare possiamo estenderlo non soltanto all’attività di pensiero ma a ciò che questa attività di pensiero consente, ciò che chiamiamo “linguaggio”, se con pensare intendiamo il linguaggio allora questa frase “pensare è rappresentare qualcosa in universale cioè secondo concetti” dice che parlando ci si rappresenta le cose unicamente attraverso l’universale; ogni volta che mi rappresento qualcosa, quindi stabilisco un concetto, quindi affermo qualcosa, questa affermazione è un universale. Non si può affermare nulla se non per universali, ogni affermazione deve essere un universale per potere essere affermata, perché il particolare è qualche cosa che si dà in questo istante ma non posso affermarlo perché è già scomparso, devo universalizzarlo prima, cioè devo trasformarlo in concetto per poterlo affermare, quindi ogni affermazione è un universale: si parla per universali. Questo ha delle implicazioni ovviamente, e cioè il fatto che questi concetti, cioè questi universali, vengono posti come necessariamente veri, sta qui l’inghippo, l’universale è necessariamente vero perché è ciò che si predica di tutti, di tutte le cose che hanno una certa proprietà in comune, come i tavoli, le lavagne eccetera. Giungendo al concetto, cioè all’universale, ciò che predico attraverso il concetto coinvolge tutti i singoli che sono racchiusi nell’universale, che cosa dice questa cosa? Dice che se affermo un universale questo universale deve essere, vero e deve essere vero dal momento che non esclude alcunché, se una certa cosa ha certe caratteristiche questa cosa è un tavolo per esempio, ma questa cosa ha delle caratteristiche e quindi è un tavolo, quest’altra queste altre caratteristiche quindi è un tavolo, tutte queste affermazioni riferite a ciascun tavolo, se affermano che è un tavolo devono essere vere, questo è l’universale. Questo è uno degli elementi in più perché di fatto parlando non si può se non affermare qualcosa di vero, perché se affermando qualcosa affermo un concetto questo concetto è un universale necessariamente e quindi è necessariamente vero cioè di tutte le cose che predica dei singoli elementi è necessariamente vero, se è universale) Da quanto si è detto risulta chiaramente che non solo il conoscere è formato da due elementi (l’intuizione e il pensiero) ma ciò che può essere conosciuto cioè il possibile oggetto della conoscenza (μθημα) deve per essere appunto un oggetto e deve essere doppiamente determinato (per potere affermare che una certa cosa è un oggetto questo deve essere doppiamente determinato, cioè deve apparire all’intuizione pura e deve essere trasformato in concetto dal pensiero cioè dalla sintesi, solo a questa condizione possiamo parlare di oggetto) Possiamo chiarirci questo punto cominciamo dalla parola, ciò che ci è dato conoscere deve, provenendo da qualche parte incontrarci, deve venirci incontro, a questo si riferisce il “contro” “gegen” di ciò che sta di contro “gegen stand” (l’oggetto appunto, quindi l’oggetto è ciò che incontriamo, dobbiamo incontrare e ci viene incontro stando, “stando” contro perché “Gegenstand” non è come l’obiectum, perché l’obiectum è ciò che è gettato contro, quindi comporta un agire, “gegen” “contro” “stand” “stare” “ciò che sta di contro” sta fermo, non agisce) ma non ogni cosa qualsiasi che ci colpisce, non qualsiasi passeggera sensazione visiva o uditiva, non qualsiasi sensazione tattile o termica è già oggetto e cioè già sta di contro (quindi ci vuole qualche cosa in più perché sia un oggetto, che cosa?) ciò che si incontra per essere oggetto deve essere determinato come qualcosa che sta, che ha uno stato ed è quindi stabile come un’affermazione universale, così però abbiamo dato solo un’indicazione preliminare della semplice determinazione dell’oggetto, non abbiamo ancora definito ciò che veramente è oggetto della conoscenza umana secondo la concezione di Kant. (il titolo di questa parte del testo è “Il modo in cui Kant pone il problema della cosa” è chiaro che si parla di Kant) Oggetto, nel rigoroso senso kantiano, non è né il solo sentito né il solo percepito, se “io” che ho nominato, indicato non è un oggetto della conoscenza in termini rigorosamente kantiani, come non lo è la pietra che indico o la lavagna (questo Io che nomina di fatto rigorosamente non sarebbe un oggetto, non ancora) ed anche se proseguendo enunciamo qualcosa sul sole o sulla pietra, anche in tal caso, non giungiamo a ciò che, nel significato rigoroso di Kant, è oggettivo. E neppure constando ripetutamente qualcosa riguardo a ciò che è dato cogliamo l’oggetto /…/ (qui parla di esperienza e dice che) Un giudizio di esperienza esige di per sé un procedimento nuovo, un diverso modo di rappresentare, il dato esige solo il concetto (cioè senza concetto non c’è esperienza) per potere esperie qualche cosa, questo qualche cosa deve già essermi dato. /…/ Ciò che nella scienza chiamiamo ipotesi è il primo passo verso questo rappresentare concettuale essenzialmente diverso dal mero percepire, l’esperienza non sorge empiricamente dalle percezioni ma è resa metafisicamente possibile da un modo nuovo di rappresentare, il quale mediante particolari concetti, nel nostro esempio, quello di causa ed effetto, anticipa il dato, è così posto il fondamento per il dato, il fondamento dei principi, oggetto nel rigoroso senso kantiano è, quindi soltanto quello che viene rappresentato in modo tale che il dato viene determinato in modo necessario ed universalmente vago, questo rappresentare è la vera e propria conoscenza umana, Kant la definisce “esperienza”, riassumendo si deve dire questo della fondamentale concezione kantiana del conoscere, (1) per conoscenza Kant intende la conoscenza umana, (2) L’autentica conoscenza umana è l’esperienza, (3) L’esperienza si realizza nella forma della scienza fisico matematica. (4) Kant vede nella fisica newtoniana che ancor oggi si definisce classica, la forma storica di questa scienza e quindi dell’essenza della vera conoscenza umana. (cosa ci sta dicendo Kant nelle parole di Heidegger? Vi rileggo questa riga che è la più importante “oggetto in rigoroso senso kantiano è, quindi è soltanto quello che viene rappresentato in modo tale che il dato viene determinato in modo necessario e universalmente vago” come dire che per Kant l’oggetto è soltanto ciò che è calcolabile, quindi manipolabile, quindi matematizzabile nel senso proprio del calcolo in questo caso. Io ho un’intuizione immediata dell’oggetto ma questo intuire immediato non è ancora conoscenza, è un intuire che viene non dall’esperienza comunemente intesa, infatti abbiamo visto che l’esperienza Kant la intende in un’altra maniera, cioè la scienza che matematizza, quindi dicevo ho la percezione immediata che non è ancora conoscenza, perché sia conoscenza l’intuizione deve passare al pensiero, il pensiero sintetizza, sintetizzando costruisce l’universale cioè un concetto, cioè chiude l’oggetto all’interno di un concetto: l’universale. Questa è la condizione perché l’oggetto possa essere determinabile, delimitabile, di fatto manipolabile, l’oggetto della scienza né più né meno. Il questo, il questo tavolo, lo percepisco istantaneamente, la percezione è immediata ma questa percezione immediata non mi dice ancora nulla dell’oggetto, del tavolo, non so ancora niente, semplicemente percepisco, è chiaro che qui si aprono dei problemi, se la percezione è immediata o questa percezione immediata è necessariamente vincolata al pensiero e infatti Kant lo dice, per cui dopo posso fare di questa percezione immediata una conoscenza. Qui sta la rappresentazione, potremmo anche intenderla così, tirando un po’ naturalmente, e riprendendo Derrida: la percezione immediata sarebbe la “cosa” dopo di che questa “cosa” passa attraverso il linguaggio, viene inserita nel linguaggio, dopo di che viene ri-presentata ma soltanto in questa ripresentazione, per utilizzare le parole di Kant, soltanto nella sintesi, nella concettualizzazione, la prima cosa diventa una cosa, se non c’è questo ri-presentare che passa attraverso la concettualizzazione cioè il linguaggio, questa prima cosa non esiste. Qualcosa deve passare attraverso il linguaggio per essere qualche cosa, anche se può sembrare strano, soltanto a questa condizione la prima cosa è una cosa, perché c’è il passaggio dalla percezione immediata, dall’intuizione alla conoscenza, la quale conoscenza stabilisce che effettivamente ho percepito quella cosa lì e non un’altra) Quanto si è detto sinora sulla conoscenza umana è servito anzi tutto a spiegare la duplicità della sua struttura essenziale (l’intuizione e il pensiero) senza per altro mostrarla ancora nella sua intima connessione (sì perché che cos’è che connette ad un certo punto l’intuizione immediata con il pensiero? Ci deve essere un elemento che consente questo passaggio) nel contempo ci siamo fatti la prima idea della duplicità dell’oggetto di ciò che sta di contro, il “contro” semplicemente intuito non è ancora oggetto, come dicevo, ma neppure ciò che sta, semplicemente pensato secondo concetti universali è ancora oggetto. (cioè non basta la percezione immediata, l’intuizione pura, occorre il pensiero, solo a questo punto diventa oggetto, quindi i due aspetti dell’oggetto 1) l’intuizione immediata, che però non è ancora oggetto 2) il pensiero torna sull’oggetto, a questo punto diventa oggetto, diventa qualcosa che sta contro, Gegenstand) Così si chiarisce perché anche ciò che nella prima proposizione della sezione di cui ci stiamo occupando, viene definito “contenuto della conoscenza” in riferimento all’oggetto, (contenuto della conoscenza è ciò che abbiamo appena detto: intenzione e pensiero, senza questi due elementi strettamente e indissolubilmente connessi tra loro, anche se questa connessione ancora non è chiara, senza questo non c’è conoscenza perché non c’è l’oggetto semplicemente) Il contenuto si determina sempre a partire dall’intuizione come ciò che è dato in essa: luce, calore, pressione, suono (queste sono le intuizioni) il riferimento all’oggetto ossia ciò che sta di contro si attua conferendo al dato intuitivo uno stato stabile nell’universalità e unità di un concetto, soltanto quando si giunge al concetto (cioè si universalizza) allora l’intuizione pura ha quel carattere di universalità che rende l’oggetto un oggetto, (che rende l’ente un ente, perché poi è di questo che si tratta) È facile allora fraintendere l’affermazione più volte ripetuta da Kant secondo cui l’oggetto è dato mediante l’intuizione e pensato mediante il concetto, ritenendo (questo sarebbe il fraintendimento) ritenendo che il dato sia già oggetto o all’opposto che l’oggetto sia tale solo per il concetto, entrambe le interpretazioni sono erronee, è vero invece che l’oggetto che sta di contro sta solo se ciò che è intuito viene concettualmente pensato (concettualmente pensato) e sta di contro solo se ciò che il concetto determina è un dato dell’intuizione (ci vuole l’intuizione, senza l’intuizione il pensiero non pensa niente, non ha niente su cui pensare, ma l’intuizione senza il pensiero non è nulla perché, non potendo universalizzare non può dire che questo ente è un ente) Kant quindi adopera il termine oggetto nel senso “proprio” stretto e in un senso “improprio” largo. Oggetto in senso proprio è solo ciò che viene rappresentato come dato dell’esperienza, oggetto in senso improprio è qualsiasi cosa cui si riferisca il rappresentare in generale, sia esso intuizione o pensiero (cioè inteso in senso improprio è l’oggetto inteso comunemente, in senso proprio come lo intende lui) Quindi oggetto in senso largo è tanto il solo pensato quanto il solo dato del percepire e del sentire. (siccome dice poco dopo) deve palesemente tornare (cambia il soggetto) su questo ambito problematico che la distinzione del semplice percepire dall’esperienza il suo procedimento comparativo va sempre in questa direzione: dall’esperienza alla percezione (il che significa che) La percezione considerata a partire dall’esperienza e il rapporto a essa è sempre un non-ancora (ciò che io percepisco non è ancora ciò che percepisco, sarà ciò che percepisco nel momento in cui ci sarà il pensiero, questo ritorno, questo secondo ritorno, questo ri-presentare) È però altrettanto, se non, più importante mostrare che cosa sia l’esperienza intesa come conoscenza scientifica, non è più rispetto alla percezione intesa come conoscenza pre-scientifica ma per Kant davanti alle pretese della metafisica razionale erano decisivi solo questi due punti: 1) L’intuizione deve far valere come elemento fondante della conoscenza umana (se non c’è intuizione non c’è conoscenza perché non c’è la percezione dell’oggetto, se non intuisco nulla su cosa penso?) 2) La nuova determinazione dell’essenza dell’altro elemento della conoscenza, il pensiero e i concetti in base alla mutata definizione del primo. Possiamo ora descrivere e risulterà ancora più chiaro il duplice carattere della conoscenza umana secondo i diversi punti di vista, abbiamo definito sopra i due elementi l’intuizione e il concetto (questi sono chiari adesso) quella come l’individuale immediatamente rappresentato (questo tavolo) il pensiero come l’universale rappresentato mediatamente. Nell’intuizione il rappresentato è posto innanzi come ciò che sta di contro ossia il rappresentare è un avere innanzi a sé ciò che viene incontro in quanto deve essere preso come tale e viene accolto, recepito (c’è la ricezione) caratteristica del comportamento intuitivo è l’accogliere, il ricevere –recipere, la receptio, la recettività – diversamente si comporta il rappresentare concettuale eccetera (Tutto questo ci porta a riflettere meglio per esempio sulla questione della scienza, ma anche della tecnica, non come era posta dal pensiero greco antico come τέχνη, ma come tecnica moderna e cioè come si è costruita la nozione di oggetto, di “cosa”. Come sapete nell’antico greco non esiste il concetto di oggetto come lo conosciamo noi, il greco antico aveva una parola per indicare l’oggetto “πργμα” che non ha nulla a che fare con l’obiectum. Dopo Cartesio e poi con Kant l’oggetto ha assunto una forma che è quella che utilizziamo oggi quando parliamo di cosa o di oggetto, e cioè una configurazione tale per cui ci è dato immediatamente dall’intuizione che qualcosa è. Cartesio aveva posto rispetto all’Io penso come cosa, come oggetto come condizione dell’essere, Kant invece si pone l’intuizione pura come la condizione del pensiero, come la condizione perché io possa percepire qualcosa, però l’intuizione pura, ciò che viene recepito, è una questione complessa perché o lo si pone semplicemente, come certe volte sembra porlo Kant ma non sempre, come un puro dato ricevuto, altre volte invece come qualche cosa che necessita di un passo in più, come se l’intuizione pura fosse quasi un modo che Kant si inventa per dare una giustificazione alla conoscenza, il problema per lui è “da dove viene la conoscenza?” Quali sono le condizioni del conoscere? La condizione del conoscere è che io abbia un’intuizione, cioè colga qualche cosa, percepisca qualche cosa, dopo di che interviene l’universalizzazione, ma a condizione che io percepisca qualche cosa, ciò che rimane problematico è proprio questa percezione e cioè il giudizio analitico a priori, che poi “a priori” è ridondante perché se è un giudizio analitico è necessariamente a priori, e cioè il riconoscimento del dato puro. La questione è: esiste davvero un dato puro? Esiste una percezione pura, esiste una ricezione che non è vincolata a niente ma che esiste di per sé, questa percezione di cui parla lui, cioè l’intuizione pura, ha una portata notevole perché si pone come la condizione stessa del pensiero, ma vi dicevo, questa intuizione pura, questo dato lo ricevo da dove? Certo Kant risponderebbe dal mondo, ma in che modo lo ricevo? Qui la cosa è vaga perché dice “vedo questo tavolo” e lo pongo come un “questo”, ma come faccio a porlo come un questo? Come faccio a porlo come un particolare, come un dato dell’esperienza, come so che è un dato dell’esperienza? Certo non lo posso sapere prima che ci sia la sintesi, la questione è se, come diceva giustamente Derrida, perché ci sia la cosa, viene presa nel linguaggio, dopo di che diventa qualche cosa, necessita comunque sempre di un qualche cosa. E se, poniamo questa ipotesi, se nel linguaggio, nella struttura del linguaggio ci fossero le condizioni, proprio nella sua struttura, le condizioni per potere stabilire l’esistenza di qualche cosa, allora il passaggio all’affermare l’esistenza di qualche cosa sarebbe consentito dalla struttura stessa del linguaggio, come se il linguaggio all’interno di sé, cioè delle sue informazioni e istruzioni, in questo caso nelle istruzioni propriamente, contenesse un qualche cosa che consente di stabilire l’esistenza di qualche cosa, verrebbe da dire che non è linguaggio, però un qualche cosa che esiste, mettiamola così, di esistenziale, di esistente all’interno del linguaggio. A questo punto potrebbe essere che il linguaggio costruisca delle sequenze tali che indicano la presenza, adesso è ancora tutto da vedere, indicano la presenza di un qualche cosa e allora a partire da questo può avvenire tutto ciò che anche Heidegger descrive, come se ci fosse la condizione, all’interno del linguaggio, di potere cogliere un qualche cosa come un qualche cosa. In effetti se togliamo il linguaggio io ho la percezione? È una domanda che non ha nessun senso perché è come dire una formica che cammina incontra una certa cosa e devia quindi potremmo dire che la formica ha una percezione, il problema rimane nel fatto che lo stiamo dicendo noi, reagisce a degli stimoli, sì certo è possibile così come la lampadina che cade, si spacca, anche lei reagisce a degli stimoli però la cosa è più complessa, noi siamo nel linguaggio, e questo non va senza dei risvolti, senza delle implicazioni. Per Kant, e infiniti altri, l’intuizione pura è un atto del pensiero, è il pensiero che coglie l’oggetto, che coglie qualche cosa, certo il problema è che ogni cosa dovesse essere all’interno del pensiero perché se no sorgono dei problemi, il pensiero non è più la condizione della conoscenza. Il pensiero per Kant non è qualcosa che ha a che fare con il linguaggio, il pensiero è il pensiero puro, cioè il puro atto di pensiero che è l’Io penso poi in definitiva, il pensiero che dice di sé “io penso”, quindi si pone come un atto pensante, ponendosi come un atto pensante dice “io esisto” quindi se io penso allora posso, così come ho reperito il mio pensiero come oggetto, posso reperire qualunque altro oggetto. Dunque posso reperire l’oggetto con il pensiero, senza il pensiero non posso cogliere niente, però in Kant rimane la questione; a Kant non sarebbe mai venuto in mente di dire che la realtà è un prodotto del linguaggio, per lui sarebbe stata una follia, la realtà c’è, si tratta di vedere come la conosco, anche se non la posso conoscere per quello che è perché passo sempre attraverso una ripresentazione, quindi questa cosa in sé non la coglierò mai per quella che è, cioè non è che non c’è questa cosa, se non ci fosse non intaccherebbe la percezione, cioè l’intuizione pura, quindi non partirebbe il pensiero, quindi non ci sarebbe conoscenza. Ciò che vi stavo ponendo un po’ fra le righe è se questa possibilità della conoscenza, quindi dell’oggetto, produzione dell’oggetto qui come ποίησις, la produzione dell’oggetto non sia qualche cosa che attiene alla struttura stessa del linguaggio. In effetti tolto il linguaggio non c’è neanche più il problema della percezione, non si pone nessun problema, non c’è nulla, e quindi è lì che deve trovarsi la risposta a una questione del genere.