3-8-2006
La formazione dell’analista è una questione importante,
si tratta di sapere che cosa fare, occorre sapere cosa succede
quando una persona si rivolge all’analista, perché si rivolge all’analista,
cosa si attende e soprattutto cosa si attende l’analista, cioè qual è l’obiettivo
che si prefigge, e dicevamo che il più delle volte una persona si rivolge all’analista
per qualche malanno, qualche acciacco, qualche accidente e abbiamo detto tante
volte che è una situazione paradossale perché questa persona ha prodotto da sé
tutti questi disturbi per il solo fatto che se li vuole godere, e viene a
chiedere a noi di sbarazzarsene, perché? Il motivo c’è in
effetti ed è quello che riguarda la responsabilità, in questo modo si
sbarazza della responsabilità, cioè continua in definitiva a non pensare, a dormire
e allora ecco che dice di volersi sbarazzare del suo malanno ma di non esserne
capace, e quindi si rivolge a qualcuno. Ma si tratta
di un malanno che come dicevo la persona stessa ha prodotto. Però
occorre anche considerare questo: perché una persona si lamenta di qualcosa?
Solo per una questione di responsabilità, cioè per
sbarazzarsi della responsabilità? Sì, ma perché deve sbarazzarsene? Certo per
potere continuare a godere del suo malanno, e perché
deve continuare a godere del suo malanno? Perché dà
delle emozioni, dicevamo tempo fa, è vero anche questo. Ma
delle emozioni, in realtà, che se ne fa? Veniamo al nocciolo della questione:
gli servono per potere raccontare. Non hanno altra funzione, come dire che una persona si crea, si produce un malanno per
poterlo raccontare, e quindi viene da noi per poterne parlare, per poterne
raccontare, tutto il resto è un pretesto per dire, per continuare a dire e
questo occorre che l’analista lo sappia. Parlare, solo questo, certo parlando espone le cose che ritiene essere vere, è ovvio, il
linguaggio funziona così, certo l’abbiamo detto mille volte: racconta la sua
verità, c’è qualche altro motivo? No, non direi. Tant’è che questo illustra
anche abbastanza bene il motivo per cui all’inizio di
un’analisi tendenzialmente tutti i sintomi scompaiono o comunque si attenuano
fortemente, quando una persona inizia un’analisi per qualche acciacco, malanno,
fobie, paure di ogni sorta e di ogni genere, poco dopo sembra come miracolata,
ed è un momento delicato, perché la persona potrebbe a quel punto interrompere
l’analisi supponendo di avere raggiunta la “guarigione”, ma non è così, il
fatto è che parlando, semplicemente parlando ed esponendo le cose che ritiene
essere vere, la sola enunciazione, esibizione della verità ha un effetto
terapeutico, cioè produce soddisfazione, la soddisfazione dà benessere e di
conseguenza, sta bene…
Intervento: l’analista
funziona come referente se no potrebbe parlare con
chiunque?
Teoricamente sì, però l’analista è colui
che lo ascolta, è interessato a quello che dice e soprattutto non lo
contraddice così come avviene generalmente, lascia che il discorso si
dispieghi, soprattutto all’inizio di un’analisi, generalmente quando un’analisi
si avvia l’analista preferisce lasciare parlare anche per avere degli elementi
di questa persona della quale non sa nulla in genere, però è vero quello che
dice, in teoria potrebbe farlo con chiunque altro e così avviene, quando una
persona riesce a parlare, trova una persona che l’ascolti e riesce a parlare, a
dire le sue cose dopo un po’ sta meglio, questo è noto da sempre: una persona
che per esempio si sfoga con l’amico, amica quello che è, dopo tendenzialmente
ne ha un benessere perché? Come spiegare questo miracolo, cosa è successo
esattamente? In genere non si sa dare un motivo di una cosa del genere, si dice che si è sfogato, si è tolto il peso, tutte metafore
che non significano niente. Che peso? Non ha un sacco di cemento sulle spalle,
eppure in un certo senso è come se fosse così, è appesantito, e parlando si alleggerisce
ma cosa è successo esattamente? Ha raccontato, ha parlato e parlando
il suo discorso snodandosi esibisce, espone delle cose vere, e il discorso è
soddisfatto e di conseguenza la persona è soddisfatta e quindi sta meglio…
Intervento: diciamo la
persona a cui uno si rivolge sia a un amico sia a uno
psicanalista funziona sempre da referente perché io posso raccontarmi tutta la
mia storia però finché non la esibisco a qualcuno non sono sicuro, se l’altro
mi sta ad ascoltare vuol dire che ciò che io sto dicendo ha un certo senso, una
certa verità…
Sì e funziona così, certo, soltanto l’analista della
parola non ha bisogno di parlare con altri, mentre la persona ha bisogno di
qualcuno perché non è mai sicura di quello che pensa, anche se apparentemente
esibisce una certezza tuttavia ha bisogno di qualcuno che faccia
da supporto a quello che dice, mentre l’analista della parola è colui che non
ha più bisogno di avere supporti, perché ha gli strumenti per potere valutare
da sé. Dunque dobbiamo tenere conto che la persona viene per parlare, cioè per fare quella cosa che non può non fare e immagina
che l’analista, lui, risolva il problema ma è proprio questo che si aspetta? Anche se è questo che dice, certo, è vero. Supponiamo che
dica di avere paura dei topi, siamo sicuri che venga lì per sbarazzarsi della
paura dei topi? O la paura dei topi è un pretesto per
parlare? C’è questa eventualità, in fondo se volesse
sbarazzarsi della paura dei topi non se la sarebbe neanche fatta venire, certo
questa paura può essere funzionale a qualcosa ma se considerate attentamente la
questione è sempre funzionale al raccontare, a dire quelle cose che pensa e
cioè fare un listaggio delle cose che crede essere vere, c’è l’eventualità che
tutto si risolva in questo, dico l’eventualità perché dobbiamo rifletterci bene,
è una possibilità tutt’altro che remota, dopotutto se il linguaggio costringe a
parlare cioè a costruire discorsi, perché dovrebbe essere differente nel caso
in cui si rivolge all’analista? Continua semplicemente a parlare cioè a trovare occasioni per parlare, certo l’analista è l’occasione
prioritaria per parlare anche perché l’analista non dovrebbe mettersi a rimbeccare
l’analizzante, non dovrebbe fare una cosa del genere, se è tale non lo fa. Come
utilizzare dunque tutto questo, perché la persona possa trovare le condizioni
per incominciare a fare funzionare il pensiero? Anziché fare un listaggio delle
cose che crede può incominciare a interrogarle e cioè incominciare
a chiedersi perché pensa le cose che pensa, e di conseguenza perché fa le cose
che fa, cioè si muove nel modo in cui si muove. Qui ovviamente incontra il linguaggio, incontra la condizione del suo
pensiero. Dunque porre le condizioni perché la persona si accorga
e incominci a interrogare un suo pensiero, cioè si domandi perché pensa le cose
che pensa, quando avviene questo e quali sono queste condizioni? Questo non è
semplice, però occorre che consideriamo la questione visto che è ciò che
facciamo: una persona racconta una certa cosa e se la racconta è perché la
crede vera, questo è ovvio, e quindi è già qualcosa che per la persona sia vera,
che poi si enunci come un dato di fatto, come qualcosa che è accaduto, come la
realtà delle cose, questo è assolutamente marginale, però se la racconta è
perché la crede vera, noi diciamo che la crede vera, per
la persona è diverso, la racconta perché sa che è vera, ché non è la stessa
cosa, e quindi occorre incominciare a volgere tale sapere in qualcos’altro,
almeno nella possibilità che potrebbe essere così, in effetti tutta la
difficoltà di un’analisi, ed è per questo motivo che dura molto tempo, è fare
in modo che la persona abbandoni la necessità di raccontare le sue verità, non
che cessi di farlo, ma che abbandoni la necessità, che è diverso, può diventare
facoltativo, arbitrario, accidentale ma non necessario, il problema è: se cessa
di fare questo, che fa? È una questione che può apparire banale
ma è tutt’altro che irrilevante, c’è una sola cosa che può consentire
alla persona di abbandonare la sua verità, quale se non offrirgliene una più
potente? Però occorre che si accorga che è tale se no
non succede nulla, nessuna persona abbandona le sue verità per nessun motivo se
non, sempre, per un’altra più potente, cosa vuole dire più potente? Che dà maggiore possibilità di parola, di discorso. Perché quando uno riconosce che qualcosa non è vera la
abbandona? Per i motivi che sappiamo, e cioè non gli
dà più la possibilità di proseguire in quella direzione e quindi la abbandona
perché non gli dà occasione di parola, mentre la verità li offre, ma come fare
una cosa del genere? Mostrando che nella verità che la persona esterna, palesa,
dice, mostra, esibisce c’è più di quanto suppone che ci sia, in questo modo noi
otteniamo due risultati con una sola operazione 1) mostriamo, come dicevo, che
c’è di più e cioè che è possibile ottenere qualcosa di
più efficace, altre verità, altri spunti per parlare, per proseguire; 2) quella
verità che doveva essere ultima non è più ultima ma diventa almeno penultima,
perché ce n’è un’altra, e poi un’altra ancora e così via. Dunque mostrare che
nella verità, nelle cose che dice c’è di più di quanto immagina che ci sia, e
che non c’è solo quella verità, che le cose che lui dice sono vere ma non c’è solo questo, perché se incominciasse a
falsificare letteralmente le cose che dice la persona dopo un po’ il discorso
si arresta, la persona stessa lo farà, in seguito, ma non subito, dapprima
espone delle verità. In fondo una persona viene da voi e vi racconta delle cose
così, quello che ha fatto il giorno prima o il suo
pensiero, qualcosa che è accaduto, sono queste le cose, e che cosa fa
raccontando questo? Racconta dei fatti, cioè cose che
sono accadute, quindi cose vere, fa questo e continua a fare questo però,
insieme a quelle cose “vere”, mettiamo le virgolette a questo punto, non è che
siano assolutamente vere, sono vere, forse, rispetto a quel gioco, ma mostrando
dunque che ci sono altre cose altrettanto vere incominciamo ad alludere al fatto
che quel gioco comporta altri giochi, ci sono altri giochi che stanno operando,
come dire che allarghiamo la questione a macchia d’olio, è procedendo lungo
questa via che la persona si accorgerà che afferma delle cose e può anche
confutarle, perché il discorso che va facendo comporta altre verità, cioè altri
giochi. Non è limitato come immaginava che fosse dalla realtà, la realtà è sempre un limite. Funziona così: uno non pensa mai
e suppone che una certa cosa sia proprio così come pensa che sia e può procedere
per anni in questo modo, gli umani pensano così mentre
non è così, si pensa che le cose stiano in un certo modo riferendosi a
questioni importanti, questioni su cui si costruisce la propria esistenza e si
pensa che sia proprio così mentre non è così, o potrebbe esserlo in alcune
circostanze, solo che per la persona lo è sempre, non in certe circostanze, lo
è comunque sempre, da qui qualche problema che sorge qua e là…
Intervento: Faioni scusi…
uno racconta la paura del topo potrebbe essere qualche
cos’altro che la paura… la paura del topo potrebbe essere uno schermo per non
indagare certe altre questioni…
Uno schermo, sì potrebbe anche essere, è una possibilità,
sicuramente il topo rappresenta qualcosa che per la persona è sgradevole,
spaventosa, e quindi a questo punto si domanda perché un topo, che cosa gli
rappresenta il topo e citerà una serie di cose, supponiamo che ci dica che il topo fa schifo perché è una cosa che cammina per
terra, ve lo dico perché l’ho sentito dire anch’io, come se gli umani non camminassero
per terra…
Intervento: è
velocissimo…
Anche un proiettile lo è. Il più delle
volte la persona non sa esattamente perché il topo fa paura, non lo sa cioè si arresta ad un certo punto, ora ovviamente non
possiamo arrestarci anche noi ma dobbiamo continuare e a quel punto, quando c’è
l’arresto, ecco che la persona non sapendo, non potendo proseguire in quella
direzione ne apre un’altra, un’altra che probabilmente per qualche connessione
è collegata al topo. Inizialmente le questioni possono anche non avere a che
fare con il topo, però sono delle cose cui lui crede e sono probabilmente
quelle cose che sono la condizione perché lui possa
avere paura del topo. Ora se questi elementi che sono
la condizione perché lui possa avere paura del topo, incominciano ad estendersi,
ad allargarsi a macchia d’olio, questi stessi elementi incominciano a
modificarsi, non sono più gli stessi perché si aggiungono altri elementi, a
questo punto, procedendo lungo questa direzione, c’è la possibilità che
rendiamo inutilizzabili quegli elementi che costituiscono la condizione perché
lui possa avere paura del topo o di qualunque altra cosa. Cesserà di avere
paura dei topi, senza sapere bene come è accaduto…
Intervento:…
Sì, lo verrà a sapere dopo perché è avvenuto questo fenomeno,
in fondo si opera esattamente così come si opera per togliere qualunque paura,
l’esempio che abbiamo fatto mille volte “stanno portando
via la macchina” ci si affaccia alla finestra: “no, non è vero”, ho modificato
le condizioni per avere paura e cioè che la mia macchina scompaia, certo la
cosa lungo un’analisi può essere più complessa, non è così limitata però le
cose che più sono importanti per quella persona, quelle cui non rinuncia,
quelle che considera ovvie, scontate, inevitabili, sono quelle la condizione
della sua paura, le cose più banali, più banali perché rappresentano per quella
persona la realtà delle cose…
Intervento:…
Esatto, le più immediatamente evidenti quindi non ci
penserà mai a metterle in dubbio, non lo potrà mai fare, potrò
mai mettere in dubbio che questo è un posacenere? Dovrei essere matto per farlo e quindi non lo farò…
Intervento: lei diceva
lo verrà a sapere poi, il motivo… potrebbe essere che
lungo questo spostamento infinito questa paura scompaia senza che ci sia la
possibilità di risalire alla prima inferenza?
Sì, ma non è necessario, in effetti
può essere una curiosità per quella persona venire a sapere il perché, in
effetti quando ha inteso come funziona il meccanismo, e qui interviene la
questione del linguaggio, cioè come è possibile costruire qualche cosa e per
quale motivo si mantiene allora sa anche perché ha avuto paura del topo, a cosa
gli serviva mantenerla: a parlare, a questo gli serviva la paura del topo, a
nient’altro che questo. Lo stesso motivo per cui serve
il tifo calcistico o la foga politica o qualunque altra cosa, serve solo per
parlare, per continuare a parlare, togliete questo e non c’è assolutamente più
nessun motivo per fare niente, assolutamente niente, neanche per dire. Questo dovrai fare Eleonora quando sarai psicanalista, il prima
possibile…
Intervento: devo
lasciare parlare la persona…
Questo sicuramente, se glielo impediamo sarà difficile, per
prima cosa lasciarlo parlare e questo già è un fenomeno insolito per una
persona, trovarsi a parlare senza che nessuna lo interrompa continuamente per
dirgli la sua, quindi è un’occasione assolutamente
insolita quella di trovarsi a parlare con qualcuno che ascolti, e già soltanto
per questo ha un beneficio immediato, che naturalmente non significa nulla perché
non ha né risolto né inteso assolutamente niente…
Intervento:…
Certo, infatti produce una
certa soddisfazione e quindi benessere. Inizialmente le persone immaginano che
l’analista le capisca, l’analista capisce più di quanto l’analizzante riesca immaginare ma non è questa la questione, perché l’analista
può intendere qualunque cosa ma se non intende la persona non succede niente, l’analista
deve fare in modo che sia la persona a intendere…
Intervento:…
L’analizzante può immaginare che l’analista sia compreso
del suo dolore e della sua sofferenza, né d’altra
parte l’analista lo smentisce in questo senso, ciascuno può pensare ciò che
ritiene più opportuno…
Intervento:…
Soffrire insieme con l’altro, da qui la compassione, beh
l’analista è meglio che stia al suo posto Eleonora, che non si metta al posto
dell’altro…
Intervento: altrimenti
non fa più il suo lavoro…
Esattamente, non deve mai mettersi al posto dell’altro,
deve rimanere al suo, che è quello di analista, che è
la posizione dicevamo forse la volta scorsa, del linguaggio, l’analista in un
certo senso è il linguaggio, poiché fa continuare a parlare, fa continuare a
reperire cose, impedisce che si arresti il discorso, impedisce che si arresti
anche quando la persona vorrebbe che si arrestasse in una sua bella
conclusione, fa in modo che continui aggiungendo altre cose, altri discorsi,
altre verità dicevamo, per cui il discorso può essere proseguito, spesso
termina il suo discorso dicendo: quindi è così! È così? Forse, ma anche così,
poi anche così…
Intervento:…
Sì certo, per esempio il depresso conclude
che quindi non c’è nessuna speranza per l’umanità, gli umani si continuano ad
uccidere da quando esistono, è sempre stato così, adesso è anche peggio perché
hanno trovato armi sempre più potenti, non c’è nessun modo né motivo di pensare
che cessino anzi, continueranno a farlo sempre di più, quindi perché avere una
speranza, e immaginare che esista un domani migliore, perché? Perché avere ancora qualche speranza? E
perché soprattutto offrire speranza agli altri se oramai la catastrofe è qui?
Chiaramente può trovare un sacco di ottime
argomentazioni su questo, e quindi che gli diciamo? Lo costringiamo a
proseguire, lui dice che non c’è più speranza, e
quindi? Prosegua dunque, non si fermi. È costretto a questo punto a inventare qualche altra cosa, lo costringiamo a non
fermarsi. Questo facciamo. Era un esempio banale, però
l’analista deve impedire che il discorso si fermi Eleonora, perché la cosiddetta
nevrosi, quella che Freud chiamava così, è prodotta in
buona parte proprio dal fatto che il discorso si arresta su un certo punto e da
lì non prosegue, perché è così e tanto basta, tipico è l’esempio del paranoico…
Intervento: qualsiasi
cosa si dica, non ha importanza cosa si dice,
importante dire, andare oltre…
Esattamente, non è il contenuto, non ha nessun rilievo. L’analista
promette questo a una persona che inizia l’analisi:
che non si fermerà mai, questo, e quindi vivrà in eterno, detto questo possiamo
anche fermarci qui. Era giusto per spiegare alla mia amica Eleonora che cosa dovrà fare.