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3-8-2004

 

Intervento: mi interrogava la storia di un incapace, una persona che si ritiene incapace, ovviamente questa persona, che recita l’incapacità per tutta la vita… diciamo che il sogno dell’incapace è di essere capace

Un momento, un momento, non si precipiti, cos’è che ha detto?

Intervento: normalmente il sogno dell’incapace è di essere capace, no?

Sogno nel senso che lo desidera?

Intervento: sì… poi la realtà lo porta a rimanere nelle sue posizioni perché la realtà gli pone in atto certe problematiche, suppongo che sia un discorso di responsabilità a questo punto perché se uno è capace… ecco che mantenere questo ambito di incapacità per questo discorso tutto sommato lo mette al sicuro da certe problematiche

È una possibilità certo, ma qual è la questione?

Intervento: la paura di essere artefice tutto sommato del proprio discorso

In alcuni casi sì…

Intervento: …difficilmente prende iniziative, ovviamente sta giocando un gioco un gioco particolare che avrà il suo tornaconto… se interroga le premesse a questo punto potrebbe la incapacità potrebbe dissolversi tutto sommato…

Può porre la questione in termini più radicali? Perché una persona rimane così saldamente aggrappata alle proprie fantasie, alle proprie paure?

Intervento: può anche succedere che non si trovano gli elementi, gli agganci giusti

Può succedere anche questo…

Intervento: qual è il mio tornaconto in tutto ciò?

Lei si riferisce a questa fantasia di incapacità, però può porre la questione ancora in termini differenti. Una persona, seguendo il suo esempio, afferma di sé di essere incapace, va bene, perché non dovrebbe affermarlo? Intendo dire che se è questo ciò che desidera fare perché no? Ora a questo punto è ovvio che se una persona dice di essere incapace ma che vorrebbe invece non esserlo allora ecco che ci chiama in causa, almeno marginalmente, poiché se volesse esserlo lo sarebbe. Si lamenta di qualche cosa da cui vorrebbe uscire, però permane in questa cosa di cui si lamenta e allora la prima cosa che dobbiamo considerare è che in questa condizione in effetti oltre essercisi messa ci vuole anche rimanere, ché se no ne uscirebbe, dunque perché dice di volerne uscire se non lo fa? Il motivo è molto semplice: se dicesse di volerne uscire e lo facesse allora questo personaggio cesserebbe di avere un vantaggio che è quello di mostrarsi incapace, soltanto se questa incapacità è immaginata essere subita può funzionare e consentire a quella persona di rimanere in quella posizione, perché è subita, ma se è agita è diverso, come dire: io voglio essere incapace così nessuno mi chiede niente, per esempio, ma è diverso in questo caso perché la persona è perfettamente consapevole di essere capace ma fa finta di non esserlo per motivi suoi, ora per questo dicevo che la questione può porsi in termini più radicali, e cioè perché una persona in definitiva continua a fare o a “essere” tra virgolette quello che è…

Intervento:…

Esattamente, è un discorso che può farsi rispetto a qualunque cosa…

Intervento:…

Le varie psicoterapie, psico qualunque cosa, si occupano e si preoccupano molto sul perché una persona è, per esempio, depressa o ha delle fantasie e quindi vogliono togliergli quelle fantasie, perché? A che scopo? Non c’è nessun motivo, se una persona vuole essere depressa fa benissimo…

Intervento: ieri sera si parlava con Cesare e ci eravamo spinti più in là del vantaggio in ordine strutturale del linguaggio e partendo dalla questione della volta scorsa si parlava del sogno come ciò che protegge il sonno e dell’incubo che riporta alla veglia e ci interrogavamo della funzione sia del sogno che dell’incubo e avevamo immaginato che ci fossero due premesse: una che partiva da una premessa accolta come questione estetica in cui il sognatore enuncia la premessa “sono capace” la persona che nella sua vita riesce a fare… tutto sommato cosa fa? Deve costruire delle proposizioni vere quindi la persona che parte dalla premessa della sua capacità deve continuare per questa strada e continuerà a costruire proposizioni vere a questo punto se interviene un incubo, da questa premessa di capacità… la persona che normalmente parla ed è capace riesce nella vita, cosa fa? Può essere svegliata da un incubo al momento in cui questa capacità gli viene tolta, sogna di non essere più capace… questo può essere l’incubo che può contrapporsi alla premessa… invece partiamo dalla premessa di incapacità, per qualsiasi motivo per continuare a vivere a parlare e quindi per essere depresso, la nevrosi accoglie la premessa “non sono capace” e continua nella sua vita a utilizzare le allegorie e le metafore che gli servono per continuare questo discorso ecco, quando interviene l’incubo in questo discorso? quando c’è la riuscita, quando sogna di riuscire nel suo intento, tutto sommato quando sogna che la sua capacità o incapacità è un gioco linguistico dato dalla negazione o dall’affermazione… a me sembra in termini logici che soltanto la riuscita e quindi la impossibilità di continuare un certo discorso potrebbe…

Io toglierei questa formulazione “in termini logici”, mi sembra un po’ eccessiva in questo caso, ciò che sta enunciando è una possibilità, è possibile che una persona affermi di essere incapace e il sognare di essere capace porti a un problema tale da trasformarlo in incubo…

Intervento: una persona non può essere considerata l’artefice della sua incapacità

In alcuni casi sì, la questione è complessa, ci sono tante varianti che intervengono, una persona che dice di sé di essere incapace perché ha una fantasia per cui desidera uccidere una certa persona e se fosse capace di farlo allora lo farebbe e quindi continua a ripetersi di essere incapace per proteggere sé soprattutto, e l’altra persona, e quindi continua a dire di essere incapace…

Intervento: questo è il vantaggio

Certo, però si tratta di vedere in ciascun caso che cosa sta funzionando, è difficile in circostanze del genere enunciare delle leggi universali…

Intervento: mi pareva che il luogo comune non potesse considerare assolutamente come ciascuno sia il discorso che fa e quindi se si trova a vivere ed ad agire l’incapacità che chiaramente subisce da un mondo esterno…

Anche in questo caso andrei cauto con queste generalizzazioni, ché l’incapacità dipende in quale gioco è inserita, è da valutare anche qui che cosa si intende, che cosa sta dicendo la persona quando afferma di sé di essere incapace, a chi è rivolta questa cosa, a quale pubblico e a che cosa gli serve. Prima facevo un esempio banalissimo di una fantasia, una persona che ha desiderio di uccidere una certa persona, però si trincera dietro l’incapacità “io non sono capace di uccidere una mosca” per esempio, sono incapace, non so neanche farmi valere, tutto questo serve per evitare di confrontarsi con la possibilità, nel caso fosse capace, di sopprimere quella persona, cosa che evidentemente non può fare…

Intervento: le regole dei giochi…

Sono fondamentali, sono quelle che danno il senso a tutto quanto…

Intervento: sono assolutamente ferree perché non possono variare se devono fare quel gioco

Sì, una qualunque cosa inserita in una storia differente assume un senso differente…

Intervento: per approcciare la questione delle negazione in termini più…

C’è una questione sull’affermazione e negazione?

Intervento: al momento in cui nego la mia capacità, questa affermazione comporta l’affermazione di una capacità

Se nego la capacità per poterla negare devo affermarne l’esistenza quanto meno…

Intervento: io nego l’incapacità

La nega o l’afferma? Prima ha detto che l’afferma…

Intervento: quando ci sono delle negazioni il senso comincia a prendere delle strade difficoltose, nel senso che può comportare delle confusioni

Ma è preferibile che non le comporti. Daniela vuole sapere il significato di questa frase di Lacan, Jacques, francese, psicanalista, morto: “nulla di creato che non appaia nell’urgenza, nulla dell’urgenza che non ingeneri il proprio superamento nella parola”, significa questo: qualunque cosa accada finisce nell’urgenza di dire e una volta che si dice ciò che si dice sovrasta, supera questo oggetto precedente. Tutto qui. Sì, è curioso perché mostra cosa accada quando non si è in condizioni di interrogare ciò che si dice, adesso voi non l’avete letto ma potete farlo, la questione fondamentale è sapere interrogare, sapere interrogare ciò che si sa, ciò che si sa con assoluta certezza. Interrogare questo è la cosa più ardua, perché al momento in cui la so con assoluta certezza allora inevitabilmente cesso di interrogarla, come diceva il nostro amico Wittgenstein che non ha voluto leggere “io so che questa è la mia mano”, sapendo questo non ha nessun bisogno di pormi altre domande a questo riguardo, lo sa e tanto basta. Ora la questione spesso va al di là della domanda, che già comunque è una bella questione, e tutto ciò che si sa con assoluta certezza cessa di essere interrogato, come avviene una cosa del genere? Questi ragazzi affermano cose con assoluta leggerezza, cose che non stanno né in cielo e né in terra, ma con una straordinaria sicurezza, che cos’è questa assoluta sicurezza? Di cosa è fatta? Potremmo dire che procede, ed è questo che fornisce tanta sicurezza, dalle emozioni. L’emozione come sappiamo non è altro che il raggiungere, in una sequenza di proposizioni, quella proposizione assolutamente vera, che si dimostra, in base a quel gioco che sta facendo, essere assolutamente vera, lì c’è quella sensazione che gli umani chiamano emozione. Questa conclusione assolutamente vera, quando la si trova finalmente si trova che è vera come dire: “è proprio così!”…

Intervento:…

Mi sto chiedendo come si giunge alla certezza, e l’emozione gioca un ruolo notevole, perché questa sensazione che non è altro che la certificazione della verità del proprio pensiero è una dei motori più potenti che hanno gli umani, tant’è che le emozioni sono ricercate da tutti e noi sappiamo anche perché, proprio perché danno questa sensazione di assoluta certezza, di verità incontrovertibile, finalmente si è raggiunta la verità, “le cose stanno così!”. Ora questo soddisfa ovviamente il requisito fondamentale del linguaggio che è concludere con qualcosa di vero, di assolutamente vero, e ogni volta che questo si verifica ecco che c’è l’emozione, che sia l’avere fatto la pagina della settimana enigmistica, l’avere sottomesso gli iracheni agli americani, l’avere sedotto qualcuno, quando per qualche motivo una qualunque cosa produce quella sensazione che chiamiamo emozione allora da quel momento quella cosa è assolutamente certa e non c’è più, almeno così appare, alcuna possibilità di rimetterla in discussione, almeno volontariamente, perché ormai è acquisita, come se il linguaggio avesse messo un timbro sopra “è così”. Ed essendo così la questione è chiusa e non viene più interrogata, ma proprio per una questione emotiva, non logica, non c’entra niente con la logica. Se si riesce a fare passare qualche cosa, qualche affermazione e questa affermazione riesce a produrre in chi l’ascolta una emozione, come un essere giunto a sapere questa cosa, questa persona crederà quella cosa con assoluta certezza. Se noi riuscissimo in una conferenza a compiere una cosa del genere avremo risolto il problema, cioè fare in modo che questa verità, questa affermazione che promuoviamo sia accompagnata dall’emozione e quindi dalla sicurezza, dalla certezza che si tratti di qualcosa di assolutamente vero, ché l’emozione certifica questo, non fa nient’altro che questo, certifica l’assoluta verità di ciò che sta accadendo, nel bene come nel male ovviamente…

Intervento: leggevo i dialoghi di Platone… nell’uditorio è una ricerca del bene, la possibilità di giovare del bene e di poterlo anche fare

Qualche volta sì, non necessariamente…

Intervento: però quando si vede che una strumento comporta il minimo della fatica possibile e mi permette di fare anche questo con il massimo giovamento da parte mia allora va bene

Dipende, metti il caso che io faccia un rebus e Cesare mi dica la soluzione del rebus, in questo caso ho raggiunto l’obiettivo immediatamente ma non mi soddisfa, così come dire ad un appassionato di gialli il nome dell’assassino, è una cosa insopportabile, eppure in quel momento gli hai risolto il problema immediatamente, la questione è che, nel caso del giallo, il ritrovamento dell’assassino è soltanto l’esca, il pretesto, in realtà è il percorso che ti porta lì che interessa non il nome dell’assassino…

Intervento: Socrate che parla al posto di Platone si riesce a capire come in realtà il bene sia l’espressione sempre della ricerca del piacere del singolo solo che viene mitigata, il singolo capisce che il bene è l’ordine più conveniente, che è sempre un discorso di convenienza… in realtà a livello retorico se noi riuscissimo in una conferenza a dimostrare che il linguaggio è uno strumento… che permette di raggiungere il bene, il piacere come lo si vuole identificare senza andare a scardinare nulla ma in realtà reintroducendo un concetto che è già insito nel bene magari a livello retorico potrebbe funzionare meglio perché dovremmo dimostrare che il bene muove da un utilitarismo che è da sempre e che quindi non cambia niente non ci sono sconvolgimenti e questo comporta lo scoprire questa nuova faccia del bene…

È una buona ipotesi, che in parte abbiamo già seguita, cercare di fare una cosa del genere, però l’emozione che accompagna una cosa del genere deve essere, come in tutti i giochi, accompagnata dalla sensazione di vittoria che c’è sempre, vittoria sull’altro, che non sa, mentre io so…

Intervento:…

Dobbiamo prima intendere come funziona una cosa del genere, dicevo della vittoria, in accezione molto ampia ovviamente, però è questo che da la sensazione più forte, ora non è necessaria magari però è sicuramente uno dei componenti che produce la sensazione più forte perché la vittoria è l’avere ragione dell’altro…

Intervento: in questo senso il potere è una dimostrazione di verità

Sì, io ho ragione e l’altro no, certo, e se ci pensa bene in effetti se io ho potere sull’altro, questo potere è sempre un potere che muove dalle mie ragioni, che sono più forti, poi queste ragioni posso farle valere in vario modo ma in ogni caso sono le mie ragioni che vincono sull’altro e lo piegano, poi che lo pieghino con la retorica o con la bomba atomica questo in molti casi è marginale, ma rimane il fatto che viene piegato alla mia ragione “io ho ragione e lui ha torto”, tant’è che si parla anche della ragioni delle armi, è sempre questa la questione in gioco: l’avere ragione sull’altro, dell’altro, come dire che ciò che io penso è vero ciò che lui pensa no. In qualunque conversazione, l’agone dialettico è proprio questo per antonomasia…

Intervento: non è previsto il punto di vista

Nell’agone dialettico?

Intervento: no non solo… il punto di vista: a me piace pensare così e continuo a pensare come la penso

In genere avviene così certo, però se ci pensa bene anche in una conversazione amichevole, di due persone dove ciascuna delle due ha il suo punto di vista però questi punti di vista non collimano, allora uno può anche ascoltare il punto di vista di quell’altro ma la persona rimane della sua opinione anche se ascolta quell’altro così, con benevolenza, il poverino non ha capito però anche lui ha il diritto di parlare, e si tiene il suo punto di vista, pensando il più delle volte: “tanto so che il mio è quello giusto”…

Intervento:…

Sì, per questo non ha nessun interesse il punto di vista, né ascoltarlo, a meno che non ci siano motivi particolari, né soprattutto esporli perché è come enunciare una propria superstizione “io credo questo” non so provarlo però credo che sia così, va bene, però non ha un gran valore euristico…

Intervento: in genere anche quella che si spaccia per verità…

È soltanto una questione estetica, in realtà non è sostenibile da niente e non mi metterò a sostenerla, né a difenderla a meno che sia un gioco, come facevano una volta i gesuiti, la Ratio Studiorum, uno scritto che racconta come addestravano i fanciulli, i giovani rampolli a dibattere retoricamente le varie tesi, uno sosteneva una cosa e l’altro la contraria, per allenarli, e a meno che non ci sia una condizione del genere, l’opinione espone un pregiudizio, una superstizione, cioè qualcosa che è creduto vero ma che non può essere dimostrato e cioè non può essere dimostrata la premessa maggiore da cui segue necessariamente tutto quanto fino alla conclusione, e in realtà è la figura nota come entimema, un sillogismo tronco, manca la premessa maggiore, per esempio, c’è la minore e la conclusione ma la maggiore non c’è. Tutti i proverbi sono fatti così “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino” la premessa maggiore dovrebbe essere universale, e cioè che tutti i gatti che vanno al lardo ci lasciano lo zampino, che è falso, e quindi non è sostenibile, e allora per farla passare si tace, si sorvola allegramente la premessa maggiore…

Intervento: si sa

Esatto, vox populi, vox dei, quindi per tornare alla questione, si tratta di sapere interrogare…

Intervento: la questione della potenza, il poter costruire proposizioni vere e quindi continuare in una direzione che si crea e non metterle in gioco, mi interessa la questione del “tu hai torto” perché laddove io credo, per il mio modo di pensare chiaramente ascolterò le opinioni dell’altro e penserò che sono opinioni e quindi che lui ha torto…

Intervento: anche contro il nostro discorso che parte dall’unica cosa che si può sostenere e non si può negare ma immediatamente ciò che interviene da parte dell’altro, dal discorso comune è “tu hai torto” come dire non è vero quello che stai affermando, questa è una questione curiosa mi pare una tra le più curiose come se fosse implicito in quel “tu hai torto” il nichilismo di tutta una società la quale riconosce pur tuttavia, sa che le sue sono credenze e attribuisce a tutto ciò che ascolta questo attributo di credenza, come se fosse una fantasia… parte dalla menzogna in qualche modo come se tutto quanto ascolta fosse necessariamente falso, ma questa è un’affermazione di verità cioè è un paradosso come se nell’affermare che tutto è falso dicesse il vero e siamo sempre lì, è la struttura del mentitore

È inevitabile, se io so alcune cose e le so per certo, perché corrispondono alla realtà, allora chiunque affermi il contrario affermerà necessariamente il falso, è inevitabile, perché questa persona non essendo in condizioni di interrogare né ciò che diciamo noi, né ciò che afferma lui, si muoverà unicamente a partire da questa considerazione “io dico il vero, tu dici altro, l’altro dal vero è falso, quindi dici il falso…

Intervento: io aggiungevo che il vero che lui afferma non lo riconosce tuttavia come vero lo accoglie…

Come non lo riconosce come vero? Lo stabilisce, ne ha la certezza, ha la certezza che sia così, non sa perché ma ne ha la certezza…

Intervento: sì certo ne ha la certezza e non può cambiare il modo di pensare però la questione laddove si espone in termini di realtà e fantasia è come se qualsiasi cosa fosse assolutamente fantastica e quindi non ci fosse nulla della quale poter affermare la necessità, come dire che il discorso occidentale parte da una menzogna

Sì, la menzogna è che esista almeno qualcosa che sia fuori dal linguaggio, questa è la menzogna fondamentale…

Intervento: non arriva a porre la questione in questi termini

Il discorso comune no, certo che no, dice: questo tavolo è un tavolo ed esiste indipendentemente dall’esistenza del linguaggio, perché è così, perché lo vedo, perché lo sento e basta, non va oltre, occorre fornire gli strumenti per potere andare oltre, se non li ha…

Intervento: non era questa la questione… in questa costruzione di un mondo esterno e quindi delle cose fuori dal linguaggio, fuori da una struttura parlata in cui le cose esistono… è come quando si parla di dio chiunque che ci creda o non ci creda comunque da per scontato… afferma o nega l’esistenza di dio ma nel compiere questa operazione di affermazione o di negazione di qualche cosa di trascendente mantiene qualsiasi cosa in questo statuto di trascendenza alla quale da il suo assenso, come se appunto esistesse la magia, laddove qualcosa è fuori da una struttura segnica per cui occorre il mio intervento perché significhino qualche cosa e quindi la mia affermazione è come se il linguaggio con un termine potesse significare qualsiasi termine quindi la certezza che mi viene data dal sapere che questo tavolo è fatto in questo modo che è una sostanza e che esiste al di là di quello che io ne dico, al di là… e questa certezza è che le cose possono essere in un modo e in un altro modo l’importante è che io “possa affermare” senza saperlo…

Dicendo che la necessità ultima è di potere affermare che qualche cosa è così che è vero, cioè poter affermare o meglio concludere con una proposizione che si suppone essere vera, certo, e questo è il linguaggio che lo costringe a fare, la struttura stessa del linguaggio, non può non fare una cosa del genere, costruisce proposizioni e accoglie quelle vere in modo da potere continuare con altre stringhe…

Intervento: qualche incontro fa parlavamo forse delle cose e del linguaggio che ne determina l’esistenza o la non esistenza lei parlava del termometro nel frigo… mi riferisco in particolare alle sensazioni corporee: la sete, la stanchezza a proposito del sogno… anche queste esistono perché esiste il linguaggio dicendole esistono però sembrano essere… se io ho sete è il corpo che manifesta delle necessità, mi interrogavo su questa relazione tra il corpo che in realtà non esiste di per sé ma per effetto del linguaggio ma che influenza il linguaggio ed è come se avesse vita propria in certe circostanze…

Intervento: infatti anche l’emozione di cui si parlava prima è qualcosa che esiste in quanto c’è un corpo che prova emozioni

È la questione centrale, e in effetti non a caso lei ha tirato fuori la questione del termometro, cioè lei sta dicendo che il corpo è provvisto di sensori che segnalano delle variazioni di stato, l’assenza di una quantità sufficiente di acqua viene segnalata, ora perché tutti questi marchingegni abbiano un significato e cioè che ci sia qualcuno per cui esistono, occorre che possano essere inseriti all’interno di un sistema tale per cui questo segnale sia per qualcuno qualcosa, in caso contrario, in caso contrario che cos’è esattamente? Supponiamo che non ci sia nessuno per cui sia qualcosa…

Intervento: sarà nulla

La questione lei può porla in termini più precisi in questo modo: senza il linguaggio che ne sarebbe di tutto questo? Ha una risposta possibile? Se sì, quale? Cioè ha un senso questa domanda? Ce l’ha ovviamente ma in termini logici è possibile rispondere a questa domanda: “se sentirei la sete in assenza di linguaggio?”

Intervento: non la sentirei perché non ci sarebbe nulla con cui esprimere la sete…

Certo, come il termometro messo in frigo, lui rileva variazioni termiche, o come il bicchiere, se cade si spacca…

Intervento: e non sa neanche di essersi rotto

Probabilmente no certo, e quindi perché tutto questo esista è necessario che esista per qualcuno, ed è questa la questione centrale di tutta la semiotica, che qualcosa sia un segno per qualcuno, se è segno per nessuno, non è neanche segno, non è, semplicemente, anzi, non potremmo neanche dire che non è, non potremmo dire niente, come dire che a partire dal fatto che il corpo produce dei segnali come moltissime cose, a partire da questo ecco il linguaggio organizza questi segnali in un sistema, in un codice ma è al momento stesso in cui organizza che questi segnali che incominciano a esistere per questo stesso linguaggio, e di conseguenza il corpo stesso a quel punto incomincia a esistere. Il problema centrale è che una domanda del genere, cioè: “se non ci fosse linguaggio avrei sete oppure no?” non me la posso porre perché non significa niente, perché non c’è risposta possibile, sarebbe come domandarsi come potrei pensare o cosa penserei se non esistesse il linguaggio, non ha nessun senso perché non ha nessuna risposta, ed è per questo che non ha senso, cioè nessuna direzione. In questo caso potrei rispondere qualsiasi cosa e il suo contrario, indifferentemente, posso anche dire sì, sentirei la sete perché dio me lo comanda, in fondo è una risposta che non è peggio di tante altre, e al pari di infinite altre è assolutamente priva di senso…

Intervento: è una costruzione contraddittoria costruita dal linguaggio

Il linguaggio è, come abbiamo dette varie volte è un sistema che è simultaneamente chiuso e aperto, è aperto perché può costruire una quantità interminabile di proposizioni, chiuso perché non consente di uscirne, non consentendo di uscirne pone un limite e cioè non sapremo mai come pensare senza linguaggio, non sapremo mai se avremo sete senza linguaggio, è una domanda senza senso, e logicamente non è ponibile, non è ponibile perché non ha nessuna possibilità di risposta…

Intervento:…

Esatto, perché per potere rispondere con assoluta certezza a questa domanda dovremmo uscire dal linguaggio, e da lì fuori compiere questa operazione, e senza linguaggio con cosa la compiamo? Con niente, la domanda si può porre ma non si può rispondere, in nessun modo, così come la domanda “esiste qualcosa fuori dal linguaggio?” che senso ha? Non può rispondere, quindi può rispondere qualunque cosa e il suo contrario, a piacere, però il linguaggio è fatto in modo tale che impedisce di fare una cosa del genere, almeno razionalmente, perché impone per la sua stessa struttura, di concludere con una proposizione vera e in questo caso non lo può fare, e quindi è il linguaggio stesso che impedisce di fare questo, cioè di accogliere come vera qualcosa che tale in nessun modo è provabile.