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3-7-2013

 

La proprietà. Perché possa costruirsi una fantasia di “proprietà”, quindi di potere, occorre che qualche cosa sia accaduto nel proprio discorso, e cioè che se per esempio io mi comporto in un certo modo allora vengo riconosciuto, vengo riconosciuto perché ho soddisfatto per esempio il desiderio di qualcuno. Da qui si incomincia a valutare che è importante la soddisfazione del desiderio, perché mi consente, se io soddisfo il desiderio di qualcuno, di ricevere in cambio del riconoscimento, cioè mi viene detto che quello che io dico o penso è vero, quindi posso proseguire. A questo punto sorge anche un altro elemento che è più un’interrogazione per il momento, e cioè la soddisfazione del proprio desiderio, sorge dal modello della soddisfazione del desiderio altrui oppure no? Cioè è la soddisfazione del desiderio dell’altro, di altri, che fa sorgere in me l’idea di soddisfare un mio desiderio? Poi il “desiderio” come si configura generalmente? Il “volere qualcosa” può essere la caramella, può essere l’attenzione, può essere la carezza, può essere il controllo dell’economia e della finanza sul pianeta, la struttura è la stessa. Che cosa si impara? Che l’altro vuole qualcosa da me, inizialmente vuole che stia buono, vuole che mangi, quindi l’altro manifesta un suo desiderio e se io soddisfo il suo desiderio allora l’altro mi ricambia in qualche modo, cioè l’altro è soddisfatto. Fino a un certo punto tutte queste nozioni non sono presenti, non hanno nessun senso, finché non gli si attribuisce un significato, ma se l’altro viene soddisfatto dal fatto che io adempia o corrisponda al suo desiderio, questo che cosa produce nel mio discorso? Intanto che questo altro che io soddisfo è quello da cui ricevo in cambio il riconoscimento. È l’altro che è in condizioni di verificare il mio discorso, non io il suo, almeno inizialmente è così, anche perché un bambino piccolo non ha gli strumenti per verificare se ciò che dice un adulto è vero o falso, però a un certo punto accade che questo essere umano più piccolo incomincia a trarre delle inferenze, e cioè: se soddisfo quell’altro che ha il controllo della verità, allora se io stesso posso avere il controllo della verità allora altri faranno di tutto per soddisfare il mio desiderio, che a questo punto incomincia a sorgere. Perché diventa così importante il proprio desiderio, cioè la soddisfazione del proprio desiderio? Perché quando si desidera qualche cosa si mette in moto una procedura che richiede, secondo il funzionamento del linguaggio, di essere compiuta, è solo questo: una sequenza che attende di essere compiuta da ciò che le regole di questa sequenza hanno stabilito; a questo punto si tratta soltanto di costruire delle sequenze in modo tale che possano essere soddisfatte, che è esattamente la cosa che accade quando si fanno dei giochi per esempio. Perché uno si mette a giocare o a fare le parole crociate? Si potrebbe considerarla una perdita di tempo totale: dopo che ha riempito le caselline che cosa ne ha? Ha la soddisfazione di avere compiuto un procedimento, un percorso. Da dove viene questa idea di compiere questa sequenza? Dal funzionamento del linguaggio, cioè dalla necessità che ciascuna sequenza termini con una affermazione riconosciuta come vera dal gioco in cui è inserita: il linguaggio fa questo, la persona fa questo, non fa nient’altro che questo, e cioè costruisce delle sequenze allo scopo di concluderle. Ora, che sia un discorso, che sia un gioco con le carte o che sia quella cosa che chiamiamo “desiderare qualche cosa” la struttura è la stessa, in fondo il gioco è come se “desiderasse” tra virgolette il suo compimento, cioè la vittoria, cioè la conclusione, la vittoria se è contro qualcuno, la conclusione se uno si mette a giocare il solitario, ma la struttura è esattamente la stessa. Quindi da un certo punto la persona, quella piccola, incomincia ad accorgersi che da parte di altre persone più grandi c’è un qualche cosa che poi viene a sapere che si chiama “desiderio” e cioè c’è la volontà di ottenere qualche cosa da qualcuno o da qualche cosa, non sa ovviamente perché, però avverte che c’è questa esigenza e che se dice lui, un umano piccolo: “se soddisfo il suo desiderio, lui è contento, però è lui che ha la gestione di tutto quanto, se io riesco a mettermi al suo posto ecco che a questo punto ho la gestione totale”. Questo è esattamente quello che avviene nei ragazzini a una certa età, quando i ragazzini passano quella fase in cui i genitori non capiscono niente, non sanno niente, a quella in cui invece “so tutto io”, e cioè stanno prendendo il posto dell’adulto che prima sapeva tutto quindi aveva il controllo di tutto, e adesso mano a mano cercano di scalzarlo dalla sua posizione di onniscienza per mettercisi loro, perché si sono accorti che questo gioco di concludere delle sequenze è irrinunciabile e dà loro quella sensazione di potere sul mondo. Anche fare un solitario, non dà la sensazione di potere sul mondo, ovviamente, perché è adulto e sa che è una cosa molto più limitata ma la struttura del pensiero che mette in moto il procedimento è esattamente la stessa e cioè il controllo su qualcosa poi che sia un gioco o sia il controllo sul pianeta certo cambia la proporzione ma la struttura è la stessa. Intervento: mi tornava il termine “valore” perché c’è un addestramento ai valori, per esempio il valore del denaro o che certe cose hanno più valore di altre quindi anche la questione del desiderio si desidera che cosa? Qualche cosa che per la persona ha valore…

Il valore ha un’unica funzione, e cioè una cosa ha valore quando consente, questa cosa, la costruzione di un fantasia di potere. Per il bimbetto ha valore il soldatino, per un adulto no, non ne ha nessuno, perché per il bimbetto ha valore il soldatino? Perché il soldatino gli permette di costruire una scena dove lui è il generale, il comandante, che conduce l’esercito alla vittoria e costruisce quindi un film dove lui ovviamente è il generale, è colui che conduce l’esercito vittorioso. All’adulto il soldatino non basta più, ha bisogno di altre cose, di altri valori, per esempio la ricchezza, che deve essere esibita, deve essere manifestata. Oppure la famiglia per esempio, è un valore perché? Perché la famiglia, strutturata come deve essere strutturata, consente alle persone che fanno parte della famiglia di pensarsi all’interno di un sistema che è quello giusto, e quindi di essere approvati dalla comunità, quindi di essere riconosciuti dalla comunità, e quindi di essere garantiti, in definitiva, che la loro scelta è stata quella giusta e quindi sono nel vero. Un altro valore è la religione, per lo stesso motivo, si forma una congrega di persone che credono tutte la stessa cosa, se si è in tanti vuol dire che abbiamo ragione, e quindi la persona immagina di fare parte di un gruppo di persone che sanno come stanno le cose, e quindi possono certificarmi riconoscendomi di essere nel giusto. La stessa cosa, anche se più in piccolo, accade quando si formano quella aggregazioni di amici, di ragazzi, ragazzine eccetera, ha la stessa funzione, trovarsi cioè all’interno di un gruppo di persone dalle quali si viene riconosciuti in prima istanza come membro di quel gruppo. Quindi il valore è tale, o meglio una qualunque cosa possiede un valore, se e soltanto se, questa cosa consente la costruzione di una scena nella quale io sono importante per qualcuno, se no non ha nessun valore. Un altro esempio banalissimo è il fatto che tra un uomo e una donna c’è una notevole differenza tra valori, ciò che per una donna ha un valore grandissimo per un uomo è totalmente irrilevante e viceversa, perché per un uomo, o per una donna, quella certa cosa è quella che consente di pensarsi, se è una donna per esempio, al centro dell’interesse di tutti, di essere la più bella, la più interessante, la più affascinante, la più simpatica eccetera…

Intervento: il discorso occidentale senza valori non potrebbe funzionare perché se una cosa non ha valore non viene accolta…

Occorre intendersi di volta in volta su come si definisce questo termine “valore”, io prima dicevo che l’unica funzione che ha il valore così come è inteso nella comunità in cui ci troviamo è quella di essere il costituente necessario di una scena che mi vede protagonista…

Intervento: la questione del valore nei termini dell’economia e della finanza è fondamentale perché c’è l’addestramento ai valori, la teoria economica, non è più una teoria così come la conosciamo ma diventa una teoria dell’agire. Il desiderio è soggetto ai valori perché io desidero solo ciò che per me vale.

Il valore può subire anche un’altra vicenda, e qui entra in gioco la retorica, cioè il fare in modo che qualche cosa acquisti valore, diventi realmente un valore per i più o per molti, la retorica serve a questo, e cioè a fare in modo che una certa cosa diventi una cosa di valore. Il caso più manifesto è quel discorso che la retorica chiama “parenetico” cioè un discorso elogiativo, elogia ciò che io sto per fare: io voglio fare una certa cosa, so però che molti sono contrari e allora costruisco un discorso che mostra che quello che io dico è vero e fa in modo che altri lo ritengano vero, e cioè diventi un valore per altri, così come è stato per tutte le religioni per esempio, per tutti gli stati, per tutti i governi, qualunque cosa abbia la necessità di avere un consenso, perché se non ha la necessità del consenso non importa niente. Il consenso è ciò che permette di fare quelle cose che richiedono l’apporto di altri e quindi il valore diventa, come diceva Cesare, necessario al punto che si deve “costringere” tra virgolette altri ad accogliere quel valore che dico io. Se riesce questa operazione retorica allora ci troviamo esattamente nel caso precedente, e cioè questo valore che io voglio, in questo caso per esempio il consenso, è ciò che mi permette di pensarmi facente parte di un gruppo di persone che ha ragione, esattamente come dicevamo prima, e questo è sempre possibile ovviamente perché di qualunque cosa come sappiamo perfettamente è possibile mostrare che è vera e mostrare che è falsa. Intervento: una fantasia di abbandono di chi si ritiene escluso…

Il più delle volte è una variante in effetti, una variante nel senso che il porsi esclusi da un gruppo, ritenuto importante ovviamente, mette gli altri nella condizione di notare l’esclusione, è in molti casi una forma di seduzione come si manifesta in modo evidente in certe situazioni dove una persona che è sempre stata per esempio seduta qui vicino a un certo punto si mette al fondo, è ovvio che può mettersi dove le pare ma in molti casi questo è come un segnale che dice “guardate che io non voglio più far parte di voi” oppure, che non è esattamente vero, la cosa più probabile “sono quaggiù, accorgetevi che io sono qui in fondo e fate in modo di chiamarmi”. Perché una fantasia di abbandono possa darsi occorre che il gruppo da cui io mi sento abbandonato sia considerato un valore, se no non importa niente. Ecco, tutto questo pone la questione del desiderio in un modo che è differente da come l’ha posta Freud e chiunque gli abbia fatto seguito per sostenere l’insostenibile, e cioè che il desiderio è strutturale agli umani perché procede dalla pulsione. Si è inventata la mancanza, teorizzata poi da Lacan come la “mancanza a essere”, non manca assolutamente niente ovviamente, a meno che il gioco che si sta facendo preveda tra le sue regole anche questa per cui manca qualcosa, ma questa è una decisione. Voglio dire che se vogliamo porre il “desiderio” come qualcosa di strutturale possiamo anche farlo, nel senso che basta modificare l’accezione e cioè intendere il desiderio come qualche cosa che è ciò muove una combinatoria verso il suo compimento, verso la sua conclusione, se chiamiamo questo il “desiderio”, allora è strutturale. Dipende da che cosa intendiamo cioè da quale gioco decidiamo di fare. Spesso abbiamo detto che non c’è nessuna realtà, non è esatto, c’è tutta la “realtà” che volete, basta porre delle regole che dicono che questa cosa è reale e bell’e fatto. Questo è ancora più drammatico dell’affermare che non c’è nessuna realtà, perché a questo punto c’è la realtà, c’è tutto quello che vi pare, basta modificare il gioco, le regole del gioco, ed ecco che c’è la realtà, semplice. Ma, come dicevo, è più drammatico perché a questo punto non si pone più come una contrapposizione tra chi dice che la realtà esiste e chi dice che non esiste con tutte le implicazioni che comportano, e cioè definire cosa: non si definisce più nulla a questo punto nel senso che non è più necessario, la realtà esiste se faccio un gioco che prevede che esista, la realtà non esiste se faccio il gioco che prevede che la realtà non esista. La domanda “che cos’è?” del desiderio o qualunque altra cosa mostra soltanto una richiesta di intendere in che modo lo si sta utilizzando, cioè: che gioco stai facendo? Se mi dici che gioco stai facendo allora so come la stai utilizzando quindi so che quella cosa per te è questo. Porre il desiderio in questi termini sovverte la psicoanalisi, non nel senso che la falsifica, non è né vera né falsa, è un gioco al pari di qualunque altro, cioè se io faccio il gioco con le regole che ha poste Freud allora il desiderio viene dalla pulsione, dove c’è la fonte, la spinta, l’oggetto e la meta, se non faccio quel gioco il desiderio è tutt’altra cosa. La questione interessante è che entrambe queste posizioni sono arbitrarie, l’unica cosa che potremmo dire a questo punto è che mentre la prima chiude la questione, dicendo che il desiderio è questo, poi con tutte le scappatoie e tutte le captatio benevolentiæ che si possono fare per evitare certi termini problematici, ma invece nel secondo caso c’è la proposta di un’apertura infinita. Il desiderio è quello che dice Freud? Sì, se ci si attiene alle sue regole, se ci atteniamo a queste altre regole il desiderio è un'altra cosa, fra tutte le possibilità qual è quella che consente una maggiore apertura? Cioè la possibilità a procedere a elaborare, interrogare e costruire nuove costruzioni? Ecco, quella potrebbe essere la direzione più “interessante”, mettiamola tra virgolette, e cioè quella che fa il gioco del linguaggio, fa il gioco del linguaggio in quanto lo promuove, offre al linguaggio la più grande possibilità di produzione che, per il momento, sia immaginabile. Quindi in effetti si potrebbe partire da lì rispetto all’economia e cioè l’economia come la dottrina della gestione dei valori, vale a dire la possibilità di poterne fare quello che voglio io, non solo, ma anche di dire che cosa vale e che cosa no, che è quello appunto che tenta la pubblicità da sempre, o i governi o gli stati o le chiese di ogni sorta. Come si gestisce un valore? Una volta che è stato imposto in un certo senso si gestisce da solo, per questo Verdiglione diceva quella cosa che è rimasta celebre, seguendo Marx: “le merci vanno da sole al mercato”, nel senso che essendo diventate un valore sono ciò che ciascuno desidera per potersene impossessare e diventare lui di valore, e quindi essere certificato di trovarsi nella condizione, nella posizione di chi dice il vero, di chi è nel vero e quindi è importante.

Intervento: ciò che ha più valore è ciò che è più raro… la verità è rara…

Una fanciullina vuole sedurre non quel fanciullo che è subito pronto e disponibile, ma quello che è ambito da tutte le altre e nessun altra è riuscita ad avere, è quello che lei vuole per sé.