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3/7/1996

 

Occorre assolutamente che voi iniziate a praticare come analisti, non è più possibile che sia soltanto io. Tutti gli strumenti che avete acquisiti in questi anni sono più che sufficienti, ma che cosa si tratta di fare esattamente? Abbiamo detto in varie occasioni che tutto ciò che è stato fatto da noi in questi ultimi anni, se per un verso ha condotta un’elaborazione straordinaria che non trovate da nessuna altra parte nel mondo, nello stesso tempo pone delle complicazioni immense perché stiamo facendo esattamente ciò che ciascuno assolutamente, in tutta la sua vita, cerca di evitare di fare e cioè andare a porre delle questioni, delle domande laddove nessuno può, né deve domandare. Abbiamo, come Ulisse, varcato le colonne d’Ercole che, come sapete sono poste “acciò che l’uom più oltre non si metta”. E invece noi ci siamo messi. A Ulisse andò malissimo, come racconta Dante, però... insomma, che cosa distingue esattamente ciò che stiamo facendo dalla psicanalisi? Diciamo quella che propone Verdiglione, tanto per citare una delle più, tutto sommato interessanti, tra quelle che ci sono in circolazione, non mentoviamo altre che sono una cosa da rabbrividire. Ecco, vi faccio un esempio molto semplice, in questa teoria, questa di Verdiglione, c’è un sistema fatto e finito, anche se sempre esposto a modifiche, dove ciascun accadimento in qualche modo trova una sua collocazione all’interno di questa teoria. Dicevamo la volta scorsa, se una persona fa in un certo modo allora c’è o ha una questione rispetto al parricidio, ma allora in questo caso cosa si fa? Nulla, semplicemente la persona si rende conto che c’è una questione rispetto al parricidio e trova degli strumenti per giustificare questa affermazione che afferma che c’è una questione connessa con il parricidio. Né può fare altrimenti. Ciò che stiamo cercando di fare da qualche tempo è qualcosa di assolutamente differente e cioè, laddove c’è una questione, una qualunque questione, porre delle condizioni perché questa non possa più porsi nei termini in cui si poneva prima, e cioè non sia più credibile. Se io sostituisco ciò che penso con un’altra cosa allora c’è, o può esserci, un effetto terapeutico, almeno provvisoriamente, ma la questione rimane. Il sistema che abbiamo elaborato ci consente di dissolvere in termini talmente radicali la questione che in nessun modo può porsi più, e la struttura è quella che indicavamo tempo fa, e cioè che, strutturalmente, io non posso credere una cosa che so essere falsa. Ora la difficoltà ovviamente sta proprio in questo, e cioè giungere ad intendere una questione o potere intendere una questione come “falsa” tra virgolette e quindi non credibile. Ma falsa non nel senso che ce n’è un’altra che sia vera, ma nel senso che è falsa esattamente così come è vera, perché è qui che noi aggiungiamo un elemento che è determinante.

Continuiamo a fare questo parallelo con la teoria di Verdiglione dove, un certo enunciato posto in termini differenti da quelli in cui viene posta quella teoria risulta, anche se non viene detto, falso, risulta non corretto, errato e a causa di questa erratezza ci sono dei problemi, quindi va sostituito da un altro più appropriato. Questione che è molto discutibile, come se un enunciato (è sempre la stessa questione che cacciata dalla porta ritorna dalla finestra) venisse eliminato come falso, e rimpiazzato da uno vero, in qualunque modo vogliano chiamarsi questi altri termini di vero e falso. La questione sorprendente che noi siamo riusciti a fare, e che possiamo fare, è questa, che possiamo provare che lo stesso enunciato è tanto vero quanto è falso, è questa la questione straordinaria, e cioè che questo enunciato non è più sostituibile di altri, nel senso che può essere sostituito da qualunque altro, in qualunque altro modo e da qualunque altrettanto legittimamente, ma a questo punto questo enunciato non ha più nessuna forza, perché se voi riflettete bene, quando un enunciato, una sensazione, un’emozione che sono sempre, giungono sempre come il conseguente di antecedenti che sono affermazioni, proposizioni ecc., la forza dunque di un enunciato che costringe quindi a muoversi, a fare in un certo modo, a stare bene, a stare male, a stare di qui a stare di là, da dove la trae tutta questa forza? Cos’è questa forza? Possiamo dire in prima approssimazione che è un enunciato che è creduto vero. Funziona così: se io credo vera una cosa, allora questa cosa è necessariamente così, e quindi si pone come un elemento necessario e qualunque cosa io farò o non farò terrà conto di questo elemento necessario. E allora ciò che andiamo facendo, che abbiamo fatto, è togliere, sbarazzare questa necessità, e allora non c’è più nessun elemento, nessuna proposizione che possa imporsi con forza rispetto a qualunque altra, non più di quanto il gioco del tressette si impone sullo scopone scientifico, e allo stesso modo.

Ora, gli strumenti acquisiti in questi anni ci consentono di fare questo, e che vantaggio ha? Un vantaggio immenso. Qualunque altra dottrina, compresa quella di Verdiglione (teniamo questo esempio perché è quello con cui abbiamo avuto a che fare più di altri) mantiene la credenza, mantiene fermo il credere in qualche cosa e quindi mantenendo la credenza mantiene in potenza tutta una serie di problemi che possono sorgere, continuamente, problemi di fede che vacilla, gli stessi problemi che ritornano quando la conversione ormai è datata e non ha più la forza di prima e tutti i problemi ritornano tali e quali, possono essere tenuti a bada da una fede molto forte, ma se questa fede vacilla non c’è niente da fare, ecco mentre tutto ciò avviene in questo caso, quello che stiamo proponendo è qualche cosa che rende strutturalmente impossibile che una qualunque proposizione si imponga con forza rispetto a qualunque altra, qualunque proposizione, e quindi anche quelle che sono le antecedenti di quei conseguenti che sono lo stare male, per esempio, stare male è sempre il conseguente di un antecedente, o di più antecedenti, se questo antecedente non c’è, nel senso che non ha la forza di imporsi come necessario, allora lo stare male non è più necessario. Se non è più credibile, l’antecedente non ha più la forza di porre come necessarie quelle affermazioni, quelle proposizioni che consentono di stare male.

Ciò che in definitiva stiamo costruendo è una struttura di discorso che renda il benessere irreversibile, assolutamente irreversibile. Cosa intendiamo qui con benessere? L’avere perduto il bisogno di stare male ma, siccome dicevamo la volta scorsa, che lo stare male è esattamente ciò che una persona cerca, la questione potrebbe essere molto complicata. L’altra volta dicevamo in termini forse un po’ pessimistici, invece questa sera siamo ottimisti, questa sera va così, dicevamo che se una persona desidera stare male lo farà indipendentemente da qualunque cosa, ed è vero, tuttavia avviene a questo punto un fenomeno bizzarro, e cioè che così come rende il benessere irreversibile, allo stesso modo questo desiderio di provare quelle sensazioni, chiamiamole così, poi si chiamino sofferenza, gioia, piacere in questo caso non cambia niente, il desiderio di provare queste sensazioni dunque non procede più dall’attesa che qualche cosa le produca, badate bene qui sta tutta la questione, perché posso produrmele da me, quando e come voglio, e perché posso produrle? Molto semplice, si tratta di giochi linguistici, una persona che soffre desiderando di soffrire, fa un gioco linguistico che ha come regole questo, e cioè che lui enunci di non volere soffrire, è una regola per giocare questo gioco se no, non potrebbe giocarlo in quei termini. Conoscendo queste regole del gioco, cosa avviene? Avviene che io continuo a provare quella sensazione, ma non posso più chiamarla sofferenza perché ho perduto un elemento fondamentale per chiamarla tale, e cioè non la subisco affatto, ma la produco. Ora a questo punto cambia un aspetto radicale, e cioè che io posso continuare a provare una certa sensazione, ma se ho l’assoluta consapevolezza che questa sensazione non mi viene da altri, ma da me, posso sì godermela per qualche tempo, ma ad un certo punto mi stufo, mentre se immagino che mi venga da altrove io non ho nessun controllo di questo altrove e quindi continuo a pensare che questa sofferenza dovrò subirla e tutto questo mi esime da qualunque considerazione circa la mia responsabilità, e cioè il fatto che io a quel punto non posso più, grammaticalmente, chiamarla sofferenza ma piacere, con tutto ciò che questo comporta.

Come si può strutturare un percorso di questo tipo, che non si fondi su una sostituzione di enunciati e quindi non definisca uno stato di cose, e cioè la struttura psichica funziona in questo modo, per esempio, laddove c’è la rimozione che funziona in un certo modo, insomma i vari concetti fondamentali della psicanalisi. A questo punto qual è l’obiettivo? incominciamo a definire o a definire o a illustrare il percorso. Prendete un discorso che vi trovate ad ascoltare, lasciate che la persona parli, parlando voi vi trovate, voi vi accorgete di quali siano le cose in cui crede, cioè gli antecedenti che nel suo discorso sono ritenuti necessari e da cui seguono tutti i conseguenti, cioè tutte le cose che lui dice. Da che cosa reperite tutti questi elementi? Dalle sue deduzioni, cioè tutti i conseguenti rinviano ciascuna volta a degli antecedenti che sono ritenuti necessari.

Questi che lui enuncia come antecedenti necessari sono esattamente la sua immagine del mondo, la realtà così come lui la vede. Per questo non può accorgersi che sono antecedenti di una inferenza, perché li scambia per la realtà o comunque qualcosa che chiama così. A questo punto, avendo a disposizione degli elementi, non importa che siano tutti evidentemente, voi avete già individuata una certa struttura, una struttura tale per cui sapete che tutta una serie di cose che crede, e che gli consentono di stare male, a questo punto diciamola così, gli consentono di stare male, seguono a degli antecedenti. Ora, reperiti questi elementi, cosa che non è difficilissima da fare, occorre che poniate le condizioni perché questi conseguenti degli antecedenti non siano così necessari, ma siano assolutamente arbitrari, gratuiti, essendo arbitrari chiaramente ciascuno se ne assume la responsabilità, ma prima di arrivare a questo ci vogliono molti passi, quanti? Dicevo prima, reperiti questi elementi, questi principi, uno si fonda su un certo discorso, e allora prendete questi principi e cercate di intendere attraverso quali passaggi, che cosa sostiene, che cosa giustifica le conclusioni a cui questa persona arriva.

Faccio un esempio, una persona dice che dovunque vada le persone la trattano male, o qualunque altra storia, e allora qui qual è il principio che funziona? Uno fondamentale, e cioè che per lui è essenziale che le persone lo trattino male. Perché è essenziale? Perché è questo che incontra continuamente, questo che produce continuamente, questo è il principio fondamentale: le persone mi trattano male, le persone mi fanno star male. A questo punto con a disposizione questo principio primo, si tratta di incominciare a stabilire quali siano le conseguenze. Supponiamo che sia così “che tutte le persone mi trattano male” e quindi che cosa faranno? Faranno questo, questo e quest’altro, però potrebbero farne anche altre eventualmente, non le fanno mai queste altre? Magari questa persona si accorge soltanto di un aspetto, bisogna che tutte le persone facciano soltanto e sempre questa cosa nei suoi confronti. Incominciare a porre delle questioni sul perché mai le persone dovrebbero fare tutte queste cose, su come avviene che ciascuna volta sia sempre così. Si tratta insomma, mano a mano, passo dopo passo, di consentire a questa persona di reperire quegli elementi che possano incominciare a fargli sorgere il sospetto che forse non è proprio esattamente così come pensa. E fino a qui non ci siamo molto scostati dall’itinerario tradizionale, a quale punto ci discostiamo? A questo punto generalmente, in un itinerario tradizionale avviene la sostituzione, quando gli si fa notare che le cose non sono così a quel punto è pronto per accogliere il fatto che siano cosà, e invece no. Se noi in qualche modo riusciamo a giungere a considerare che le cose non sono affatto così, a questo punto lui si aspetta di incontrare che siano cosà, e invece no, cioè le cose non è che non siano così come lui pensa che siano, sono così come lui pensa che siano, se è questo il gioco che sta facendo, se sono queste le regole del gioco che sta facendo, ma questo gioco che sta facendo funziona per lui, perché immagina che sia l’unico vero e che quindi ha quella forza, quella portata che lo costringe a muoversi in un certo modo, e allora lì interviene non più la psicanalisi ma l’eristica, e cioè provare insieme con lui che le cose stanno esattamente così come lui pensa, e che le stesse cose sono anche esattamente il contrario di quelle che lui pensa, e che sono vere entrambe le cose, assolutamente vere.

Èa questo punto che c’è una sorta di esercizio. Provare che quello che si crede è falso può essere molto semplice, provare che è falso e provare che è vero è straordinariamente difficile, perché una volta immaginato che sia vero, anche se è falso, se è falso si abbandona, se è vero si acquisisce, ma se è vero e falso? Con che cosa ho a che fare a questo punto? Ho a che fare con un gioco che sto facendo, che posso fare rispetto a qualunque affermazione, a qualunque discorso, a qualunque proposizione, per questo tempo fa dicevo che occorre fare molto esercizio in questo senso, perché occorre che voi, in prima istanza, lo sappiate fare, per potere fare in modo che altri si trovino a svolgere questa cosa. Ora la potenza di una cosa del genere è sorprendente perché va contro ogni buon senso: le cose devono essere o vere o false e invece no, sono vere e false. Un credente è molto più sconcertato dal fatto che voi sappiate dimostrare l’esistenza di dio piuttosto della non esistenza, dal fatto che voi sappiate dimostrarne soltanto l’esistenza o l’inesistenza, perché a quel punto entrambi i discorsi non possono più non essere accolti, ed è questo che sbaraglia ogni possibilità di discorso religioso, che è per definizione verofunzionale, vero o falso o c’è un dio o ce n’è un altro, non possono essercene due che si oppongono, se sono monoteismi, se sono politeismi è un altro discorso: ce ne sono vari però tutti concorrono nella stessa direzione. Insomma la questione centrale è questa, che per qualche motivo, che ancora non ci è del tutto chiaro, anche se molti elementi li abbiamo acquisiti, difficilmente una persona, anzi impossibilmente una persona può affermare la stessa cosa e il suo contrario, nella stessa accezione. Non può farlo e questo al di là della logica, che è un altro discorso ancora, ma anche proprio retoricamente, può farlo utilizzando lo stesso termine in accezioni differenti e allora è una figura retorica nota come poliptoto o antanàclasi (Differenza fra ossimoro e antanàclasi: Ossimoro è l’accostamento di due termini semanticamente connotati da termini opposti, accostamento. Antanàclasi è l’utilizzo di uno stesso termine in accezioni diverse nella stessa frase.) Ecco, quindi può al limite contraddirsi, come avviene certe volte, se voi lasciate parlare le persone queste si contraddicono da sole. Ma vi chiedete come mai non se ne accorga quella persona? non se ne accorge per un motivo molto semplice, che per lui, per quanto possa apparirvi bizzarro, il secondo utilizzo di questo termine ha un’altra accezione e quindi non contraddice più la prima. Certo, richiamato ad un formalismo logico può avere qualche problema, però per lui in quel momento non c’è nessun problema perché sono accezioni differenti, ma nessuno può contraddirsi perché non sa più da che parte andare, perché non sa più cosa farsene di ciò che dice, per questo qualunque cosa che implichi la contraddizione deve essere immediatamente eliminata.

Ma allora, come giustamente dice Jaskowski, se è vero che nessuno si contraddice, né può farlo, può tuttavia utilizzare giochi differenti. Qual è il problema? Che nessuno se ne accorge, e tenta di ricondurre tutti questi giochi, che sono tantissimi quelli che ciascuno fa durante il giorno, infiniti, con regole differenti, ricondurli dicevo ad un unico gioco, quello vero, quello unico, quello che non è più un gioco. È questo che costituisce il problema fondamentale, questa irriducibilità dei giochi linguistici ad un gioco che a questo punto sarebbe extralinguistico, sarebbe il metagioco.

Così, potrà accadere che laddove proviate la verità di un’affermazione e proviate la sua falsità, qualcuno vi risponda: ma in qualche modo dovrà pur essere. No, in qualche modo non sarà, o sarà esattamente così come le regole del gioco che si sta facendo in questo momento impongono che sia. Questo è il passo immenso e l’abisso che ci separa da qualunque altra teorizzazione, e cioè il fatto che ciascuno può (ed in questo sta a noi addestrare, per così dire, il prossimo a fare) accorgersi di quale gioco sta giocando in quel momento, e cioè che tutte le sue affermazioni, le cose che si impongono nel suo discorso, sono altrettante regole di quel gioco che sta giocando e quindi che un’affermazione non stabilisce affatto come stanno le cose, non descrive nulla, enuncia soltanto una regola di quel gioco.

Se io affermo che una certa cosa è così, ciò che sto affermando non è altro che una regola, una delle regole di quel gioco, perché se non potessi affermare che quella cosa è così, allora tutto il discorso che sto facendo cambierebbe in quel discorso, quella affermazione è una regola del gioco, né più né meno. Esattamente come nel poker, quando voi mettete giù due assi e dite due assi, se gli altri hanno di meno perdono, che cosa dite? Enunciate una regola del gioco, è questo che state dicendo, che la regola del gioco che state facendo comporta che seguano certe cose, non è un’indicazione per il prossimo: ho due assi; come dire ho due palline di plastica in tasca e allora nessuno saprebbe cosa farsene di una affermazione del genere. Una persona dice soffro, senza aggiungere altro e senza che altri intorno a lui sappiano nulla di questa persona, queste altre persone cosa faranno? Cominceranno a domandare: soffri in che modo? Dove ti fa male? Che cos’hai? Che cosa faranno? Chiederanno altre informazioni, chiederanno, in definitiva, in quale gioco inserire questo “soffro” e quindi come utilizzare questo significante, perché se no, così di per sé è inutilizzabile, non dice niente, soffro, va bene, e allora? Però se non ho nessun altro elemento non faccio niente, non posso fare altro che prendere atto di questo significante. La domanda per esempio “perché?” è una richiesta (e così occorre che la poniamo) di intendere qual è il gioco che sta facendo, quali sono le sue regole, a questo punto sapremo che cosa farcene di questo enunciato “soffro”, se no non ci dice assolutamente niente. Così come se Monica in questo istante si alzasse in piedi e dicesse: io mi chiamo Monica Rama. Avremmo delle difficoltà a utilizzare questa dichiarazione senza ulteriori elementi, non sapremmo che cosa fare. Ecco allora, il punto più delicato e anche il più difficile è quello che riguarda il passaggio dal considerare quali sono le regole del gioco di questa persona (cioè i suoi principi), al momento in cui ci siano le condizioni perché se ne renda conto. Su questo sto lavorando moltissimo per reperire una via che possa rendere questo molto semplice, per il momento è in effetti farraginoso, non disponendo di elementi più sofisticati, più precisi utilizza elementi più antichi, cioè quelli dell’itinerario analitico classico, chiamiamolo così.

Ecco, tutto questo per cominciare a dire, perché di questo dovremo occuparci, in cosa consiste quello che stiamo facendo, in che modo quello che stiamo facendo possa giovare ad un eventuale prossimo che chiederà il nostro intervento: instaurare un benessere irreversibile, strutturalmente irreversibile. Questa è la risposta da dare a chi chiede che cosa facciamo, o a che cosa serva che cosa facciamo: produrre un benessere irreversibile. Solo questo.

- Intervento: Perché non avviene?

È difficile dire che non avvenga, sicuramente non è un percorso semplicissimo, come nessun percorso di questo tipo lo è, certo la scommessa è quello di rendere tutto più semplice, è possibile forse che questo accada. In parte questo sta avvenendo e lo testimoniano le numerosissime defezioni. Tutto sommato è quello che dicevo all’inizio: quando scrissi la Sofistica dicevo che immaginavo che potesse funzionare come una sorta di virus, non so se ricordate questo esempio che facevo allora rispetto ai computer, cioè inserire un programma che impedisse ad altri programmi di funzionare così come funzionavano prima, ecco questo ha funzionato effettivamente, tutte le persone che hanno letto queste cose, lette con attenzione, cioè intendendo delle cose, ne hanno tratto qualche cosa che risulta essere per un verso irreversibile, e per altro assolutamente non utilizzabile, creando quindi un danno notevolissimo. Ma questo, come dicevo prima, è una considerazione che ci dice che siamo sulla strada giusta, e cioè che quello che abbiamo detto e fatto in questi anni effettivamente funziona, si tratta di perfezionarne il funzionamento in modo che anziché creare catastrofi produca altro, così come l’energia atomica può essere utilizzata per distruggere città intere oppure per illuminarle, per esempio. Ora così come la prima parte, quella destruens, ha funzionato perfettamente creando marasmi, occorre che quella construens sia altrettanto potente, altrettanto inesorabile, altrettanto irreversibile. Chiunque abbia lette, intendo con una certa attenzione, le cose che abbiamo dette e fatte in questi ultimi due anni ha una grandissima difficoltà a leggere altre cose, le trova molto spesso banali, di scarsissimo interesse, soltanto gli antichi si riesce a leggere, e non è casuale: Aristotele, Platone, Eraclito, Empedocle, Anassimene, Gorgia, Zenone... c’è un motivo perché in effetti si riesca a leggere questi e ci sia invece una difficoltà estrema a leggere i filosofi contemporanei: perché allora, tutto ciò che consente di fare questi pensieri, queste riflessioni, questa elaborazione, si andava costruendo, lì c’è effettivamente l’impianto, la base di tutto ciò che possiamo dire o pensare, per questo continua ad interessare, mentre altre cose dette molti secoli dopo sono rimaneggiamenti in molti casi, qualcuno ha aggiunto delle cose, ma il più delle volte sono rimasticamenti di cose dette in ben altro modo.

- Intervento:...

Certo questa è la questione centrale, ma direi in un certo modo esattamente come abbiamo fatto rispetto alla pars destruens, e cioè inserire elementi che non possano non essere accolti, ed è ciò che sto cercando di fare. Le cose che leggerete tra pochi giorni incominciano ad articolare questa questione, e cioè in che modo una persona non possa più non considerare che le sue affermazioni non siano altro che regole di un gioco, di un gioco che sta facendo, e che non possa più non considerare questo aspetto, non possa più così come rispetto alla pars destruens, non può più non considerare che le cose non sono sostenibili, non sono provabili, non sono necessarie.

Dicevamo tempo fa che nulla è necessario. Invece no, qualcosa abbiamo detto che è assolutamente necessario costruendo un gioco linguistico per poterlo affermare. Adesso rispondere alla domanda di Monica non è semplicissimo, ci stiamo lavorando intensamente, e se riuscissimo a produrre la stessa efficacia che abbiamo prodotta con la parte destruens avremmo raggiunto il nostro obiettivo, e non è escluso che potremmo ottenere con chiunque risultati sorprendenti in brevissimo tempo. Questo lavoro occorre che lo facciamo anche abbastanza rapidamente, quindi occorre il contributo di ciascuno, che cominci a rifletterci, perché sarà questo che dovremo promuovere, promuovere un pensiero che produce un benessere irreversibile, radicalmente irreversibile. Non sarà più possibile stare male neanche volendolo, perché non sarà più possibile volerlo., sembra un po’ fantascientifico, forse è posto in termini da slogan, però è noto è arcinoto che nella produzione dei farmaci questi sono messi in commercio quando soddisfano i requisiti cioè sono, o sembrano, efficaci almeno nel 40% dei casi, cioè non arrivano al 50%, e anche qui abbiamo avuto le nostre vittime...

Cosa dite di tutto questo che vi ho detto in due parole? Vi ho accennato a ciò che ci impegnerà per il prosieguo. Vi suggerisco ancora di leggere e di rileggere la Sofistica perché vi dà un impianto logico formidabile, un impianto teorico formidabile che vi consente di muovervi con estrema sicurezza, e anche con rapidità, facilità nel pensare, nel riflettere, nel teorizzare, nell’argomentare senza incorre in impicci e impacci di ogni sorta.

- Intervento: Bisogna insistere sul fatto del benessere..

- Intervento: Questo fatto del benessere mi sembra assodato, non penso che nessuno venga qui per girare il coltello nella piaga, (Supponiamo che sia così...) o perlomeno quello che dichiara è quello...

Sì infatti, ma è la questione di prima, cioè costruire un sistema, un insieme di proposizioni, di procedure che abbia lo stessa efficacia della pars destruens, e che quindi renda inevitabile, direi quasi, questo benessere. Monica si chiede giustamente perché non avviene? Perché ancora non abbiamo messo a punto il sistema...

- Intervento: Non può essere uguale...

Sì ci saranno delle varianti, certamente, questo è fuori dubbio, che potranno anche magari apparire minime.

- Intervento: Mi sembra strano, neanche volendolo il benessere (Malessere) sì malessere, tutti cercano di raggiungere il benessere, buddisti ecc...

- Intervento: Benessere come economia del male lo dice qua questa signora

- Intervento: Partire da una nozione di benessere totalmente differente questo mi preoccupa, perché mi sembra di essere comunque punto a capo, (No) perché allora come mai una persona non si scolla?

Demolire questa concezione. È proprio nel discorso della stessa persona, fa cioè parte proprio dell’itinerario questa invenzione del benessere, come il male, e quindi il male come necessario, che è la posizione per altro di alcune scuole psicanalitiche, come quella junghiana, la quale ritiene che il male, la sofferenza, sia assolutamente necessaria, come qualunque religione per altro. La religione non può non muovere dalla sofferenza. E quindi occorre lavorare fortissimamente su questo aspetto, io ho cominciato, adesso leggerete le cose che ho scritte che potranno darvi qualche suggerimento, però occorre che ciascuno di voi ci rifletta, rispetto anche al suo discorso.

- Intervento: Come avviene per il mio benessere che altri seguano?

Già se si hanno dei pregiudizi, allora in questo caso si tratta di intendere, in questa occasione, che questa è una delle regole di quel gioco, di quel gioco, ma che è un gioco non è il gioco, per cui può farlo, però può porre lo stesso gioco con regole differenti e giungere a formulare una conseguenza diametralmente opposta e cioè che per fare le cose occorre esattamente che non ci sia nessuno che si interessi... quando entrambe le cose non hanno nessuna portata, allora finalmente si dedica ad altro, e cioè alla costruzione dei giochi linguistici nel senso che ciascuna volta che si parla non si può non avvertire il gioco che si sta facendo ed è a quel punto, dicevamo tempo fa, che la teoresi diventa irrinunciabile, lì si pone effettivamente come il gioco più interessante di tutti, ed è per questo che diventa irrinunciabile, perché si pone così come il gioco più interessante...

- Intervento: Che gli altri abbiano delle defaillance, si pone in un certo modo nel mio discorso...

Certo, le regole di un gioco, se questo gioco è pensato come extralinguistico allora diventa necessario che sia pensato proprio così.

- Intervento: Prima parlavamo del bisogno di credere, se il bisogno di credere è il bisogno del male.

Sì, perché è credere che qualcosa sia vero, dicevamo che non posso credere una cosa che so essere falsa.

- Intervento:...

Qui, scusi se la interrompo, qui i padri della chiesa forse possono darci una mano e cioè il vero come il bene, ciò che è bene è ciò che è vero, così come il bello, bello come vero, quindi il bene come il vero, la questione centrale forse in tutta questa ideologia...

- Intervento: Anche Agostino, con il male come privazione del bene, e il falso come qualcosa che copre il vero, lo nasconde.

Comunque lo poniate, comunque è stata posta la questione del male è sempre e necessariamente la distanza dal bene. Occorre puntare sull’idea di vero come necessario, che qualcosa sia necessariamente vero, infatti porlo come gioco linguistico è togliere questa necessità, questa idea di vero o falso. Bene, lavorate moltissimo perché dobbiamo risolvere questo problema, rendere la pars costruens altrettanto inesorabile quanto quella destruens, questo è il progetto di questa estate. Buona notte.