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3-6-2015

 

Essenza del nichilismo. L’idea di Severino è che in tutto il pensiero occidentale, cioè tutto il pensiero metafisico, si sia costruito sull’idea del “divenire”, questo da Platone in poi, ma anche da prima secondo alcuni. Il divenire è il fatto che le cose sono nel nulla, poi compaiono, e poi tornano nel nulla. Ora questo per Severino comporta una contraddizione, tuttavia questo modo di pensare occidentale è stata la condizione per la costruzione del nichilismo, il nichilismo lui lo pensa in modo un po’ differente da Nietzsche per esempio, o anche Heidegger. Per Nietzsche come sapete il nichilismo non è altro che la caduta di tutti i valori, la non dimostrabilità di un valore assoluto, che si può sintetizzare nella frase celeberrima “dio è morto”. Questo modo di pensare il nichilismo, che è fortemente metafisico, comporta la violenza, il nichilismo comporta necessariamente la violenza perché immagina che qualcosa si distrugga, il nichilismo è distruttore, distrugge l’Essere. Da qui la questione della violenza che a noi interessa particolarmente da qualche tempo e quindi dell’esercizio del potere. Esercitare la violenza su qualche cosa significa distruggerla, e perché mai qualcuno dovrebbe volere distruggere qualcosa se non perché la distruzione di un qualche cosa comporta l’idea dell’aumento della potenza o di acquisizione della potenza distruggendo qualcosa che funziona da ostacolo alla propria potenza per esempio. La direttrice in tutto ciò, e che è già iniziata tempo fa, ha a che fare con trovare, se è possibile, nuove argomentazioni più forti intorno alla questione del potere, passando dal nichilismo quindi dalla metafisica e quindi da Severino. La metafisica è ciò che appare come la matrice del nichilismo: la metafisica ha costruito il nichilismo in quanto è un pensiero che muove dall’idea fondamentale che ciascuna cosa sia quella che è grazie a un’altra, la volta scorsa proponevo questa sequenza di concetti: sensibile/ultrasensibile – immanente/trascendente – significante/significato. Anche il significante senza il significato è nulla, cioè se non ha un qualche cosa che lo faccia esistere questo qualche cosa è trascendente rispetto al significante, e poi enunciazione/enunciato anche l’enunciazione nella teoria psicanalitica non soltanto in Freud ma in Lacan soprattutto e in Verdiglione trae dall’enunciato la propria esistenza, il proprio senso che non è altro che quella posizione avviata da Freud che si può compendiare in due parole: conscio/inconscio. Basta pensare alle cose che Freud scrive intorno all’atto mancato, adesso la dico molto banalmente: si fa cadere un vaso, il vaso va in pezzi, questo evento per Freud trova una spiegazione, cioè un suo senso, in qualche cosa che va al di là dell’evento, cioè lo trascende, appunto in quella cosa che lui chiamava “inconscio”. Come dire che l’inconscio è quel rinvio che il conscio ha e dal quale trae il proprio senso. Ma leggiamo Emanuele Severino, primo capitolo “Ritornare a Parmenide”: questo foglio, questa penna, questa stanza, questi colori, questi suoni, sfumature eccetera, ombre delle cose e dell’animo sono eterni, se “eterno” possiede l’essenziale significato che la lingua greca attribuisce alla parola “aἰῴn” che significa letteralmente “che è”, cioè senza limitazioni. (per Severino il significato della parola “eterno” significa questo: “essere senza limitazioni”. Non è una cosa che dura nel tempo, l’“eterno” è l’illimitato”, ovviamente anche senza essere limitato dal tempo. Poi qui parla di una “differenza ontologica” che riprende ovviamente da Heidegger): a proposito dello stesso e della differenza, per esempio ciò significa che lo “stesso” questo colore si differenzia e cioè che in quanto immutabile si costituisce come e in una dimensione diversa da sé, in quanto diveniente (qui sta facendo una critica al divenire ) questa differenza che è l’autentica differenza ontologica cioè la differenza tra l’immutabile e il divenire ( e non più come diceva Heidegger tra ente ed Essere) è richiesta dal fatto che appunto di un fatto si tratta che il medesimo sottostà a due determinazioni opposte, il “medesimo” immutabile/diveniente e quindi non è medesimo ma diverso, ossia questo colore “eterno” (eterno sempre nella sua accezione) non è questo colore che nasce e perisce, agisce cioè d’accapo la legge dell’opposizione del positivo e del negativo (lui intende qui, lo dice continuamente, positivo come Essere, e negativo come non Essere) per la quale il “negativo” non è soltanto il puro “nulla” (come voleva Parmenide) ma è anche l’altro “positivo” (e qui siamo a Platone, perché Platone sosteneva, da qui il famoso parricidio di cui parla nella Repubblica, che avrebbe commesso nei confronti di Parmenide, e cioè Parmenide dice che l’“Essere è” e il “non Essere non è”, per cui tutto ciò che non è Essere ma diviene è nulla, questa è la conclusione di Parmenide. Ma le cose che sono questa penna, questo libro eccetera sono nulla? Per Parmenide sì, in un certo modo sono nulla, perché doveva mantenere fermo il fatto che l’Essere o è oppure non è, non c’è una terza via, che invece si inventa Platone e da qui l’invenzione della metafisica. Platone introduce il tempo in un certo senso, l’Essere è ed è quello che è quando è, invece non è quando non è, cosa vuole dire questo? Che l’Essere può essere ma anche non essere in un momento differente. È qui la questione: inserendo questo elemento Platone inventa la metafisica, cioè avvia tutta la riflessione intorno al divenire perché c’è l’Essere e poi c’è qualche cos’altro che non è la negazione pura e semplice dell’Essere, ma è altro dall’Essere, è un’altra cosa, sarebbe tutto ciò che l’essere non è, se vogliamo usare un termine della logica più recente sarebbe il complemento booleano. Tutto questo che è presente è dunque in quanto immutabile diverso da sé in quanto diveniente (quindi c’è una cosa che è immutabile e una cosa che invece è mutabile, se è mutabile è diversa da sé) ‘diverso da sé’ questa espressione sta a indicare che la diversità non si instaura tra due positivi (cioè le cose che sono) ognuno dei quali sia privo di qualcosa che l’altro possiede, il regno dell’immutabile contiene tutto l’Essere (appunto perché ogni Essere in quanto Essere è immutabile, questa è la tesi di Severino, quindi non c’è un Essere al quale però ne manca un pezzettino e questo pezzettino che manca è mutabile, cambia, no, se è Essere è tutto ed è immutabile) Con ciò non si vuole certamente dire, né si può, che la dimensione del divenire allora sia il nulla (come voleva Parmenide), si vuol dire invece che tutto l’Essere, tutto il positivo che attraversa l’inospitale regione del divenire, è già da sempre tratto in salvo e da sempre e per sempre ospitato e contenuto nel cerchio immutabile dell’Essere, “tutto il positivo”, tutto quanto c’è di positivo nel divenire è, ossia se ne sta presso di sé nel paese sincero che non manca di nulla, perché se di qualcosa, ossia di un positivo mancasse, si dovrebbe dire che questo positivo non è, ossia è negativo, tutto il positivo che nel divenire sopraggiunge e dilegua, è eternamente nel regno immutabile in compagnia della totalità del positivo (qui fa la sua argomentazione che è abbastanza semplice cioè dice “l’Essere è tutto non può mancare di qualche cosa” se mancasse di qualche cosa allora questa cosa che appartiene all’Essere a questo punto diverrebbe non Essere perché si allontana dall’Essere, quindi a questo punto ci troviamo nel divenire, qualche cosa è ad un certo punto poi non è più, invece lui sostiene l’“immutabilità” o per altro verso la “incontrovertibilità” dell’ immutabile) Ma dopo Parmenide per Essere si intende sì il positivo che si oppone al negativo (cioè ciò che non è) ma un positivo che come tale è in differenza all’ essere o al non essere, uguale all’esistenza o all’esistenza, il positivo quindi inteso come qualcosa che è indifferente al suo contrapporsi al negativo, giacché ammettere che l’Essere non sia significa ammettere che l’Essere sia nulla. La concezione classica dell’ “incontraddittorietà” dell’Essere è dunque contraddittoria, il che non significa affatto che la metafisica moderna, contemporanea e in generale la filosofia moderna e contemporanea si trovino in una condizione migliore, ché anzi quel richiamo sommerso della verità dell’ Essere che la metafisica classica riesce ancora a sentire, è andato anche più affievolendo, onde si può pensare che sia appunto il suo silenzio, secondo il quale vive il nostro tempo, fattore decisivo nel risveglio del ritorno, un ritorno che ha davanti, e non dietro a sé, la concezione classica dell’Essere, (quindi non un ritorno alle origini ma un qualche cosa, come lui sostiene continuamente “abbiamo sempre davanti al naso” poi dirà che cosa) eppure anche questa deve essere lasciata indietro appunto perché anch’essa tradisce ciò che si propone di salvaguardare l’opposizione del positivo e del negativo cioè l’ “incontraddittorietà” dell’ “Essere”, i risultati della metafisica classica sono dunque fondati su un principio, il principio di non contraddizione in cui l’Essere è contraddittoriamente concepito e quindi sono essi stessi auto contraddittori. Si intende il positivo non come ciò che si contrappone, (questa è la tesi di Severino), assolutamente al negativo ma come un qualche cosa che è indifferente e può anche contrapporsi (ora si contrappone ora no che è appunto il divenire, è questo che sta dicendo nient’altro)L’aspetto più drammatico di questa situazione (si riferisce sempre al divenire ovviamente) è che oramai il pensiero va alla ricerca dell’Essere necessario e ne tenta una dimostrazione. Esiste un Essere necessario, ossia un Essere di cui non si possa dire che non è? L’intorpidimento del senso dell’Essere porta a domandare intorno a ciò che sta alla base di ogni dire e quindi anche di ogni domandare (e qui forse sarebbe potuto andare oltre quando ha parlato di ciò che sta alla base di ogni dire e quindi anche di ogni domandare e cioè si sarebbe potuto domandare “a quali condizioni posso domandarmi qualcosa?”): se ci si proponesse di andare alla ricerca di un Essere incontraddittorio (cioè positivo) e di realizzare una dimostrazione della sua esistenza, se ci si domandasse appunto “esiste un essere incontraddittorio?” il metafisico saprebbe scandalizzarsi giustamente di questo proposito, di questa domanda, domandare se esista l’incontraddittorio significa infatti ammettere la possibilità che non esista (ovviamente cioè la possibilità che l’Essere sia contraddittorio) ma l’incontraddittorietà dell’Essere è il sapere originario, immediato che come tale non tollera nemmeno la possibilità, la supposizione della propria negazione. Tale possibilità essendo già essa negazione di quella immediatezza e originarietà qui c’è tutto Severino, c’è la sua tesi fondamentale) Ma ciò che accade quando si va alla ricerca dell’Essere necessario ci si domanda se esista, se ne tenta la dimostrazione forse? Qui la metafisica in tutto il suo corso storico non ha saputo scandalizzarsi ma ne avrebbe avuto ben donde, ha cominciato invece a cercare quanto le stava innanzi agli occhi, cercava e cerca l’Essere necessario (è tutta la ricerca metafisica) e non lo poteva e non lo può trovare perché guardava e guarda lontano invece di guardare vicino, cercare l’Essere necessario significa cercare l’Essere di cui non si possa dire in alcuna circostanza e in alcun momento “non è”, “se ne è andato via dall’esistenza”, “potrebbe uscirne”, “non è ancora entrato” (la stessa roba, questo è fondamentale in queste cosine qua c’è tutto Severino) dice: non lo può trovare perché cercare l’Essere necessario significa cercare l’Essere di cui non si possa dire in alcuna circostanza, in alcun momento “non è”. Ed è qui la gran barbarie del pensiero, nel domandarsi appunto “esiste un Essere di cui non si possa dire che non è?” “esiste un Essere che è?” ci si domanda dunque se il positivo sia il negativo domandandosi questo (se mi domando se esiste qualche cosa che non è, sto ammettendo la possibilità che non sia) domandarsi se esista l’Essere necessario significa affermare la contraddittorietà dell’Essere, la sua identità con il nulla (perché si immette la possibilità del non Essere. Questa possibilità del non Essere è ciò che dà avvio alla metafisica. Se è possibile che non sia allora ciò che c’è adesso, sì, c’è, certo, ma magari prima non c’era, è possibile che non sia più. È importante avere chiare le cose fondamentali su cui sta lavorando Severino e cioè il fatto che qualche cosa è, ed è immediatamente, parlerà dell’“immediato”. L’immediatezza logica e l’immediatezza fenomenologica. Per lui l’immediato è ciò che si presenta immediatamente, è questo che è e non può non essere, ed è senza la mediazione di altro, ciò di cui ho esperienza immediata non posso dire che non è, non posso dire se prendo in mano questa penna che questa cosa non è, non lo posso fare perché se potessi farlo allora incomincerebbero dei grossissimi problemi, cioè io mi troverei a non essere più nella condizione di potere pensare, di potere parlare, di potere costruire una qualunque articolazione, un qualunque discorso) Anche la neo scolastica contemporanea si trova immersa per intero nel processo della dimenticanza del senso dell’Essere (che è quello che dice lui, il senso dell’Essere come abbiamo visto è la sua immediatezza) di cui in certo modo era stato più memore Hegel quando aveva rilevato che il principio di non contraddizione nega in quanto tale il divenire dell’Essere, a cominciare da Trendelenburg i neoscolastici si sono dati un gran d’affare per mostrare che il principio di non contraddizione in senso aristotelico è cosa ben diversa dal principio di non contraddizione in senso parmenideo, ed è certamente vero, questa verità dice appunto che l’aristotelico principio di non contraddizione è auto contraddittorio. Il Trendelenburg parlava del limite del principio di non contraddizione “A non è non A”, il limite della sua applicazione nella conoscenza oggettiva deriva dall’essenza stessa della negazione, poiché la negazione non è mai il primo ma sorge come un secondo dalla determinazione individuale, il principio non esprime altro che il diritto della determinazione che afferma se stessa, perciò deve precedere una nozione di “a” (quando dice: A non è non A) che il più delle volte consiste in una somma di note il principio può soltanto difendere questa determinazione già posta, non prescrive niente sul divenire o sulla nascita, se ne fa un principio metafisico (qui sta citando Trendelenburg) che manca di fondamento e conduce a contraddizioni, esso è un principio dell’intelletto che fissa le nozioni. Erra chi come gli eleati si sforza di negare il movimento affermando che contraddice a questo principio, il movimento è movimento e non quiete, dice il principio ma non dice di più, se il movimento vi possa essere o no, esso non può dirlo. ( Ciò che sta dicendo qui Severino è che se nego qualcosa, per esempio “A non è non A”, fin qui nulla di strano, però dice la negazione non è mai prima, ma sorge come seconda della determinazione individuale, sta dicendo che per negare qualche cosa è necessario che prima ci sia un’affermazione: se io dico che esiste un opposizione tra Essere e non essere, o meglio se dico che Essere e non essere possono accadere entrambi, ciò che sto affermando è una determinazione, questa mia affermazione è una determinazione. Lasciamo qui da parte quanto si dovrebbe osservare a proposito di questo modo radicalmente scorretto di presupporre la determinazione al suo rapporto negativo con la propria negazione (qui è sempre Trendelenburg) diciamo invece che l’autentico principio di non contraddizione esclude certamente che il movimento sia quiete ma non si limita a far questo, fa anche quel di più che il Trendelenburg e i neo scolastici non vogliono accettare, certo che, per vedere questo di più, occorre un disincantamento, occorre cioè che la comprensione autentica dell’Essere abbia a riemergere, altrimenti il di più è visto come qualcosa che manca di fondamento e conduce a contraddizioni, (questo “di più” non è altro che per affermare qualche cosa e cioè che per esempio non c’è contraddizione tra una certa cosa e un’altra, questa affermazione che io faccio è determinata e cioè per affermare l’indeterminazione, cioè per affermare che l’Essere è ma anche non è, quindi per affermare l’indeterminazione occorre un’affermazione determinata. Quindi se io dico che esiste l’indeterminazione o meglio dico di più, che è necessaria l’indeterminazione perché non è altro che il divenire, per potere affermare l’indeterminazione è necessaria la determinazione): Nella neo scolastica e non solo italiana la posizione di gran lunga più rigorosa di ogni altra è quella di Bontadini. Ma anche Bontadini si muove all’interno della prospettiva melissiana, e anzi la formula con la maggiore radicalità consentita, il principio della metafisica è dato dall’affermazione che l’Essere non può essere originariamente limitato dal non essere, (che è una formulazione potremmo dire quasi parmenidea. L’Essere originariamente non può essere limitato dal non essere quindi è tutto quello che è) poiché il divenire è appunto l’essere limitato dal non essere, la totalità del reale non si esaurisce nella realtà diveniente (che significa, qui è Bontadini che sta parlando, dice “l’essere non può essere limitato dal non essere” quindi ciò che diviene è qualche cosa d’altro, è molto platonico,) anche qui il divenire dell’Essere è visto come qualcosa che come tale non si presenta come contraddittorio, si presenta come contraddittorio solo se è riportato ad altro e cioè solo se da prima lo si vede come negazione del principio che l’Essere non può essere originariamente limitato dal non essere, e poi si vede che la negazione di questo principio implica l’identificazione del positivo e del negativo, (cioè dell’altro, se il non essere limitasse originariamente l’Essere sarebbe una positività per lo meno nella misura in cui fosse in grado di arginare l’Essere, perché sarebbe comunque qualcosa, ma il positivo non è il negativo, dunque il non essere non limita originariamente l’Essere, dunque il divenire in cui l’Essere è limitato dal non essere, non è l’originario ossia è trasceso dall’Essere illimitato e limitante, questa è la critica che lui fa a Bontadini perché, dice Severino, se poniamo che l’Essere possa comprendere qualche cosa che è altro da sé, allora questo essere qualche cosa altro dall’Essere è non essere e quindi si torna alla posizione metafisica del divenire, adesso ve la sto semplificando un po’, perché, dice, se il non essere limitasse l’Essere, se si ponesse come suo limite sarebbe anche lui un positivo perché sarebbe qualche cosa, essendo qualcosa è l’Essere. Sarebbe contrapposto all’Essere in quanto non essere, però non è nulla perché è pur sempre qualcosa, quindi dà un valore a questo non essere che si contrappone all’Essere, se il non essere lo facciamo contrapporre all’Essere siamo alla posizione di prima del divenire, cioè l’Essere è ma anche non è): ma il positivo non è il negativo, dunque il non essere non limita originariamente l’Essere, anche in questo discorso dunque l’affermazione che l’Essere non è non provoca alcuna meraviglia, in tale affermazione pur ci si imbatte se si pensa il divenire, giacché il divenire dell’Essere, un qualsiasi Essere, significa che prima l’Essere non è e poi è, o che prima è e poi non è. Anche nel discorso di Bontadini che l’Essere non sia e cioè che il positivo sia il negativo (perché se noi ammettiamo che l’Essere non è, ammettiamo che il positivo è negativo. È questo che sta dicendo) è cosa del tutto naturale per il pensiero (nessuno se ne accorge) l’Essere diviene significa che l’Essere è e poi non c’è, fin qui si crede che tutto è a posto la contraddizione non c’è ancora (nel pensiero comune non c’è perché noi abbiamo distinto l’Essere e qualche cosa che non è essere per cui la contraddizione c’è soltanto se neghiamo l’Essere, ma questa cosa che abbiamo messo da parte non nega propriamente l’Essere ma è altro dall’Essere) bisogna fare degli altri passi per trovarla, bisogna introdurre il principio che l’Essere non è originariamente limitato dal non essere, bisogna ricondurre questo principio all’opposizione del positivo e del negativo e cioè bisogna ricondurlo proprio a quell’opposizione che all’inizio è stata negata proprio in quanto si è lasciato passare come incontraddittorio in quanto tale quel concetto del divenire dell’Essere in cui il positivo è identificato al negativo (lui sta dicendo che questa posizione che dice che c’è l’Essere, non si contraddice perché non c’è nulla che dica che l’Essere non è, è incontraddittoria. Poi c’è un’altra cosa che è invece il non essere che si contrappone all’Essere, che fa da limite, fino a qui c’è l’Essere, e di là c’è il non essere) Occorre pensare la cosa in termini più radicali e cioè bisogna pensare questa opposizione che è l’opposizione tra il positivo e il negativo “bisogna ricondurlo proprio a quell’opposizione che all’inizio è stata negata proprio in quanto si è lasciato passare come incontraddittorio in quanto tale quel concetto del divenire dell’Essere per cui il positivo è identificato al negativo” (Sta dicendo che se noi ammettiamo questa opposizione ci troviamo in un problema perché è questa opposizione, che è l’opposizione originaria, mentre in tutta la metafisica dal platonismo in poi, si è pensato che questo, che l’Essere in quanto è, e il non essere in quanto non è, non sia una contraddizione ma possano stare insieme perché una cosa è e l’altra non è, che problema c’è? E lui invece Severino dice: no, qui c’è l’opposizione fondamentale, è questa opposizione che l’Essere nella sua immediatezza nega, cioè non può esserci questa opposizione perché l’Essere si pone come ciò che è originariamente opposto al non essere, originariamente, questa cosa che non è l’Essere non c’è, non possiamo neanche ammettere, diceva lui prima, se anche supponiamo, sospettiamo che ci sia il non essere già siamo presi nel divenire perché ammettiamo la possibilità dell’esistenza del non essere): Pensando come incontraddittorio il divenire dell’Essere, perché qui non c’era la contraddizione in quanto tale, si lascia passare impunemente quella stessa contraddizione che invece si vuole togliere in sede di fondazione ultima dell’esclusione che il non essere limiti originariamente l’Essere. Anche qui il discorso di Bontadini è dunque contraddittorio perché si fonda su un concetto tale dell’opposizione del positivo e del negativo, che in esso il positivo resta identificato al negativo appunto perché anche qui non ci si avvede che l’affermazione che l’Essere non sia è la stessa affermazione che l’Essere sia il nulla. La verità come semplice adæquatio intellectus et rei rinvia alla verità come manifestazione incontrovertibile della res (la cosa) che non è semplice manifestazione fenomenologica, come vorrebbe Heidegger, ma è quell’apparire in cui l’Essere viene incontrato, dominato dalla legge che lo oppone al non essere, la verità della non verità, l’adeguazione delle attività eccentriche all’Essere (quindi la verità della non verità) è dunque possibile solo se la verità autentica e il filosofare autentico si tiene d’innanzi la non verità e la mantiene nel suo sguardo (cioè bada bene di mantenere separate queste due cose l’Essere e il non essere. Dice non è “semplice manifestazione fenomenologica come vorrebbe Heidegger”. Per Heidegger la verità si manifesta, appare, è l’apparire stesso della cosa nell’orizzonte dell’essere che consente l’apparire della cosa attraverso il logos, Severino dice che la verità non è questo semplice apparire, ma la verità è il mantenersi queste due cose, che sono l’essenza stessa del divenire cioè l’Essere è altro dall’essere quindi non essere, come non auto contraddittori, come invece nella contraddizione. Lui sta dicendo che il divenire quindi è auto contraddittorio perché il divenire comprende l’Essere e ciò che è altro dall’Essere, e se è altro dall’Essere è non essere: quindi il divenire dice che non c’è contraddizione tra essere e non essere, Severino dice invece che la verità, quella originaria, quella autentica, è quella che mantiene la separazione, cioè la contraddittorietà fra l’Essere e il non essere, quindi negando il divenire ovviamente.

Intervento: la logica del divenire comporta che l’Essere possa essere un nulla …

Esattamente, quindi comporta l’assunzione della contraddittorietà, quindi il divenire è auto contraddittorio, se vogliamo togliere questa autocontraddittorietà dobbiamo togliere il divenire, cioè prendere atto del fatto che il divenire non è …

Intervento: sto facendo un salto più in là, Severino parla del “dominabile” rispetto alla questione della volontà di potenza … il fatto che per la logica del divenire l’Essere possa essere il nulla è proprio in questo senso che esiste il dominabile …

Perché è manipolabile a questa condizione certo, la manipolazione comporta un divenire, cioè una cosa diventa un’altra …

Intervento: mi chiedevo se la questione della volontà di potenza dipendesse da questo cioè come se la volontà per Heidegger fosse originaria /…/ perché ci possa essere volontà di potenza occorre che ci sia questa fede, come la chiama lui, ineliminabile …

Intervento: io vorrei chiedere una cosa: il divenire è contraddittorio ma non ha parlato dell’apparire, che rapporto c’è?

Lo ha detto esplicitamente muovendo questa brevissima critica a Heidegger, che per Heidegger l’“apparire” è qualche cosa che appunto prima non c’era e poi c’è, perché l’Essere consente l’apparire di qualche cosa, Severino parla dell’ “apparire” ma “apparire” in un’accezione differente perché per lui ciò che appare non è mutevole, ciò che appare è “eterno” nella sua accezione, cioè è immutabile. In questa brevissima nota in cui parla dell’apparire dice: “la verità come adæquatio rei et intellectus rinvia alla verità come manifestazione “incontrovertibile” della res”, incontrovertibile quindi senza contraddizione, che non è “semplice manifestazione fenomenologica” cioè la manifestazione del fenomeno come vorrebbe Heidegger, perché per Heidegger è il fenomeno che appare, è la cosa, è l’ente che si manifesta non è mai l’Essere in quanto tale, è sempre l’ente che si manifesta, che si può manifestare perché c’è l’Essere. Prosegue Severino: Non è semplice manifestazione fenomenologica ma è quell’“apparire” in cui l’Essere viene incontro dominato dalla legge (che per lui la legge è fondamentale) che lo oppone al non essere (e cioè è l’incontrovertibile. La legge fondamentale per lui è quella che nega il divenire, perché il divenire è auto contraddittorio rispetto all’Essere: negando che l’Essere non sia non essere (l’essere non è non essere, se è Essere non è non essere) si deve dunque pensare che l’Essere, in cui consiste questa negazione, non è non essere ossia non è tutto ciò che è altro da questa negazione, questa negazione è esplicita in actu signato, questo pensiero è implicito in actu exercitu, ma è un pensiero realmente pensato, un pensiero che si deve realizzare se si vuole conferire alla negazione quel significato determinato di negazione che le compete, e, non si vuol essere indifferenti a che essa abbia un qualsiasi altro significato (sta dicendo che se nego qualche cosa occorre che io creda che questa cosa sia così, posso anche sbagliarmi ma ciò che importa è ciò che appare a me, ciò che mi appare) Ma l’ œlegcos aristotelico (qui ha introdotto la questione dell’ œlegcos che sarebbe la confutazione letteralmente, infatti elenchi sofistici sono le confutazioni dei sofisti) deve essere scrutato più da vicino osservando innanzi tutto che esso non consiste semplicemente nel rilevare che la negazione dell’opposizione (l’opposizione per Severino è fondamentale, l’opposizione è l’incontraddittorio, mantiene la distanza da tutto ciò che non è) ossia l’opposizione è il fondamento di ogni dire (infatti dice che è il fondamento di ogni dire il fatto che una cosa è quello che è non è altro da sé ) e quindi perfino di quel dire in cui consiste la negazione dell’opposizione (anche se io voglio negare l’opposizione che ci sia opposizione tra l’Essere e il non essere, occorre che ci sia opposizione tra Essere e non essere per poterla negare. Sono questioni che erano giù presenti nella critica che Severino muoveva a Łukasiewicz a proposito del principio di non contraddizione) in ogni discorso, in ogni pensiero il significato che emerge nel dire e nel pensare è tenuto fermo nella sua diversità da ogni altro significato nella sua opposizione appunto al proprio negativo (è ciò che da tempo andiamo dicendo rispetto al significato, e cioè quando uso un termine questo termine che uso ha un significato nel suo uso che sto facendo in quel momento e non un altro, perché nel momento in cui lo usassi con un altro significato, non ci sarebbe più l’opposizione e quindi non potrei neanche parlare. come se una parola significasse simultaneamente tutte le altre, sarebbe un grosso problema) nel suo manifestarsi l’Essere viene incontro dominato dalla legge che lo oppone al non essere (la legge fondamentale è quella che contrappone l’Essere al non essere) sia nella verità sia nella non verità e quindi anche in quella forma emergente di non verità che è la negazione esplicita della verità, l’opposizione è fondamento nel senso che è ciò senza di cui non si costituirebbe o esisterebbe alcun pensiero, alcun discorso. Fonda anche la propria negazione nel senso che è necessario questo fondamento anche per negare se stessa, ma appunto non nel senso che la faccia essere valida, che ne fondi il valore, bensì nel senso che se la negazione non ponesse alla propria base l’opposizione ossia non opponesse la propria positività significante ad ogni altro significare, se non fermasse il suo significato non esisterebbe nemmeno, esiste solo se afferma ciò che nega (più avanti faremo il passaggio al linguaggio perché è di questo che stiamo parlando anche se Severino non ne parla ovviamente) negando quindi nega il proprio fondamento, nega ciò senza di cui non sarebbe, nega se medesima. In effetti la negazione dell’opposizione include la dichiarazione della propria inesistenza, è un togliersi da sola dice “io non ci sono”, io sono senza significato, e se questo dire ha significato è solo perché nonostante la negazione esplicita dell’opposizione, che equivale all’auto toglimento della negazione, l’opposizione viene tenuta ferma, questo significato non è un altro significato (se io dico che nego per esempio l’opposizione tra essere e non essere, io sto fermando un significato in questo momento in cui sto affermando questo) l’œlegcos è appunto l’accertamento di questo auto toglimento della negazione ossia è l’accertamento che la negazione non esiste come negazione pura, ossia come negazione che non abbia bisogno per costituirsi di affermare ciò che nega. Dire che l’opposizione non può essere negata significa dunque rilevare che proprio perché il fondamento della negazione è ciò che essa nega, essa consiste nella negazione di sé medesima nel suo togliersi come discorso.