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3-6-2010

 

Proseguiamo la lettura della Grammatica della logica, proposizione n. 16:

16.  Ci appare qui una singolare struttura, dove ciascun elemento di questa struttura è definito da un altro elemento della struttura, che a sua volta richiede il primo per potere essere definito. Ma non soltanto, potremmo aggiungere che le regole di questo gioco impongono che ciascun elemento “esista” se e soltanto se fa parte di questo gioco. Se ne fosse escluso infatti, non potendo partecipare di questo gioco non potrebbe partecipare di nessun altro, essendo questo gioco quello che mi consente di inventare e elaborare qualunque altro, perché per fare un qualunque gioco sarò inevitabilmente costretto a costruire delle proposizioni, delle regole, e con che cosa lo farò se non con quelle stesse regole di costruire di proposizioni di cui abbiamo parlato fino adesso?

Come avrete notato e come abbiamo già detto è un sistema ricorsivo, quasi ogni affermazione ribadisce il fatto che tale affermazione ha delle condizioni per potere farsi, queste condizioni riguardano la possibilità di costruire proposizioni, questa possibilità è data da quelle istruzioni che sappiamo. Questo un metodo ciascuna volta che compie un passo in avanti e poi ritorna al punto di origine per controllare il passo in avanti che è stato fatto e cioè se non contraddice ciò che lo ha consentito, ciò che lo ha consentito sono le regole di costruzione di proposizioni ovviamente quindi ciascuna affermazione si attiene a queste istruzioni, come dire ancora che nessuna affermazione che non proceda da queste istruzioni, che di fatto è solo questo che abbiamo detto, qualunque affermazione io faccia non può non attenersi a delle istruzioni. È così che funziona il linguaggio, non ha altro funzionamento, qui si potrebbe anche aprire una parentesi cioè inserire all’interno di questo discorso un altro che è di aspetto più clinico, e cioè la costruzione di fantasie. Le fantasie sono ovviamente costruite dal linguaggio tuttavia le fantasie hanno un aspetto particolare rispetto a un procedere teoretico puro e semplice, la fantasie si aspettano la risposta, quindi una conclusione non più, come il linguaggio, dal suo funzionamento stesso ma da qualcosa che viene immaginata essere fuori dal linguaggio, come dire che si aspetta la conclusione della proposizione, quindi la sua verifica, da qualcosa che è fuori dal linguaggio. Questo è ciò che caratterizza la fantasia, usiamo questo termine provvisoriamente poi vedremo se è il caso di mantenerlo oppure no, però la prima cosa che appare è che nella fantasia anche la risposta, oltreché la sua conclusione, è attesa da qualche cosa che è fuori da sé. Questo naturalmente in qualunque fantasia, quindi a questo punto potremmo dire che una fantasia è definita dall’attendersi una conclusione quindi una sua verifica, un suo epilogo qualunque esso sia, da qualcosa immaginato fuori dal linguaggio; ma con fantasia intendo anche una teoria, una teoria che non proceda, così come abbiamo proceduto in questo breve testo, dal funzionamento stesso di ciò che consente la costruzione di una teoria, potremmo dire a questo punto che qualunque altra cosa è una fantasia. Qualche tempo fa dicevamo che è un’argomentazione retorica, non logica, questa può essere definita un’argomentazione logica nel senso che intende da che cosa è costruita la logica e si attiene unicamente ai suoi criteri, alle sue istruzioni che sono quelle del linguaggio, qualunque altra costruzione teorica è una costruzione retorica. Se la costruzione retorica non è consapevole allora potremmo chiamarla una fantasia, se è consapevole no, ma se non lo è e cioè se si attende, come ho detto prima, una sua conclusione, una sua verifica da qualcosa che è al di fuori del linguaggio ecco che a questo punto potremmo dire che subisce il linguaggio anziché agirlo. A questo punto rientra in questa definizione di fantasia praticamente la totalità delle attività umane, esclusa una …

Intervento: qualunque argomentazione potremmo anche porla come l’estensione del sillogismo aristotelico, il sillogismo aristotelico per potere funzionare ha bisogno di una premessa universale. Dovrebbe essere così, almeno il sillogismo scientifico …

Intervento: però anche l’esempio che faceva “tutti gli umani sono mortali…”

Non soddisfa questo requisito …

Intervento: vale a dire che arrivando anche al nocciolo della questione del sillogismo anche lui si è trovato a fare un’argomentazione retorica che è poi la stessa cosa che avviene nel momento stesso in cui si argomenta perché si immagina che la premessa sia una premessa universale e quindi per forza di cose tutte le argomentazioni sono retoriche perché per funzionare c’è bisogno di una premessa universale …

Esatto, e noi l’abbiamo trovata …

Intervento: ma è nel funzionamento del linguaggio che si parta da una premessa universale, se uno volesse fare un qualunque tipo di discorso e volesse farlo a ritroso deve supporre che il proprio discorso in qualche modo parte da una premessa universale … lo stesso esempio che faceva lui la premessa non è universale …

Adesso Eleonora ci spiegherà perché l’argomentazione di Aristotele rimane un’argomentazione retorica e non logica, non necessaria …

Intervento: perché la prova rimane un’induzione …

Sì, come fa ad essere certo? Dovrebbe avere sotto mano la prova per tutti quelli passati, tutti quelli presenti e tutti quelli futuri. La deduzione in realtà non dice niente, cioè è certa ma non afferma niente perché continua ad affermare ciò che afferma la premessa maggiore da cui parte. Dunque dire che una fantasia e cioè che un qualunque discorso è un’argomentazione retorica appare inevitabile perché non muove da una premessa necessaria, ma abbiamo anche aggiunto che ovviamente un’argomentazione retorica non necessariamente appartiene a una fantasia, perché sia una fantasia occorre questo passo: non tenere conto che la verifica che si attende questa fantasia è immaginata provenire da qualcosa che non è linguaggio. Faccio un esempio banalissimo, supponiamo che Eleonora abbia un fanciullino, naturalmente Eleonora costruisce delle fantasie intorno al fanciullino “mi vorrà bene, non mi vorrà bene, mi interessa non mi interessa”. Tutti questi pensieri si attendono una verifica da che cosa? Da ciò che in quel momento Eleonora ritiene essere la realtà, e cioè qualche cosa che è fuori dal linguaggio e in questo appartiene a una fantasia. Ora naturalmente si pone un altro problema riguardo alla fantasia e cioè la difficoltà di uscire da una fantasia, perché difficilmente Eleonora in questi frangenti costruirebbe un’argomentazione teoretica intorno a questo, ma vuole vedere cosa combina il tizio in questione, perché? Perché nella fantasia è così importante questa verifica dalla “realtà” tra virgolette, come se non ci fosse altra verifica pensabile? Questa è una questione straordinariamente importante, perché è il motivo per cui anche in un’analisi è difficile arrivare a certe questioni, oltre a chi ascolta le conferenze naturalmente, che cosa accade? La risposta a questa domanda non può essere cercata naturalmente altrove dal linguaggio se no torneremmo a fare delle fantasie di nessun interesse. Deve esserci qualche cosa nel funzionamento stesso del linguaggio, che è quello che stiamo considerando qui, che costringe gli umani a comportarsi in questo modo. Perché una risposta che arrivi dal linguaggio non ha la portata di una risposta che arriva fuori dal linguaggio? Da ciò che l’umano vede o suppone di vedere, fai una congettura a questo riguardo …

Intervento: se le cose stanno così alcuni dicono non ci posso fare niente …

Hai colta la direzione, certo, c’è l’esigenza che il discorso trovi una conclusione a qualcosa, il fatto è che questo quesito, questa domanda da cui si parte, nel caso dell’esempio che ho fatto prima e cioè se il fanciullino è interessato, se è interessante oppure no, procede da un’altra fantasia che si supporta sul fatto del considerare qualcosa fuori dal linguaggio, questo rende conto intanto perché la risposta a quel quesito che è una fantasia sia cercata in un’altra fantasia, ma non solo, se Eleonora in questo caso cercasse la risposta in ambito teoretico allora naturalmente la questione stessa da cui è partita verrebbe rimessa in gioco necessariamente, dovrebbe essere reinserita all’interno della struttura del linguaggio, il quesito stesso si dissolverebbe perché non avrebbe più nessun interesse.

Intervento: cioè non ci sarebbe più la domanda …

No, oltre al fatto che a quel punto Eleonora non potrebbe più non considerare che qualunque risposta lei darà a questa domanda, qualunque cosa vedrà, comunque sarà pilotata da un’altra fantasia inesorabilmente o, più propriamente ancora, ciò che lei vedrà sarà ciò che la sua fantasia “vuole” tra virgolette che lei veda. Appare una sorta di meccanismo piuttosto intorcolato e avvolto su se stesso, una fantasia è come se non potesse trovare una risposta da una argomentazione teoretica perché la domanda da cui parte è un’altra fantasia e la fantasia per sostenersi, per potere essere tale, deve essere considerata  fuori da un ambito teoretico, cioè non deve potersi interrogare. Inserire quindi la struttura del linguaggio all’interno di tutto ciò non è semplice …

Intervento: si potrebbe dire che per dare risposta a una fantasia occorre rimanere nell’ambito delle stesse regole del gioco … modificandolo con altre regole fare un gioco diverso e quindi …

Brava, proprio così, così come accade per potere rispondere alla domanda se nel gioco del poker contano più due assi o due sette, occorre attenersi alle regole del poker, se no non si può rispondere, cioè la domanda non significa niente. Adesso l’ho chiamata fantasia, dopo vedremo se c’è qualche termine più appropriato. Le fantasie sono ciò con cui gli umani hanno a che fare sempre e comunque tranne casi eccezionali, cioè soltanto le persone che hanno avuto modo di procedere in questo modo possono prendere le distanze da una fantasia, e questo rende conto del fatto che gli umani vivono unicamente delle loro fantasie, nella quasi impossibilità di potere accedere a un ordine superiore cioè un ordine teoretico, dove la fantasia viene riconosciuta per quello che è e cioè un’argomentazione che ha come premessa maggiore una superstizione e cioè la realtà, che abbiamo detto mille volte è la madre di tutte le superstizioni …

Intervento: è necessario stare all’interno delle stesse regole mentre si gioca per capire con cosa stai giocando …

Sì e no, certo nelle fantasie si rimane all’interno delle regole del gioco della fantasia e quindi della realtà, il gioco della realtà è il gioco della fantasia, sono la stessa cosa, però per sapere che cosa la persona sta facendo, se vuole interrogarsi, allora deve inserire altre istruzioni, se vuole venirne fuori, se no continuerà a girare in tondo, non ha strumenti per accorgersi di quello che fa e le istruzioni che deve inserire all’interno del suo sistema sono quelle che riguardano il funzionamento di quella struttura che gli sta consentendo di costruire fantasie …

Intervento: però è la stessa struttura che comporta la disattivazione della fantasia e questo non è così agevole …

Certo che no.

Intervento: comporta il tornaconto disattivare comunque …

Disattivarle comporta nell’immediato l’eventualità di non potere concludere la domanda posta da una fantasia, e sappiamo che il linguaggio impone invece che la sequenza concluda, concluda in un modo vero all’interno di quel gioco e cioè della fantasia, e cioè per verificare se il fanciullino è interessato a Eleonora oppure no, è necessario che le porti un mazzo di rose rosse …

Intervento: questo può portare a una sorta di bivio, la fantasia della realtà oppure se … o si prosegue per giocare le fantasie oppure si inseriscono questi elementi diversi …

Sì, deve aggiungere delle istruzioni, oppure continua a credere a queste fantasie e allora si trovano delle risposte in altre fantasie, cioè all’interno del gioco delle fantasie. A quel punto c’è la risposta immediata, a portata di mano, perché basta che Eleonora faccia questo gioco “lui è interessato a me se e solo se mi porta ventiquattro rose rosse” a questo punto la risposta è facile: le porta sì/no. Sì, è interessato a me. No, non è interessato a me. È semplice, e funzionano così questi giochi, magari con qualche passo in più, ma la risposta è facile e immediata, di facile reperimento: il linguaggio è soddisfatto. Le istruzioni che abbiamo inserite hanno comportato sicuramente per noi molti passaggi in più e ovviamente ci hanno condotti a dare una risposta definitiva a tutta la questione, però tolgono la possibilità queste considerazioni, soprattutto il praticare, l’agire il linguaggio, la possibilità di rispondere alle singole fantasie, tolgono la possibilità perché a questo punto il quesito che pone quell’altra fantasia che è precedente non ha più nessun valore, nessun interesse, e quindi non è che non risponde, non c’è più la domanda, non ha più nessun interesse la domanda, come se a un certo punto a Eleonora non interessasse più in nessun modo sapere se quel fanciullino è interessato a lei oppure no, e quindi ovviamente cade quell’altro gioco che deve verificarlo. Dire che la realtà è la fantasia, la fantasia per antonomasia, non rende le cose più semplici, non rende le cose più semplici in una esposizione pubblica proprio per il motivo che abbiamo detto e cioè toglie la possibilità di rispondere immediatamente a qualunque cosa, e cioè che le cose stanno così e lo sa subito, oppure può non saperlo subito ma sa che c’è la risposta da qualche parte basta, verificarla o se è uno scienziato basta trovare la dimostrazione giusta. Sono sempre e comunque argomentazioni retoriche perché muovono da una premessa che non è necessaria e ciò che fa una psicanalisi è porre le condizioni perché una persona sappia sempre e comunque se l’argomentazione che sta costruendo è retorica oppure no, direi quasi che mette nelle condizioni di non potere non saperlo, e quindi di muoversi di conseguenza o di non muoversi di conseguenza a seconda della situazione per cui potremmo ancora aggiungere che la fantasia per definizione esclude nel suo funzionamento la struttura del linguaggio, deve escluderlo per funzionare …

Intervento: arrivare alla impossibilità di dare una risposta alla fantasia sempre per uscire dal gioco della realtà extralinguistica, che cosa rimane? Rimangono altre domande? Che cosa rimane? Se non può più concludere queste fantasie cosa fa?

Il suo discorso parte dall’idea che gli umani siano necessariamente fatti di fantasie, se invece si considera la cosa come contingente, cioè casuale, non necessaria, il fatto che sia straordinariamente diffusa non per questo la rende necessaria, anche la religione è molto diffusa ma non per questo diventa necessaria: siccome tutti pensano così ci sarà qualche cosa di vero ma non è così automatico.

Intervento: le fantasie rimangono una specie di roccaforte per le persone hanno il tornaconto che le rende interessanti agli umani piace …

Su questo nulla da dire, però non è necessario, è casuale e quindi non essendo necessario è possibile modificarlo, come è possibile? Le persone che sono qui presenti in qualche modo lo attestano …

Intervento: sì, basta accorgersi che ciò che si costruisce sono elementi linguistici sono giochi che si fanno senza essere proiettati in una realtà …

Sì, perché la risposta che le fantasie offrono ad altre fantasie non sono mai esaustive né soddisfacenti completamente proprio perché la premessa da cui partono non è affatto necessaria, e quindi produrranno altre domande e altre risposte, incessantemente girando a vuoto. Esistono Eleonora dei momenti della giornata in cui ti trovi ad avere a che fare con una fantasia e cioè ti aspetti la risposta da qualche cosa, dal mondo esterno anziché dalla struttura che la fa esistere?

Intervento: sì …

È il modo particolare di pensare, è come un circolo vizioso che si autoalimenta in quanto la domanda che si impone è già lei stessa una fantasia. Potremmo pensare che tecnicamente non ci sia via d’uscita, però noi siamo la prova che c’è via d’uscita …

Intervento: sarebbe interessante pormi “perché mi faccio certe domande?”

È ciò che facciamo ininterrottamente: perché mi chiedo questo? E questa domanda da dove arriva? Che cosa accoglierò come risposta? E perché? Che cosa mi consentirà di stabilire se ciò che rispondo sarà vero o sarà falso? Tutte queste cose che ho scritte qui un po’ di anni fa dovrebbero essere presenti tutte simultaneamente e non potere non essere presenti, è questo che intendo con agire il linguaggio …

Intervento: il problema è che le fantasie sono … ce n’è una poi c’è quell’altra, non ce n’è una che può essere considerata così in modo asettico perché si collega ad altre fantasie per cui è difficile capire …

Non solo, c’è una fantasia che è quella che chiamiamo realtà, in base alla quale fantasia gli umani distinguono fra realtà e fantasia e quindi un’ulteriore fantasia sulla fantasia, e cioè una fantasia che fa un gioco diverso dalla fantasia della realtà ma sono fantasie entrambe, mentre l’inganno è che una sia una fantasia e quell’altra no, la realtà è una fantasia. anzi la madre di tutte le fantasie.

1.17 Stiamo considerando che la logica sia fatta esattamente di quelle regole che ci stanno consentendo di parlarne …

Ecco, in questa frase c’è tutta la questione: la logica non è altro che la sequenza di quelle istruzioni che mi stanno consentendo di parlarne (che sono necessarie). Sì, se no non potrei farne niente, e anche qui c’è un andare all’indietro, la logica è fatta di istruzioni, se ne sto parlando allora vuole dire che queste istruzioni stanno funzionando, se non potessi parlane allora non potrei farmi questi discorsi, non potrei neanche dirmi che non ne posso parlare. Come dire che siamo tornati al punto di partenza, cioè che la logica è quella serie di istruzioni che mi consentono di farmi delle domande, il meccanismo di tutto questo breve scritto è semplice tutto sommato, ma è difficile accorgersi che è semplice, di per sé non offre difficoltà. Se ho fatto queste affermazioni a partire da istruzioni che me lo consentono, queste istruzioni ovviamente riguarderanno per esempio un’istruzione che riguarda l’identità di ciascun elemento e dall’identità abbiamo fatto risalire anche le altre istruzioni, e cioè abbiamo fatto risalire, non più da un principio, come lo chiamava Aristotele, ma dall’istruzione di identità che non è un principio, è un istruzione: un elemento identico a sé differisce da un altro, e poi non è differente da sé, e se non è altro da sé allora è se stesso e quindi c’è anche l’inferenza in mezzo, c’è tutto. Una volta che è stabilita l’identità, insieme con l’identità c’è la possibilità di stabilirla, di affermarla, ci sono anche delle altre istruzioni che seguono a cascata per cui a questo punto possiamo mantenere una istruzione oppure anche le altre, direi che è abbastanza indifferente. Come il linguaggio abbia costruito la realtà, anche questo l’abbiamo detto: nel momento in cui incomincia a parlare le cose incominciano a esistere, esistendo queste cose, queste cose servono al linguaggio per potere proseguire. Le prime cose sono le parole in effetti e non è necessario, sappiamo perfettamente, al linguaggio per funzionare di sapere che queste cose sono quelle che sono, altre parole o oggetti esterni, è assolutamente indifferente, fatto sta che queste cose vengono considerate dal discorso come elementi fuori dal linguaggio. Forse, ma è un’ipotesi assolutamente non verificabile quindi di nessun interesse, perché l’orientamento degli umani è prevalentemente visivo quindi hanno cercato la risposta attraverso gli occhi, attraverso la vista, ma questo è puramente casuale, non necessario.