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3-6- 1999

 

L’oggetto misconosciuto produce sofferenza quello conosciuto il piacere

 

Allora stavo considerando in questi giorni che le cose che andiamo facendo evocano per qualche verso Rasoio di Occam, Guglielmo di Occam, filosofo medioevale del 14 ° secolo, altri poi hanno chiamato questo suo metodo il rasoio di Occam il quale consisteva nell’eliminare tutte le categorie inutili, cercando di semplificare il più possibile. Infatti il suo motto era: frustra… cioè inutilmente si fanno un sacco di cose ciò che possono essere fatte con poche… cioè è inutile complicare le cose quando possono essere semplici. Ciò che abbiamo fatto in questi anni è una sorta di rasoio di Occam anche se più sofisticato in effetti abbiamo tolto tutta una serie di cose che tutta la metafisica aveva costruito, inventato in questi secoli riducendo il tutto a una cosa di assolutamente essenziale, semplice  e stringato, cioè unicamente come abbiamo visto in varie occasioni è ciò che risulta assolutamente necessario e a partire da questa considerazione cioè di ciò che risulta assolutamente necessario, riflettevo anche su la pratica analitica, la quale cosa fa? considera un discorso, un discorso che ascolta e applica, adesso usiamo questi termini, applica  a quel tale discorso il rasoio di Occam, cioè consente la persona di potere sbarazzarsi di tutto ciò che ritenuto necessario ma necessario non,  è accogliendo invece ciò che risulta necessario, questo comporta che la più parte dei discorsi, la quale totalità può essere ritenuta arbitraria, ritenuta arbitraria comporta la responsabilità delle affermazioni che si va facendo. Qui possiamo aprire un altro discorso a fianco che affiancherà quello precedente che riguarda la struttura del discorso religioso, il discorso religioso abbiamo detto in varie occasioni, fa esattamente il contrario di ciò che il rasoio di Occam e cioè moltiplica ciò che può essere semplificato, lo moltiplica immaginando che molte cose siano  necessarie ma che in realtà non sono. Qualche settimana fa avevamo posto un elemento di qualche rilievo considerando che cosa supporta  il discorso religioso, vi ricordate parlavamo del paradosso,  la necessità del discorso, di fronte al timore, o una paura che il discorso si annulli, si annienti di fronte al paradosso di trovare una direzione, il discorso religioso fornisce la direzione, ma non soltanto il discorso religioso è il discorso della dipendenza, dipende in prima istanza dalla direzione che attende da altri possano fornire, ma soprattutto dipende dalle emozioni, questo aspetto è fondamentale nel discorso religioso, potrei dire che è fatto il discorso religioso di emozioni, emozioni che procedono ciascuna volta dalla considerazione che qualcosa mi fa soffrire. Parlo qui delle emozioni soprattutto in quanto sofferenza perché questo ha una portata molto più ampia delle emozioni prodotte dal piacere, anche rispetto al piacere c’è ancora da fare un discorso però… la sofferenza quindi il fatto che qualche cosa per esempio non funzioni, non vada oppure ci sia il persecutore. La sofferenza comporta una sorta di dipendenza perché molto semplicemente è l’altro oppure è la cosa che è causa della mia sofferenza, quindi io sono soggetto a questa cosa… (…) allora vi dicevo che la sofferenza costituisce uno dei più notevoli elementi di dipendenza del discorso religioso, cioè si dipende da ciò che produce delle sensazioni molto forti, dicevo da qualche parte forse nelle “Procedure” non ricordo, facevo un discorso intorno alla sofferenza ecco perché prima facevo un accenno al piacere ma ciò che distingue il piacere dalla sofferenza non è altro che il riconoscimento dell’elemento che produce la sensazione oppure il suo misconoscimento, se viene riconosciuto allora si chiama piacere, se viene misconosciuto allora si chiama sofferenza, funziona così, in effetti se voi considerate bene la questione potete riflettere sul fatto che nel caso della sofferenza se la persona rileva, riscontra tale sofferenza potesse riconoscere che tale sofferenza è un atto linguistico prodotto dal suo discorso, allora la sofferenza cesserebbe di avere tutta la portata che ha ed è la stessa questione che talvolta viene posta da chi ci accusa di rovinare le emozioni. Quando si rovina le emozioni? Quando ciò che l’emozione produce è prodotta dal proprio discorso, e questo vale anche per il piacere, come dicevo piacere e sofferenza sono due facce, sono due questioni identiche… dicevo che ciò che le distingue è soltanto il fatto di poterle riconoscere oppure no ma se una persona che soffre che ne so, per una delusione un problema qualunque cosa potesse accogliere l’idea che questa sofferenza è una produzione del discorso in cui si trova perderebbe la sofferenza, perdendo la sofferenza la sua esistenza perderebbe una giustificazione. Qui occorre tornare alla questione della dipendenza, la sofferenza dicevo ha a che fare con la dipendenza, per cui io dipendo da ciò che mi fa soffrire, ne dipendo in quanto mi fornisce un motivo per esistere… questo motivo è tutt’altro che marginale nell’esistenza degli umani perché è ciò che religiosamente fornisce la direzione, non è altro che una direzione, il motivo della propria esistenza io vivo perché anche se non si formula in questi termini, io vivo perché c’è questa cosa che mi incombe, mi danneggia, che mi fa soffrire, dicevo non si formula in questi termini, si formula in altri termini, nei termini dell’eccitamento connesso con questa questione, il quale provoca appunto grosse emozioni, le quali sono palesate da una sorta di eccitazione. Il discorso religioso dunque viaggia strettamente connesso con le emozioni, ora si tratta di considerare  se le emozioni, così come sono comunemente intese,  attengono sempre e necessariamente alla struttura del discorso religioso oppure no? Direi che se costituiscono una direzione, se forniscono il motivo dell’esistenza allora sì, sicuramente, sono il fondamento della religiosità. La direzione dicevo è ricercata ed è ciò che gli umani in definitiva  credono ciò che dà una direzione è ciò che instaura una dipendenza, perché se questa direzione è ciò che mi consente di stabilire ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che è bene e ciò che è male ecc. allora c’è una dipendenza da questa direzione….una forte dipendenza ora gli umani non hanno tutti i torti a pensare a una dipendenza, se vogliamo proprio porre la questione della dipendenza possiamo dire che gli umani dipendono dal linguaggio e parafrasando il nostro amico Protagora che diceva che l’uomo è misura di tutte le cose, non tanto l’uomo che è l’effetto è ciò che dice ma è il linguaggio potremmo dire allora è misura di tutte le cose. Ciascuna cosa perché ci sia misura occorre che ci sia una struttura che consente di misurare, la struttura è il linguaggio, quindi il linguaggio è misura di tutte le cose, ecco allora la dipendenza se proprio vogliamo porla, è la dipendenza dal linguaggio che poi in effetti, può porsi anche come non senso perché così come è un non senso pensare di uscire dal linguaggio, c’è una dipendenza che è necessaria….non ha più nessun interesse parlare di dipendenza, ma rimane però il fatto che gli umani sono alla ricerca continua di qualcosa o di qualcuno da cui dipendere, perché qualcosa o qualcuno da cui dipendono fornisce loro la direzione, fornendo la direzione questa direzione è ciò che dà il senso all’esistenza o più propriamente il senso al discorso, al linguaggio, ma come mai questa necessità così esasperata che il discorso produca un senso? e qui torniamo alla questione di qualche settimana fa, senza questo senso prodotto da qualcosa che si suppone fuori dal linguaggio il linguaggio è come se implodesse, mostra che non esiste null’altro all’infuori dal linguaggio e quindi qualunque atto è necessariamente un atto linguistico,  il che comporta immediatamente che tutto ciò che è creduto o pensato, fatto,  immaginato ecc… si svuota, in una certa accezione diventa un non senso, questo comporta fantasmaticamente che la propria esistenza è un non senso, il famoso “horror vacui” degli antichi e quindi la paura, la paura che, dicevamo ancora, può essere eliminata soltanto attraverso una sorta di addestramento al linguaggio, al suo uso, al suo funzionamento, alla sua struttura, senza questo addestramento c’è l”horror vacui” cioè la paura che tutto ciò che si fa, si dice, si pensa, si crede, precipiti nel nulla. Questo precipitare nel nulla non è altro che la considerazione  che tutto ciò che si dice, si pensa….non è altro che un atto linguistico, ora siccome gli umani si sono tenuti sempre fuori dal linguaggio, in un certo senso, nel senso che si sono tenuti fuori da una elaborazione intorno al linguaggio, forse fino da sempre, forse addirittura dai presocratici, sono stati addestrati a pensare che il linguaggio sia solo uno strumento, un qualcosa che è altro dal linguaggio, ciò che noi abbiamo fatto è ricondurre la questione nei suoi termini essenziali e cioè che questo altro dal linguaggio è il linguaggio ma è questo che per il pensiero occidentale risulta intollerabile, quindi il lavoro che dobbiamo fare è che è di una difficoltà di portata immane è addestrare al linguaggio. Forse una analisi inizia così… quando dicevo che perché ci sia analisi occorre ci siano le condizioni perché ci sia analisi se no non è niente, al punto in cui siamo potrebbero essere inserite attraverso una sorta di addestramento al linguaggio, all’uso del linguaggio che consiste propriamente nel fare notare come ciascuna volta ciò che sta dicendo e sta facendo è suscettibile di obiezioni per esempio, o suscettibile di altri elementi che possono intervenire e che quindi funziona un certo pensiero esattamente così come funziona il linguaggio, operazione tutt’altro che semplice però è ciò che occorre fare, dal momento che l’analisi del discorso religioso che mano a mano stiamo compiendo risulta sempre più imprescindibile e ciò con cui urtiamo da sempre è il discorso religioso, non ci sono altri ostacoli. Non ci sono altri ostacoli all’accoglimento, all’intendimento…questo è l’ostacolo il discorso religioso, non ce ne sono altri, il discorso religioso che è quello fatto delle forti emozioni, per cui  “l’accusa” chiamiamola così fra virgolette che viene rivolta che il discorso che stiamo facendo elimina le emozioni,  ha  questa risposta, se le emozioni sono la condizione del discorso religioso, sì, se no, no. La questione è che le emozioni sono legate strettamente con il discorso religioso, almeno nel discorso occidentale, ma non soltanto e pertanto non c’è emozione apparentemente  che non sia strettamente legata a  una religiosità, quindi la necessità di una  direzione quella per esempio che fornisce la sofferenza, dicevo che la sofferenza fornisce la direzione in quanto dà un senso, senso proprio letteralmente, un senso unico alternato ecco. Ciò che andiamo facendo invece toglie, togliendo questa direzione comporta immediatamente  il terrore, da una parte il terrore e dall’altra una sorta di euforia, quindi qualunque direzione va bene, il che non è esattamente, perché non si tratta di stabilire né se va bene , né se va male. Interrogare ciascuna volta il senso, se una persona afferma che qualunque cosa va bene e quindi qualunque senso va bene, la sua operazione non ha nessun interesse, cioè non è questo che andiamo facendo, si tratta di ascoltare il senso che il discorso prende lungo un suo svolgersi e interrogarlo, solo a questa condizione è possibile continuare a giocare altrimenti non si gioca più: io gioco a poker ma qualunque carta vale qualunque cosa… sì può anche divertire qualcuno certo, ma è possibile giocare giochi più divertenti che hanno più chance, certo  più divertirsi a giocare con le birille ma può fare qualcosa di più… ma perché qualcosa di più interessante si insaturi occorre e sempre di più considero la cosa un addestramento al linguaggio, cioè insegnare letteralmente come funziona, ché se io non sa come funziona e come è strutturato non capirà mai nulla di quello che pensa né di quello che dice, ma in effetti se considerate bene non c’è nessuna disciplina che addestri all’uso del linguaggio… esistono soltanto dei corsi che danno una sorta di categorie sotto cui è sottoposto il linguaggio ma come funzioni di fatto e come ciascun pensiero sia struttura linguistica questo nessuno lo mostra e quindi fare in modo che questi corsi o le conferenze che andiamo a fare nel prossimo ciclo sia una sorta di scuola di linguaggio, se una persona non sa nulla del linguaggio, come funziona, le cose che andiamo dicendo non funzionano non dicono nulla perché la questione centrale di tutto ciò che facciamo sfugge e quindi risulta vano, inutile. Certo le persone che sono in analisi è differente, ma le persone che sono lì da poco tempo non hanno inteso un granché di ciò che andiamo facendo, perché non c’è un addestramento al linguaggio non sanno che cos’è né come funziona, rispetto al discorso religioso e la direzione qui ci sarebbe molto da dire da elaborare, dicevo che ciascuno è alla ricerca spasmodica di una dipendenza, dipendenza da qualcosa che gli fornisca il senso, la direzione che gli dica che cosa è bene e cosa è male, per esempio un cattolico credente deve sapere questa direzione indubbiamente e quindi questa direzione ha un senso, dà il senso alla propria esistenza. Cosa accadrebbe se questo senso venisse tolto? La questione fondamentale in tutto ciò è una credenza fondamentale antica ben saldamente consolidata, che dice che un senso c’è fuori dal linguaggio si tratta di trovarlo, se uno non l’ha ancora trovato deve trovarlo, ma c’è, perché senza questo senso è una catastrofe. E in effetti fantasmaticamente è una catastrofe perché se ciascuna cosa come il linguaggio comune potesse essere accolta unicamente come atto linguistico crollerebbe tutto, tutto ciò che esiste per gli umani da millenni si annullerebbe di colpo, è una questione che merita di essere riflettuta è come potere utilizzare questa richiesta continua degli umani di una direzione, come può essere utilizzata per volgere questo pensiero verso un’altra direzione che è verso  il discorso che stiamo proponendo, questione  interessante che riecheggia ciò che tempo fa  indicavamo come ricerca retorica, noi sappiamo che gli umani cercano una direzione, un senso e anche laddove suppongono di averlo trovato lo cercano per lo più in effetti la ricerca dei padri di dio è una ricerca che siccome sanno che non basta da sola deve essere sempre in atto, dio va cercato da per tutto, se uno lo trova una volta per tutte non funziona più, quindi è una ricerca continua è la direzione del senso e quindi di qualcosa da cui dipendere e una delle cose da cui si dipende maggiormente è la sofferenza come dicevo all’inizio, da qui la ricerca continua della sofferenza, ciò che la produce la instaura, la consolida e la mantiene questo dice per quale motivo gli umani soffrono continuamente dal momento che nessuno li obbliga a farlo e nessuno glielo chiede, ciononostante soffrono. La  sofferenza diventa quindi una sorta di “necessità” fra virgolette della quale abbiamo tratteggiato l’aspetto logico, retorico, e certo avevamo detto che la sofferenza dava un motivo alla propria esistenza però adesso abbiamo precisato. Ovviamente poiché il discorso che stiamo conducendo elimina la sofferenza allora viene eliminato il nostro discorso. Quando le persone ci dicono così togliete le emozioni, ci stanno dicendo questo, così togliete la sofferenza, e senza la sofferenza noi non possiamo vivere e quindi ci abbandonano per andare da coloro che invece promettono grandi sofferenze oppure affermano che c’è la sofferenza ma che può essere tolta siccome nessuno ci crede, questa cosa funziona benissimo in quanto soddisfa due esigenze, la prima di affermare che la sofferenza c’è, la seconda che può essere tolta come si toglie un callo un dente guasto  e quindi non sono io che desidero la sofferenza è questo l’intollerabile come dicevo già nelle procedure linguistiche, perché in effetti la cosa peggiore che la sofferenza possa incontrare è ed è (se voi dite a una persona che non sia un po’ addestrata rischiate una rissa) che la sofferenza è una produzione, come dire che la persona soffre desidera farlo, però questo comporta che cosa? comporta immediatamente che se la sofferenza è una mia produzione allora diventa un piacere e quindi perde la connotazione di direzione perché se viene dall’esterno e cioè qualcosa che mi capita tra capo e collo allora c’è una direzione che è fuori dal linguaggio e quindi non controllo, c’è una direzione se invece è prodotto dal mio discorso allora la direzione è prodotta dal mio discorso qualunque direzione è prodotta dal mio discorso e quindi non ho più una direzione se non quella che io produco, questo è ciò che riscontra l’analista della parola c’è che la direzione è prodotta di volta in volta dal proprio discorso, in questo senso non dipende più non ha più nulla da cui dipendere, non ha più la necessità di dipendere da qualcosa, però le emozioni, l’analista della parola si trova nella condizione terribile per gli umani di dover rinunciare alla sofferenza una condizione intollerabile, inaccettabile… (vieni marcato perché non soffri) si ma una obiezione del genere può farsi perché non c’è nessuna idea del linguaggio né come funziona  e allora è chiaro se io penso che ci sia un elemento fuori dal linguaggio ecco che quello fornisce la direzione ed è fondamentale se lei non mi accoglie questa cosa fondamentale è uno squinternato è senza direzione e quindi è senza senso, ciò che dite è senza senso, questo pensano per lo più le persone ovviamente. Ma come potremmo rapidamente insegnare alle persone che cos’è il linguaggio e come funziona?