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3-5-2006

 

Lettura del testo di Beatrice su “Psicanalisi del piacere”

 

Freud afferma che il pensiero degli umani è regolato dal principio di piacere cioè che ciascuno pensa proseguendo o interrompendo certe vie al momento in cui intervengono sensazioni considerate spiacevoli per l’economia di quel discorso, come dire che il pensiero si interrompe prende un’altra direzione cioè pensa ad altro quando qualcosa considerato spiacevole interviene allora il pensiero si solleva per così dire. Il pensiero si sposta, cambia rotta e automaticamente prosegue in un’altra direzione, coglie la sensazione spiacevole che ovviamente non desidera e che funziona come una sorta di segnale e parla d’altro, pensa ad altro, interrompe la via . Il piacere come ciò che domina la scena psichica, una sorta di gioco all’interno di un sistema che mantiene l’eccitazione nei suoi limiti. Eccitazione che deve concludersi perché la troppa eccitazione è avvertita come spiacevole mentre il defluire dell’eccitazione, il risolversi dell’eccitazione apporta la sensazione di piacere, di benessere. Un sistema regolato da un gioco che impone le strade al pensiero, che guida il pensiero attraverso quelle vie che riconosce essere confacenti al suo “piacere”. Al suo piacere tra virgolette perché se ciò che chiamiamo piacere fosse lo stesso piacere per ciascuno, cioè fosse un piacere fuori dalla parola, fisso e immobile allora non esisterebbe la sofferenza che resterebbe una sorta di segnale, una sensazione indefinibile con la funzione di spostare in un’altra direzione il pensiero ed esisterebbe solamente un pensiero in qualche modo sempre felice e invece sappiamo che la sofferenza esiste basta ascoltare i discorsi che gli umani fanno e subito ci si accorge di come per esempio la realtà sia subita, di come si cerchi un rimedio alla realtà utilizzando la fantasia e questo per via di quel piacere che regola l’attività del pensiero, che costringe il pensiero a risolvere per le vie brevi i conflitti o meglio le domande cui non riesce a dare risposta, a rispondere alle domande cui non sa dare risposta modificando il mondo che costruisce, diversificando il mondo che costruisce, costruisce un mondo esterno che può vedere, toccare, annusare dal quale mondo gli provengono tutte le informazioni, un mondo sul quale può agire, se lo vuole, per esempio, se qualcosa lo infastidisce se ne allontana, se qualcosa o qualcuno lo ostacola o lo fa suo o lo distrugge e costruisce un mondo interno, lo chiama il suo mondo, dal quale, come sa, come ha imparato nascono le sue percezioni, sensazioni, modificazioni che lo avvertono di un cambiamento che sta avvenendo, che gli confermano certe differenze e che preludono alle emozioni e qualcosa di inatteso finalmente può compiersi, può farlo muovere, un mondo interno che muove attraverso le emozioni fino a giungere alle emozioni più grandi, ma con queste deve fare i conti e non è semplice perché di queste non ci si può sbarazzare come ci si sbarazza di una mosca molesta, e le sensazioni e le emozioni se superano un certo limite creano eccitazione, creano confusione, non si può decidere la via e allora cosa avviene? Avviene una modifica a quel mondo esterno che si è costruito, tale per cui le sensazioni e le emozioni vengono legate, messe in relazione agli oggetti del mondo che si possono vedere, a quei corpi che si vedono e con i quali si può comunicare, a quei corpi che finalmente posso amare e dai quali posso ricevere amore, sensazioni ed emozioni che ora provengono e appartengono ad un mondo esterno del quale pare non ci sia responsabilità, ma che in qualche modo posso agire perché è qualcosa di reale cioè vero e il piacere questo gioco all’interno di un sistema è come se necessitasse per darsi di individuare ciascuna volta ciò che è vero per averne soddisfazione, e se non avviene questa proiezione, questa costruzione della realtà, questa costruzione di un corpo, della sostanza, questa rappresentazione tutto rimane indistinto, confuso nessuna via si apre, l’eccitazione è totale, e questo è avvertito come malessere e del malessere ci si vuole sbarazzare. È ovvio che per poter sbarazzarsi di qualcosa che infastidisce che disturba occorre pensare e nessuno può negare che sia un pensiero quello che funziona, un pensiero… che cos’è il pensiero? La fobia funziona così se non ha dato un nome alla sua paura cioè se non ha individuato ciò che suppone essere la causa del suo problema e cioè ciò che ostacola il suo piacere, non è soddisfatta perché solo a quel punto finalmente potrà prendere una direzione e se ha paura degli spazi aperti, sarà eccitata dagli spazi aperti, si chiuderà in casa e butterà via la chiave.

La fobia e il piacere, difficile indovinare un piacere nella fobia e soprattutto indovinare nella fobia la necessità di trovare la verità, il come stanno le cose eppure solo attraverso un analisi è possibile venire a sapere di come il reperimento e quindi il controllo sulla verità sia il piacere più alto. La persona è costretta, a improntare la sua vita, a organizzare la sua vita a partire da ciò che è vero che ostacola il suo piacere, perché se non ci fosse questa cosa allora sarebbe felice, per esempio, e in una sorta di difesa è costretta ad allontanarsi da tutto ciò che per qualche motivo è in relazione con ciò che scatena il suo malessere ma per allontanarsene deve mantenere il punto di partenza, se effettivamente volesse sbarazzarsene basterebbe che si chiedesse perché mantiene vera una certa cosa, come dire qual è l’economia di quel discorso perché non può godere del sole, del cielo, dell’aria, quale vantaggio gli apporta quella verità? Quale piacere? Quale soddisfacimento se il piacere è tutto ciò che si oppone al dolore e questo pare un circolo vizioso, una coazione a pensare le cose al di là di un mondo che ciascun umano costruisce, al di là di un mondo frutto del proprio pensiero, costruzione del proprio pensiero che utilizza delle proposizioni senza potere considerare la ricchezza possibile a sua disposizione solo che lo voglia, solo che lo possa far funzionare. Un pensiero che possa funzionare senza la necessità di fissare il suo interesse su ciò che lui chiama realtà credendo e ingannandosi, barattando il suo piacere, il suo benessere per una realtà costruita dal suo discorso in un’economia, in un risparmio di pensiero che non può giocare nulla, non può divertirsi, non deve di vertere da ciò che lo fa funzionare: un’idea di realtà. Un concetto di realtà, un gioco che diverte il pensiero che lo fa muovere a partire dalla non responsabilità che è un dato essenziale della realtà, se le cose sono reali, sono vere allora posso cercare di modificarle mettendo in atto la fuga o la persuasione, posso convincere o persuadere ma le cose sostanzialmente…

Però da questo punto in poi occorre svolgere tutta la questione nodale perché lei parla del piacere anche quando gli altri parlano di dispiacere e poi tutta la questione connessa con il piacere rispetto alla verità, che il piacere si prova quando si raggiunge la verità…

Intervento: se il piacere fosse un termine fuori da una struttura sarebbe fisso e immobile un mattoncino che io posso mettere solo ad un certo punto del discorso ma l’utilizzo è differente da parte del parlante e cioè il piacere è ciò che ciascuno pensa che sia ma il piacere è un concetto e quindi c’è chi subisce il mondo che costruisce e c’è chi immagina di agirlo ma in entrambi i casi sono costruzioni. Il pensiero degli umani ha costruito la realtà per la sicurezza di una verità che non deve mutare, chiuso in questo automatismo dato dal vero e dal falso reali o extralinguistici che non sono operatori deittici che servono a spostare il discorso

Tutto ciò che dice è corretto, tutto ciò è stato creato al solo fine di costruire proposizioni e quindi di potere concludere ciascuna volta con una affermazione. Perché la questione centrale che lei accenna e soprattutto in una analisi è la responsabilità, e quindi se provo dispiacere per una certa cosa non c’è niente da fare, c’è una mia responsabilità non è voluta da dio, e allora una persona incomincia a interrogarsi, se è in analisi, perché una certa cosa la fa soffrire anziché no, e magari c’è l’occasione di accorgersi che quella cosa che la fa soffrire la cerca, e allora la questione successiva è perché è così attratto da ciò che dice la fa soffrire, e a quel punto magari può fare addirittura il passaggio successivo e cioè considerare che se cerca qualcosa forse c’è anche del piacere, forse, per giungere da ultimo a considerare che fa quella cosa perché è esattamente quello che vuole fare, e quindi prenderà atto di questo e comincerà a chiedersi perché vuole fare una cosa così balzana, ma a quel punto c’è anche l’eventualità che cessi di interessargli, non gli interessa più, e magari si dedica ad altro. Ma se qualcuno durante la sua conferenza sostenesse che il piacere è il piacere che prova il corpo, e potrei anche giungere ad ammettere che esiste un piacere nella parola certo, ma sono due piaceri diversi, non si possono confondere e fare di ogni erba un fascio, il piacere del corpo è una cosa, e lo prova il corpo, il piacere della parola, dell’intelletto è un’altra cosa e lo prova l’intelletto, la parola, il discorso, il linguaggio, quello che preferisce ma il piacere del corpo c’è. Per esempio accarezzare una superficie liscia può dare una sensazione di piacere, mentre accarezzare la superficie di un serpente per molte persone non è un piacere. Quindi si distinguono e rimane il piacere intellettuale di cui lei ha parlato e di cui tutti sono assolutamente consapevoli e d’accordo con lei, ma esiste un piacere connesso con le sensazioni del corpo che con il linguaggio non ha a nulla a che fare? Perché per le altre siamo tutti d’accordo, come quando uno risolve un problema matematico o riesce a persuadere qualcuno o conclude le parole crociate prova un piacere che è un piacere intellettuale, su questo nessuno può obiettare, io invece parlo del piacere che è avvertito dal corpo, non dall’intelletto…

Intervento: nella vulgata è il corpo che percepisce e percependo le trasferisce nel pensiero

Lei è d’accordo con questa vulgata? Se io mangio un cioccolatino e provo piacere ho bisogno di dimostrare che provo piacere, o il fatto che provi il piacere è già come dice la parola stessa una prova di piacere, perché non dovrebbe essere? Perché non accoglie come prova il fatto che io avverto questa cosa?

Intervento:…

L’ha costruito il linguaggio certo, nessun altro potrebbe averlo costruito, e se il linguaggio fa questo perché non dargli retta?

Intervento:

Il linguaggio certo ha costruito il criterio della percezione e il linguaggio sa quello che fa, perché non dovremmo accoglierlo? O non sa? O lei non tiene in nessun conto il linguaggio, è importante il linguaggio costruisce i criteri di verità, anche quello della percezione, dobbiamo dare retta al linguaggio…

Intervento:...

Nessuno ha nulla da obiettare, senza linguaggio non avremmo potuto costruire né questo criterio né nessun altro, ma siccome c’è il linguaggio e il linguaggio ci ha consentito di costruire questo criterio perché non accoglierlo? Il criterio della percezione ha il vantaggio di essere utile, perché mi consente per esempio di salvaguardare la mia incolumità, tant’è che se io metto la mano su una superficie arroventata ritraggo la mano anziché lasciargliela lì e rimanere monco, è un vantaggio non da poco, e la vista mi consente di vedere, di potere muovere le cose a mio piacimento, di osservare pericoli incombenti, grazie al linguaggio abbiamo costruito questo criterio che si chiama percezione che ci è utile per esistere, per continuare a vivere, per salvare la nostra vita quando è in pericolo, cosa ci interessa sapere provarlo? Ci è sufficiente per continuare a vivere, che è in fondo ciò che ci interessa e quindi proseguire a parlare, perché se io non vedo che sta arrivando un camion e il camion mi investe io non parlo più dopo, e quindi il criterio della percezione è straordinariamente utile anche se non è provabile che sia assolutamente vero, ma è provabile che senza di questo io correrei grossissimi pericoli, è necessario parlare, e parlare come sappiamo è la cosa più importante ecco perché questo criterio è più importante. Sì, ebbene? Demolisca tutto quello che ho detto…

Intervento: questo per dire che il linguaggio non ha nessuna necessità

Come non è necessario? Non avremmo potuto costruire, accorgersi del criterio fondamentale che appartiene alla percezione, quindi è fondamentale il linguaggio ma è fondamentale anche questo criterio che è stato costruito dal linguaggio. È vero ciò che mi consente di continuare a dire, in fondo è ciò che abbiamo sempre sostenuto: ciò che è vero mi consente di proseguire, questo criterio è vero perché mi consente di continuare a vivere e quindi di continuare a parlare e dunque proprio in base a ciò che lei afferma potremmo affermare che questo criterio è assolutamente vero perché è quello che mi consente di proseguire…

Intervento:…

Abbiamo appena detto che è proprio perché c’è il linguaggio che abbiamo potuto costruire questo criterio della percezione, anche se il linguaggio non ci consente di provare che questo criterio sia vero, però questo criterio mi consente di salvaguardare la mia vita e quindi di salvaguardare il proseguire stesso del linguaggio, perché se io non vedo il camion e quello mi investe io non parlo più se invece lo percepisco per tempo mi scanso ed ecco che continuo a parlare…

Intervento: il linguaggio per funzionare ha bisogno soltanto di costruire delle proposizioni vere…

Ho negato questo? Si attenga a ciò che ho detto…

Intervento: ha la funzione di far proseguire a parlare e non si occupa di quello che dice) non si occupa di questo la percezione non deve interrogare su ciò che dice ma altre cose si occupano di questo, deve solo salvaguardare me e di conseguenza il mio discorso (la percezione ha la funzione di cogliere i pericoli per cui io mi scanso

Ponga la questione in termini radicali e cerchi di utilizzare al massimo tutto quello che io ho detto. Ho sempre raccomandato di ascoltare molto attentamente il vostro interlocutore, perché buona parte delle cose che dice potranno essere usate contro di lui, ho detto che la percezione salvaguarda la mia vita. Perché voglio vivere? A che scopo? Perché sono costretto in un certo senso a continuare a vivere? Chi mi costringe a farlo? Domande difficilissime a cui rispondere, forse qualcosa mi costringe a farlo, il fatto di essere costretto dal linguaggio a proseguire a parlare, è questo l’unico motivo per cui voglio continuare a vivere e allora la percezione è uno strumento, lo strumento di un gioco, niente più di questo, uno strumento, come un termometro, come un cacciavite. È qualcosa che serve al pari di qualunque altra inventata dal linguaggio, però il fatto che sia uno strumento prevede qualche cosa o qualcuno che abbia decretato l’esistenza di questo strumento, e questo l’ho fatto io, cioè il discorso che mi riguarda, il discorso ha stabilito che una certa cosa funziona come uno strumento quindi non è necessaria, è necessaria all’interno di un certo gioco che è quello di vivere, ma questo gioco non è necessario di per sé, nessuno al mondo è in condizione di provare che vivere sia necessario, può essere piacevole, utile, tutto quello che si vuole ma non necessario, e infatti io non avevo la necessità di provare che fosse vero tant’è che non lo è, questo criterio che riguarda la percezione, non è vero, è utile al pari di qualunque altra cosa…

Intervento: la percezione, è uno strumento e lo stesso corpo diventa uno strumento…

Sì, e infatti avrebbe dovuto concludere dicendo che la percezione è uno strumento al pari di qualunque altra cosa ma in nessun modo può stabilire una verità, può essere utilizzato ma non può stabilire nessuna verità, non più di quanto possa stabilirlo un cacciavite…

Intervento: dire che non esiste il piacere fisico perché è solo nel linguaggio produce immediatamente una reazione di chiusura perché…

Intervento: chi “prova” il piacere fisico afferma che esiste il piacere fisico, chi non lo “prova” non lo prova proprio perché sa che esiste il piacere fisico e lo sa perché parla e cioè sa che un corpo gode ma il suo corpo no…