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3 aprile 2019

 

La struttura originaria di E. Severino

 

La struttura originaria è un testo straordinario, non tanto perché ci dica cose nuove ma proprio per gli inviti che ci rivolge a pensare cose che non avevamo pensate prima. È un continuo sprone a pensare. A pag. 499, il Capitolo XII, che è il penultimo, dice: Contraddittorietà intrinseca della negazione della presenza dell’essere. Se io nego la presenza dell’essere io mi autocontraddico immediatamente. Come già si è osservato, l’“essere” (inteso come essere formale) vale L-immediatamente come costante sintattica di ogni determinazione o contenuto semantico. Qualunque cosa si dica, questo qualcosa che si dice ha l’essere, almeno formalmente. È, quindi, qualcosa, nel senso che se dico, dico qualcosa; non posso dire e dire niente, sennò non dico. (Il linguaggio comune è un sottinteso che lascia per lo più inespresso ciò che conferisce significato a quanto vien messo in vista della parola;… Cioè, non viene espresso ciò che dà il significato. Il significato di qualcosa intanto è che questo qualcosa è qualcosa. …ma poi il sottinteso è una tale sollecitudine per la determinazione che tende a degenerare nella distrazione dell’essere). Questo è un problema che si incontra sempre parlando, cioè, il linguaggio in effetti è come se incantasse, nel senso che non consente parlando, almeno immediatamente, di accorgersi che si sta parlando. Questa distrazione dall’essere, cioè, distrae dal considerare che sto affermando cose e che affermandole sono. Poi, bisognerà vedere se sono contraddittorie oppure no. Però, questo incantamento, che avviene parlando, è una delle ragioni per cui è così difficile accorgersi che si sta parlando. Questo perché il linguaggio è una continua, incessante, inesauribile messa in atto di quella famosa figura retorica, nota come ipotiposi. L’ipotiposi letteralmente sarebbe lo schizzo. Fare uno schizzo per mostrare a qualcuno qualcosa: ho comprato una casa, ti faccio uno schizzo per farti vedere com’è. Questo che sto facendo retoricamente si chiama ipotiposi. Il linguaggio è una continua ipotiposi, mostra continuamente sotto forma di immagine, in un certo senso, ciò che dice. Sta in questo ciò che chiamavo incantamento: mostrando delle immagini distrae, direbbe Severino, dall’essere, cioè dal fatto che sto dicendo. Mi trovo, quindi, preso in questo vortice di immagini che si creano e perdo di vista quello che sta accadendo, e cioè che sto parlando, con tutto ciò che questo comporta. Ciò significa che di ogni contenuto semantico si predica L-immediatamente l’essere… Se dico, dico qualcosa. …ossia che è immediatamente autocontraddittorio che una qualsiasi determinazione – che una qualsiasi positività o un qualsiasi essere – non sia. È esattamente ciò che vi sto ripetendo, cioè, se dico, dico qualcosa. È impossibile che se dico allora non dico nulla, perché non direi, non ci sarebbe nessun dire; quindi, se dico, dico qualcosa. È impossibile per me, se dico, non dire qualcosa. È questo che sta dicendo. Tanto le proposizioni del tipo: “Questo rosso è”, come la proposizione: “L’intero semantico è” – e quindi, in generale, tutte le proposizioni che affermano l’essere di una qualsiasi determinazione (tutte queste proposizioni sono espresse dalla proposizione: “L’essere è”) – sono pertanto proposizioni analitiche… Sono definizioni analitiche nel senso che, torniamo di nuovo lì, se dico, dico necessariamente qualcosa e, quindi, questo qualcosa “è”. Quindi, se dico “è” e non posso negare che se dico, dico qualcosa, non posso negare che questo qualcosa, che sto dicendo, sia. È quindi analitica anche la proposizione: “La totalità dell’essere F-immediato è”. La totalità dell’essere F-immediato è la totalità di ciò che mi appare, dell’essere di ciò che appare, ciò che appare, se appare, è qualcosa e, quindi, “è”. Ossia è intrinsecamente contraddittorio negare che l’essere, che è F-immediatamente noto, sia. Se io nego che qualche cosa è, mi autocontraddico immediatamente, perché se dico qualcosa dico necessariamente qualcosa che è. A pag. 500, paragrafo 2, L’analisi deve essere assunta nella forma della F-immediatezza. Cosa vuol dire? Vuol dire che deve mostrare tutte le cose di cui è fatta. Se d1, d2, d3… dn sono tutte le determinazioni F-immediatamente note, si indichi con D l’ambito semantico costituito da tutte queste determinazioni – ossia si indichi con D il soggetto della proposizione analitica: “La totalità dell’essere F-immediato è”. Il soggetto è la totalità dell’essere F-immediato. Orbene, su quale fondamento D è noto? in base a che si affermano proprio queste e non altre determinazioni dell’essere? o in base a che si riconoscono all’essere queste e non altre determinazioni? Il che equivale a domandarsi in base a che cosa si afferma che D è. Sono domande importanti. Si badi che qui non si può rispondere che si afferma che D è perché l’essere di D conviene L-immediatamente a D: non si può rispondere in questo modo, perché ciò che qui si richiede è proprio il fondamento della notizia del significato D, cui conviene L-immediatamente il suo essere. Se io dico che dicendo dico necessariamente qualcosa, allora questo qualche cosa posso dire che appartiene necessariamente al dire, ma in che modo mi è noto tutto ciò, cioè che se dico, dico qualcosa? Appare immediatamente evidente, però lui si chiede in base a che cosa mi è noto questo fatto. Che l’essere sia – che cioè sia l’essere in cui consiste D – è affermazione analitica; ma che fondamento ha la notizia dell’essere, e dell’essere determinato proprio come D? E cioè, in base a che cosa è tenuto fermo il soggetto della proposizione analitica: “D è”? Come fa a dire che “D è”? In base a che cosa? …o da che cosa si è autorizzati a parlare dell’essere, a nominare l’essere? E infine: su qual fondamento l’essere c’è, o che fondamento ha l’esserci dell’essere? Sono domande fondamentali, che al di là non si può andare. È chiaro che la posizione della F-immediatezza dell’essere è il toglimento originario di questo domandare:… La posizione della F-immediatezza, cioè l’apparire, il darsi, lo stabilirsi del fenomeno è quella cosa che risponde a queste domande togliendole in modo originario, perché se mi appare, allora come mi interrogo su come lo so? Mi appare, è immediatamente noto. …l’essere c’è o è noto per sé: la notizia o l’esserci dell’essere è F-immediata, ossia è il fondamento stesso nella sua valenza fenomenologica. Cioè, in quanto fenomeno è ciò che letteralmente mi appare. Se non mi appare non è un fenomeno, non è F-immediatezza. Quindi, negare che questa cosa sia un fenomeno è un negare che mi stia apparendo; ma se mi appare, come posso negare che mi appare? La notizia dell’essere… Qui lui fa la distinzione tra ciò che mi appare e l’essere di ciò che mi appare, il fatto che sia; è questo che a lui interessa. La notizia dell’essere si realizza appunto nella proposizione: “L’essere (l’essere in quanto determinato come D) è;… Questa è la notizia, cioè ciò che mi è noto. …e la F-immediatezza di questa proposizione è espressa dalla proposizione: “Che l’essere sia è per sé noto” = “L’essere che è per sé noto è”. Tutto questo non significa niente altro che il dire che se qualcosa mi appare allora non è vero che non mi appare; se mi appare mi appare in quanto fenomeno. Letteralmente fenomeno, sappiamo, significa ciò che appare. Quindi, è immediatamente noto che se qualcosa mi appare allora mi appare. Sembra una stupidaggine ma per lui non lo è, perché secondo lui a questo punto si toglie ogni possibilità di autocontraddizione, perché o mi appare o non mi appare: se mi appare allora mi appare. Che è poi quello che diceva Parmenide: l’essere è e non può non essere, oppure l’essere è e il non essere non è. A pag. 501, paragrafo 3, Implicazione reciproca di F-immediatezza e L-immediatezza. a) Appare, da quanto si è detto nei due paragrafi precedenti, che, da un lato, l’analisi – ossia la L-immediatezza – assume come contenuto la totalità dell’essere F-immediato: nel senso che questa totalità è il soggetto della proposizione analitica: “D è”;… Questo F-immediato non è altro che l’apparire di qualche cosa, appunto che “D è”. …e dall’altro lato, la F-immediatezza assume come contenuto l’analisi: nel senso che è F-immediatamente noto che l’essere è, ossia nel senso che l’essere delle determinazioni F-immediate – e cioè che l’essere dell’essere – è F-immediatamente noto. È la stessa cosa che dicevamo prima: se qualcosa mi appare allora mi appare. È autocontraddittorio dire che se questo mi appare questo non mi appare. b) In quanto poi il contenuto F-immediato è apertura dello stesso intero semantico… Ricordate: ogni significato è la totalità dei significati. …, o, che è il medesimo, della stessa totalità dell’essere – in quanto cioè l’essere, di cui si predica L-immediatamente l’essere (o cui conviene, L-immediatamente, di essere) e che in questo suo valere come soggetto di tale predicazione è il contenuto F-immediato, è significante come lo stesso intero –, si dovrà dire che il contenuto dell’analisi non è, per l’appunto, una determinazione finita, ma è l’intero; sì che la proposizione: “L’essere è”, che è contenuto della F-immediatezza, significa: “L’intero (la totalità dell’essere) è”. Ci troviamo di fronte al problema della contraddizione C, e cioè io dico che “D è”; questa affermazione comporta la totalità dell’essere, perché dicendo che “D è” dico che l’essere è. Ma ci dice dopo che l’essere di cui si predica L-immediatamente l’essere è il contenuto F-immediato, e questo è significante come lo stesso intero. D a questo punto si pone come l’intero perché ciò che si mostra, l’F-immediato, lo ha detto qualche riga prima, è apertura dello stesso intero semantico: ogni significato è l’intero semantico. Quindi, è come dire che l’affermazione “D è” vale a un tempo come l’essere intero ma, d’altra parte, D è una determinazione finita. Quindi, ci troviamo di fronte a un’affermazione che ci dice che l’essere è l’intero ma che l’essere è determinato, finito. Infatti, dice, Ma, insieme, il termine “essere”, che compare nella proposizione: “l’essere è”, significa D, ossia una determinazione (finita) dell’intero, nella misura in cui l’originario si struttura come progetto che l’assoluta materia semantica oltrepassi in senso forte la totalità dell’essere affermato originariamente, e cioè F-L-immediatamente: potendosi qui assumere D come designazione sia dell’essere F-immediato, sia dell’essere non F-immediato, che viene L-immediatamente affermato. Quindi, si assume che l’essere è, che è una determinazione finita, e al tempo stesso questa determinazione finita è anche ciò che, dovendo porsi come l’intero… tutto questo deve essere oltrepassato dal progetto di porsi come l’intero. In questo oltrepassamento è chiaro che si incontra la contraddizione, la contraddizione C, tanto per intenderci, cioè, ciò che è immediatamente noto, il particolare, lo si pone come se fosse l’intero, ma l’intero lo oltrepassa, va oltre; eppure, questo immediatamente presente, se si pone si pone come intero, non può non porsi come intero, perché c’è sempre il teorema di Severino che incombe, e cioè che ogni significato è la totalità dei significati. Quindi, come vedete, non c’è nulla di nuovo neanche qui. Semplicemente lo pone in modo differente, ma il problema è esattamente lo stesso: ciò che mi appare immediatamente, perché possa porsi in modo non contraddittorio, deve strutturarsi come l’intero. Solo che se è l’intero vuol dire che c’è qualche cosa che oltrepassa ciò che è immediatamente presente, che va oltre; ma se qualcosa va oltre ciò che è F-immediatamente presente allora si pone come contraddittorio, perché non è più soltanto quella cosa lì. Per essere l’intero deve comprendere tutto, ma questo tutto non è presente e, quindi, non è l’intero. Se non è l’intero, di nuovo, è autocontraddittorio. Come risolvere questo problema? In altri termini, il termine “essere”, che compare nella proposizione: “L’essere è”, è in ogni caso significante come l’intero, anche se è un progetto che l’essere originario (=D) sia l’assoluta materia semantica. “L’essere è” è l’intero; “D è” non è più l’intero. Ma “D è” deve porsi come un intero anche se non lo è, perché se non si pone come l’intero è autocontraddittorio, perché non è l’intero semantico. Se non è l’intero semantico significa che si va contro il teorema di Severino che ogni significato è la totalità dei significati. In quanto, infine, è L-immediatamente noto che l’essere oltrepassa in senso forte… Distingue tra senso forte e senso debole. Oltrepassamento in senso debole significa, in senso hegeliano, che un qualche cosa è quello che è per via del fatto che c’è altro oltre se stesso: per esempio, c’è la sua negazione in quanto tolta. Invece, l’oltrepassamento in senso forte è oltrepassare questo momento in quella cosa che Hegel chiamava la sintesi, cioè porre questi due elementi come una sintesi che produce un terzo elemento. Andiamo al paragrafo 4, Riepilogo e passaggio. Il toglimento concreto della negazione dell’essere F-immediato consiste nella relazione tra il toglimento della negazione in quanto questa è in contraddizione con la F-immediatezza dell’essere, e il toglimento della negazione in quanto questa è intrinsecamente contraddittoria (e anzi può essere considerata come la definizione stessa della contraddizione). Sta dicendo che il toglimento concreto della negazione dell’essere deve compiersi non soltanto con il toglimento dell’aspetto formale della negazione, ma deve riguardare il toglimento della negazione in quanto questa è intrinsecamente contraddittoria. Ricordate che il concreto riguarda sia la F-immediatezza che la L-immediatezza, c’è questa simultaneità tra le due cose. Quindi, il toglimento concreto della negazione dell’essere F-immediato non può non avere a che fare che con il toglimento della contraddizione che io incontro nel momento in cui dico di porre qualche cosa ma, in realtà, non lo pongo. A pag. 504. L’affermazione della totalità della presenza immediata, che pone l’essere secondo tutte le determinazioni che gli convengono in quanto esso è per sé noto… L’affermazione della totalità dell’essere in quanto lo posso affermare. Lo posso affermare in quanto sono presenti tutte le costanti. …tale affermazione è come tolta… Diciamola così. Io affermo la totalità della presenza immediata. Come l’affermo? Formalmente, non posso porla concretamente. Quindi, l’affermazione della totalità di ogni cosa, io la pongo, ma come? La pongo come tolta, nel senso che se io pongo un elemento, insieme a questo elemento devo porre tutto ciò che questo elemento non è, ma tutto ciò che non è non è presente, devo porlo; quindi, lo pongo come tolto. Porre la negazione della presenza senza porre questa sua costante… Lo dicevamo la volta scorsa: la pongo ma al tempo stesso non c’è; pongo la presenza ma, di fatto, questa presenza non è presente; se ci fosse realmente allora significherebbe che a fianco di ciò che sto affermando ci sono tutte le sue negazioni e, quindi, sarebbe negato, sarebbe autocontraddittorio. …è quindi un intrinseco contraddirsi; tale autocontraddizione è tolta ponendo appunto la costante in questione. Ma questa posizione è essa stessa un’autocontraddizione, come si chiarisce qui appresso, sì che la negazione (parziale o totale) della presenza vale in ogni caso come una autocontraddizione. Infatti, proprio perché quella affermazione è negata, l’affermazione è posta (saputa, nota, manifesta), ed è appunto questo ciò che è posto, ciò che viene negato. Continua a chiedersi: lo pongo e lo nego; ma il fatto di negarlo non toglie il fatto che sia stato posto, e quindi c’è o non c’è? (E ciò che viene negato e quindi posto, non è un’affermazione formale – tale cioè che la totalità della presenza sia posta solo formalmente e non secondo tutte le determinazioni che le convengono -, ché la costante, in cui consiste appunto l’affermazione in parola, avrebbe un valore formale, e il campo posizionale della negazione della presenza permarrebbe come un’autocontraddittorietà). Sta dicendo che devo togliere questa cosa ma non solo formalmente, devo toglierla davvero, cioè devo toglierla come concreto, quindi, con tutte le sue determinazioni. Posso toglierla formalmente, dico “la tolgo”; certo, ma tolgo cosa, esattamente? Devo aver poste tutte queste determinazioni. Senonché accade che ciò, che per essere tolto (negato) deve essere posto, è tolto nello stesso senso in cui è posto. Ossia l’affermazione della presenza, che la negazione della presenza deve porre per potere negare,… Per potere negare qualcosa devo ammettere che c’è, sennò cosa nego? …è negata nello stesso in cui deve essere affermata (posta) per potere essere negata. Per poter essere negata questa cosa intanto deve essere posta, ma posta come, si sta chiedendo lui. Deve essere posta non formalmente ma concretamente, cioè deve essere posta con tutte le sue determinazioni. Sappiamo che quando parla dell’essere formalmente non sono poste tutte le sue determinazioni. All’essere, che F-immediatamente noto, appartiene questa superficie rossa. Se si dice: “Questa superficie non è presente come bianca”, questa negazione è toglimento della presenza di questa superficie come bianca. Dico che questa superficie è rossa e, quindi, poso dire che questa superficie non è bianca. Ciò che è negato – ciò di cui si nega la presenza – è “questa superficie come bianca”. Questo è ciò che è negato: la superficie è rossa e, quindi, non è bianca. Ma l’affermazione che questa superficie non è bianca comunque viene posta, c’è. D’altra parte, questa superficie come bianca, non è assolutamente assente, o assolutamente esterna alla presenza, ché altrimenti la negazione non negherebbe nulla:… Per negare qualcosa dobbiamo prima averla posta. …per affermare che questa superficie come bianca non è presente, è cioè necessario che questa superficie come bianca sia presente. Sta dicendo questo: per potere negare qualcosa, per potere dire che non c’è, deve esserci. La contraddizione… L’ha appena detta: per affermare che questa superficie come bianca non è presente è necessario che questa superficie come bianca sia presente. È una contraddizione palese. La contraddizione è tolta dicendo che questa superficie bianca è in qualche modo presente. Questa è una soluzione che a me francamente piace poco, però, seguiamolo lo stesso. E cioè non si produce contraddizione appunto perché il modo (o il senso) secondo cui questa superficie è presente come bianca non è il modo (o il senso) secondo cui si nega che sia presente come bianca. Il modo in cui è presente è diverso dal modo in cui si nega che questa cosa sia presente. È presente perché per poterla negare occorre che sia presente ma, dice, il modo in cui è presente non è lo stesso modo in cui non è presente. O la contraddizione non sussiste nella misura in cui è possibile distinguere, all’interno della presenza, dei modi di presenza (e si dirà, ad es., che questa superficie come bianca non è “realmente”, ma “idealmente” presente). Come dicevo, a me questa soluzione piace poco, però… Ora considera la questione della negazione dell’affermazione della totalità, non soltanto rispetto a qualcosa di specifico ma in generale. Infatti, dice Se ora si considera la negazione dell’affermazione della totalità presente… Nego l’affermazione della totalità presente. Devo negarla, perché se non la nego tutto ciò che questa cosa non è rimane presente. …è dato riscontrare che quella distinzione di modi di presenza non è qui consentita. Infatti, la negazione, ora, non nega semplicemente che un termine abbia un certo modo di presenza … la negazione, qui, intende negare, simpliciter, la presenza. Ecco la questione che ci interessa: questa negazione nega la presenza, non il modo della presenza ma la presenza stessa. … (E la nega, simpliciter, sia nel caso che neghi una dimensione finita della totalità del F-immediato, sia che neghi questa stessa totalità). In altri termini, la condizione necessaria del costituirsi della negazione della presenza è l’affermazione della presenza; o la negazione può realizzarsi solo implicando ciò che essa nega. Dove è chiaro che la contraddizione intrinseca si realizza nella misura in cui la negazione della presenza non nega un modo di presenza, ma nega simpliciter la presenza della totalità o di una parte dell’essere F-immediato. e) Ma poi, sfruttando tematiche già elaborate: in quanto ogni proposizione è identica… Ricordate che cosa vuol dire “identica”, cioè è la stessa cosa, come quando lui scrive (A=B)=(B=A), queste due proposizioni sono identiche, cioè dicono la stessa cosa, hanno lo stesso significato. …anche la proposizione: “L’essere è immediatamente presente” è identica, sì che la sua negazione è autocontraddittoria. E in quanto ogni proposizione vera è – stante che ogni significato è costante di ogni altro significato – una proposizione necessaria, anche la proposizione: “L’essere è immediatamente presente” è necessaria, e cioè la sua negazione è autocontraddittoria. Qui fa un gioco di prestigio. La proposizione “L’essere è immediatamente presente” è identica… Sarebbe come dire, tradotta nelle sue formule:

(essere = immediatamente presente) = (Immediatamente presente = essere).

Identica vuole dire che la sua negazione è autocontraddittoria, perché nega che sia presente, immediatamente noto, ciò che è immediatamente noto e presente. …– stante che ogni significato è costante di ogni altro significato – una proposizione necessaria. Quindi, ogni proposizione vera è una proposizione necessaria. Nel suo linguaggio potremmo dire che quella espressa dalla formula (A=B)=(B=A) è necessaria in quanto incontraddittoria, perché queste due cose sono identiche. È per questo che è incontraddittoria, perché se noi astraiamo la prima parte della formula dal concreto, cioè dal tutto, allora abbiamo un soggetto e un predicato, e il soggetto non è il predicato; mentre, nella sua formula, lui la esprime come due proposizioni identiche, cioè sono lo stesso. E in quanto ogni proposizione vera è – stante che ogni significato è costante di ogni altro significato – una proposizione necessaria, anche la proposizione: “L’essere è immediatamente presente” è necessaria, e cioè la sua negazione è autocontraddittoria. Prima dicevo che si tratta di un gioco di prestigio. Inserisce questa questione all’interno del sistema che lui ha elaborato per dire come la proposizione, che di per sé appare autocontraddittoria… A=B è una proposizione autocontraddittoria perché A non è uguale a B. Ma se io dico (A=B)=(B=A), allora queste due cose sono identiche, cioè sto mostrando l’identità di queste due cose. Se sono l’identico, allora potremmo dire che è una tautologia, e quindi sono lo stesso; se sono lo stesso non possono essere autocontraddittorie ma sono incontraddittorie. In questo modo lui risolve anche il problema di prima, quello della D, che è determinata ma che deve essere l’intero, perché se non è l’intero è autocontraddittoria. A pag. 506. Se D indica la totalità delle determinazioni immediatamente presenti, in D è inclusa anche quella determinazione che consiste nella stessa presenza immediata della totalità delle determinazioni presenti:… Cioè, esiste quella proposizione che afferma la presenza di quelle determinazioni.  …deve esservi originariamente inclusa affinché la proposizione: “L’essere (=D) è immediatamente presente” non sia un’affermazione infondata e infine autocontraddittoria. A pag. 507. Il risolvimento dell’obiezione porta a un’effettiva precisazione di quanto è stato sopra affermato. La proposizione: “L’essere, che è immediatamente presente, è immediatamente presente” è certamente una proposizione analitica: se con “D” si intende la presenza immediata di un contenuto, per affermare che questo contenuto è immediatamente presente non si richiede altro che l’analisi di D. D indica la presenza immediata del contenuto, perché D, come sappiamo, è fatto di tutte le costanti necessarie, ecc. Quindi, per sapere che con D si intende la presenza immediata di un contenuto basta fare un’analisi di D e vedere se ci sono tutte le costanti. Ma sappiamo che sono presenti. Dice che non solo quella proposizione è analitica, e cioè che l’essere che è immediatamente presente è immediatamente presente; dice che non solo è analitica ma è identica. E lo risolve di nuovo a questa maniera. E non solo quella proposizione è analitica, ma è identica: l’analiticità è, infatti, data da questo, che la proposizione in parola è considerata nella sua struttura concreta: (D=π)=(π=D), dove “π”significa “immediatamente presente”. Dice che, perché tutto questo funzioni, occorre che D e π non siano tenuti separati, cioè non si faccia astrazione ma lo si consideri come il concreto, cioè come un qualche cosa che tiene conto dell’identità, della stessità delle due affermazioni. c) Appare dunque, da quanto si è detto, che D, come distinto da π nel senso qui sopra indicato, non può valere o non può stare a indicare tutte le determinazioni che sono immediatamente presenti, perché la totalità della presenza è appunto la sintesi di D e π. È un modo di risolvere il problema un po' arbitrario. Se tengo distinto D da π, cioè il D come totalità dal π come immediata presenza, non posso più dire che D è immediatamente presente; quindi, devono essere tenuti insieme. Ciò significa che la proposizione: “L’essere è immediatamente presente” non può che essere analitica… Eh, sì, però questo lo dice dopo. …qualora col termine “essere” si intenda la totalità dell’essere immediatamente presente: perché se il predicato non è incluso nel soggetto, nell’atto stesso in cui il predicato è riferito al soggetto (se cioè D non è posto come D= π), il soggetto è negato quanto alla sua valenza semantica, e cioè non è più la totalità del F-immediato. Come dire: io ho stabilito questo; se poi questo non si verifica allora non va bene. Non è soddisfacente questa sua dimostrazione, cioè devo porre D= π, devo dire che D è l’immediato presente. Ma è proprio questo che si tratta di dimostrare. Se io lo pongo… lui dice che lo può porre perché lui pone che D, che è fatto di tutte le costanti, è l’intero e quindi, se è l’intero, è immediatamente presente. Però, se pongo D separato da π allora pongo D come separato dall’immediatamente presente; quindi, devo dire che D, il determinato, e l’essere immediatamente presente devono essere la stessa cosa. Perché? Perché, dice Severino, se D è fatto di tutte le sue costanti allora è immediatamente presente, cioè è incontraddittorio. Se è incontraddittorio è immediatamente presente, quindi, è π.